Conte chiude: rissa a destra e promessa di tagliare l’Iva

“Stiamo discutendo in questi giorni di ritoccare l’Iva. Abbassarla un po’ potrebbe dare una spinta alla ripresa dei consumi: è un fatto di fiducia. Poi interverremo su misure concrete, come incentivi per i lavoratori del turismo in sofferenza. Non è sufficiente riformare il Paese ma occorre reinventarlo”. Al termine delle nove giornate degli Stati generali dell’Economia, nella verde cornice di Villa Pamphilj a Roma, il premier Giuseppe Conte dà una chiara indicazione di cosa conterrà il piano di rilancio che sarà presentato entro la fine di giugno dopo un “confronto” con i singoli partiti di centrodestra che hanno sbloccato la disponibilità a sedersi a un tavolo con il governo, ma non accettano l’ipotesi di inviti separati da parte del premier (ad esclusione di Forza Italia, “pronta” a incontri singoli). Tanto che la Lega sbotta: “Il centrodestra è unito e non bisogna perdere tempo: il governo convochi la coalizione”.

Il piano di rilancio costituirà l’ossatura del Recovery plan che l’Italia presenterà a settembre all’Ue per ottenere i fondi comunitari. “Ma ci sono anche misure di più immediato impatto per le quali valuteremo un ulteriore scostamento di bilancio con risorse in deficit”, spiega Conte in conferenza stampa con la forza di chi si sente “più forte e fiducioso di concludere la legislatura”.

Dal 13 giugno, il governo si è confrontato (“nessuna passarella”) con oltre 120 interlocutori tra imprese, sindacati, associazioni e una delegazione di cittadini comuni rappresentanti di diversi settori. Un dialogo da cui sono emerse le tre direttrici che per Conte consentiranno di “riformare” il sistema-Italia: la modernizzazione del Paese, la transizione energetica e l’inclusività che passano per l’alta velocità, i pagamenti digitali, l’impulso alla rete unica per superare il divario digitale esploso con la didattica a distanza e lo smart working. Ma Conte parla anche di blockchain, investimenti in ricerca e scuola, taglio del cuneo fiscale disposto dall’ultima manovra e promette a 500 donne che aspirano a diventare manager un master Mba Executive dal valore di 35.000 euro.

Il premier torna anche sulla questione Aspi. Una “soluzione chiara arriverà a breve sulla revoca della concessione di Autostrade – dice Conte – Sul tavolo non c’è una proposta accettabile da Aspi, ci avviamo verso una soluzione obbligata”.

Ieri Conte ha ricevuto diversi personaggi del mondo della musica, del cinema, del teatro, della letteratura, dell’architettura, come Alessandro Baricco, Stefano Boeri, Massimiliano Fuksas, Stefano Massini, Elisa, Giuseppe Tornatore e Monica Guerritore. “Un settore, quello della cultura, vero punto di forza del Paese, di fondamentale importanza e a cui questo governo vuole dare la dovuta attenzione”, dice Conte. Un comparto che in queste settimane sta manifestando, perché tra i più colpiti dalla crisi, “ha ricevuto ancora troppo poco”, ha spiegato la cantante Elisa.

 

 

 

Ma mi faccia il piacere

Flavio Roberto Cotechinho. “Prendevo la Tachipirinha, ma niente: la febbre risaliva” (Flavio Briatore, Cartabianca, Rai3, 8.6). Mai provato con l’Aspirinha? E con l’Amuchinha?

La pulce con la tosse. “Mi candido in Puglia contro Emiliano. Il vero progressista sono io” (Ivan Scalfarotto, deputato Iv e sottosegretario agli Esteri, Repubblica, 21.6). Il Viminale ordina di transennare i seggi.

Slurp. “Matteo lo scrittore è meglio del Renzi politico” (Fausto Carioti, Libero, 2.6). Per dire com’è ridotto il Renzi politico.

Tele-strafatti. “I malumori del Pd su Rai3, ‘TeleFatto’… Che Rai3 sotto la direzione di Franco Di Mare sia diventata una rete con una linea editoriale che tende a rispecchiare la linea del Fatto…’” (Foglio, 10.6). Uahahahahahah.

Identità. “Con questo leader (Nicola Zingaretti, ndr) nessuna svolta. Stiamo perdendo la nostra identità” (Giorgio Gori, ex dirigente Mediaset, ora sindaco Pd di Bergamo, Repubblica, 21.6). Quella di TeleBerlusca o quella di “un virus non fermerà Bergamo, né oggi né in futuro… Basta allarmismi”?

L’esperto. “La Azzolina? Per gestire macchine complesse serve gente esperta” (Giuseppe Sala, sindaco Pd di Milano, Corriere della sera, 18.6). Tipo a retrodatare i verbali di appalto.

Il Cognatissimo. “I veri latitanti sono i politici scadenti di oggi” (Paolo Pillitteri, cognato di Craxi, ex sindaco Psi di Milano, condannato a 4 anni definitivi per corruzione, Libero, 15.6). Meglio i ladri di qualità.

Fake Espresso. “A Villa Pamphilj si sono scordati i disabili. Tre milioni di persone escluse dal ‘rilancio’” (Rocco Berardo, Associazione Luca Coscioni, l’Espresso, 19.6). “Stati generali dell’economia: Conte incontra i presidenti di Fish (Federazione Italiana Superamento Handicap) e Fand (Federazione Associazioni Nazionali Disabili)” (RaiNews.it, 20.6). Sarà l’ennesima fake news di Putin.

