Matteo Capitone, il cazzaro verde virus

Fin dall’inizio, il Coronavirus cortocircuita Matteo Salvini. Non che ci volesse molto, ma il cazzaro verde appare subito in difficoltà: abituato com’è ad attaccare tutto e tutti, si rende conto – forse – che fare la parte del bullo in tempi di Covid-19 non paga. Le persone vorrebbero serenità, coesione, serietà e concretezza: l’esatto opposto di Salvini. A inizio marzo si è persino accodato alla proposta di Renzi (poi smentita da Renzi) di un governissimo per fronteggiare l’emergenza. Null’altro che l’inciucio al tempo del virus. Capite bene che farsi dettare la linea da Renzi è un po’ come prendere lezioni di arguzia da Gasparri. L’ipotesi è poi tramontata, non avendo né capo né coda (e neanche numeri in Parlamento), ma Salvini è sempre lì che gira a vuoto.

Inizialmente è stato l’unico a non degnarsi nemmeno di rispondere a Conte, anteponendo una volta di più l’ego ai problemi nazionali. Così facendo si è fatto nuovamente superare a destra dalla Meloni, che infatti nei sondaggi è quella che cresce di più. L’uomo che sussurrava ai citofoni ha poi varcato nuovi confini dell’incoerenza, branca dello scibile su cui del resto ha 178 lauree. Il 21 febbraio, in una delle sue tante dirette Facebook con inquadrature in 3D ad altezza pappagorgia, tuonava (a caso): “Ascoltiamo la comunità scientifica: blindiamo, sigilliamo i nostri confini! Ne va della salute di decine di milioni di persone!”.

Sei giorni dopo, dall’avamposto molto istituzionale di Madonna di Campiglio, ecco l’ennesimo dietrofront: “Riaprire! Tutto quello che si può riaprire! Riaprire, rilanciare. Quindi aprire, aprire, aprire! Tornare a correre, tornare a lavorare!” Poche idee e confuse. Salvini ha poi reinventato la geografia: “Se qualcuno chiedesse scusa agli italiani non sarebbe male, perché è evidente che qualcuno ha sbagliato qualcosa se l’Italia è il terzo Paese al mondo per contagi, davanti persino al Giappone, che confina con la Cina”. Come no: infatti il Giappone è un arcipelago e a separarlo dalla Cina c’è un mare (quello del Giappone, appunto).

Nel suo continuo lanciarsi a bomba contro se stesso, Salvini ha financo partorito delle proposte. Premesso che associare “Salvini” a “proposte” è quasi come mettere insieme le parole “Marattin” e “capellone”, il capitone leghista ha suggerito lo “stop alle cartelle in tutta Italia. Vanno sospesi subito gli adempimenti fiscali”. Bella idea: poi però gli stipendi a medici e infermieri, per citare giusto due categorie encomiabili, li paga lui. Se poi il governo lavora per destinare 3 miliardi e mezzo all’emergenza, lui non ci sta: “Ce ne vogliono minimo 20, meglio 50”. E ancora meglio 500. Salvini ha donato a Conte altre proposte per ripartire, battezzate dal presidente del Consiglio come fuffa. Quali erano queste proposte? Siamo in grado di svelarle ai lettori del Fatto. 1) Un’alabarda spaziale, fatta su misura per Speranza, affinché egli spezzi con essa le reni al virus. 2) Travestirsi da Sgarbi per lasciar credere al Covid-19 che in realtà siamo già tutti rincitrulliti e mezzi morti, quindi non è il caso di infierire (è l’unica proposta piaciuta a Conte). 3) Bombardare la Cina, però democraticamente. 4) Affidarsi al buon cuore della Vergine Maria. 5) Provare il mojito come antidoto al Coronavirus: magari non servirà a nulla, ma se non altro passeremo dalla possibile pandemia alla pressoché certa sbornia. Un bel passo avanti. Daje Matte’!

Dossier Chávez-5Stelle: manca pure il protocollo

Il fascicolo annunciato è stato effettivamente aperto ieri pomeriggio dalla Procura di Milano. “Accendiamo un faro sulla vicenda del presunto finanziamento da 3,5 milioni di euro che sarebbero arrivati dal governo di Hugo Chavez, allora presidente del Venezuela, al fondatore del Movimento 5 Stelle Gianroberto Casaleggio”. Così spiegano in Procura. Un atto dovuto, dopo le notizie pubblicate dal quotidiano spagnolo Abc e riprese dalla stampa italiana, per far chiarezza su un caso che potrebbe essere un finanziamento illecito, oppure una bufala ai danni dei Cinquestelle. È un fascicolo conoscitivo “a modello 45”, cioè al momento senza indagati né ipotesi di reato.

