“La vice sia nera”, dice Amy Klobuchar. E sfronda d’un colpo la lista corposa delle aspiranti a fare ticket con il candidato democratico Joe Biden alle elezioni presidenziali di Usa 2020. Prendono nuovo vigore le speranze di Kamara Harris e Susan Rice. Il passo indietro della senatrice del Minnesota, fino a marzo in lizza per la nomination alla Casa Bianca, è il fatto saliente di una giornata ricca di sviluppi e polemiche, verso il voto del 3 novembre. Un nuovo sondaggio conferma il vantaggio di Biden su Donald Trump: secondo un rilevamento Quinnipac, l’ex vice di Barack Obama è otto punti avanti al presidente repubblicano, 49% a 41%. Biden è forte fra le donne, gli afro-americani (82% contro 9%) e gli ispanici, mentre i bianchi sono con Trump.
La sortita della Klobuchar, una politica apprezzata per il suo equilibrio, rispecchia l’attuale fase di tensioni razziali negli Stati Uniti. Se essa riflette anche l’orientamento di Biden, suona campana a morto per le aspirazioni di Elizabeth Warren, senatrice del Massachusettes, una candidata vice forte perché poteva portare in dote la sinistra orfana di Bernie Sanders. Fuori corsa sarebbero pure le governatrici del Michigan Gretchen Whitmer e del New Mexico Michelle Lujan Grisham e l’altra senatrice Tammy Baldwin, del Wisconsin. Fra le afro-americane più quotate, e caratterialmente più vicine a Biden, vi sono la Harris, 55 anni, senatrice della California, uscita a febbraio dalla corsa alla nomination democratica, e la Rice, 55 anni, ex consigliere per la sicurezza nazionale e rappresentante degli Usa all’Onu durante la presidenza Obama. Ma le proteste antirazziste che percorrono da settimane gli Stati Uniti offrono una ribalta a Stacey Abrams, 46 anni, attivista della Georgia, molto impegnata nella self-promotion, e portano in primo piano quasi ogni giorno nuove ‘eroine’, subito promosse a favorite per completare il ticket democratico: ad esempio la sindaca di Washington Muriel Bowser o quella di Atlanta, Keisha Lance Bottoms; citata anche la deputata della Florida, Val Demings.
La novità di questa campagna è che molte ‘papabili’ fanno propaganda per se stesse, si propongono e/o si promuovono, mentre tradizionalmente la scelta del vice avveniva nella massima discrezione: uscire allo scoperto significava bruciarsi. Biden, molto silenzioso negli ultimi giorni, almeno fino allo scoppio delle polemiche sul libro anti-Trump di John Bolton, si è impegnato a scegliere una donna come sua vice. Alla prassi del basso profilo si sono fin qui attenute Harris e Rice, due che non alzano la voce per educazione politica e diplomatica. Harris, padre di origine giamaicana, madre indo-americana, giurista di formazione, ha fatto in California la gavetta politica: senatrice di primo mandato, avendo conquistato nel 2016 il seggio che fu di Barbara Boxer, è stata battagliera protagonista di diversi dibattiti fra aspiranti alla nomination democratica, ma, dopo una partenza promettente, non è riuscita a sfondare né fra gli elettori né fra i finanziatori e s’è ritirata con le casse vuote.
Rice era la favorita a fine 2012 per divenire segretario di Stato quando Hillary Clinton lasciò l’Amministrazione Obama. Coinvolta nelle polemiche per la strage al consolato degli Usa a Bengasi in Libia, si fece da parte perché – spiegò – la sua conferma in Senato sarebbe stata contestata. Obama, che ne aveva molta stima, la destinò allora all’Onu. Dai genitori, due accademici, la Rice ha imparato – dice – “a non usare mai la razza come scusa o vantaggio”: sogna di essere la prima senatrice del Distretto di Columbia, un auspicio che può ancora concretizzarsi.