Nero-arancione. “Sto propugnando la costruzione di un ponte tra Mazara e Tunisi, perché la Sicilia sia collegata con l’Africa. Se vogliono andare in Africa, devono passare per la Sicilia, altrimenti non ci vanno. Se arriverebbero più migranti? Soltanto selezionati” (Antonio Pappalardo, ex generale dei Carabinieri, ex deputato Psdi, ex sottosegretario del governo Ciampi, ora leader dei Gilet Arancioni, Repubblica.it, 14.6). Ecco: entra solo chi riesce a non ridere quando lo vede.

L’indirizzo non ce l’ho. “Regeni, pressing del Pd su Conte e Di Maio riapre la partita della navi” (Repubblica, 17.6). “Su Regeni Conte si difende, il Pd attacca sulle armi” (Corriere, 19.6). Qualcuno li avverta che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è del Pd.

Il supertestimone. “L’ex 5Stelle Favia: ‘Diplomatici venezuelani mi cercarono nel 2010’” (Repubblica, 18.6). Avevano sbagliato numero.

La supertestimone. “M5S – Venezuela: spunta una modella” (Giornale, 19.6). Favia, è lei?

Le Apocalissi della settimana. “Conte regala aziende ai criminali” (Libero, 8.6). “Di Maio sogna la successione con un premier M5S” (Giornale, 8.6). “Conte ormai annaspa… Un’uscita di scena onorevole: farlo giudice costituzionale” (Augusto Minzolini, Giornale, 10.6). “Paul Mc Cartney le suona a Conte” (Libero, 11.6). “Gli Stati generali sono il Papeete del Contismo” (Francesco Merlo, Repubblica, 11.6). “I congiurati hanno scelto: Guerini sarà l’anti-Conte per salvare la legislatura” (Dubbio, 11.6). “Renzi-Di Maio, i faccia a faccia… per disarcionare Conte e formare un nuovo governo, magari anche a guida dem” (Corriere, 12.6). “Conte ha bisogno di un avvocato” (Verità, 12.6). “Conte? Potrebbe gestire una fiera del bestiame” (Rino Formica, Riformista, 13.6). “L’Italia ferma e il partito del premier” (Massimo Giannini, Stampa, 14.6). “Democrazia sospesa” (Giornale, 14.6). “Più morti di tumore per colpa del governo” (Libero, 15.6). “Ora i dem non lo reggono più” (Giornale, 15.6). “Questo governo è il peggiore dai tempi di Nerone” (Antonio Martino, FI, Verità, 15.6). ”Conte, Grillo e gli altri: bulli al potere” (Renato Farina, Libero, 16.6). “Il doppio scenario venezuelano” (Stefano Folli, Repubblica, 16.6). “Conte sogna il Quirinale e qualcosa si muove” (Foglio, 17.6). “Il governo rotola” (Libero, 17.6). “Conte è una maschera del cinema di Sordi. Ma invece del film c’è il trailer di Casalino” (Marcello Veneziani, Verità, 17.6). “Il giorno di Confindustria: ‘Serve un governo diverso’” (Messaggero, 17.6). “Il Parlamento umiliato” (Folli, Repubblica, 18.6). “La sopravvivenza del premier significa la morte dell’Italia” (Belpietro, Verità, 18.6). “Adesso Giuseppi è commissariato” (Giornale, 19.6). “Conte vuole il bonus vacanza” (Verità, 19.6). “Il premier e la tentazione delle elezioni in primavera” (Francesco Verderami, Corriere, 19.6). “L’Europa fa cucù a Giuseppi” (Verità, 20.6). “L’Europa stronca Conte” (Libero, 20.6). “L’Europa sbugiarda il Conte millantatore”, “Governo ancora salvo, ma non ha più i numeri” (Giornale, 20.6). “Vedi Chernobyl e pare Conte” (Libero, 20.6). Dalla fine del mondo è tutto, linea allo studio.

“Vizi? Mangiarmi le unghie. Meno stipendio significa meno tasse, utili a tutti”

Dietro al sorriso e alla rassicurazione si può celare la minaccia: “Sono un uomo tranquillo”. Quindi? “Non fumo, non ho vicende di sbronze, non sono permaloso, non mi incazzo, ho rallentato sul lavoro per stare con mio figlio e alla fine ho quello che ho sempre desiderato”. Carlo Conti sembra la sintesi del “vorrei e posso”, è il senso dell’equilibrio e della perseveranza, il sapore antico del nazionalpopolare, rassicurante e trasversale, di chi ha capito il segreto della giusta distanza tra sé e l’ambizione: “A un certo punto andavano di moda i toscani, e mi hanno chiesto di girare un film. Ho rifiutato. Non ero in grado”.

Venerdì, su Rai1, ha vinto la serata dell’Auditel con Top 10, una gara per scoprire la classifica di auto, moda, oggetti, film più seguiti in un dato anno. Nulla di sconvolgente o particolarmente inedito, ma anche la buona pasta con del buon pomodoro non ha tempo.

È un collettore tra generazioni.

Anche quando ho condotto I migliori anni, l’intento era quello di solleticare la memoria di chi aveva vissuto certi momenti e coinvolgere i ventenni; in una puntata ho ospitato Carl Douglas, l’autore di Kung Fu Fighting: arriva, canta, saluta; durante la pubblicità si avvicina un ragazzo: “A’ Carlè, hai sbagliato, non è del 1978, ma è la colonna sonora di Kung Fu Panda”.

