Monumenti. Anziché abbatterli potremmo cambiare le epigrafi

 

Leggo la proposta del Prof. Montanari che suggerisce la collocazione dei monumenti controversi nei musei. Condivido sovente le “posizioni” di Montanari, ma questa mi appare un poco contraddittoria. Sarebbe sufficiente modificare le epigrafi, non tanto e certamente per modificare la storia, ma per dare a quel monumento il suo vero scopo: la memoria. Purtroppo la memoria bisogna costruirla e la polis non esiste più nelle nostre città le quali sono diventate un gran bel mercato, e in un mercato che si fa? Si acquistano merci.

Una via della mia città, nella quale passo sovente, è dedicata a La Marmora: sono tentato di aggiungervi, assassino! Perché così fu, altro che comandante! Rimangano i monumenti dove sono, anche se oramai servono ai piccioni.

Marino Ferrari

 

Caro Ferrari, la memoria condivisa non esiste. La storia è conflitto, a scriverla sono i vincitori. Per il meglio, in alcuni casi: si pensi alla Costituzione antifascista, che spoglia i fascisti della libertà di minare la democrazia. Le statue nelle piazze, e le intitolazioni delle vie, sono il riflesso della cultura politica che in un dato momento storico le decide e le fa costruire: è naturale che il tempo porti a ripensamenti, revisioni, inversione di marcia. Ed è sano che siano al centro di un conflitto. Sarebbe un tragico errore cancellarle e distruggerle, ma lo sarebbe anche impedire che la società di oggi costruisca il proprio pantheon ideale. Le statue che oggi non erigeremmo mai (a schiavisti, razzisti, fascisti, stupratori, nemici del popolo di ogni tipo) portiamole nei musei, dove vivono la memoria e la storia. Come sarei felice di vedere i fratelli Rosselli, Ferruccio Parri, Emilio Lussu o don Milani, sui piedistalli che sorreggono le troppe statue di indegni re sabaudi e generali macellai! Come ci ha ricordato Salvatore Settis, tenerle in piazza rovesciando il senso dell’epigrafe è una via storicamente sperimentata. È però vero che, come diceva Leonardo, le immagini sono troppo più forti delle parole. Con un po’ di ingegneria si potrebbero allora rovesciare proprio le statue, mettendole a testa in giù: a partire dall’obelisco di Mussolini al Foro Italico. Anche la vie possono cambiare nome, pur conservando la memoria nella targa. Per esempio: “Via degli Insorti di Genova del 1849 (già via La Marmora)”. Oppure: “Via della Moschea (già via Oriana Fallaci)”. O ancora: “Piazza Francesco Saverio Borrelli (già piazza Bettino Craxi)”.

Tomaso Montanari

Pro e contro – Il fallimento di Sarri

 

Colpa di Agnelli

Gli hanno dato una squadra vecchia e bolsa

Non esiste in Europa un top club peggio gestito della Juventus, l’unico ad avere chiuso l’ultima stagione in perdita (39,9 milioni) e a sforare la soglia del 70% tra ricavi e ingaggi, cioè a dissanguarsi per stipendiare i giocatori, e a fronte di questo i risultati sportivi sono sconfortanti: persa la Supercoppa contro la Lazio, persa la Coppa Italia contro il Napoli, la Champions appesa al filo dello 0-1 in casa del Lione (il Lione!). Sarri è sotto accusa, e giustamente: doveva fare il maestro, invece si è accomodato in cattedra e ha detto “ragazzi, fate un po’ come volete”, coi risultati che sappiamo. Ma vogliamo parlare della classe?

La Juve è la squadra più vecchia d’Europa e nonostante questo ha appena rinnovato i contratti di Bonucci (33 anni), Chiellini (36 a breve) e Buffon (42). Per avere Ronaldo, 35 anni, ha pagato 100 milioni al Real, 12 a Mendes e ogni anno lo stipendia con 60 milioni lordi. Ha acquistato De Ligt dall’Ajax per 75 milioni (più 10,5 a Raiola) a 12,5 milioni netti d’ingaggio; Sarri faceva giocare Demiral e Bonucci prima che il turco si facesse male e se Chiellini non fosse stato infortunato, De Ligt avrebbe continuato a fare panca. Un anno fa, Paratici ha portato alla Juve un gatto di marmo come Rabiot (7 milioni netti più 10 alla mamma manager), un De Sciglio brasiliano come Danilo (5 milioni), Ramsey (7 milioni), più fragile di un cristallo di Boemia; e si è ripreso il pesantissimo – in ogni senso – Higuain (32 anni), che pesa a bilancio per 35 milioni annui. Vecchi, bolsi e costosi: sono i giocatori che il club di Agnelli ha messo a disposizione di Sarri per andare sulla luna.

