Gli assembramenti di Salvini sono “gare podistiche”

Smaratoneta che tenta la volata in Sicilia. Letteralmente. Sarà stato questo a fare confondere il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, che in un’ordinanza pubblicata nell’albo pretorio ha scambiato un comizio del leader della Lega con una gara podistica mai svolta. Ai nastri di partenza, munito di microfono ma senza pantaloncini e scarpette, Salvini si è presentato lo scorso 12 giugno scorso in occasione di una delle ultime tappe del suo ennesimo tour siciliano. Soltanto due giorni prima era stata pubblicata l’ordinanza firmata dalla comandante della polizia municipale in cui venivano istituiti divieti di sosta e rimozione delle automobili in alcune vie per motivi di ordine e sicurezza, così da “consentire lo svolgimento della gara”. Nessun rimando a Salvini e al suo comizio in piazza Stazione, la stessa che compare nell’elenco delle strade interdette.

“Non c’era nessuna gara in programma – spiega al Fatto Quotidiano Nunzio Scolaro, presidente della federazione di atletica a Messina – Con la pandemia tutte le competizioni sono state annullate per il rischio contagio”. Del pomeriggio del leader del Carroccio in provincia di Messina resterà impressa l’immagine di un maxi assembramento in cui si sono mischiati sostenitori e molti contestatori. Gli stessi che il senatore ha però etichettato come “dieci sfigati”, salvo poi prendersela con un gruppo di migranti, ospiti dello sprar, che ascoltavano il comizio. “Prendetevi a carico vostro quei signori che sono sul balcone – ha inveito Salvini – La Sicilia ha bisogno di turisti che pagano e non di turisti che sono pagati per non fare nulla dalla mattina alla sera”.

I motivi della scelta di nascondere il comizio dietro una competizione di corsa non sono chiari. Il cellulare del sindaco di centrodestra Roberto Materia squilla a vuoto. Contattato via Whatsapp, taglia corto: “Facciamo un’altra volta”. Altro giro, altra corsa.

Anche noi covid teniamo alla pelle

C. “Come zono piccolino, come zono piccolino”.

I. “Sento un brusìo fastidioso all’orecchio. Non capisco cos’è. Non vorrei fosse la pressione alta che mi fa dei brutti scherzi”.

C. “Macché pressione alta, quella è una bagatella. Sono io”.

I. “Io chi?”.

C. “Il Covid 19”.

I. “Il Covid? E dove sei?”.

C. “Prova a immaginare”.

I. “Non lo so…”.

C. “Nel tuo corpo, ovviamente”.

I. “Ma io non ho nessuno dei sintomi Covid”.

C. “Non li hai ancora i sintomi Covid. Eppoi non è nemmeno vero. Hai presente quella tossettina secca secca che ti viene la mattina quando ti alzi? Ebbene sono io”.

I. “Ma il medico dice che non è nulla”.

C. “Lascia stare. Quelli non ci capiscono nulla di noi Covid. Ti sei già dimenticato delle figuracce dei vari virologi, epidemiologi, infettivologi?”.

I. “Ma la mia temperatura è sicuramente sotto i 37 e 5. Dopo il lockdown sono andato in un paio di ristoranti e le misurazioni hanno dato esito negativo”.

C. “Anche su questo metodo di misurare la temperatura, a distanza, avrei parecchio da ridire. Sai, noi a furia di frequentare medici finiamo per saperla lunga. Era meglio quando vi ficcavate il termometro nel culo, anche più piacevole, cari criptofinocchi. Ah la tecnologia… Comunque sì, al momento la tua temperatura è normale, anzi un po’ bassina, diciamo sui 35. Se non incombessero accidenti ben peggiori sarebbe da preoccuparsi, ma non è il caso. ‘Oh, oh come zono piccolino, come zono piccolino’”.

I. “Piantala con questa salmodia, comincia a darmi sui nervi. Dimmi che intenzioni hai?”.

C. “Per un po’ resto qui al calduccio, nei bronchi. In posizione d’attesa. Devo verificare questa storia del plasma che fermerebbe la malattia, come voi la chiamate, cioè ci ucciderebbe. E anche noi Covid ci teniamo alla pelle. Ma credo che questa del plasma sia una bufala. Appena lo accerto scendo nei tuoi polmoni e ti faccio secco”.

I. “Ma se mi uccidi uccidi anche te stesso”.

C. “Grullo. Io ti infetto in modo irrimediabile, ma prima che i miei segni siano evidenti mi trasferisco su qualcuno che ti è vicino e qui faccio l’asintomatico. L’epidemia è questa, non lo avete ancora capito?”.