Lo segue il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, coordinatore del gruppo di pm che si occupano di reati contro la Pubblica amministrazione ed economico-finanziari.

I fatti, smentiti sia dall’ambasciata venezuelana a Roma che dal M5S, secondo quanto racconta Abc risalgono al 2010. Tre giorni fa, il procuratore di Milano, Francesco Greco, rispondendo ai cronisti che gli chiedevano se ci sarebbero state indagini sul caso, aveva risposto che a una prima valutazione la vicenda “non sta in piedi” e che in ogni caso “è tutto prescritto”. Un’eventuale ipotesi di finanziamento illecito, infatti, sarebbe caduta in prescrizione nel 2016. Ma ora si dovranno effettuare approfondimenti innanzitutto sull’autenticità del documento venezuelano esibito come base dell’inchiesta del quotidiano spagnolo. Anche per accertare se la vicenda sia stata creata ad arte per danneggiare il Movimento 5 stelle.

In Venezuela continua intanto la perizia commissionata dal ministero della Difesa sul documento alla base delle rivelazioni di Abc. Secondo quanto riportano al Fatto fonti dell’ambasciata venezuelana a Roma, sarebbero molte le anomalie che fanno pensare a un falso. Oltre all’intestazione, ai timbri e alla data, di cui il Fatto ha già scritto tre giorni fa, gli esperti al lavoro in Venezuela hanno notato che il documento presenta delle “cancellature” e manca di un numero di protocollo. Come detto, perplessità riguardano anche l’intestazione e il simbolo dello Stato venezuelano riportati sul documento. L’atto pubblicato dal quotidiano spagnolo riporta in alto: “Ministerio de la Defensa”. Secondo fonti dell’ambasciata venezuelana a Roma, questo basta per dimostrare che si tratta di un falso: “Abbiamo cambiato i nomi dei nostri ministeri nel 2007 – spiegavano nei giorni scorsi –. Da allora tutti si chiamano ‘Ministerio del Poder Popular para…’ e così via. In quella nota del 2010, redatta dunque tre anni dopo questa modifica, non c’è il cambio del nome del ministero”. L’intestazione corretta sarebbe dovuta essere: “Ministerio del Poder Popular para la Defensa”. Un altro dubbio riguarda il simbolo dello Stato riportato sul documento. “Il simbolo è stato modificato nel 2006: da allora la testa del cavallo è rivolta verso sinistra”, hanno spiegato giorni fa dall’ambasciata venezuelana a Roma. E ora aggiungono: “Nella nota non c’è nemmeno il numero di registrazione dell’atto”. Manca insomma il numero di protocollo, elemento necessario – spiegano – per documenti con informazioni così delicate. Sulla carta sarebbero state riscontrate inoltre “cancellature” che farebbero pensare che il documento è stato “fabbricato” fuori dai canali ufficiali. In ogni modo, la perizia “di parte” è ancora in corso.

“Accolgo con favore l’apertura dell’inchiesta avviata per fare luce sul fango gettato contro mio padre”, scrive Davide Casaleggio su Facebook. “Ho depositato una querela chiedendo che venga riunita al fascicolo d’inchiesta già aperto. Non credo sia tollerabile in un sistema democratico che venga utilizzato un foglio palesemente contraffatto per screditare una persona che non c’è più. Andrò fino in fondo”.

Ora il gruppo di magistrati milanesi coordinati da Maurizio Romanelli cominceranno le verifiche, partendo da quelle che è possibile fare in Italia. Non sono poi escluse rogatorie per compiere verifiche anche all’estero.

Strage Thyssen, in semilibertà i manager tedeschi

Come temevano i familiari delle vittime della Thyssen, i manager tedeschi non faranno il carcere pieno, ma avranno diritto al lavoro esterno. Staranno in prigione di notte, ma di giorno potranno uscire. Lo ha stabilito il tribunale di Essen riguardo a Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, accusati di omicidio colposo e condannati per le morti di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. Erano gli operai della Linea 5 e persero la vita a causa dell’incendio divampato nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2007.