Il divo non esiste quasi più…

È cambiato lo scenario, c’è il web che ha ribaltato i ruoli: mio figlio a quattro anni ha scoperto i Me contro Te, e non so neanche come.

E…

Il web è quello che per la nostra generazione hanno rappresentato le tv e le radio locali: erano una prateria libera, quella da conquistare.

Il suo anno di esordio…

Con la radio nel 1978 e quando le definiscono “emittenti private”, penso sempre che erano realmente private di tutto; quando ho iniziato avevo solo un piatto (giradischi), un mixer con appena tre canali e mandavamo pubblicità finte.

Bluffavate sugli spot?

Registravamo gli intermezzi di Radio Montecarlo, magari della Coca Cola, e li mettevamo per sentirci importanti; insomma, allora parlavo da solo, senza regista, e mentre intrattenevo, come un polipo con più tentacoli, cambiavo il disco e proseguivo con le mie ciarle.

Primo disco trasmesso.

Ricordo il primo acquistato: nel 1969, a 8 anni volli, fortissimamente volli, Venus degli Shocking Blue, scelto nel negozio dell’elettricista.

A 8 anni?

Probabilmente invogliato da Arbore e Boncompagni o dalla hit parade di Lelio Luttazzi.

Le sue Stelle Polari.

Andavo alle superiori con il transistor e gli auricolari pur di non perdermi Alto Gradimento; poi il pomeriggio tornavo a casa e, con la complicità di un amico, mettevamo in scena la nostra versione del programma: Basso Sgradimento.

Parodia.

Prendevamo per il culo i compagni e gli insegnanti, registravamo tutto su alcune cassette e il giorno dopo le consegnavamo agli interessati; in qualche modo è stata la mia prima trasmissione.

E poi?

Il pubblico scolastico non mi è più bastato e un pomeriggio ho suonato a una radio: “Avete bisogno di un disc-jockey?”. “Sì, ma non paghiamo”. “Va bene”. La mia fascia oraria era la domenica pomeriggio, e lì ho capito che a qualcosa dovevo rinunciare: niente amici e goliardia.

Con quanto si è diplomato?

(Cambia tono, quasi si giustifica) 60 su 60, ma fu un caso, aiutato da una gamba rotta.

Non si butti giù.

Stavo attento in classe, e ho una memoria molto visiva; non ero il classico secchione.

E una buona parlantina.

Ho imparato con il tempo (silenzio).

Adesso non si definisca “timido”.

Lo sono.

No, per favore.

Mai stato il compagnone che si mette in evidenza, pure da ragazzino restavo nel mio.

Ceccherini ha raccontato che lei, con Pieraccioni e Panariello, avete frustato un Renzi bambino.

(Ride a singhiozzo). È una battuta di Massimo; però Renzi, da ragazzo, guardava le nostre intemerate sulle tv locali, e non so se questo gli ha procurato più vantaggi o danni.

Trasmettevate dalla Bussola di Viareggio.

Siamo arrivati lì solo nel 1991 e dopo un lungo rodaggio in Toscana tra piazze, sagre e trasmissioni locali; la produzione era nostra e il Guidi (proprietario della Bussola) puntava sui biglietti per rientrare dei soldi. Noi, terrorizzati, temevamo il flop. Invece trovammo una fila assurda di persone, e noi inebetiti davanti a tanta grazia.

Sempre insieme a Pieraccioni e Panariello.

Leonardo lo avevo conosciuto anni in prima in un programma televisivo, una sorta di “giovani allo sbaraglio”. Io conducevo. Un pomeriggio si presenta un comico, lo mandiamo in onda, una disperazione; subito dopo tocca a Pieraccioni, tra lo scocciato e l’arreso gli do il via, e invece fu un lampo. Aveva solo 16 anni, e neanche la patente.

Subito amici.

Quando avevamo una serata lo andavo a prendere a casa e mi divertivo come un matto; e poi a fine anni Settanta-primi anni Ottanta, grazie a Benigni, Nuti e i Giancattivi, in Toscana era partito un bel fermento comico: tanti ragazzi volevano prendere la loro scia, compresi i miei amici.

Così…

Con Pieraccioni, Panariello e altri ho imparato il ruolo di spalla: esserci, ma un passo indietro; scrivevamo le battute fino a un secondo prima di salire sul palco, poi restavo dietro le quinte per coordinare tutto, dalla regia alla produzione.

E rassicurare gli artisti.

Fondamentale: con tutti quei polli nel pollaio, le crisi erano inevitabili.

Un’istantanea di voi tre agli inizi.

Più bruttini e disperatelli di oggi, ma invasi da entusiasmo e incoscienza. A noi bastava un palco, pure gratis, non importava, quindi sagre, feste de l’Unità, dell’Amicizia…

Quattro assi e tanta gioia.

In alcune serate ci siamo trovati di fronte a sette spettatori, ma magari la sera dopo erano settemila.

Sette è metaforico o reale?

È una fotografia oggettiva della situazione, ma è lì che misuri la tua crescita interiore, quando devi – a prescindere – rispettare chi hai di fronte.

Differenza tra Pieraccioni e Panariello.

Giorgio prima di salire su un palco ha bisogno di pace e concentrazione: si chiude nel camerino, in penombra, mette musica lounge e via così; con Leonardo ci possiamo sparare uno spaghettino pure cinque minuti prima di andare in scena.