I. “Perché scegliete soprattutto gli anziani?”.

C. “Noi non scegliamo. Siamo imparziali. Siamo naturali. Non siamo né morali né immorali. Siamo amorali. Non aggrediamo gli anziani più dei giovani, solo che gli anziani sono soggetti più deboli, tutto qua. Certo che se li ficcate tutti insieme in qualche RSA, per noi è uno spasso, saltiamo da uno all’altro con grande facilità. Però, come in tutte le cose, è una questione di tempi. Quando ne sono rimasti in piedi due o tre balziamo su un parente e così ci troviamo finalmente all’aria aperta, liberi. Anche noi non amiamo il lockdown. Però un’eccezione alla nostra imparzialità la facciamo: per i bimbi. Noi non siamo umani. Voi all’inizio della Rivoluzione industriale avete mandato a lavorare in fabbrica dei bambini di sei anni, una vergogna. Leggi Marx ed Engels”.

I. “Sembri piuttosto informato, Covid. Come fai?”.

C. “Leggo i giornali e anche qualche libro”.

I. “Leggi i giornali!”.

C. “Sì, io scorrazzo liberamente per il corpo, ecco anche perché è difficile individuare i sintomi, sono troppi. Hai mai sentito un po’ di male agli occhi, una leggera congiuntivite? Sono io. Nel periodo del lockdown, quando stavi sempre a casa e leggevi non avendo altro da fare, ho avuto il tempo di farmi una cultura”.

I. “A me la cultura non è mai servita a nulla, solo a soffrire. Senti Covid, toglimi una curiosità. Ogni Covid agisce individualmente o siete una colonia come la Turritopsis, sai quella simpatica medusetta? La conosci?”.

C. “Benissimo. Siamo amici, se non altro per le dimensioni. Anche se io sono un milionesimo di una Turritopsis, si fa fatica a vedermi al microscopio. ‘Oh, oh come zono piccolino’”.

I. “Non hai risposto alla domanda”.

C. “Noi Covid agiamo individualmente, ma siamo diretti da una centrale”.

I. “Ah, interessante. E dove sarebbe questa Centrale?”.

C. “Come sei curioso. Facciamo un giochino. Ti do tre possibilità di indovinare”.

I. “In Cina?”.

C. “Vuoi scherzare? Quelli in un mese ci hanno distrutto”.

I. “In Russia, allora”.

C. “Non siamo mica matti. Putin sarebbe capace di sterminare milioni di asintomatici pur di poter dire che nel suo Paese l’epidemia non c’è”.

I. “Negli Stati Uniti?”.

C. “Gli americani sono meravigliosi. Dei veri fenomeni nell’autodistruggersi. Quelli dell’Isis proprio non li capisco, che bisogno c’era di buttar giù le Torri Gemelle? Trump poi è veramente delizioso, ci ha permesso una marcia trionfale simile al loro far west. Comunque no, non sono nemmeno loro. Game over. Hai perso”.

I. “Dai Covid, ti prego. Se mi dici dov’è questa Centrale, io vendo l’informazione all’Oms per qualche milione di dollari e poi facciamo a metà”.

C. “Ah, ah. Il solito italiano tangentocrate. Nemmeno a un passo dalla morte rinunciate a rubare. Pensa piuttosto alla tua anima. Noi Covid non siamo idolatri del denaro. Ci nutriamo di carne umana, non di aria fritta. Voi lo adorate e così vi siete messi nel sacco da soli. Siete nel pieno potere delle Banche, della Borsa, della Finanza, della globalizzazione. Tranne qualche rara eccezione siete solo degli ‘schiavi salariati’. Leggi un libro di un autore misconosciuto, nemmeno io ne ricordo il nome, il cui titolo però è eloquente: Denaro. ‘Sterco del Demonio’”.

I. “L’autore sono io”.

C. “Mi spiace. Evidentemente non sei mai ‘decollato’”.

I. (Con tono amaro) “Lo dicono. Senti Covid, prima accennavi allo ‘spirito’. C’è una domanda che mi tormenta da sempre: esiste Dio?”.

C. “Noi Covid esistiamo da milioni di anni, da molto prima che comparisse sulla faccia della Terra l’uomo, l’animale più stupido, e insieme più tragico, del Creato. Ma del Metafisico non sappiamo nulla. Esattamente come voi. Sappiamo solo qual è la nostra funzione: sfoltire”.

I. “Sfoltire?”.

C. “Siete troppi. Non per il numero in sé, in fondo sette miliardi non sono poi gran cosa se consideri la vastità del globo. È che siete ingombranti. Su ognuno di voi grava un alone enorme, in orizzontale ci sono protesi tecnologiche ed economiche: produzione e consumo, Co2, eccetera. Intendi sicuramente ciò che voglio dire. Sì, siete diventati troppo ingombranti. Farete la fine dei dinosauri. In fondo noi Covid siamo il preannuncio, per la verità al momento molto modesto, dell’estinzione della specie umana”.