È stata la procuratrice generale Annette Milk, ieri, a confermare a Radio Colonia la notizia della “semilibertà” per i due tedeschi. La “offener Vollzug”, la misura che consente di uscire dal carcere per andare a lavorare, è concessa in Germania ai detenuti nel caso in cui non vi sia pericolo di fuga, reiterazione del reato e recidiva. I manager della Thyssen potranno godere anche di altri benefici: facilitazioni per la socialità interna al carcere e possibilità di fare sport all’interno dell’istituto. “Non commento”, ha detto il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, che fino a pochi giorni aveva ricevuto da Eurojust rassicurazioni scritte sulla misura del carcere per i condannati. Delusione e rabbia da parte dei familiari delle vittime. “Non è possibile, non dovevano accettarlo”, commenta Rosina De Masi, mamma di Giuseppe, che aggiunge: “Verremo in Germania, ce lo devono dire in faccia. Lo sapevo che sarebbe finita così, assassini”.

Centro Enrico Fermi, guerra al presidente sull’operazione-pulizia: “Ostruzionismo”

L’ex ministro della Ricerca, Lorenzo Fioramonti, voleva rilanciare il prestigioso Centro di Ricerche Enrico Fermi (Cref) in via Panisperna a Roma. Per questo lo scorso dicembre ha nominato presidente Luciano Pietronero, fisico alla Sapienza, a dirigerlo. Ma dal controllo amministrativo avviato dallo stesso Pietronero, sono emerse irregolarità nella precedente gestione, come l’assunzione del direttore generale nel 2019 avvenuta senza procedura selettiva, e che per questo è stato ora sospeso. Un’interrogazione parlamentare che Fioramonti sta per presentare parla di “comportamenti ostruzionistici” da parte degli organi di controllo nei confronti del nuovo vertice e di tentativi di “insabbiare” le irregolarità rilevate. Per questo chiede al ministero di intervenire per favorire l’opera di risanamento dell’ente. Pietronero, fisico di fama internazionale, ha messo a punto un modello di previsione di sviluppo economico adottato dalla World Bank di Washington per un approccio scientifico alla pianificazione economica delle singole nazioni, ora anche post crisi Covid.

A giudizio il teste pro Castellucci: trema vertice Aspi

Si chiama Paolo Anfosso il progettista di Autostrade per l’Italia (Aspi) accusato di aver mentito durante il processo per i 40 morti del bus precipitato ad Acqualonga nel luglio 2013 dopo aver sfondato dei new jersey “di secondo impianto” marci e maltenuti. È stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza e dal dibattimento che inizierà il 2 novembre potrebbero arrivare cattive notizie per l’ex Ad di Aspi Giovanni Castellucci e per il processo di Appello che affronterà ad ottobre a Napoli da imputato assolto in primo grado.

La procura di Avellino guidata da Rosario Cantelmo è infatti convinta che Anfosso non abbia detto il vero in aula per coprire gli ex vertici di Aspi su una spinosa questione: quella dell’esistenza o meno di un input del Cda dietro la decisione di non sostituire le barriere sotto accusa per la strage del bus. Non si spiegherebbe altrimenti la ‘ritrattazione’ di Anfosso tra le dichiarazioni rese alla Finanza il 31 marzo 2014 durante le indagini, e quelle rese in udienza il 17 febbraio 2017. Tre anni prima Anfosso ammette l’esistenza di “una delibera aziendale che sancisce il principio della riqualifica delle sole barriere di primo impianto”, la delibera Cda del dicembre 2008 per la quale Castellucci è imputato. Poi davanti al giudice, incalzato dal pm, afferma invece che la linea “non limitava solo alle barriere di primo impianto” e che “da approfondimenti successivi… mi risulta non ci sia una correlazione tra la delibera e quanto da me dichiarato…”. Il pm ha contestato le discrepanze. Ma il giudice ha utilizzato le dichiarazioni di Anfosso in tre pagine delle motivazioni che hanno assolto Castellucci e i vertici Aspi, addossando le colpe ai soli dirigenti di tronco (tutti condannati), e non ha inviato la testimonianza di Anfosso al pm perché “non si ravvisa il reato di falsa testimonianza”. Un altro Gip invece ne ha visto gli indizi, e ora il processo ad Anfosso è una mina vagante sull’assoluzione di Castellucci.

Soldi di Regione e Fond. Cariplo per Diasorin e ricerca sui cani

La Regione Lombardia ha stanziato 4 milioni per la ricerca sul coronavirus. Lo studio sierologico dell’Università Statale e del partner privato Medispa aspirava a 236 mila euro ma, (nonostante fosse stato già avviato a Castiglione con spese di 50 mila euro, per tamponi e kit) non è ammesso a contributo. Nella graduatoria pubblicata il 9 giugno il “triplete” nei quattro comuni ha ricevuto solo 61 punti, sotto i 64 punti necessari per essere finanziati.

