Un paese ameno in provincia di Brescia. Dal nome immaginifico, degno delle novelle boccaccesche. E in cui con regolarità certosina un signore in divisa gira negozi e bancarelle prelevando il dovuto, ossia quanto a suo insindacabile parere ambulanti e negozianti sono tenuti a conferirgli in omaggio. Non volendo far nomi ma volendo occuparci a lungo di questo scandalo, almeno finché non sarà cessato, daremo a questo paese un nome diversamente immaginifico. Lo chiameremo Vigata, come il paese dei romanzi di Camilleri. Ma, per non confonderlo con quello, lo chiameremo Vigata Nord. Ecco, di Vigata Nord si è occupato Il Fatto lunedì scorso, incrociando per caso, nel frattempo, le riflessioni del direttore del Giornale Alessandro Sallusti sulla mafia e i siciliani. Ha detto in tivù il direttore che la mafia è colpa anche dei siciliani perché sono omertosi, e che la mafia attecchisce là dove la si lascia attecchire. E io ho giusto pensato, per mio malato istinto, a Vigata Nord. Dove i negozianti e gli ambulanti sanno e vedono, tanto da avere affibbiato a questo signore – un vigile, pare – un gustoso soprannome, “Sportina”, per indicare l’oggetto in cui stipa gli omaggi che riceve, o il pizzo che esige, a seconda dei punti di vista. Ma subiscono in silenzio.
Ecco, il fatto che una comunità onesta e timorata di Dio si lasci imporre una prepotenza senza reagire, mi colpisce. Che una sola persona riesca a forgiare di fatto i costumi di un paese mi sgomenta. Anche perché dopo l’articolo di lunedì scorso è accaduto che sia arrivato a Vigata Nord un giornalista (non del Fatto) a cui dalla breve descrizione era sembrato di riconoscere il paese e vi si è dunque recato per rivolgere qualche domanda. Non ha chiesto nomi. Ha domandato solo se ci fosse per caso un vigile che così e così. Gli interpellati, gli stessi che si danno di gomito parlando di “Sportina” con i propri compaesani, hanno tutti negato. Un vigile, dice? Mai visti fatti del genere.
Ora, a Vigata Nord esistono un paio di beni confiscati. E naturalmente chi ci aveva messo tenda non ha nulla a che fare con la comunità locale. Però possiamo dire che se cercava una comunità che non gli creasse problemi se l’era scelta bene. Chi ha paura dei moscerini, mai avrebbe denunciato qualcuno in fama di mafioso, a meno che – stupidamente – questi non avesse fatto, per dirla sempre con Camilleri, una “ammazzatina”. Ecco perché ho pensato alla esternazione di Sallusti. E ho inneggiato dentro di me a due donne di Vigata Nord: la signora che vedendo per due-tre volte con i suoi occhi “Sportina” all’opera si è scandalizzata, e la commerciante ambulante di generi di abbigliamento che ha resistito indignata alla sua pretesa di pizzo detto omaggio. Due donne.
E donna è anche la magistrata di cui nei giorni scorsi ho letto una bellissima, dignitosissima lettera aperta a Luca Palamara. E, vedete gli scherzi dell’antropologia, qui si passa da Vigata Nord alla Calabria. Si chiama Silvana Ferriero, questa magistrata. Ricorda i tempi del comune (con Palamara) uditorato romano, e rammenta di averlo vissuto come una specie di pierre – nel senso di pubbliche relazioni – degli uditori. Poi, racconta, al momento della scelta delle sedi presero strade diverse. Lei “in Calabria a fare il giudice civile, uno di quelli che smazzano carte per dieci ore al giorno, lontani da ogni riflettore e con l’incubo costante dell’arretrato e delle possibilità di incorrere in qualche ritardo nei depositi”. Quanto a Palamara, “non ricordo dove ti condusse la tua strada nell’immediato, ma so che in seguito fu costellata di tappe che sulla mia mappa non erano neanche segnate.” Cercatela, leggetela. È una lettera che fa capire perché alla fine questo Stato regga. Nonostante Palamara e “Sportina”, ognuno nel suo habitat. La magistratura che conta e Vigata Nord.