I. “Torniamo a noi, Covid. Io ho 76 anni. So di essere nella fascia ‘a rischio’, espressione orribile. Però ho una struttura forte, tutti gli esami lo confermano”.

C. “Ah, ah, ah. Le risonanze magnetiche, le Tac, le ecografie. Io ci vedo molto meglio di una radiografia, sia pur nucleare. Perché sono più vicino. E vedo un tumorino qua, un cancrino là (non ai polmoni che attualmente sono di mia esclusiva competenza), metastasi ovunque”.

I. “Covid, ti prego, lasciami almeno ancora un po’ di tempo. Ai primi di luglio ho uno spettacolo a Elsinore”.

C. “Annullato”.

I. “E ho anche una conferenza fissata da molto tempo, un impegno cui non posso mancare”.

C. “Salta. Per decesso del conferenziere”.

I. “Covid…”.

C. “Oh, oh come zono piccolino. Come zono piccolino”.

I. “Coviiiid!”.

Spam.

 

Napoletani sciagurati parola di giulietta

Sono i soliti napoletani. Non potendosela prendere con i meridionali per aver diffuso il virus (merito – come tutti sanno – dei milanesi) tutti se la prendono con loro perché festeggiano la vittoria. Io ricordo le strade di Napoli tutte dipinte di azzurro quando vinsero lo scudetto. I napoletani sono fatti così, esagerano. Scendono nelle strade, si abbracciano, si baciano, si stringono.

Le mascherine? Stiamo scherzando? Bastano le sciarpe azzurre a salvare i napoletani dai bacilli. Il Covid? Abbiamo la Coppa. Chi vince è immune. E gli altri rosicano.

I grandi giornali pubblicano foto e commenti scandalizzati. Ma come, dopo tutti i sacrifici? Ricordate Atalanta-Valencia quanti positivi causò? Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms, ad “Agorà”, Rai Tre, si lascia andare ad un commento rasserenante: “Napoletani sciagurati”.

Reagiscono forte le istituzioni. Vincenzo De Luca, presidente o governatore della Campania, il quale, sembra ieri, minacciò l’uso del lanciafiamme, stavolta è pompiere, non incendiario. E tace. D’altra parte avete visto la foto di tutti i napoletani in campo che si fanno fotografare in un gruppone che definire assembramento è poca cosa? De Magistris, il sindaco, non si tira indietro. “Solo chi non conosce Napoli poteva pensare che i tifosi avrebbero esultato fra le quattro mura”.

Ma un vero giornalista a schiena dritta come me deve sapere approfondire. Quell’urlo di Ranieri Guerra, “napoletani sciagurati”, non può rimanere impunito. Perché, si chiede l’italiano medio? Ho indagato. Ecco la spiegazione. Ranieri Guerra è di Verona. Ricordate “Giulietta è ‘na zoccola”? Vostro onore, non ho niente da aggiungere.

In Siberia 38 gradi, ma è il Mediterraneo l’hotspot più grave

In Italia – Puntuale per il Solstizio (avvenuto ieri sera alle 23,44) ecco finalmente il tempo estivo ma senza eccessi di caldo, dopo che l’ultima settimana è stata ancora piovosa e temporalesca al Centro-Nord. Assai colpito il Piemonte: lunedì 15 giugno in serata nubifragio di insolita violenza a Nord di Torino, 81 mm di pioggia e grandine a Venaria, di nuovo allagati gli edifici di San Mauro Torinese già evacuati l’8 giugno. Martedì sera 10 cm di grandine sulle strade di Suno (Novara), mercoledì pomeriggio allagamenti a Torino-Sud (in città per ora sono caduti 215 mm in giugno, il doppio del normale) e giovedì sera grandine come uova ha distrutto i frutteti del Saluzzese (Cuneo). Intensi rovesci con allagamenti anche nel Senese martedì, in Lucchesia mercoledì e nell’Udinese giovedì. Il Cnr-Isac comunica che maggio 2020 è stato “solo” il quindicesimo più caldo in due secoli in Italia (anomalia +1,1 °C), ma il periodo gennaio-maggio è da record nella serie dal 1800 (+1,3 °C) per la straordinaria persistenza di temperature sopra media. Il lockdown per il Covid-19 ha migliorato la qualità dell’aria, anche se per poche settimane. Lo indica un’indagine nel quadro del progetto “PrepAir” a cui hanno partecipato le Arpa di tutte le regioni padane. I modelli al calcolatore dicono che, a parità di condizioni meteo, rispetto a una situazione senza restrizioni al Nord Italia le concentrazioni di ossidi di azoto a fine marzo erano dimezzate, in quanto direttamente legate al traffico che si è ridotto anche dell’80 per cento nel caso dei veicoli leggeri. Invece le polveri sottili sono calate meno (15-30 per cento) perché vi contribuisce soprattutto il riscaldamento degli edifici, invariato. Ridurre l’inquinamento quindi è possibile, ma con strategie a lungo termine per il telelavoro, la mobilità elettrica, l’efficienza energetica, la filiera corta del cibo e il turismo di prossimità.