Invece che la Statale, la Regione ha finanziato con 373 mila euro la Diasorin Spa (quotata in Borsa e protagonista dell’affidamento diretto ora sospeso per i suoi test sull’anticorpo IgG) e a Humanitas Mirasole Srl per “la messa a punto di un test rapido per IgA (un altro anticorpo, ndr) e antigene”.
Altri 778 mila euro vanno a Fondazione INGM, Policlinico Maggiore Università Bicocca, Consorzio Italbiotec e alla Dia. Pro. Diagnostic Biopres Srl; altri 400 mila euro vanno al CTO Gaetano Pini con i soliti Italbiotec e Dia Pro Biopres Srl.
C’era poi il bando della Fondazione Cariplo che metteva a disposizione altri due milioni di euro. Qui nella tabella spicca al primo posto il progetto ‘Covid in pet, Caratterizzazione genetica del SARS-CoV-2 e indagine sierologica in esseri umani e animali domestici per definire il ruolo di gatti e cani nella pandemia”.

Il progetto sugli animali è della PTP Science Park Scarl, controllata da Fondazione Parco Tecnologico Padano, controllata da Provincia e Comune di Lodi, leghiste ovviamente come la Regione. Tra i soci onorari c’è la Fondazione Cariplo. Il presidente del PTP Science Park è Cristiano De Vecchi già assessore al bilancio leghista della provincia di Lodi, candidato alle europee nel 2014 dalla Lega. La Fondazione ha assegnato poi 250 mila euro ciascuno all’Associazione La Nostra Famiglia di Bosisio Parini; Fondazione FIRC di Oncologia Molecolare; Fondazione Ingm; Trapiantami un sorriso e all’Ospedale Maggiore Policlinico 240 mila euro vanno all’Humanitas e 175 mila euro alla Bicocca. Anche la Fondazione Veronesi darà contributi per 1,5 milioni alla ricerca sul Covid. Tra questi 236 mila euro al Policlinico San Donato e 250 mila al San Raffaele.

Tanti affari, ma pochi test sierologici

Arrancano le grandi campagne di test sierologici varate dal governo e dalle Regioni. Il 21 aprile, Conte annunciava il grande test sierologico nazionale, che insieme ai tamponi era il quarto dei cinque punti del piano ripartenza. L’idea del Governo, portata avanti con la gara per acquistare i test del Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, era far selezionare all’Istat un campione rappresentativo per verificare la penetrazione del virus in Italia. Idea bella, ma di difficile realizzazione. Il campione era di 194 mila persone proprio per arrivare al target di 150 mila calcolando il drop-out cioè il possibile rifiuto dei contattati.

I 700 volontari della Croce Rossa (che ha siglato una convenzione per il servizio per la quale sono stati stanziati per decreto 1,7 milioni di euro) si sono scontrati con un muro di diffidenza più alto del previsto: su 149 mila persone chiamate sono stati fissati appena 49 mila appuntamenti e fatti solo 40 mila test. Solo il 35% dei chiamati si mette in fila per fare il test venoso in laboratorio.

La gara nazionale di Arcuri si era conclusa con la vittoria di Abbott che ha offerto gratis i primi 150 mila test, sperando poi di far pagare 4 euro i successivi. Nel frattempo ne sono usciti più a buon mercato (Roche ha vinto in Lombardia a 1,42 euro) ma il tema della prossima fornitura è astratto poiché hanno detto no ben 30 mila persone. Altri 70 mila devono essere richiamati mentre 35 mila circa devono ancora essere chiamati per la prima volta. Se si va avanti così bisognerà rifare il campione per mantenere la rappresentatività o lasciar perdere i 150 mila test.

Anche in Lombardia ci sono problemi, ma non di tipo statistico. La Centrale Acquisti Aria Spa ha fatto l’11 aprile un ordine da 500 mila test all’italiana Diasorin al prezzo di 4 euro per un esborso previsto di 2 milioni di euro più Iva. Fino a venerdì scorso ne avevano fatti circa 280 mila ma già Aria Spa ha fatto una nuova gara vinta da Roche il 12 giugno, offrendo il prezzo stracciato di 1,42 euro. Intanto la prima fornitura di Diasorin è stata sospesa, dopo avere comprato 300 mila test (1,2 milioni più Iva) usati dai laboratori regionali dalla fine di aprile per la ricerca degli anticorpi IgG.