Paolo Ziliani

 

Finto profeta 

Sopravvalutato, gli errori sono tutti suoi

Ben prima dello scempio post-Quarantena di mercoledì sera all’Olimpico, la resa culturale del sarrismo, finto fenomeno rivoluzionario, era avvenuta all’avvio della stagione calcistica, nel settembre scorso. Per bocca dello stesso Comandante: “Questa Juve non giocherà mai come il mio Napoli”. Secco. Testuale. Ma come, il maestro Guardiola ipnotizzò persino Messi con il fatidico e ossessivo tiki taka e il Sacchi del Terzo millennio non è riuscito mesi dopo mesi a convertire Cristiano Ronaldo al suo verbo estetico?

La verità è che Maurizio Sarri è arrivato alla Juve sull’onda di una leggenda aurea che ha coperto bugie, errori e mezze verità nell’ormai mitica cavalcata dei Novantuno Punti del Napoli nel campionato 2017-18, con il secondo posto dietro la Juve marziana di Allegri. Ai tifosi ancora lucidi degli azzurri (decisamente una minoranza) era chiaro già nel gennaio di quella stagione che giocare tutte le partite con undici Titolarissimi avrebbe portato allo schianto finale. Di qui la Prima Palla Massima della leggenda sarrita: non aveva la rosa. Invece no. Hamsik fu mediocre sempre e Zielinski continuava a rimanere in panca. Per non parlare di Maksimovic ignorato e vari altri. Del resto aveva senso vincere coi Titolarissimi sei a zero col Benevento e pregiudicare l’esordio in Champions con lo Shakhtar? Sarri fu artefice di un capolavoro estetico, ma anche il boia che con le sue ossessioni sentenziò l’annunciata condanna del secondo posto. Alla Juve questi nodi controversi della sua personalità sono esplosi ed è triste vederlo gestionista, abiurando le sue idee come Galileo. Agnelli l’ha sopravvalutato e credo se ne sia reso conto.

Fabrizio d’Esposito

Il mercimonio di cariche universitarie è corruzione

In un articolo su Il Foglio del 9 giugno scorso – “Corruzione e mozzorecchi” –, il prof. Fiandaca tratta in parallelo delle logiche spartitorie all’interno della magistratura (deflagrate dal “caso Palamara”) con le simili logiche che governano la selezione dei professori in Accademia. L’autore, che non sembra ravvisare differenze tra il malcostume che affligge la selezione dei candidati in questi due cruciali settori della vita pubblica, critica tuttavia aspramente la scelta dei pm di Firenze (i “mozzorecchi”?) che, all’esito della “mega indagine per sospetta manipolazione di una procedura valutativa nel settore del diritto tributario”, hanno qualificato come “concorso criminoso nel reato di corruzione” la condotta dei “baroni universitari” coinvolti.

L’autorevole accademico ci tiene a rassicurare il lettore di non avere “un interesse personale ad assumere in un luogo improprio (quello di un articolo su un quotidiano, ndr) il ruolo di difensore dei non pochi professori indagati”; il che impone di precisare che il sottoscritto ha, invece, un interessamento diretto nella vicenda, avendola denunciata ed essendosi costituito parte civile nel processo in compagnia della sola Università di Pisa (Miur e Università di Firenze non pervenuti). Ebbene, venendo ai turbamenti del prof. Fiandaca – preoccupato che ci troveremmo al cospetto di una “spericolata e inammissibile torsione interpretativa escogitata ad hoc per bollare e punire come delinquenti corrotti i commissari che mercanteggiano i giudizi di idoneità a professore universitario” – , essi sono cagionati dal fatto che “l’orizzonte di senso della corruzione racchiude tradizionalmente una compravendita… un modello di scambio che viene meno nel mero accordo spartitorio dei posti universitari o magistratuali… Alla configurabilità di una corruzione punibile osta la mancanza di un presupposto essenziale, cioè la corresponsione di denaro o altre utilità… La corruzione potrebbe, invece, ben configurarsi nel caso in cui i professori commissari accettassero, appunto, denaro o altre forme di vantaggio per votare i candidati da promuovere”.