Nel mondo – L’eccessiva piovosità delle ultime settimane ha riguardato anche la Francia, dalla Bretagna alla Corsica. In varie località nella prima metà di giugno ha piovuto più di quanto fa di norma in tutta l’estate, 110 mm a Cannes e ben 324 mm al Mont-Aigoual (Cévennes). Il caldo anomalo si è spostato in Nord Europa, 32 °C a Berlino sabato 13 e a San Pietroburgo giovedì 18, più di 10 °C sopra media, ma soprattutto 38 °C ieri a Verkhoyansk (Siberia, 68° di latitudine Nord), valore mai misurato prima oltre il Circolo Polare. Caldo intenso anche in Québec (Canada) dove, sempre giovedì, si sono raggiunti nuovi record sia per giugno (35,1 °C a Mont-Joli), sia per tutti i mesi dell’anno (36,6 °C a Sept-Îles). Molteplici le zone colpite da inondazioni nei giorni scorsi: West Virginia, Ungheria e Repubblica Ceca, Nigeria, Costa d’Avorio, Guatemala, Cina e Thailandia. Secondo la Noaa maggio 2020 è stato il più caldo nel mondo nella serie dal 1880, pari merito con il caso del 2016 (anomalia +0,95 °C). Maggio più caldo in assoluto in Spagna (+2,7 °C) e nell’insieme dell’Asia (+2,1 °C). Il Mediterraneo è tra le zone al mondo che sono e saranno più colpite dai cambiamenti climatici, ed entro fine secolo le preziose piogge invernali potranno ridursi anche del 40 per cento dalla Turchia al Nord Africa. Nell’articolo Why Is the Mediterranean a Climate Change Hot Spot? sul Journal of Climate, Alexandre Tuel e Elfatih Eltahir del Massachusetts Institute of Technology dimostrano come questa tendenza sia l’effetto di cambiamenti nella circolazione atmosferica e nella temperatura del mare a seguito del riscaldamento planetario, con sviluppo di alte pressioni più forti. Così, aree che già ora hanno una società e un’economia tra le più instabili del pianeta, diverranno ancora più povere e conflittuali per il tracollo dell’agricoltura.

 

Post-Covid Solo il dialogo tra fedi diverse può darci uno spirito nuovo

“Ecco, io faccio nuove tutte le cose” è la solenne dichiarazione di “colui che siede sul trono” in Apocalisse 21,5. Nuovi i cieli, nuova la terra e anche nuova Gerusalemme, ora sì la “città della pace” come dice il suo nome.

Le pagine finali della Bibbia cristiana si chiudono con questo annuncio che è una promessa e non solo una speranza. Abbiamo tanto bisogno di “cose nuove”. Ne abbiamo bisogno nella nostra vita personale, sociale, economica, nelle relazioni nazionali e internazionali. Abbiamo bisogno di “cose nuove” anche nella nostra mentalità, nei nostri ideali, nei nostri progetti. Per un momento, nei giorni più duri del lockdown, quando ci siamo trovati soli e smarriti nelle nostre case (per chi le aveva, le case), increduli che potesse succedere anche a noi quello che succede purtroppo normalmente nei tanti, troppi Paesi poveri del mondo, per un momento, dicevo, abbiamo creduto e sperato che la “normalità” a cui volevamo tornare non dovesse essere “quella di prima” del Covid-19 ma doveva essere “migliore di prima”. Sarà così? I primi passi della Fase 3 ci lasciano molto incerti e dubbiosi.

Tra le “cose nuove” di cui sentiamo il bisogno c’è la necessità di un nuovo spirito (o spiritualità) per l’Occidente e di qualcuno che ci aiuti a trovarlo e coltivarlo. Le chiese cristiane e le varie fedi viventi sono chiamate a impegnarsi anche in questo. In un mondo globalizzato, ma anche frammentato, c’è bisogno di maggiore concordia, unità d’intenti, collaborazione. Senza cancellare identità specifiche, coscienze e ideali particolari, si può però iscriverli in un progetto comune di convivenza umana, in cui le diversità siano “governate” e collaborino al bene comune. Il dialogo tra fedi diverse è l’unica via. In particolare per i cristiani, il pensare, vivere e collaborare ecumenicamente è ciò che può produrre “cose nuove” e inattese.

