Domani il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura nominerà, dopo nove mesi di vacatio, il nuovo procuratore della Repubblica di Perugia, ufficio, come è noto, strategico per essere competente in ordine ai reati commessi dai magistrati romani. Si tratta di un momento importante che potrà dimostrare se il Csm intende effettivamente riacquistare quella credibilità fortemente compromessa dallo “scandalo Palamara”, che ha fatto emergere quell’inqualificabile “mercato delle nomine” cui erano dedite le correnti associative e lo stesso Csm, sistema scorretto, duramente censurato dal capo dello Stato.
In proposito, non può non condividersi quanto scritto sul Fatto Quotidiano, sabato scorso, da Mario Serio – che negli anni 1988-2002 è stato ottimo componente del Csm – il quale si augura che “non prevalga, ancora una volta, l’indirizzo premiale degli indisciplinati scorrimenti da funzioni estranee alla magistratura, e contigue alla politica, a ruoli giudiziari direttivi”.
Le argomentazioni di Serio fanno evidente riferimento al contesto del raffronto tra i curriculum professionali dei due concorrenti rimasti in gara per il posto direttivo di procuratore di Perugia: l’uno, Luca Masini (che in commissione ha ottenuto due voti), da quattro anni procuratore aggiunto a Salerno e che per molti mesi ha svolto le funzioni di titolare dell’ufficio; l’altro, Raffaele Cantone (che ha ottenuto tre voti), in servizio presso il massimario della Cassazione, dopo essere stato, dal 2015 al 2019, capo dell’Anticorruzione, e che da oltre dieci anni non esercita le funzioni di pm. Una vittoria di Masini significherebbe che il Plenum, sconfessando il parere della commissione, è finalmente intenzionato a prendere atto:
A) che, ai fini della nomina a un incarico direttivo (nella specie, procuratore della Repubblica), un candidato che non ha mai avuto un incarico semidirettivo, non può prevalere su chi, con merito, ha svolto per anni tali funzioni semidirigenziali e che, per lungo tempo, ha esercitato, addirittura, quelle direttive di procuratore capo, e che, peraltro, ha da sempre esercitato le funzioni di pm;
B) che le diverse funzioni svolte dal magistrato fuori ruolo non possono costituire alcun valore aggiunto, ma devono, anzi, ai fini della nomina a posti direttivi (tanto più se di procuratore della Repubblica), essere valutate negativamente sia per il prolungato, mancato esercizio delle funzioni giurisdizionali sia per la vicinanza al potere politico che quella nomina comporta.
Così operando, il Csm anticiperà meritoriamente quanto il governo sta per approvare nel progetto di legge delega al Parlamento sulla riforma dell’ordinamento giudiziario ove, in proposito, non a caso, è previsto che “i magistrati collocati fuori ruolo per l’assunzione di incarichi apicali… non possono far domanda per accedere a posti direttivi per un periodo di anni due a decorrere dal giorno di cessazione dell’incarico”.