Nel frattempo il Tar ha annullato la determina del 23 marzo con cui il Policlinico San Matteo di Pavia sceglieva Diasorin come partner per sviluppare i test Covid-19.

Anche se non c’era un collegamento diretto tra la sentenza e l’acquisto, Aria ha sospeso sia il vecchio affidamento senza gara sia “la possibile fornitura” post gara a Diasorin. Possibile ma improbabile perché il 12 giugno si è scoperto che Diasorin (mentre vendeva a 4 euro senza gara) ha offerto i suoi test in gara alla medesima Aria a 3,3 euro, risultando sconfitta comunque da Roche non solo sul prezzo ma anche sul punteggio tecnico. Roche è prima con 88,5 punti tra ribasso e tecnico; Siemens Healthcare seconda con 72,44; Beckman Coulter terza con 63,32; Ortho Clinical Diagnostics Italy Srl quarta con 60,53; Diasorin quinta con 59,38 punti. Poi c’è al sesto posto Bio-Rad Laboratories con 57,06 punti e Abbott, terzultima prima di Aesku (47,61) e Iper200 (46,26) anche per via dell’offerta più alta. Abbott ha chiesto 4 euro a test, solo settima e con un punteggio tecnico di 53. Il test definito migliore da Arcuri ha avuto un punteggio tecnico inferiore ai 58,5 di Roche e addirittura dei 61 di Beckman. Quest’ultima ha preso quindi il massimo punteggio tecnico ma è finita terza per il prezzo alto: 3,8 euro contro i 2,5 della seconda Siemens e 1,42 della Roche.

La gara lombarda si è conclusa e Aria comprerà tutto da Roche se farà fronte ai circa 250 mila test a settimana previsti. In realtà ne serviranno molti meno: fino a venerdì 12 giugno erano stati effettuati solo 280 mila della Diasorin.

La Regione Veneto è partita subito con acquisti di test sierologici senza gara dalla cinese Snibe distribuita da Medical System. “Allora era quello l’unico test sul mercato”, spiega il professor Mario Plebani dell’Università di Padova che ha seguito dal punto di vista scientifico l’avvio della campagna. L’Università di Padova e Verona hanno avviato uno studio per rilevare la penetrazione del virus tra i sanitari. “Su 8.800 solo il 4% – spiega Plebani – ha avuto il Covid-19 a dimostrazione che l’uso dei dispositivi di protezione funziona”. Lo studio è stato ostacolato dal blocco delle esportazioni dei test dalla Cina. “Ora sono state riaperte e finiremo lo studio allargandolo a 8 centri con Mestre, Treviso, Rovigo, Vicenza, Sant’Orso, Belluno. AziendaZero ha fatto un ordine suppletivo. Ormai è assodato che i test sierologici non possono fare diagnosi come i tamponi. Se non retrospettivamente su quei soggetti che non si erano accorti di avere avuto il Covid”, spiega Plebani. L’8 giugno, AziendaZero ha deliberato di acquistare senza gara, dalla solita Medical Systems, 50 mila test per l’anticorpo IgG e 50 mila per IgM al 4,95 euro l’uno per un totale di 495 mila euro più Iva. “Dovevamo terminare con quel tipo di test. D’ora in poi, visto che ci sono una decina di concorrenti – spiega Plebani – AziendaZero comprerà con gara”. E che gara! Il Sistema dinamico di acquisto SDA di AziendaZero prevede acquisti per 375 milioni di euro su quattro aree, di cui una sono proprio i test sierologici, per l’emergenza coronavirus.

Anche la Liguria è partita subito con i test arrivati prima sul mercato. La Centrale Acquisti regionale Alisa ha aggiudicato ai primi di aprile una commessa da 60 mila test sugli anticorpi IgG e IgM alla Pantec (che distribuisce la cinese YHLO) a 7,9 euro l’uno. Il Professor Giancarlo Icardi del Policlinico San Martino di Genova con quei test cinesi ha analizzato i campioni dei donatori di sangue raccolti da dicembre 2019 e ha fatto una scoperta: “Grazie alla collaborazione con Vanessa Agostini, direttrice dell’Unità Operativa Medicina Trasfusionale, abbiamo scoperto – spiega Icardi – che il virus circolava in Liguria già a dicembre. Abbiamo trovato quattro campioni positivi alle IgM (cioè l’anticorpo che insorge nella prima fase del Coronavirus, ndr) nei mille campioni prelevati a dicembre. Non se ne era accorto nessuno perché erano soggetti asintomatici. Due campioni presentano un valore elevato e quindi siamo più sicuri mentre altri due, con valori più bassi, lasciano qualche dubbio. Comunque parliamo di una penetrazione del virus bassa che resta stabile a gennaio e subisce un incremento solo a febbraio e a marzo, senza andare sopra l’uno per cento. Anche sul campione Istat del test del Commissario nazionale – spiega Icardi – comunque si rileva una penetrazione superiore, tra il 2,5 e il 3 per cento, ma comunque bassa”.