Politica?

Il massimo del mio coinvolgimento è stato il ruolo di rappresentante d’istituto alle superiori e con una lista super democratica…

Chissà cosa ha votato nella vita…

Uno normale e tranquillo come me non può che essere moderato.

Uno normale e tranquillo per cosa si inalbera?

Per la maleducazione e la mancanza di rispetto per il lavoro degli altri. E la disonestà.

Un pugno?

Mai dato, se qualcuno mi rompeva le palle, cambiavo strada.

Uno spinello?

(Ride) No! Solo una volta ho provato una sigaretta, e con mia madre.

Cioè?

A tredici anni trova un pacchetto di Muratti. Mi guarda, mi chiama. “Hai fumato?”. “No”. “Va bene, allora accendine una davanti a me e dimmi cosa ne pensi”. Ubbidisco. Mentre sto per soffiare fuori il mio primo tiro, arriva la gelata. “Tuo padre è morto per cancro ai polmoni. Fumava”.

Chiuso il discorso.

Mai più interessato all’argomento.

Pieraccioni ha raccontato al Fatto: “Con Carlo sono stato cattivo, l’ho eliminato da I laureati”.

Ha fatto bene, non ero adatto. E ho ancora in mente il giorno in cui si è presentato da me e Giorgio e, tutto gasato, ci ha dato la novità: “Ora basta, abbiamo girato l’intera Toscana, adesso un film”.

Non si è offeso…

Per me era già chiaro un punto: non mi vedevo in quel percorso; se non sei un fuoriclasse come Fiorello o Panariello, bravissimi in tutto, non puoi perderti in mille progetti, meglio concentrarsi sul percorso più congeniale.

Pragmatico.

Non ho memoria, non ho il copione, vado a braccio e seguo solo la scaletta.

Pragmatico all’ennesima…

Forse perché parto da una situazione non facile, ho iniziato da meno due, non da zero, per questo ho capito quanto è importante non farsi dettare i tempi della vita dalle possibili esaltazioni, ma senza assumere atteggiamenti da poverello.

E torniamo alla morte di suo padre quando aveva appena 18 mesi.

Esatto, per questo mi reputo fortunato: tutto quello che ho ottenuto è arrivato grazie alle mie forze e ai valori trasmessi dalla mia mamma.

Primo sfizio tolto.

Nel 1990 ho acquistato un Rolex.

Prima fidanzata.

Alt, all’inizio non sono stato un granché: ho iniziato a 17 o 18 anni, e il mio esordio è risultato così veloce da non ricordarlo.

Poi si è rifatto.

Diciamo che ho recuperato, ma a 51 anni ho detto basta.

Nella serie tv Boris, Sermonti spiega: “I toscani, con quell’umorismo da quattro soldi, hanno devastato questo Paese”

(Ride) Dopo il successo de Il ciclone bastava essere toscani e ti chiedevano di girare un film.

Pure a lei?

Eccome, e più di un produttore, con tutte le rassicurazioni possibili: “Non ti preoccupare, ti aiutiamo noi”. Rifiutai.

Oggi è diventato un grande maestro.

Una delle soddisfazioni maggiori della mia carriera è arrivata con Maurizio Costanzo, quando mi ha invitato in trasmissione insieme a Paolo Bonolis e Gerry Scotti: ancora oggi guardo quella foto e non ci credo.

Perché?

La mia vita è passata velocissima e in parte mi sento ancora nei primi anni Novanta.

Ceccherini quanto ci fa e quanto ci è…

È un genio, e probabilmente è tale anche grazie a un forte contrasto interno; va lasciato libero di esprimersi.

Un personaggio della letteratura che l’affascina.

Premesso: non sono un grande lettore, ma da ragazzo ho amato I malavoglia, molto più de I promessi sposi.

E cinematografico?

Sicuramente Amici miei.

Tra Moretti e Monicelli?

Monicelli tutta la vita.

Un suo vizio.

In certi periodi dell’anno, magari d’inverno, mi mangio le unghie.

Mania?

(Silenzio, ci pensa).

Le lampade?

In realtà me ne concedo una a gennaio, ma solo se mi vedo pallido.

Insomma, mania.

Amo oziare e prendere il sole, sono cresciuto sugli scogli di Livorno.

Quanti anni si sente?

Più o meno trenta, ma quando prendo in braccio mio figlio, a volte resto piegato e capisco la realtà; aggiungo la presenza di un po’ di pancetta e di tette calanti; (cambia tono) nel 2021 ne compio sessanta.

Proposte indecenti?

Mai, giusto qualche approccio per cambiare rete, ma non sono mai stato corteggiatissimo.

Low profile sempre.

In Rai sto bene.

C’è la questione stipendi.

Negli ultimi quattro anni è già stato ridotto due volte, quindi non c’è problema: mi dispiace solo perché così pagherò meno tasse, quelle tasse che servono a infermieri, medici, forse dell’ordine, maestri e altri.

Bonolis ha dichiarato di voler smettere tra poco.

Non lo so, dipende dalle energie, dalle idee e dal pubblico, però ho già rallentato, soprattutto dopo la nascita di mio figlio e la morte di un amico.

Si riferisce a Frizzi.

Ero già sulla strada della sottrazione, ma quanto è accaduto a lui ha accelerato la decisione di cambiare.

Lei chi è?

Un uomo normale con la fortuna di desiderare quello che ha.