Ohibò, quindi il prof. Fiandaca ritiene che se anche i commissari, in concorso con altri professori, avessero davvero compiuto i descritti atti illeciti, lo avrebbero fatto per pura generosità? Ovvero che i predetti cultori del diritto si sarebbero, in ipotesi, dedicati a spartizioni avulse dal merito dei candidati, contravvenendo alle indicazioni normative e alle istruzioni del Miur, per sport? Il prof. Fiandaca ha troppa esperienza per non sapere benissimo che il titolo di “prof” è un’utilità in sé; e lo è sia per il candidato che lo riceve che per il suo “maestro”, a maggior ragione se costui condivide lo studio professionale. E quindi l’abilitare Tizio e non abilitare Caio costituisce un favore per i commissari stessi, gli altri professori esterni alla commissione e i candidati abilitati. Nelle intercettazioni si sentono i vari indagati parlare di “cupole”, di “equilibri territoriali” da preservare, di candidati invisi a cui “segare le gambe” a prescindere dal merito, di scambi di abilitazioni e non, di candidati improponibili da abilitare per compiacere quella “scuola” o quella associazione di “cultori” della materia, di commissari che condizionano ex ante o rivendicano ex post di votare a favore o contro l’abilitazione di taluno o talaltro. E questo non è forse uno scambio di utilità? La Procura di Firenze ha puntualmente mappato il do ut des sotteso agli ipotizzati atti illeciti; atti illeciti che non costituiscono, come ipotizzato dal prof. Fiandaca, l’oggetto in sé dello scambio, ma lo strumento per ottenerlo.

Come diceva autorevolmente uno degli indagati, il “diritto quando lo violenti si ribella”: ecco Professore, sono davvero i “mozzorecchi” a violentarlo o è qualcun altro?

Il prof Ichino livoroso e semplicistico sul pubblico impiego

In un’intervista a Libero il professor Ichino ha fornito una serie di indicazioni di politica del lavoro che suonano per Confindustria più ammalianti del canto delle sirene. Mi limito a segnalare lo scenario nel quale molti dipendenti del settore privato rischiano di essere deportati nella palude delle partite Iva. Per quanto riguarda i pubblici impiegati, ha, inoltre, affermato che l’epidemia ha favorito il trionfo dell’opportunismo, anche attraverso non ragionevoli chiusure a oltranza, e ha concluso che, nella maggior parte dei casi di smart working, si è trattato di una lunga vacanza retribuita al cento per cento.

Le parole dell’ex deputato di Scelta civica (giusta transiti da Pci e Pd) rivelano come la scarsa simpatia per i pubblici dipendenti, anni fa da lui tacciati come “fannulloni”, sia ora esplosa in autentico livore. Gli è già stato opposto che la permanenza in casa non era una scelta del dipendente, ma l’esecuzione di un ordine governativo. Il che dovrebbe bastare. Aggiungo che un’accusa così puntuale, sul mancato lavoro pubblico tra le mura domestiche, imporrebbe quantomeno l’acquisizione di elementi documentali e statistici atti a dimostrare l’effettiva pausa lavorativa. La mancata indicazione di quegli elementi è tanto più grave in quanto gli stessi costituiscono un principio di prova, imprescindibile per gli studiosi del diritto tra i quali si annovera il giuslavorista. In carenza di documenti, inchieste e semplici denunce, era forse più consono allo status del personaggio limitarsi a prospettare il dubbio.

Il centro della questione, tuttavia, non riguarda approfondimenti scientifici o moderazione argomentativa. Il tema tocca la visione manichea tra pubblico e privato che sta conducendo a estreme conseguenze. Cioè fino alle formule tipo “zero burocrazia” di Capitan Cocoricò e alle manovre per chiudere importantissimi uffici quali le Soprintendenze (come si tenta in Sicilia con l’unico risultato, denunciato da Tomaso Montanari, di colpire e distruggere un patrimonio culturale di eccezionale valore). Il presupposto ideologico è del più vieto liberismo: il privato, mosso dall’interesse personale, funziona e produce, diversamente dal pubblico, non motivato e gravato dal lassismo impiegatizio. Tesi questa impregnata del medesimo radicalismo che oggi pervade il dialogo politico. Un radicalismo fine a se stesso e, questo sì, gravemente improduttivo. Anzi pericoloso, perché finisce per negare l’istanza fondamentale dell’ordinamento: quella cioè di offrire presidi e garanzie generali per il bene comune che solo l’esercizio di pubbliche potestà può assicurare.