 

“Servono più esami e meno divieti per vacanze serene”

Lo chiamano il triplete forse perché il protocollo basato su tre test e ideato dal professore della Statale Massimo Galli è nato a Milano ed è stato applicato alla Pirelli, sponsor dell’Inter. Il triplete, adottato in tutta Italia dalle società private per la ripartenza ha subìto una sconfitta in casa. Lo studio epidemiologico avviato su quattro comuni lombardi da Galli, a sorpresa, non è stato finanziato da Regione e Fondazione Cariplo.

Professore, il vostro studio prosegue comunque?

Non commento la questione del bando. Certo, andremo avanti. Abbiamo terminato il test a Castiglione d’Adda ed è stato un grande successo: 4.250 rilevazioni su 4.550 abitanti. Abbiamo iniziato i test anche a Carpiano e poi concluderemo con Vanzaghello e Suisio. E forse non ci fermeremo qui.

Come funziona il suo “triplete”?

Declino ogni responsabilità su come l’avete battezzato, toccando un tasto per me sacro. Scherzi a parte, facciamo prima i test rapidi pungidito a tutti. Poi, solo ai positivi alla rilevazione di IgG o IgM (gli anticorpi stabili o quelli di inizio malattia, ndr) facciamo anche il test venoso quantitativo (stiamo utilizzando più di un metodo) e infine il tampone. Questi ultimi due esami li facciamo non solo ai positivi ma anche a un campione dei negativi al kit pungidito, come controllo. Il tutto, sottolineo, a spese del progetto, fino a che avremo donazioni per questa ricerca.

Il risultato di Castiglione era atteso. In uno dei paesi più colpiti dal virus con molti morti, avete rilevato “solo” un 25% del contagio contro il 70 rilevato nello stesso comune in un campione però di donatori del sangue dell’Avis. Perché questa differenza?

Questo è quello che ci risulta, ed è confermato anche incrociando i risultati ottenuti con i test sierologici convenzionali e nei controlli negativi al pungidito. Saranno da capire le ragioni di questa differenza. Va ricordato comunque che noi abbiamo valutato l’intera popolazione, a ogni età.

Si è parlato invece del 58% di infetti tra i soggetti (autoquarantenati) sottoposti al test della Regione a Bergamo. Con quella percentuale c’è immunità di gregge?

Chi dice che con il 60% si raggiunge l’immunità di gregge fa solo una sparata senza una vera base scientifica. Per quel che possiamo sapere la soglia potrebbe essere l’80 o anche il 90%.

Il test nazionale del Commissario per l’emergenza Coronavirus Arcuri va a rilento. Due su tre cittadini non vogliono farlo o nicchiano. Perché?

A Castiglione l’adesione al nostro test invece è stata plebiscitaria, superiore al 90 per cento, perché il contagio è stato molto diffuso. Anche a Carpiano, dove il contagio è vicino allo zero, l’adesione è altrettanto forte. Probabilmente la Lombardia ha vissuto il coronavirus con modalità talmente drammatiche da indurre una sensibilità particolare. O forse il pungidito piace di più.

I cittadini hanno paura di assoggettarsi al test sierologico perché poi rischiano di restare bloccati in attesa e in quarantena?

In questo paese sembra che ci sia un atteggiamento prevalente nelle autorità sanitarie a disincentivare il test. Un errore gravissimo, specie se non viene data al più presto la chiara indicazione che chi risultasse IgG positivo e tampone negativo può rientrare a svolgere le sue normali attività.

Quanti positivi al test sierologico sono positivi anche al tampone?

A Castiglione molto pochi. Nel nostro protocollo, chi risulta positivo al pungidito fa subito il tampone e riceve la risposta il giorno dopo. Il che aiuta.