Guerra di carta, dopo 42 anni il Daily Mail supera il Sun

Sorpasso storico: a maggio il tabloid britannico Daily Mail ha superato il rivale The Sun per vendite mensili. È la prima volta in 42 anni di guerra editoriale. Malgrado il calo del 17% sullo scorso anno i numeri restano, nel confronto con l’Italia, da fantascienza: in pieno lockdown il Mail ha veleggiato sulle 980 mila copie al giorno, mentre sulle vendite del Sun non si hanno certezze, visto che lo scorso mese, forse presentendo la sconfitta, il quotidiano controllato da Rupert Murdoch ha smesso di diffondere i dati. Ma è anche vero che un paragone non si può fare, perché il successo dei tabloid, quotidiani popolari e sensazionalisti concentrati su cronaca, celebrities e storie spesso gonfiate, è esclusivo della cultura inglese. Come la loro influenza sul dibattito pubblico e, di conseguenza, sulla politica. Daily Mail e Sun sono stati determinanti nella crescita del sentimento anti-immigrati e anti-europeista che ha portato al successo del Leave nel referendum su Brexit. Successo ottenuto anche con copertine di pura propaganda, come quella, famosa, durante la campagna referendaria in cui il Daily Mail annunciava l’imminente invasione di immigrati turchi. Nel 2108, con le dimissioni del controverso e potentissimo direttore Paul Dacre dopo 26 anni di regno, il neo direttore Geordie Greig ha inaugurato una linea editoriale meno aggressiva, che i lettori sembrano aver premiato. Greig si è rallegrato del sorpasso con immancabile retorica: “È un momento storico per noi… il riconoscimento dell’instancabile impegno dei giornalisti del Mail, che continuano a definire l’agenda con professionalità, coraggio e determinazione”.

Sarà, ma ieri in prima pagina c’era un pezzo sui 10 milioni di sterline di fondi raccolti dal quotidiano per l’NHS – il servizio sanitario pubblico – un tablet in offerta per i nuovi abbonati e uno strillone con la chance di trovare un voucher da 1.000 sterline dentro la copia. Intanto, sul fronte della pandemia, il conto delle vittime è di 42.589: 128 i morti nella giornata di ieri. Il Times ricorda che il primo ministro Boris Johnson annuncerà la prossima settimana alcune novità: verrà revocata la regola dei due metri di distanza a partire dal 4 luglio e potranno riaprire pub, ristoranti e il settore dell’ospitalità nel tentativo di riavviare l’economia.

Trump, batoste dai giudici ma a Tulsa l’eroe è sempre lui

Nel giorno in cui incassa due sconfitte dalla magistratura, il presidente Trump ritrova a Tulsa il suo popolo, quello che tifa ancora per lui e inneggia al motto “Make America Great Again”. Migliaia di sostenitori che in alcuni casi hanno dormito dinanzi al luogo del meeting per poter entrare, visto che la capienza è solo per 19 mila persone. Questa per Trump è la parte che lo galvanizza. C’è poi l’altro fronte: il tycoon vuole cacciare il procuratore di Manhattan, Geoffrey Berman e sostituirlo con un uomo di sua fiducia, ma senza alcuna esperienza. Così circola la notizia che lo stesso Berman si è dimesso.

Lui smentisce: “Lascerò quando una persona nominata dal presidente sarà stata confermata al Senato. Fino ad allora, le indagini proseguiranno senza interruzioni”. E ieri era nel suo ufficio. Con la decisione su Berman, presa dal segretario alla Giustizia William Barr, Trump, come se non bastassero polemiche e critiche sul coronavirus, la recessione e le proteste razziali, apre un altro fronte e alimenta i sospetti sui tentativi d’ingerenza nella gestione della giustizia, già ravvivati dalle anticipazioni sulle memorie di John Bolton. Il libro dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale dovrebbe uscire martedì prossimo, come previsto, poiché ieri un giudice del distretto di Washington ha respinto la richiesta di bloccarlo, come voleva l’Amministrazione federale, sulla base del fatto che il volume conterrebbe informazioni riservate. La sentenza è una sconfitta per Trump e una vittoria per Bolton, in una causa dove erano in gioco libertà d’espressione e sicurezza nazionale. Tornando a Berman, la sua volontà di portare avanti le indagini allarma Trump, che intende rimpiazzarlo con Jay Clayton, presidente della Securities and Exchange Commission (Sec). In attesa della conferma di Clayton da parte del Senato, il posto di Berman dovrebbe essere assunto ad interim dal 3 luglio da Craig Carpenito, attualmente in servizio presso il distretto del New Jersey. Sono proprio le inchieste del procuratore che preoccupano la Casa Bianca: Berman ha incriminato Michael Cohen, l’ex avvocato personale del presidente, e ne ha ottenuto la condanna: Cohen fungeva da paraninfo del magnate: ne pagava in nero le amanti, comprandone più che le prestazioni, il silenzio; e sta ora indagando sull’attuale avvocato personale di The Donald, Rudolph Giuliani, l’ex “sceriffo” e sindaco di New York, per le sue collusioni con due personaggi ucraini utilizzati nel Kievgate.