La realtà è molto più complessa delle semplificazioni e delle slide. La verità è che in molti settori pubblici si registrano carenze di organico paurose così che il lavoro di molti è ora a carico di pochi peraltro di età elevata; la verità è che le procedure non sono il frutto di scelte dei burocrati, ma delle normative predisposte e adottate dagli organi politici; la verità è che per realizzare la missione del pubblico – modulare e tutelare le attività private in funzione dell’interesse generale – occorre fornire l’apparato di regole chiare e di risorse adeguate. Esemplifico: il Codice degli appalti non è opera dei burocrati (che lo subiscono) ma di un legislatore delegato, spinto da alti magistrati amministrativi con la fregola di rievocare i fasti di Giustiniano. Per rendersi conto che quel codice, con ben oltre 200 lunghissimi articoli e più di 20 allegati, proprio non va non è necessario leggerlo. Basta pesarlo. Il professor Ichino appartiene per storia personale proprio alla classe politica che ha redatto quei testi normativi, ha imposto le esternalizzazioni, ha depauperato di risorse gli apparati pubblici. In primis la Sanità che ora, ma probabilmente non quando era parlamentare, preoccupa tanto il noto docente.

Si attacca il Venezuela, ma si tace sull’Egitto

È perlomeno curioso che il Venezuela chavista, che non ha mai avuto mire espansive, tantomeno in Europa, abbia finanziato un movimento politico italiano nel 2010 quando i Cinque Stelle non erano ancora nati (si costituiranno ufficialmente nel 2012) ritenendolo “di sinistra, rivoluzionario e anticapitalista” e quindi a lui affine.

A mio avviso la probabilissima fake del quotidiano spagnolo Abc non è tanto un attacco ai 5Stelle, ma piuttosto al bolivarismo venezuelano che è la forma che il socialismo prende in Sudamerica e di cui Hugo Chávez è stato il massimo interprete coinvolgendo, a suo tempo, altri Paesi dell’area. Dietro questa manovra si intravede una “manina” americana come adombra sul Giornale Gian Micalessin che pur è un filoyankee a tutto tondo. Naturalmente i giornali italiani anche quando non prendono una posizione precisa su questa fake, si affrettano comunque a definire il regime di Nicolás Maduro, l’erede di Chávez, una “dittatura” e per Alessandro Sallusti, che riesce a superare se stesso e non legge nemmeno gli articoli dei suoi inviati, addirittura “una criminale dittatura comunista”. A Sallusti sfugge la differenza fra socialismo e comunismo, ma la cosa non ci sorprende. Dico: in quale dittatura un personaggio che tenta un colpo di Stato con l’aiuto economico e non solo economico americano, come ha confessato il generale venezuelano a riposo Clíver Alcalá, vale a dire il “giovane e bell’ingegnere” Juan Guaidó, rimarrebbe a piede libero invece di essere arrestato? Ma nemmeno in democrazia un personaggio del genere se la caverebbe così a buon mercato. Nella democratica Spagna gli indipendentisti catalani, che hanno qualche buona e storica ragione in più degli oppositori di Maduro, sono incarcerati (7) da quasi tre anni e il loro leader Puigdemont è in esilio.

La storia dell’ultimo Venezuela si può riassumere così. Morto di cancro Chávez, un leader indiscusso, gli Stati Uniti hanno pensato che fosse giunto il momento per liberarsi del socialismo bolivariano e hanno cominciato ad aggredire il Venezuela con le consuete sanzioni economiche cercando di ridurre il Paese in povertà. In una situazione del genere si crea un ovvio malcontento fra la popolazione. Ci sono state ribellioni e 139 vittime civili, divise equamente fra sostenitori di Guaidó e di Maduro, non però a opera della polizia venezuelana, ma degli estremisti delle due fazioni. Più recentemente gli americani sono arrivati alla squisita carogneria di impedire che l’Oms distribuisse 5 miliardi di aiuti al Venezuela perché potesse fronteggiare il Covid. La nomina come ministro del Petrolio di Tareck El Aissami, chiamato a ristrutturare tutto il settore energetico, ha preoccupato molto Washington che ne vorrebbe la defenestrazione con i soliti metodi (condanna de remoto, cioè dagli Stati Uniti, per presunti traffici di droga) perché El Aissami, di origini libanesi-siriane, ha buoni rapporti con l’Iran. Il Venezuela non ha forse il diritto, come ogni altro Stato, di scegliersi i propri alleati?

