Non è un governo tutto “Venezuela e Cgil” come insinua rozzamente Matteo Salvini. Ma certo, a giudicare dalla puntata di ieri degli Stati generali, governo e sindacati stanno vivendo una fase di grande intesa.
Giuseppe Conte, nell’attirare a sé i tre leader di Cgil, Cisl e Uil ascoltati al mattino prima ha annunciato che il Consiglio dei ministri avrebbe varato il decreto per estendere di 4 mesi le 14 settimane di Cassa integrazione già usufruite per l’emergenza Covid, ma anche che gli ammortizzatori sociali vanno riformati. Poi, ha rispolverato alcuni cavalli di battaglia del riformismo storico: il lavoro non solo “come fonte di reddito” ma come fonte di “senso e significato” in nome dell’articolo 4 della Costituzione – “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ma il premier si è spinto ancora oltre ricordando il “trentennio d’oro” del dopoguerra, quella fase di compromesso keynesiano tra capitale e lavoro che non solo ha consentito la ricostruzione del dopoguerra, ma ha poi portato alle conquiste sociali di fine anni 60.
Così, il programma che Conte ha presentato ai sindacati, basato sulle slide del “programma di Rilancio” ha visto sciorinare oltre alla “riforma e semplificazione degli ammortizzatori sociali”, “il rinnovo della disciplina della Naspi”, “l’istituzione di un salario minimo” o “la detassazione dei rinnovi contrattuali”, il “Documento Unico di Regolarità Contributiva su appalti e subappalti”, il contrasto al caporalato e al lavoro nero, l’incentivazione del welfare contrattuale. C’è spazio anche per una “rimodulazione dell’orario di lavoro” legato all’utilizzo dello smart working, e poi “i contratti di espansione”, il contrasto al part-time involontario o, ancora, “la partecipazione e la co-gestione dei lavoratori in azienda” con un passaggio impegnativo sulla “responsabilità sociale d’impresa” nella prospettiva di “un nuovo paradigma socio-economico, perché l’imprenditore non è solo responsabile verso l’attività economica, ma ha anche una responsabilità giuridica, sociale, morale nei confronti di tutta la comunità in cui opera”.
“A orecchio sento tanti titoli condivisibili e un interesse comune”, ha detto nel primo intervento Maurizio Landini, mentre Annamaria Furlan, della Cisl, ha espresso un “giudizio positivo” sperando però che tutto questo porti a “un patto sociale forte”.
E allora si passa al vero punto dell’incontro, al di là dell’esposizione delle reciproche priorità. I sindacati si rendono conto che il premier ha in testa un dialogo forte e sincero con i sindacati – da segnalare che nel pomeriggio sono stati invitati anche i sindacati più radicali come Cobas e Usb –, ma vogliono capire come tutto questo si traduca in “accordi scritti”. Landini ha fatto l’esempio del Patto sulla sicurezza, concordato tra sindacati e governo e tradotto in un Dpcm: “Non pretendo che ogni nostro accordo diventi legge – ha chiosato – ma vorremmo capire come parteciperemo alla realizzazione dei progetti”.
Che saranno tanti e con risorse mai viste prima. La partita è tutta qui, nell’impiego dei fondi e quindi in una trattativa che ha un interlocutore ieri apparentemente assente, ma presente nella testa di tutti. Dal canto suo, Carlo Bonomi, nuovo presidente di Confindustria, si è fatto sentire tenendo una conferenza stampa per i giornalisti esteri in cui ha annunciato che si presenterà agli Stati generali con “un piano” di cui, addirittura, avrebbe fatto “un libro”.
“Benissimo – ha ironizzato Conte – vuol dire che la mia battuta sul fatto di non presentarsi solo con il taglio delle tasse ha funzionato”. Punzecchiature che misurano la distanza tra i due che, a parte il dettaglio su quanti soldi saranno allocati qui o là (Irap, incentivi, finanza agevolata, grandi opere) ha come sfondo uno scontro più ampio. Ieri, Bonomi non ha attaccato casualmente “la disastrata gestione dello Stato imprenditore” in Alitalia e Ilva tanto da irritare anche il paludato Antonio Misiani, viceministro Pd dell’Economia: il timore di uno Stato più forte dopo la crisi pandemica ossessiona gli imprenditori mentre Maurizio Landini propone “un’Agenzia pubblica per lo sviluppo” in grado di orientare gli investimenti e quindi tenere sotto il pieno controllo pubblico le principali leve economiche.
Resta da segnalare la definitiva scomparsa di Vittorio Colao: nel giorno della sua relazione e nonostante i ringraziamenti di Conte per l’operato svolto, i temi della task force sono praticamente accantonati e il programma di Rilancio, al momento, è saldamente nelle mani del presidente del Consiglio. Del resto, questi Stati generali servono anche a questo e a quanto pare stanno funzionando.