Che consigli darebbe alle regioni come Sardegna, Puglia o Calabria per ricevere i turisti?

Non è pensabile e sarebbe anche inutile “tamponare” tutti alla frontiera. Bisognerà fare molta attenzione, ci vuole un’attenta sorveglianza che colga l’apparire di eventuali focolai prima che si diffondano. In una recente conferenza con colleghi spagnoli, che sottolineavano di averci sorpassati nella classifica del numero di casi di Covid ho parlato di Ranking mentiroso, perché i casi veri in Italia sono stati molti di più come nel resto d’Europa con moltissimi asintomatici.

2019, al telefono la nomina era “da evitare”

“Ma Cantone ha fatto la domanda?” scrive il parlamentare pd Cosimo Ferri a Luca Palamara, il 5 febbraio 2019. Cosimo Ferri, ex sottosegretario alla Giustizia, è stato un magistrato con grandissima influenza nella corrente di Magistratura Indipendente. Palamara in quel momento è il vero leader di Unicost. “Ma per dove?”, chiede Palamara a Ferri, che gli risponde: “Per Perugia, lo sapevi?”. Ferri ritiene che sia per questo motivo che l’attuale procuratore generale di Ancona, Sergio Sottani, non ha presentato domanda per Perugia. Al Fatto risulta che il procuratore generale di Ancona non fosse informato della candidatura per la Procura di Perugia, alla quale non era interessato.

Se la nomina di Cantone alla guida della Procura di Perugia, per Palamara, è “da evitare assolutamente”, un motivo c’è. Non teme per se stesso, per l’indagine che lo vedrà indagato, della quale sa almeno dal settembre 2018. Il suo timore – se incrociamo questo scambio di battute con le altre intercettazioni del fascicolo che vede Palamara indagato per corruzione – è un altro: probabilmente ritiene che Cantone non sia il procuratore adatto a indagare sull’esposto che, proprio in quei mesi, il pm Stefano Fava sta per presentare a Perugia. Un esposto sull’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e sull’aggiunto Paolo Ielo.

Infatti Fava – anch’egli poi indagato a Perugia per rivelazione del segreto e favoreggiamento nei riguardi di Palamara – nella primavera del 2019 presenta un esposto al Csm, affinché si valuti la posizione di Pignatone che, a suo avviso, avrebbe dovuto astenersi da un fascicolo d’indagine (del quale lo stesso Fava era titolare e che gli sarà revocato). Nell’esposto si accenna anche alle modalità di astensione del procuratore aggiunto Paolo Ielo.

Fava però intende andare oltre: denunciare la vicenda a Perugia. E nella strategia di Palamara per il futuro della procura di Roma – per la quale punta sul procuratore generale di Firenze, Marcello Viola – la denuncia di Fava assume un ruolo centrale: è necessario nominare un procuratore che porti avanti la pratica che riguarda Ielo e Pignatone. Intercettato con l’ex consigliere del Csm Luigi Spina, per esempio, quando si discute della possibilità che a guidare la procura di Perugia sia Giuseppe Borrelli (ovviamente estraneo a questa vicenda) Palamara dice: “…oh Borrelli… è molto appoggiato da Area (la corrente di sinistra interna alla magistratura, ndr)”. Spina conferma che l’influente magistrato di Area, Giuseppe Cascini, ne appoggerebbe la candidatura. E Palamara è un problema: trova impossibile poter condividere il suo vero intento con Cascini che, peraltro, è procuratore aggiunto proprio a Roma. Equivarrebbe a rivelargli il suo piano: “oh e come faccio a parlargli dei cazzi di perugia che Stefano tra gli altri vuole denunciare Ielo e Pignatone a Perugia… ”. Non sarà la prima volta che Palamara esprime questo suo interesse: vuole che si insedi un procuratore che porti avanti il futuro esposto. Esposto che Fava, però, non ha mai presentato perché, nel frattempo, è finito indagato. Ha fatto altro, però. Interrogato, ha depositato ai pm perugini gli atti in suo possesso affinché – se ne avessero ravvisato gli estremi – potessero aprire un fascicolo d’ufficio. Non sappiamo se sia mai stato aperto. Nel caso dovrebbe gestirlo proprio Cantone che, per Palamara, era “da evitare assolutamente”. E adesso, proprio di Fava e Palamara, da procuratore capo, gli toccherà occuparsi.

Perugia, Cantone procuratore. Si occuperà di Palamara & C.