Cinque anni fa, il 22 giugno 2015, papa Francesco visitava a Torino un’antica comunità cristiana “separata”, bollata come eretica oltre 800 anni prima poi diventata una chiesa protestante italiana all’epoca della Riforma del 1500: la Chiesa Valdese. Nel corso di quella visita fraterna papa Francesco dichiarò: “Da parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono, perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci”. Una dichiarazione “nuova”, coraggiosa, necessaria, frutto di quello Spirito che aveva già fatto intraprendere un cammino di dialogo e comunione e che ha portato frutti di collaborazione non solo sul piano teologico ma anche nell’impegno per i più deboli. Perché insieme si fa meglio e di più che da soli.

Bisogna però essere umili e pronti a rinunciare a posizioni di privilegio, che non significa omologarsi o farsi imbavagliare dai poteri del mondo. Il “per voi non dev’essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve” di Gesù è la “cosa nuova” che solo Dio può creare e che rende conformi chiese e religioni al loro spirito originario, autorevoli nel loro servizio e nella loro missione nel mondo e per il mondo. Senza “cose nuove” non sarà possibile costruire insieme un domani in cui “il giorno dopo” non sia un semplice ritorno a quel “giorno prima” del Covid-19 di cui abbiamo preso maggior coscienza dei limiti e fallimenti, delle illusioni di onnipotenza e invulnerabilità, della precedenza dell’individualismo sulla solidarietà e sulla compassione. Per avere un futuro, abbiamo bisogno di “cose nuove”.

 

La guerra delle Regioni serve a disfare l’Italia

Attenzione, elezioni regionali in arrivo. Significa battersi fra partiti per decidere che cosa diventerà la parte di terra italiana per il cui governo locale tra poco, di nuovo, si sta votando.

In apparenza sembra che nell’accanita gara sia in gioco un modo di governare e di rappresentare legato alla storia, alla vita, alla cultura, al lavoro e ai tratti tipici e caratteriali dei luoghi da governare, anche delle sue qualità naturali, come, mentendo, si dice in certe campagne turistiche. Non è vero. Si sta votando (si è votato e si voterà) perché quel luogo, indipendentemente dalla sua storia, dalla sua cultura, dalle sue necessità del momento, sia una nuova acquisizione alla repubblica della Lega o al regno di Berlusconi, o alla federazione dei territori rimasti fedeli al Pd, o alle legioni che avanzano di Fratelli d’Italia.

Le eccezioni sono poche e clamorose. Zaia è certamente presidente del Veneto, non della Lega, Bonaccini lavora per la particolare Regione che lo ha eletto, De Luca, che non è una pasta d’uomo e sa come essere antipatico, è il presidente della Campania, non della sezione locale del suo partito. Queste, però, sono le eccezioni.

Prendete Fontana, che, con i suoi Unni ha conquistato Milano. Niente, nel suo pensare, parlare o fare, riguarda Milano e la Lombardia nel senso del gusto di far le cose più belle o dell’impegno di farle nuove, migliori e utili. La Lombardia è zona occupata, in cui la Lega ha mandato il suo governatore con il compito di mantenere ben stretto il nuovo dominio e farne il punto centrale del potere leghista in Italia. Tutto ciò che ha fatto Fontana e il suo gruppo di ufficiali in Lombardia, finora non bene e con disastri notevoli (certo non è colpevole della violenza del coronavirus nella sua Regione, ma deve per forza rendere conto della immensità dei morti), svela il clima di occupazione. La decisione di riempire di contagiati le residenze per anziani, chiudendo porte e notizie, conferma l’occupazione a gloria della Lega, che deve avere, per ragioni di governo, meno malati e meno morti nelle notizie. L’importante è salvare prestigio e potere della Lega nel territorio, che ora è Lega, non Italia e non Lombardia. Qualche caduto in più sul fronte dei cittadini locali non è sembrato un problema grave agli strateghi leghisti, salvo denuncia all’Italia dei cittadini lombardi, che hanno perso i loro cari in un confuso carosello di abbandoni, e di affannate, propagandate e inutili costruzioni di regime. Si possono fare esempi meno disastrosi, ma certo lo spirito di occupazione è eguale in Piemonte, dove un modesto Cirio imita il maestro Fontana nel sentirsi governatore della Lega e non presidente di una Regione da curare secondo le regole sanitarie del Paese e le disponibili indicazioni scientifiche italiane e mondiali.

In Umbria incontrate il caso diverso di mettere le mani, a nome di un nuovo governo che non è della parte di Italia chiamata Umbria, storicamente definita nella sua immensa cultura e nella sua storia, ma è finalmente territorio della Lega e dunque soggetto a nuove prescrizioni morali (avete letto giusto, morali: c’entra anche l’aborto) che sono della Lega e fanno parte del governo regionale inteso come regime di occupazione. Non pensate di fuggire in Sardegna. Anche lì la prevalenza dei voti nelle elezioni regionali viene interpretata come l’arrivo della nazione del vincitore. Occupa persino sentimenti e costumi, senza far caso alla storia da un lato e all’Italia (governo italiano) dall’altro.

