Brennero, sotto inchiesta il manager “austriaco”

La Procura di Trento indaga sugli appalti del tunnel del Brennero. Nel mirino dei pm è finita soprattutto la parte austriaca della maxi opera. Tra gli otto indagati Konrad Bergmeister, già amministratore di parte austriaca della società pubblica Brenner Basistunnel che realizza l’opera (64 km per 9 miliardi). Quel Bergmeister che con il suo studio di ingegneria di Bolzano è figura chiave del potere alto-atesino targato Süd Tiroler Volkspartei. Il suo nome è ovunque: tunnel, appalti, politica, università, banche. È stato anche consulente di René Benko, il miliardario austriaco che, con il benestare Svp, ha investito oltre mezzo miliardo in progetti immobiliari a Bolzano (dal nuovo quartiere in pieno centro all’aeroporto).

Un anno fa all’interno della Bbt scoppia un caso diplomatico: Italia contro Austria. E per una volta è l’Italia denuncia ritardi e spese folli per una grande opera. Raffaele Zurlo, l’amministratore italiano, entra in conflitto con la controparte austriaca; Bergmeister, appunto. A denunciare il caso è Filippo Degasperi, consigliere provinciale di Trento (ex M5s). Nelle interrogazioni sul tunnel punta il dito su quattro cantieri austriaci. Degasperi parla di mille giorni di ritardo, di extracosti che in un solo lotto toccano i 229 milioni. Intanto parte l’inchiesta. Nei giorni scorsi sono arrivate le perquisizioni nello studio di Bergmeister e nella sede della società Emaprice che realizza infrastrutture. Le ipotesi di reato, ha scritto il Corriere del Trentino, sarebbero turbata libertà degli incanti, truffa, falsità materiale, peculato e rivelazione di segreto d’ufficio. La Finanza ha allargato la ricerca ad altre quattro opere, tra cui lo svincolo di Trento Nord (30 milioni). Degasperi aveva evidenziato un potenziale conflitto di interessi di Bergmeister: amministratore di Bbt, ma anche progettista per conto della Emaprice. Degasperi aveva sottolineato che l’impresa aveva sede nel palazzo della fondazione Sparkasse: il presidente è Bergmeister.

“Duce, duce, duce!” al Circo Massimo: tra botte e insulti è solo una pagliacciata

Il sangue sul volto di un giornalista che impreca: “Non ho una lira e mi hanno sfasciato mille euro di telecamera”. I cori “libertà, libertà” e “duce, duce, duce” dopo l’inno di Mameli che diventa canto di tenebra a causa degli interpreti sbagliati. Un paio di cariche contro polizia, carabinieri e cronisti, appunto, minacciati dal solito slogan ultrà “giornalisti terroristi, giornalisti terroristi”. Forse duecento persone, magliette bianche più che nere; tipo umano: palestrato pieno di tatuaggi, capelli rasati e qualche barba. Pochissime donne, a sancire la superiorità del genere femminile su quello maschile. Restano queste immagini del surreale pomeriggio romano in cui il Circo Massimo è stato consegnato ai fascisti di Forza nuova, accompagnati da qualche ultrà proveniente da Brescia e Napoli insieme con i noti “irriducibili” della Lazio orgogliosi di sfoggiare le magliette di Diabolik per inneggiare a Fabrizio Piscitelli, il loro leader narcotrafficante legato agli ambienti criminali della città ucciso quasi un anno fa, il 7 agosto 2019 al parco degli Acquedotti da un sicario che fingeva di essere un runner.

Siccome il quadro già così appare troppo grottesco, la miccia che fa partire la prima carica fascista è un bisticcio tra camerati: il già no-Vax e già candidato di Giorgia Meloni alle regionali del Lazio Simone Carabella e il forzanovista più volte arrestato Giuliano Castellino; il primo si stava facendo intervistare. Ma come? Non avevamo detto “giornalisti terroristi, giornalisti terroristi”? Vola qualche “pizza”, uno schiaffo da Castellino a Carabella, operatori, fotografi e giornalisti si avvicinano per capire; “all’armi all’armi”: parte il grido di guerra e spranghe tricolore in mano i più esaltati corrono sferrando mazzate, calci e pugni alla rinfusa. Volano bottiglie e petardi. Qualcuno casca per terra, trascinato via dagli agenti. Qualche arresto. Poi dal palco sistemato nel deserto dell’assolato Circo Massimo, che pochi momenti prima allietava l’atmosfera ad esempio coi Carmina Burana, c’è chi prende il microfono: “Scendete, venite qua, stiamo compatti, basta, facciamo il loro gioco così”. Per poi partire con un comizio di questo tenore: “Ci hanno tenuti chiusi in casa per tre mesi, ma noi siamo gente che lavora”.

Nel frattempo ai lati della spianata del Circo Massimo brucia qualche sterpaglia dopo un’altra scaramuccia con la polizia. Gli argomenti dal palco si esauriscono presto, il risultato è che la grande adunata fascista, autorizzata fino alle 18.30, alle 17 non ha già più motivi per esistere e si scioglie. Tutto finito. Davanti al cordone della polizia un camerata rivela a squarcia gola: “Il problema è da sempre la massoneria, il primo massone è qui in Vaticano, è Cristo!”.