Maduro, numero due di Chávez, è stato eletto presidente del Venezuela con regolari, anche se molto contestate dall’opposizione, consultazioni democratiche. Bene. Il generale Al Sisi è arrivato al potere non con consultazioni contestate, ma con un colpo di Stato che ha messo in galera la dirigenza, compreso il presidente Morsi, dei Fratelli musulmani vincitori delle prime elezioni libere in Egitto. Poi ha assassinato 2.500 oppositori, mentre altrettanti risultano desaparecidos. Calcoli in difetto dato che dall’Egitto non filtra più alcuna notizia perché sono state abolite tutte le libertà civili a cominciare da quella di informazione. Ma mentre si fanno le pulci a Maduro, sull’Egitto si tace. Renzi, quando era presidente del Consiglio, siccome non gli riesce proprio di tenere la bocca chiusa, si arrischiò a dire che Al Sisi era “un grande uomo di Stato” (io direi di colpi di Stato). Ma adesso facciamo anche di peggio. Il nostro governo ha dato il suo imprimatur alla vendita di due fregate Fremm all’Egitto. Non olet. Anche se poi Al Sisi trasforma questo appoggio in aiuti a quell’altro generale tagliagole Haftar che con i suoi bombardamenti su Tripoli, dove risiede il governo legittimo o quantomeno legittimato dall’Onu di al-Sarraj, impedisce qualsiasi soluzione del dramma libico di cui sono responsabili i francesi di Sarkozy, gli americani di Obama e, in misura minore, gli italiani di Berlusconi. Insomma siamo di fronte al solito doppiopesismo dei Paesi occidentali. Ma poiché accà nisciuno è fesso, nemmeno in Medio Oriente, non possiamo poi meravigliarci che tutti ci odino e l’Isis impazzi in Egitto e altrove in attesa di riprendere la propria azione in Europa (“Io vengo a restituirti un po’ del tuo terrore, del tuo disordine, del tuo rumore”, Il bombarolo, De André).

La spectre dei Benetton: il persiano, il criceto, il pollo e il fox terrier

L’altro giorno, il gatto dei Benetton, un persiano bianco che è la mente diabolica dietro ogni decisione della Spectre (Atlantia-Autostrade-Ponte Morandi), ha consigliato il suo boss, che se lo accarezzava in grembo, di restituire tutto allo Stato, e sparire dalla scena. Il gatto è convinto che sia l’unico modo per evitare un contenzioso col governo che si annuncia infinito e devastante, dopo che la mossa precedente (scaricare tutte le colpe sul fox terrier di Giovanni Castellucci: “Fu il fox terrier a suggerire di spremere profitti da Autostrade risparmiando sulla manutenzione!”) ha fatto cilecca per colpa del fox terrier, che non solo ha prodotto un certificato psichiatrico attestante la sua incapacità di intendere e di volere dal 2005, ma per ritorsione (“muoia Sansone con tutti i filistei”) ha pure suggerito alla ministra competente, Paola Chicazzoè, l’idea, poi inserita nel decreto Milleproroghe, di eliminare l’indennizzo alla Spectre in caso di revoca della concessione, anche per colpa grave.

Il gatto dei Benetton ha fatto cacciare sia il fox terrier, sia Castellucci, ma il nuovo manager, Gianni Mion, non è ben consigliato dal suo criceto, che pretende di vendere Autostrade alla Cassa Depositi e Prestiti a prezzo pieno, pur sapendo che Atlantia, dopo il crollo del ponte Morandi, ha dimezzato il suo valore in Borsa, e che la nuova concessione sarà meno favorevole per il pollo che si farà avanti (un galletto Valle Spluga, amico del criceto). La decisione della Spectre deve pervenire allo Stato entro il 30 giugno. Il tempo stringe, e il criceto passa il tempo a girare nella ruota, l’idiota. Intanto il fox terrier, dal suo buen retiro alle Canarie, starebbe pensando di ricordare al governo che, altrove (per esempio in Spagna), le autostrade diventano gratuite ad ammortamento avvenuto.