Berman ha inoltre gestito altri casi di personaggi vicini a Trump: quello di Natalia Veselnitskaya, l’avvocata russa ricevuta alla Trump Tower nel Russiagate, incriminata per ostruzione alla giustizia in altra vicenda; e quello di Michael Avenatti, l’avvocato della pornostar Stormy Daniels, accusato di estorsione contro la Nike. Altre inchieste scottanti del procuratore “licenziato” sono state quelle contro il defunto finanziere Jeffrey Epstein, incriminato per traffico sessuale di minorenni, e la banca statale turca Halkbank, finita sul banco degli imputati per aver aggirato le sanzioni Usa all’Iran. La rimozione di Berman provoca una levata di scudi dei democratici: “L’America deve aspettarsi il peggio da Barr, che ha ripetutamente interferito nelle indagini criminali per conto di Trump”, twitta Jerry Nadler, presidente della commissione Giustizia della Camera, annunciando che chiamerà Berman a testimoniare mercoledì. Ma gli stessi democratici hanno poco da stare allegri, quella vista ieri a Tulsa è l’armata del tycoon che mette i brividi anche al regista Michael Moore, nemico giurato dei repubblicani: “Hanno iniziato a fare la fila già da martedì a Tulsa per il comizio di Trump. Sono attese 100.000 persone! Trump non ha perso nulla della sua base e sono più famelici che mai. Dormi sul marciapiede per cinque notti solo per entrare per vedere Trump? Quella è devozione. Guai a dare per scontato Trump, guai a pensare che non possa vincere. Non pensiate che non possa vincere”. Il regista si rivolge poi ai democratici: “Non siate presuntuosi dicendo che non può conquistare la Casa Bianca perché, francamente, sembrate molto simili a voi stessi 4 anni fa, quando dicevate a tutti che questo paese non avrebbe messo un clown nello Studio Ovale”.

La satira, lo sfottò fascistoide e il senso delle lasagne

Se sei un nero, guardi all’America in un modo un po’ diverso. Guardi all’America come a uno zio che ti ha pagato il college, ma ti ha molestato. – Chris RockLe proteste anti-razziste che stanno animando le piazze del mondo dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis hanno smosso le coscienze, e imposto una maggior consapevolezza dei dispositivi sociali che creano e promuovono disuguaglianze. Fra le conseguenze, la rimozione dalle piattaforme BBC e Netflix della serie comica “Little Britain” (2003-2006), nei cui sketch venivano perculate minoranze etniche (addirittura con scenette in blackface), persone disabili, e travestiti, perché “i tempi sono cambiati”. I due autori/interpreti della serie, David Walliams e Matt Lucas, si sono detti dispiaciuti (“Era sbagliato”). Lucas ha aggiunto: “Oggi non farei quello show. Urterebbe il pubblico. Facevamo un tipo di comicità più crudele di quella che facciamo oggi”. Era davvero solo comicità crudele? Erano davvero solo altri tempi? Nell’Inghilterra d’inizio millennio, quella serie sfogava sulle minoranze la rabbia del ceto medio per l’arretramento sociale causato da anni di liberismo thatcheriano, e infatti ebbe successo; ma già allora c’era chi trovava repellente il suo razzismo (“considerare l’altro inferiore a te perché è diverso da te”). Parlare solo di “cattivo gusto”, come si fa spesso in questi casi, è però inadeguato alla bisogna, perché de gustibus non est disputandum, quindi c’è chi ne approfitta per sdoganare le proprie pratiche disumane, lucrandoci su da impunito. Uno strumento utile per giudicare la prassi divertente è il gradiente A) satira > B) cinismo > C) fare il cazzaro > D) fare lo stronzo > E) sfottò fascistoide. Un comico può scivolare dalla satira (colpire il carnefice) in direzione dello sfottò fascistoide (colpire le vittime vere di un carnefice vero), attraverso uno dei tre momenti psicologici che li separano: cinismo (mostro insensibilità al dolore altrui), fare il cazzaro (banalizzo il dolore altrui), fare lo stronzo (scherzo sul dolore altrui). Nel 2016, l’autore di una famigerata vignetta pubblicata da Charlie Hebdo (Fig. 1) sghignazzò da cinico e/o cazzaro e/o stronzo (decidete voi), sul terremoto che devastò L’Aquila e i paesi vicini, con centinaia di morti. Chi s’indignò per quella vignettaccia aveva tutte le ragioni; ma non bisognava invocare la censura, come fecero alcuni: libero lui di fare la testa di cazzo, liberi noi di dargli della testa di cazzo. La satira è un giudizio innanzitutto su chi la fa. Questo mio commento suscitò reazioni, obiezioni e domande che rivelavano una certa confusione pubblica sulla satira e sui suoi fondamentali. Esaminiamole una per una.

“La satira non è giudicabile”. Sbagliato. La satira è un punto di vista. In quanto tale, è opinabile. Lo è inevitabilmente. La satira nasce con Aristofane come giudizio sui fatti, assumendo nelle sue commedie la forma di un processo o di una gara o di una decisione: l’esito della vicenda esprimeva il giudizio negativo di Aristofane su questo o quel personaggio. Ogni atto satirico è l’esito di una decisione/giudizio dell’autore, e rivela la sua cultura e la sua ideologia. Per lo stesso motivo, possiamo condividere il giudizio negativo di Aristofane sul demagogo Cleone, e non condividere quello su Socrate: è un giudizio sul contenuto satirico, e dipende dalla nostra cultura e dalla nostra ideologia.