Per la prima volta da quando c’è questo Consiglio, che passerà alla storia come il Csm del caso Palamara, i laici hanno votato compatti per una nomina. Non una qualsiasi, quella del procuratore di Perugia, ufficio che con l’indagine per corruzione su Luca Palamara ha innescato lo scandalo nomine, che ha portato alle dimissioni di 5 togati e del Pg della Cassazione Riccardo Fuzio.

A Perugia andrà, come anticipato, Raffaele Cantone, che ha ottenuto 12 voti contro gli 8 del procuratore aggiunto di Salerno Luca Masini. Sono volate frecciate e controfrecciate tra Piercamillo Davigo (relatore per Masini) e Nino Di Matteo in particolare da una parte, laici e togati di Area (progressisti) e Giuseppe Cascini in particolare dall’altra. Al centro del dibattito il caso Palamara e l’opportunità di scegliere per la Procura che indaga Cantone che, al di là della sua reputazione specchiata, è fresco di un fuori ruolo per molti di natura politica. Per Cantone hanno votato oltre ai 7 laici (Benedetti, Donati, Gigliotti di M5S; Cerabona e Lanzi, FI; Cavanna e Basile, Lega) anche i 5 togati di Area (Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro). Per Masini i 5 togati di Autonomia e Indipendenza e i 3 di Magistratura Indipendente, conservatori (Braggion, D’Amato, Micciché).

Apre il plenum il presidente della Quinta commissione Mario Suriano, relatore per Cantone: ricorda la lotta al clan dei Casalesi da pm di Napoli passando alla presidenza dell’Anac e alla sua determinazione nel prevenire la corruzione. Chiude con la spinosa attualità: “Dalle chat vediamo che Cantone non doveva andare a Perugia, secondo persone vicine” a Renzi “che lo nominò all’Anac”. Il riferimento è a Palamara che dice a Cosimo Ferri, toga in aspettativa e deputato di Iv: “Da evitare assolutamente”. Immediata la replica di Davigo: “Di Masini non si parla proprio, quindi è ancora meglio. Qui non stiamo discutendo della professionalità di Cantone e di Masini, indiscutibile, ma di chi ha più titoli. Quello che fa infuriare i magistrati sono le scorciatoie. Non sono contro i fuori ruolo, ma non si passa direttamente da un fuori ruolo a un incarico direttivo ”. Aggiunge: “Credo fermamente nella separazione dei poteri e far discendere una prevalenza del candidato dalla guida dell’Anac, assimilando tale attività, preventiva, a quella dell’attività giudiziaria, repressiva, mi sembra allarmante ”.

Quanto alla comparazione dei curriculum, Davigo rileva che Masini da “27 anni fa il pm in uffici dal Nord al Sud”, Cantone ha fatto il pm per 15 anni solo a Napoli e da “oltre 12 anni” non lo fa più. Concorda Nino Di Matteo, che confida di essere in rapporti con Cantone di “profonda stima”: è del suo stesso concorso, come Masini.

Aggiunge che è “indubbia l’imparzialità di Cantone, ma noi dobbiamo garantire l’apparenza della imparzialità. Cantone ha ricoperto un prestigioso incarico politico, non è opportuno che vada a dirigere proprio quella procura competente sui magistrati di Roma e su ipotesi di reato che possono riguardare a vario titolo politici o ambienti di potere romano connessi a quella stessa compagine politica che fu decisiva nella sua nomina” come la vicenda “Palamara-Lotti”. Per i laici è una “forzatura” dire che la nomina dell’Anac è politica. “Mi spiace, dice Benedetti, che proprio i magistrati non apprezzino che fu scelto un magistrato alla guida del- l’Anac a rafforzamento della terzietà di questo organo”. Cascini, accusa i togati di AeI ed MI di inventarsi la normativa: “Attenti a convincerci che ci sono regole che, invece, non ci sono”. Votando Cantone, come gli altri di Area, va contro una delibera della sua corrente schierata per lo “sbarramento” a chi è appena rientrato da un fuori ruolo. E con la riforma Bonafede, Cantone non sarebbe stato nominato procuratore: per chi rientra da un fuori ruolo per 2 anni non può concorrere a incarichi direttivi.

Il vicepresidente Ermini non ha partecipato al voto, assente il Pg della Cassazione Giovanni Salvi, che sta lavorando sui profili disciplinari del caso Palamara. Astenuti il presidente della Cassazione Mammone e i tre togati Ciambellini, Grillo e Mancinetti di Unicost, la corrente centrista di Palamara.