Non siamo di fronte a un pericolo di scollamento e di allontanamento di certe parti d’Italia dal centro. E neppure alla normale oscillazione destra-sinistra di cui aveva teorizzato (come inevitabile destino delle democrazie) Arthur Schlesinger. L’intento, qui è considerare il pezzo di Italia vinto in una elezione regionale come un passo in più nella conquista di tutto il Paese, che comunque deve essere ribaltato. Dunque bisogna cominciare subito nelle due mosse di chi si sente occupante: negare il prima e inventare un dopo.

Questa volta due cose sono andate male nell’impegno della Lega di costruirsi il suo Paese cominciando dalla Lombardia: l’errore piuttosto grave di infettare i vecchi e poi farli interrare in fosse comuni a cura delle Forze armate. È la visibilità internazionale (dato il numero di morti) che ha costretto Fontana & C. a smettere di proporsi come modelli del nuovo mondo. Sono stati unici, è vero, ma solo nel numero dei decessi. Però il fenomeno adesso è chiaro, e segnerà le elezioni regionali anche quando non ci sarà (e speriamo che accada presto e per sempre) il coronavirus. Le elezioni regionali sono battaglie di conquista di territorio da sottrarre all’Italia e dare, come un ducato, al partito vincente. È meglio tenerne conto.

 

La morale della trota: “Femmina o maschio, purché piaccia a te”

In una radura del vecchio West, abitava una vedova bellissima dall’indole generosa, un’autentica sventola svegliamorti. Un giorno, uno straniero prestante, cavalcando nei pressi, la vide piegata sul pozzo, a issare un mastello colmo d’acqua. Subito s’offerse di aiutarla a portare quel peso, cosa che la stupì, perché da quelle parti non era consuetudine che i cow-boy aiutassero le donne, anzi: le usavano come bestie da soma. Per ringraziarlo, gli si concesse nel fienile, dove le procurò così tanto godimento che la donna, di delizia in delizia, si chiedeva se avesse a che fare con un uomo o con un dio.

Poi lo straniero sparì, come per incantamento. Ne nacque un bimbo, che si sarebbe rivelato non meno straordinario del padre. La vedova continuava ad avere corteggiatori, cui si donava perché fare l’amore le piaceva proprio tanto. Una sera, un mandriano, stregato dalle sue curve, le mise al collo una catenina d’argento, il cui pendente, un rubino grosso come una ciliegia, venne subito inghiottito dal décolleté rigonfio e candido della vedova, togliendogli il fiato. La vedova pensò: “Speriamo mi faccia la festa, appena il bambino dorme”. Ma dal lettino si levò una voce: “Perché non regali a mia madre anche l’anello che hai rubato, con quella collana, alla figlia dell’orologiaio?”. “Quale anello?”, lo burlò l’uomo; il bambino però, chissà come, ci aveva preso, e lui ne fu così turbato che galoppò via e non si fece più vedere.

La stessa cosa capitò allo sceriffo (“Perché vai a letto con la moglie del farmacista?”), al parroco (“Perché spendi le offerte al casino?”), e al farmacista (“Perché vai a letto con la moglie dello sceriffo?”). Nel saloon si sparse la voce che quel moccioso era un impiccione, e per un anno intero la vedova soffrì di smanie, senza un estintore con cui spegnere i suoi bollori.

Qualche tempo dopo, il presidente degli Stati Uniti, che amava pescare, portava a casa una trota spettacolare. Voleva mostrarla a sua moglie, prima di darla al cuoco per la cena; ma quando bussò alla porta della sua camera, la moglie, che non poteva aprire, per prendere tempo domandò: “È una trota maschio o femmina?”. A quella domanda sciocca, la trota cominciò a ridere, divincolandosi sul piatto d’argento. Il presidente restò esterrefatto: una trota che rideva! Era forse un presagio? E poiché temeva di venire assassinato come McKinley, Garfield e Lincoln, chiese a tutti gli amici se sapessero spiegargli il fenomeno. Gli dissero che solo una persona poteva dargli la risposta. Convocarono alla Casa Bianca il figlio della vedova, la madre appresso; e quando il presidente la vide, non poté rimanere indifferente: negli anni si era fatta ancora più bella. Domandò al bambino perché la trota avesse riso. Il bambino disse: “Faccia venire qui la dama di compagnia di sua moglie”. Fu fatto. “E adesso spogliatela”. A un cenno del presidente, due uomini dei servizi segreti le tolsero di dosso tutti gli indumenti. Era un uomo. La furia del presidente fu incontenibile, la moglie ripudiata. “La trota ha riso perché è irrilevante se uno è maschio o femmina: basta che piaccia a te”, spiegò il bambino quando tornò la pace. “Dio è buono,” disse il presidente, il giorno che sposò la bella vedova; e per tutta la vita le dimostrò, di delizia in delizia, che anche lui, a letto, poteva essere un dio.