“La satira può essere giudicata solamente dalle intenzioni dell’autore”. Sbagliato. Il risultato non sempre corrisponde alle intenzioni. Soprattutto, non puoi attribuire all’autore un’intenzione che non ha espresso. Questo è un errore di ragionamento piuttosto comune, ma in Italia non si insegna a riconoscerlo, a differenza di quanto accade nel mondo anglosassone, dove venne individuato negli anni ’30: si chiama fallacia intenzionale ed è, come altre cose non più accettabili, un retaggio del Romanticismo.

“Il vignettista francese non ce l’aveva certo con le vittime”. Altra fallacia intenzionale. Come un risultato artistico può non corrispondere alle intenzioni dell’artista, così un satirico può scivolare dalla satira verso lo sfottò fascistoide, facendo il cinico, il cazzaro, lo stronzo.

“La vignetta denunciava il malaffare italiano”. Altra fallacia intenzionale. Non si può attribuire alla vignetta un bersaglio che nella vignetta non c’è. E quelli di Charlie Hebdo sapevano che si trattava di una vignetta immonda, infatti l’hanno pubblicata nella pagina delle “vignette impubblicabili”: una vecchia furbata, che però non bastò a frenare la giusta indignazione. La toppa peggiore del buco fu la vignetta riparatoria (Fig. 2) che tirava in ballo la mafia. Riferimento che non c’è nella prima vignetta. Charlie Hebdo sbagliò. Succede.

“Tu mi hai insegnato l’irriverenza. La satira deforma, informa e fa quel cazzo che le pare. L’hai detto tu”. Hai imparato l’irriverenza, ma non il corollario, l’assumersi la responsabilità dei propri atti satirici. La satira fa quel cazzo che le pare e non può essere censurata, ma questo non significa che sia infallibile, o immune da critiche. Può diffamare o fare apologia di reato, per esempio, e allora interviene la legge. Oppure può diventare un’altra cosa e farsi beffa di vittime, e allora interviene la riprovazione sociale. In quella vignettaccia c’è solo sghignazzo. Atroce perché fatto sui morti. Se ti piace questo genere di cose, questo dice molto di te. La vignettaccia contiene un errore tecnico e una perversione ideologica. Mauro Biani, sul manifesto, riassunse l’errore tecnico con questa battuta: “C’è un francese, un italiano e un tedesco. Viene il terremoto. L’italiano pasta, il francese senza bidet, il tedesco freddo.” Pascalino Miele, invece, evidenziò la perversione ideologica con un esempio di possibile vignettaccia sulle stragi in Francia: una foto dei cadaveri al Bataclan con la didascalia “Fois gras”. (In questo caso sarebbe sfottò fascistoide, perché si schiera implicitamente con i terroristi carnefici.) Fu ben diversa la vignetta che Charlie Hebdo pubblicò dopo quella strage (Fig. 3): lo sfottò grottesco (di quelli che suscitano la “risata verde”, ne parleremo) era contro i terroristi, non contro le vittime. Questa vignetta abbraccia le vittime in un Noi che invece manca nella vignettaccia sulle lasagne: chi parlò a quel proposito di razzismo non aveva torto.

(9. Continua)

Uranio impoverito. I sindacati contro le “omissioni”

Un esposto alla Procura del generale dell’Esercito Roberto Vannacci, e rivelata da Sono le venti il programma di Peter Gomez sulla Nove, sulle “gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute e della sicurezza del contingente militare italiano” in Iraq e sulle reticenze dei vertici militari riguardo i rischi per la salute dei militari in missione, ha provocato le reazioni di alcuni dei nuovi sindacati dei militari. Il Siam, sindacato Aeronautica militare, scrive in un comunicato che quelle del generale sono “dichiarazioni gravissime” che accusano apertamente “anche l’ex comandante del Coi, ora capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Cavo Dragone di aver mentito durante un’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito”. È la prima volta che un ufficiale così alto in grado (Vannacci è stato recentemente promosso generale di divisione ed è in servizio all’ambasciata italiana a Mosca) si spinge a denunciare i rischi per i militari causati anche delle omissioni e dalle sottovalutazioni dei vertici. “Fatti come questi sono la prova che non si può affidare la tutela del personale all’iniziativa e alla autonoma sensibilità dei comandanti, perché tra gli interessi dell’Amministrazione e gli interessi del personale, non ultima la salute, questi opteranno sempre per la prima a discapito dei secondi” insiste il comunicato sindacale. Protesta anche un altro sindacato, quello dell’Esercito Lrm, “dal Ministero della Difesa auspichiamo chiarezza e giustizia nei riguardi delle vittime del dovere e punizioni esemplari verso i responsabili”.

Enzo Baldoni, a 16 anni dalla morte le ceneri tornano al Monumentale nella sua Milano

Martedì prossimo Enzo Baldoni tornerà nella sua città, la Milano che amava. Pubblicitario, pacifista, giornalista free lance, nell’agosto 2004 era in Iraq per raccontare sul settimanale Diario la guerra in corso dopo l’abbattimento del regime di Saddam. Fu sequestrato e ucciso dai ribelli islamici che combattevano l’occupazione americana. Il suo corpo restò disperso fino al 2010, quando i suoi resti furono riportati in Italia e sepolti in Umbria, dove vivevano il padre e i fratelli.

Ora la moglie Giusi Bonsignore e i figli Gabriella e Guido lo riportano a Milano, al cimitero Monumentale. In attesa che il sindaco Giuseppe Sala decida di collocarlo al Famedio, come chiede la famiglia, e di dedicargli una via, come si era impegnato a fare il suo predecessore Giuliano Pisapia.