In passato, non si distingueva fra scienza e magia. Keplero era un astronomo rigoroso, ma arrotondava vendendo oroscopi; e l’astronomo-astrologo-alchimista Tycho Brahe elencò 37 giorni dell’anno durante i quali consigliava di non muovere un dito. Convertendo il calendario giuliano dell’epoca di Brahe in quello contemporaneo, i giorni infausti sono: Gennaio 17, 30, Febbraio 5, 6, 17, 20, Marzo 2, 3, 28, Aprile 4, 5, 6, 7, 10, 17, 28, Maggio 5, 6, 25, Luglio 5, 9, Agosto 8, 9, Set 4, 6, 24, Ottobre 25, Novembre 6, 24, 29, Dicembre 6, 20, 21, 23, 25, 30, 31. Indicò pure quelli fortunati: Gennaio 14, 28, 29, e Giugno 3.

Esistono anche persone fauste e persone infauste: lo credevano gli antichi, e oggi ci si crede più che mai. C’è della gente che davanti a uno come Gasparri ha delle inquietudini, sposta le date, sospende le decisioni, si tocca i marroni. Nel 1991, con Calogero Mannino agli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, l’Etna prese a eruttare e continuò per un anno e mezzo, placandosi solo con l’arrivo del governo Ciampi. Un governo Cossiga fu funestato dalla strage di Ustica. Governo Berlusconi: terremoto a L’Aquila, alluvione a Genova, eruzione dell’Etna ogni anno, finché l’insediamento di Monti indusse l’Etna a vomitare una delle sue eruzioni più violente. Il 1° giugno 2018 diventa ministro Toninelli, due mesi dopo viene giù il ponte Morandi. E un giorno hanno eletto Fontana governatore della Lombardia.

L’apocalisse dei sovranisti e la sindrome don Lurio

La destra facimm ammuina in Parlamento, dentro, fuori, fuori, dentro, uffa che pizza che noia, è talmente stucchevole che viene il sospetto di un accordo sottobanco tra il premier e il suo miglior nemico. Tipo Salvini che dice a Conte: con voi niente dialogo sulla ricostruzione anche perché non sapremmo cosa dire per cui noi ci limitiamo a fare la faccia feroce e voi fate come vi pare. Infatti non sorprende il messaggio al governo, post Villa Pamphilj, attribuito al presidente di Confindustria, Carlo Bonomi: ogni tanto dovremo attaccarvi, ma non seguiremo la linea di Salvini che è isolato in Europa, mentre a noi l’Europa serve per ripartire (Repubblica). L’opposizione in cerca d’autore andrebbe anche capita stante le catastrofi Covid degli amici Donald Trump e Jair Bolsonaro, travolti da montagne di contagiati e di morti. Per non parlare del povero Boris Johnson (quello dell’immunità di gregge che per poco non ci restava secco) di cui leggiamo sul Corriere della Sera una sapida cartella clinica: “Dicono che schiacci pisolini anche di due-tre ore, ha l’aria affaticata, le occhiaie, ansima, balbetta, senza contare che la giovane fidanzata Carrie lo vuole coinvolto nella cura del figlioletto appena nato”. Ricordate quando con aria tronfia BoJo andava dicendo ai connazionali disperati che dovevano abituarsi “all’idea di perdere i loro cari”, con Jair che chiosava “tutti dobbiamo morire”? I sovranisti de noantri hanno cavalcato l’onda lunga della paura, dello scontro, del panico. Hanno lucrato sulla politica dello choc, soffiando sul caos, arruolando il popolo dei devastati dalla crisi finanziaria, ergendosi a baluardi contro l’invasione dei “negri”, affidando alle Bestie social l’annunciazione dell’apocalisse. Che è arrivata sul serio, ma non quella che pensavano. E quando il Paese ha preferito affidarsi a guide affidabili, e a quell’Europa senza la quale “non si riparte”, per farsi notare si dedicano alla coreografia del balletto dentro fuori. Da Donald a Don Lurio.