 

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La soglia dei pagamenti in contanti è necessaria

Caro Direttore, ho letto che nella nuova Finanziaria 2020 è prevista un’ulteriore stretta sull’uso del contante con l’abbassamento della soglia a circa 2.000 euro. A me sinceramente già viene difficile pensare, che si effettuino operazioni per più di 2.000 euro senza la garanzia di uno strumento tracciato. Ma tralasciando questo, quale sarebbe il motivo della contestazione? Chi è che si intende tutelare esattamente, contestando questa norma? I pensionati che non sono capaci di fare un bonifico? Chiedo senza spirito di polemica, ma soltanto perché non me ne viene uno. Posto poi che questa misura serve indubbiamente a contrastare l’evasione, ci possono dire, i cari contestatori, un’alternativa sul dove reperire risorse? O pensano di chiedere, chiedere e chiedere, attingendo sempre alle tasche degli “altri”, tipo i soliti poveri pensionati?

Valentina Felici

 

Bentornato Luttazzi! Continuate tutti così

Grazie per aver riportato il perfido Daniele fra noi. Leggo ogni giorno il suo pensiero e la cosa che mi fa più ridere è che lo leggo cercando di riprodurre il suo tono, ma soprattutto immaginando la sua mimica facciale mentre spara le sue superbe cattiverie. Continuate così, ne abbiamo bisogno!

Giorgio Vacca

 

L’ingiusto trattamento di chi viaggia in treno

Poiché mi reco spesso a Orbetello da Roma, mi è stato segnalato un problema dal gestore del bar della stazione, che supplisce alla totale assenza di personale ferroviario. Mi sento in dovere, inoltre, di segnalarvi il grave disservizio sia di treni che di autobus per la fascia più penalizzata, ovvero quella di pendolari e i turisti che, non avendo molte possibilità economiche, viaggiano coi mezzi pubblici.

Mara Siciliano

 

La destra ha perso pure il senso del ridicolo

Ormai la cosiddetta opposizione non la ferma più neppure il senso del ridicolo. L’elenco delle ridicolaggini di cui va orgogliosa questa destra sarebbe interminabile: aprire tutto, chiudere tutto, riaprire tutto, richiudere tutto e quindi ancora riaprire tutto e poi accusare il governo di non aver chiuso; bacchettare i tifosi napoletani per i festeggiamenti della vittoria in Coppa dopo aver dato il bell’esempio nella sfilata (flop) del 2 giugno a Roma, senza distanziamenti e senza mascherine, ma con selfie e abbracci vari; reclamare un incontro in Parlamento contro la sede-passerella di Villa Pamphili e poi abbandonare l’Aula, e via di questa musica.

Giancarlo Faraglia

 

È ora di cambiare modello di società

Gentile Direttore, la pandemia ha messo in evidenza tutte le crepe di un sistema capitalistico interessato soltanto ad accumulare ricchezza nelle tasche di pochi a scapito della stragrande maggioranza dell’umanità. Politici ed economisti sono affannosamente impegnati nella ricerca di una ricetta miracolosa che allontani la crisi, ma credo che difficilmente la troveranno. A me sembra che veramente “la musica è finita” e bisogna cambiare completamente direzione mettendo in discussione il nostro modello di società. Stiamo assistendo allo spettacolo indegno di imprenditori e manager che corrono scompostamente a bussare alle casse dello Stato in cerca di danari. È il momento di dire che vi sono altre priorità: l’integrità dell’ambiente, il rispetto delle regole, il superamento delle diseguaglianze sociali.

Domenico Forziati

 

Diritto di replica

Gentile direttore, le scrivo in relazione all’articolo di ieri “Armi al Cairo e poi Regeni. E la Marina Militare protesta”, in cui si evidenzia una posizione della Marina in merito alla cessione di due unità Fremm all’Egitto che non corrisponde alla realtà. La Marina militare, consapevole del particolare momento di difficoltà per il nostro Paese, come sempre risponderà alla situazione, sostenendo appieno le scelte del governo e garantendo la propria capacità operativa. Di fatto e nel breve periodo, il ritardo nell’arrivo delle due Fremm sarà compensato con il prolungamento della vita operativa di navi più anziane, avendo ricevuto precise assicurazioni sul sostegno necessario alla Forza armata per affrontare la situazione.

Capitano Antonello de Renzis Sonnino, Marina Militare

 

Nessuno ha messo in discussione la volontà della Marina di adeguarsi alle esigenze del governo e dell’Italia. Nell’articolo si fa riferimento a una interlocuzione col ministero della Difesa nella fase iniziale della vicenda Fremm e alla soluzione adottata a cui voi stessi accennate. Grazie della cortesia.