Enzo fu rapito mentre stava tornando a Baghdad alla testa di un convoglio della Croce rossa che aveva contribuito a organizzare per portare aiuti alla città assediata di Najaf. Fu il primo di una lunga serie di rapiti su cui si esercitò la disumana ironia di giornalisti come Vittorio Feltri, che sotto titoli come “Vacanze intelligenti” e “Il pacifista col kalashnikov” lo descrisse come “un pirlacchione” alla ricerca di emozioni forti. Maurizio Scelli, allora commissario della Croce rossa, riuscì a dire che Enzo, che viaggiava sotto quella che fino allora era ritenuta la più sicura delle bandiere, quella della Croce rossa, “era in giro alla ricerca di scoop”.

Dopo la sua morte, il 26 agosto, la denigrazione orchestrata dai servizi segreti, inquinati dalla cricca di Pio Pompa, si trasformò in intossicazione informativa: i giornali, sotto dettatura, scrissero di un video (inesistente) in cui Baldoni si ribellava ai suoi rapitori, finendo ucciso, proprio mentre gli uomini del Sismi “si dannavano per salvarlo”. “Un’autorevole fonte dei servizi segreti” racconta all’Ansa che la liberazione di Enzo sembrava cosa fatta, ma poi “tutto è precipitato per un fatto imprevedibile avvenuto in loco”. Chissà quale. Renato Farina, nome in codice “Betulla”, è più fantasioso, riesce a descrivere il video che non ha visto e che non c’è: “Verso le 18 di giovedì, alla scadenza dell’ultimatum, Enzo viene bendato… Baldoni si strappa la benda, getta la kefiah palestinese che gli avevano messo indosso. E si batte… Mentre Enzo si contorce e grida, gli sparano alla schiena, alla testa”.

Poi l’efficienza di Scelli, che si era affidato mani e piedi a un ex ufficiale di Saddam, Abu Karrar, si dimostrò nella ricerca del corpo: i resti furono consegnati alla famiglia soltanto sei anni dopo, dal Ros. Ora Enzo torna finalmente a Milano.

“La ricotta è pronta”, ma Messina Denaro ancora non c’è. Il blitz in casa della madre

“La ricotta è pronta?”. La mano che si protraeva per afferrare il formaggio costò a Bernardo Provenzano la cattura nel 2006. L’annuncio “caseario”, pronunciato per chiedere se ci fossero ordini di Messina Denaro, finisce nell’inchiesta Ermes 3. E fa effetto ritrovare nel 2020 le tre parole, Matteo-Messina-Denaro, nell’elenco fra indagati e arrestati: boss che portavano gli ordini del capo, latitante dal 1993, con pizzini, come per Provenzano. Foglietti distribuiti tra le trazzere delle campagne di Mazara del Vallo e Salemi. L’indagine è del pm di Palermo Paolo Guido, titolare della “caccia” al padrino. E la Mobile di Trapani ha bussato a Castelvetrano per perquisire la casa di don Ciccio, “ uomo d’onore” padre di Matteo, morto nel 1998. Nella modesta abitazione rimasta alla madre Lorenza Santangelo, 84 anni, e alla sorella Rosalia domina il salotto un ritratto pop di Matteo, con corona in testa e fuoco negli occhi. Il re non c’è ma da qui in via Alberto Mario qualcosa passa sempre e le ombre del fantasma di Matteo Messina Denaro non si dileguano.

La Regione Lazio e il maxi-impianto contro Tuscania

La Regione Lazio sembra avere un conto aperto da regolare con la splendida Tuscania (Viterbo) dalle belle chiese e mura e col suo non meno affascinante antico territorio collinare. Prima ha voluto offuscarla con un parco eolico che avrebbe potuto sistemare in modo confacente nell’area industriale della ormai ex centrale nucleare di Montalto di Castro. Ora ha autorizzato a Pian di Vico un maxi-impianto fotovoltaico di quasi 250 ettari che – come ogni ambientalista, agricoltore o semplicemente persona sensata sa – non va insediato “a terra”, sovrapposto a zone già coltivate e vicino a un altro analogo in località Campomorto e Canino (dall’olio d’oliva di gran pregio). Rifiutando per di più di sottoporlo a valutazione di impatto ambientale.
La Regione deve infatti farsi largo senza tanti impacci poiché ha un piano generale che prevede altri 24 progetti di centrali fotovoltaiche a terra per un totale di 2.100 ettari di campagna a coltura o a bosco. Senza che “venga eliminata”, si legge in una nota del Gruppo di Intervento Giuridico, “nemmeno una centrale alimentata da fonti fossili”. E sì che nel 2019 la Provincia di Viterbo registra già un alto consumo di suolo: 1,91 mq per abitante, quattro volte la media laziale di 0,47 mq e oltre il doppio della pur elevata media nazionale di 0,80 mq.
Tutto ciò senza considerare i pareri negativi della Soprintendenza unica, fondamentali in un’area che ricomprende autentici tesori quali quelli delle città e necropoli etrusche di Tarquinia, Vulci, Volsini e Caere. In parte ancora da scavare. A questo punto, l’11 giugno, il governo Conte, fatto senza precedenti, ha deciso di opporsi alla raffica di scempi della Regione Lazio. Ma cosa hanno da guadagnarci, culturalmente e politicamente, quest’ultima, Zingaretti e il Pd? Mistero.