Il nuovo virus un fake, la deforestazione no

Ieri è stata diffusa una nuova allerta che sarebbe partita dall’Oms per un focolaio rilevato in India del Nepah virus. Era una fake news. Dopo la tragedia Covid-19, ancora non superata, sarebbe stato veramente un rischio insopportabile, anche perché la mortalità per questa subdola zoonosi (altra infezione che proviene dai pipistrelli) è dal 35 al 70% dei casi. Notizia falsa, ma anche un’opportunità che non dev’essere sprecata per riportare l’attenzione su un pericolo esistente: le zoonosi. La deforestazione che provoca l’invasione dei centri urbani da parte degli animali selvatici e l’uso delle loro carni non controllate e spesso provenienti da improvvisati macelli all’aperto sono e restano un problema globale di sanità pubblica. Dopo l’allarme Covid-19, il mercato di Wuhan è stato chiuso. Purtroppo è stata più una misura simbolica che reale. Infatti ne restano tuttora aperti numerosi altri in Cina e in tutto il Sud Est Asiatico. Anche l’Onu ne ha chiesto la chiusura. Elizabeth Maruma Mrema, segretario esecutivo ad interim della Convenzione Onu sulla diversità, ha sottolineato che i virus oggi responsabili di due terzi delle infezioni e delle malattie emergenti provengono proprio dalla fauna selvatica. Anche Antony Fauci, virologo della Casa Bianca, ha sollevato il problema. Il rischio di una nuova pandemia a breve è concreto. Globalizzazione non deve significare soltanto che si sta tutti insieme: è necessario condividere delle regole. Ancora una volta sono evidenti i deboli muscoli delle istituzioni internazionali che “invitano”, ma non riescono a “imporre” misure a garanzia di tutti i Paesi, nascondendosi dietro motivazioni di rispetto della tradizione che sono, a dir poco, ridicole. Se continueremo a vivere la globalizzazione come passiva accettazione del rischio provocato dalla mancanza di regole, questa si trasformerà in un pericolo anziché essere un’opportunità. I mercati “umidi” devono essere chiusi. La commercializzazione dei generi alimentari dev’essere controllata. Si usi ogni mezzo, anche la leva politico-economica.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

“Le statue non si abbattono. Ci aiutano a capire il mondo”

“Una battaglia a vuoto, assurda. Una forma di razzismo”. Così Alessandro Barbero, storico e scrittore, giudica l’abbattimento delle statue da parte dei manifestanti del movimento Black Lives Matter.

Professore, condivide le ragioni e il metodo di chi abbatte o danneggia le statue di colonialisti, schiavisti e razzisti?

No, non condivido. È ovvio che non ci devono essere statue di grandi delinquenti e mascalzoni che tutta l’umanità considera tali. Però quelle statue non ci sono, non c’è la statua di Adolf Hitler.

Però a Affile c’è il mausoleo dedicato al criminale fascista Graziani. Non sarebbe giusto abbatterlo?

È un caso particolare. Non si tratta di una statua in una piazza di Roma, ma di un’iniziativa recente, del sindaco del paese, di una giunta di destra. Quando ai tempi dell’Unione Sovietica non c’erano più statue di Stalin, a Gori, il suo paese in Georgia, c’era la statua di Stalin. Era considerata una gloria locale, loro ci erano affezionati, che se la tenessero pure. È un discorso delicato, ma se al paese lo vogliono sarei un po’ a disagio all’idea di un intervento dall’esterno di autorità superiori al Comune che vanno lì e lo tolgono. Certo la statua di Graziani in una piazza di Torino non la vorrei.

A chi sono stati eretti monumenti? Per quali meriti?

A personaggi che sono stati considerati, da noi o dai nostri nonni, importantissimi ispiratori e protagonisti della nostra storia. Che poi oggi si scopra che non erano perfetti, non ci autorizza a svillaneggiare i nostri predecessori dicendo “siete stati dei cretini, adesso ve la tiriamo giù perché siamo più bravi di noi”.

In merito a “Churchill razzista”, mi pare che il punto espresso dai manifestanti sia questo: il richiamo attenuante al “contesto” non tiene conto del fatto che anche allora c’erano persone che non erano razziste, per esempio gli antropologi più avanzati. Si poteva scegliere.

Erano minoranze illuminate. Tutti erano razzisti, e quasi tutti schiavisti. Socrate aveva degli schiavi, e quanto ai greci, hanno inventato loro il concetto di “barbaro”. Il fatto che una persona del passato avesse opinioni che ai suoi tempi erano ovvie e a noi non piacciono, non può autorizzare ad abbattere le sue statue.

Il punto debole delle manifestazioni è equiparare Churchill a un teorico della razza. Questo annulla la critica, appiattisce la Storia.