CT

La Rai è il babà nel rum della politica

 

 

“Mi scappò detto che la politica non doveva più entrare nella tv. Da allora iniziò la guerra perché quella mia frase fu letta come una questione personale”.

Fabio Fazio, intervistato dal “Fatto Quotidiano”

 

A un certo punto c’è un giovane disabile ammesso ad assistere alle riprese della scalcinata fiction, “Gli occhi del cuore 2”. Si sparge la voce che sia il figlio di un senatore, panico nella troupe finché qualcuno osa chiedergli con voce tremante: “Senatore di che partito?”. E lui: “Dei Verdi”. Allora tutti scoppiano in un “mavvatteneaffanculo” liberatorio, stante che nel borsino politico Rai i Verdi non hanno mai contato nulla. In “Boris” – strepitosa serie televisiva prodotta dieci anni fa dalla Fox, e riproposta su Netflix a grande richiesta – non si cita mai la Rai, ma c’è la Rai calzata e vestita. Dove è impossibile che la politica “non entri più” perché la Rai è la politica, intrisa di politica come un babà nel rum, attaccata avidamente alla politica come un vitello alle mammelle di una vacca. Anzi, se non ci fosse la politica la Rai non esisterebbe proprio, altro che storie. “Boris” squaderna al completo il bestiario di viale Mazzini e dintorni. Da Corinna, la protagonista femminile, chiamata la “cagna maledetta”, priva di qualsivoglia talento che ha ottenuto la parte grazie al suo amante, il Dottor Cane, potente capo della rete televisiva da tutti temuto. Fino al povero Lopez, dirigente della rete costretto a camminare in bilico, sospeso tra ascolti declinanti e “raus” dei partiti. Eppure “Boris” appartiene a un’epoca in cui, per esempio, la satira della politica conservava un suo spazio sacro. Tempi nei quali Corrado Guzzanti era il Pieferdinando Casini, abbigliato come l’autista di Berlusconi. Oppure il Francesco Rutelli-Alberto Sordi che rivolto all’onnipotente Cavaliere piagnucolava: “Ricordati degli amici, di chi t’ha voluto bene”. C’era Sabina Guzzanti che perculava Massimo D’Alema e il suo “dicciamo così”, la “Tv delle ragazze” dove Neri Marcoré massacrava Maurizio Gasparri, e c’erano le mille maschere grottesche pescate direttamente nei palazzi romani. Oggi per trovare Corrado Guzzanti devi andare su La7 e Maurizio Crozza sul Nove. Mentre l’ultima memorabile licenza concessa alla satira in Rai risale al 2014: Virginia Raffaele nell’allora ministra Maria Elena Boschi intervistata in una cascata di bolle di sapone accompagnata dalle note sdolcinate di “Un uomo, una donna” (il “Ballarò” di Massimo Giannini, infatti durato poco). Una favola poi più nulla. Nella Rai odierna la parola satira è da anni una parolaccia impronunciabile, mentre le Corinne e i Lopez continuano a imperversare. Perciò quando, a proposito di politica e servizio pubblico televisivo (!), leggiamo Fabio Fazio piangere calde lacrime su chi tocca i fili muore, saremmo tentati di dirgli: embé?

 

Le correnti dei virologi e l’agenda di settembre

È bello vedere che gli uomini di scienza non hanno perso la loro carica mediatica, anzi, rincarano la dose a più lunga gittata. Il ventaglio delle correnti è fascinoso, da fare invidia al Csm. C’è chi della guerra contro il Covid ha un’idea sovranista (Zangrillo: “Clinicamente lo abbiamo sconfitto”); chi vede nel virus evoluzioni movimentiste (Remuzzi: “C’è ancora, ma è l’ombra di sé stesso”); c’è l’utopista che inveisce perché i tifosi del Napoli non hanno festeggiato sfiorandosi il gomito dopo essersi lavati le mani (Guerra: “Sciagurati”); c’è lo scacchista che teme nel corona “la mossa del cavallo”, alla Renzi (Crisanti: “Se la pandemia prosegue, in autunno rischiamo”. Senza contare che se continua a piovere, ci bagneremo). Certo, si sente la mancanza di Roberto Burioni, il Grande Assente. Che tuttavia ha parlato: “D’ora in poi non parlerò più”. Una mazzata per chi si era abituato a una breaking news al giorno, anche se non tutto è perduto. Spesse volte Burioni ha detto tutto, ma anche il contrario di tutto. E non solo. Il Virologo Zero ha precisato che rimarrà in silenzio stampa “almeno fino a settembre”. E a settembre, guarda caso, riparte Che tempo che fa.