Appunto, se la statua fosse stata fatta a un teorico del nazismo, dicendo che comunque è stato uno scienziato importante, io direi che non ha senso. Ma la statua a Churchill non è stata fatta per le sue opinioni sulle razze. Semmai, Churchill ha dovuto decidere se mandare il riso in India o non mandarlo, e non l’ha mandato: c’è stata una carestia spaventosa nel Bengala nel ’43-’44. Ne porta la responsabilità politica. Tuttavia se lo incontrassi non proverei ribrezzo, come proverei se incontrassi il dottor Goebbels.

Mi sembra che i manifestanti vogliano esprimere il rifiuto di persone e eventi che continuano in modi diversi a condizionare la vita degli oppressi. Dopo l’omicidio di George Floyd si è cominciato a manifestare in modo non garbato ed è per questo c’è un dibattito mondiale sulle antiche e attuali forme di oppressione dei neri.

Infatti, si usano tracce del passato per parlare dell’oggi. Proprio questa è la cosa che mi sembra discutibile. Capisco che c’è una logica, il punto è valutare se questa logica debba prevalere sulle altre cose. Chi oggi è razzista si pone contro il pensiero umanista, è in una posizione indifendibile e va combattuto. Che questa battaglia si giovi del fatto di andare a vedere chi è stato razzista nel passato, di aggredirlo e svillaneggiarlo, è un modo per disperdere energie, è una battaglia a vuoto, assurda, che rischia di esasperare la controparte.

È una forma di violenza del presente sul passato?

A me sembra anche una forma di razzismo: sotto le intenzioni di chi dice “oggi abbiamo certi valori, Churchill non le aveva, Colombo non li aveva, via le loro statue”, si celi la voglia della civiltà occidentale di dire noi siamo migliori degli altri, noi dobbiamo portare la civiltà e imporla alle altre civiltà e a quella gente strana che viveva nel passato. Chi sono questi stronzi che nel passato si permettevano di avere valori diversi dai nostri? Cancelliamoli. Non voglio dire che stiamo sullo stesso solco di quelli che sbarcavano in Australia e cancellavano gli aborigeni, ma l’istinto inconscio è quello.

Perché questa forma di protesta ha preso forma ora?

Perché si è andato costruendo il meccanismo del politicamente corretto, un esempio di come le buone intenzioni possano produrre effetti perversi. Uguaglianza e condanna del razzismo vanno difesi da chiunque li minacci. Ma il fatto che ci fosse gente nel passato che non condivideva quei valori non è una minaccia. Lo diventa se noi abbiamo paura. Cosa rischiamo? Rischiamo se la buttiamo giù. Finché la statua di Colombo c’è, ci sarà qualcuno che pensa sia un grande uomo che ha conquistato l’America, e tanti che pensano che ha fatto qualcosa di grande senza immaginare che avrebbe provocato una tragedia. C’è molto da imparare in questo. Se invece la togliamo è finita.

Mattarella: “Distorsioni gravi nel Csm, ora credibilità”

La questione morale in magistratura al centro della cerimonia al Quirinale in ricordo dei magistrati uccisi Giacumbi, Minervini, Galli, Amato, Costa e Livatino. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rilanciato una dura reprimenda per il caso Palamara e lo scandalo delle nomine del Csm: “Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno denunziato” l’anno scorso “e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione” dentro al Csm. Quindi, ha proseguito, vanno messe in discussione le correnti: “Questo è il momento di dimostrare con coraggio di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale. È indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti”. Poi, rivolgendosi “ai giovani magistrati”, parla della “fedeltà alla Costituzione, l’unica alla quale sentirsi vincolati”. Ma il presidente sottolinea che “la stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla ‘modestia etica’ di cui è stato scritto” e che è stata la magistratura a far emergere quei comportamenti “in amaro contrasto” con “l’alto livello” di chi è stato ucciso. Allora, “non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla magistratura” servano a chi vuole porre “in discussione l’irrinunciabile indipendenza”. Mattarella, infine, ribadisce un concetto scritto in una nota del 29 maggio in risposta a Salvini che chiedeva lo scioglimento del Csm: “Serve il rispetto rigoroso della Costituzione. Si odono talvolta esortazioni rivolte al presidente della Repubblica perché assuma questa o quell’altra iniziativa”. Così “si incoraggia una lettura delle funzioni del presidente difforme da quanto previsto con chiarezza dalla Costituzione”.