Compagnie aeree low cost in fuga dal contratto unico

Un contratto unico con un minimo retributivo per i dipendenti di tutte le compagnie che volano in Italia, da quelle nazionali piccole e residuali, come Blue Panorama e Neos, fino alle grandi low cost internazionali, comprese Ryanair di Michael O’Leary o la spagnola Volotea, particolarmente insofferenti nei confronti di qualsiasi regola contrattuale. Volotea, per esempio, rispetta solo un regolamento interno scritto con ottica unilaterale e aziendale. L’indicazione del contratto unico è contenuta in un articolo del decreto Rilancio e sta scatenando un putiferio nel mondo dei voli, ancora intento a leccarsi le ferite profonde da Covid e scalpitante in vista dell’auspicabile ripresa. E sta generando pure tra le file del governo qualche frizione, con la ministra Pd Paola De Micheli favorevole al provvedimento, mentre il sottosegretario 5 Stelle ai Trasporti, Giancarlo Cancelleri lo contesta e auspica venga riscritto.

Le low cost contrarie alla novità hanno costituito in fretta l’associazione Aicalf per contestarla. Minacciano di abbandonare i cieli italiani, dove si sono trovate benone in questi ultimi anni pre-Covid e dove si sono ingrassate contribuendo, di fatto, ad affossare la ex compagnia di bandiera. Ritengono, in sostanza, che la misura del governo abbia come punto di riferimento non il miglioramento del mercato nazionale, ma proprio le sorti di Alitalia che non riesce a trovare la via della ripresa nonostante i 3 miliardi di euro stanziati a suo favore dal governo. Secondo Aicalf la riprova è che il contratto che il governo sta imponendo per decreto è proprio quello applicato in Italia solo da Alitalia, siglato 6 anni fa. Quest’ultimo aspetto, cioè che il contratto è scaduto e vada rifatto, è il punto su cui insistono i sindacati favorevoli alla norma del governo. Essi sostengono che tutte le compagnie, low cost comprese, possono far pesare le loro posizioni in occasione del rinnovo contrattuale.

Bonus bici: i 120 milioni stanziati sono pochi. Adesso si rischia il click day (e la fregatura)

Il rischio del click day per il bonus biciclette, fino a 500 euro per il 60% del valore del mezzo, è sempre più concreto. Il plafond da 120 milioni di euro previsto dal dl Rilancio non dovrebbe riuscire a finanziare l’acquisto di tutte le bici, e-bike e monopattini che i maggiorenni residenti in Comuni con almeno 50 mila abitanti stanno acquistando dal 4 maggio. Ma se il fondo sarà in grado di assegnare gli incentivi solo a 350 mila persone, in quasi tutti i negozi le scorte di bici sono finite. La norma non chiarisce a chi dare la precedenza nel rimborso. Il ministro all’Ambiente Sergio Costa ha chiesto di aumentare lo stanziamento, ma il danno è fatto. Il decreto ha dato il via libera agli acquisti, con l’indicazione che in seguito sarebbe avvenuto il rimborso, prima che fosse resa operativa l’applicazione web che si occuperà di ridare i soldi ai beneficiari. Ma c’è anche un altro problema. Anche se è previsto che il rimborso avvenga solo con la fattura, sono già migliaia le segnalazioni di chi ha ricevuto lo scontrino, perché le indicazioni sull’acquisto non erano chiare.

Il csm fa harakiri (e B. se la ride)

Un magistrato deve parlare solo “per atti e documenti”: così si diceva, e si faceva, una volta. Oggi i magistrati sono perennemente presenti nel dibattito pubblico, peggio degli epidemiologi, dei virologi, degli immunologi in epoca di Covid, danno interviste, vanno in televisione. Sono divisi in correnti, di sinistra, di destra, di centro, facendo così trapelare la propria ideologia. E questo è un danno per la loro funzione così delicata perché per avere la fiducia dei cittadini un magistrato non solo deve essere imparziale ma anche apparirlo.

Sempre più spesso si presentano in politica approfittando della notorietà che hanno acquisito come magistrati (De Magistris, che aveva almeno l’attenuante di essere stato cacciato dal Csm, e Ingroia), gettando così un’ombra sulle loro attività pregresse, anche qualora le abbiano svolte in modo imparziale. Si dirà che qui sono in gioco diritti individuali garantiti dalla Costituzione: la libertà di espressione e quella di partecipare alla vita politica. Ma ci sono delle professioni istituzionali che conoscono necessariamente dei limiti a queste libertà. Il Presidente della Repubblica non può esprimersi a favore di questo o quel partito. Gli stessi limiti valgono per un magistrato, a garanzia della sua credibilità che è il bene più prezioso, e insieme il peso gravoso, che si porta addosso.

Da un magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, dipendono la libertà, l’onorabilità e anche l’economia di un cittadino e quindi non può comportarsi come chi queste responsabilità non ha. Altrimenti saremmo capaci tutti. Ci fu un tempo in cui il magistrato doveva anche limitare le proprie frequentazioni private. Era destinato alla solitudine. Alla generale degenerazione, etica e culturale, dell’intera società italiana non poteva sfuggire nemmeno l’Ordinamento giudiziario. A gettare ulteriore discredito sulla nostra magistratura ha contribuito potentemente, facendo un clamoroso e penoso harakiri, il Csm (caso Palamara e dintorni). I nostri Padri costituenti, poiché uscivamo dal Fascismo, vollero una Magistratura indipendente e autonoma dagli altri poteri dello Stato, esecutivo e legislativo, secondo la classica tripartizione che risale a Montesquieu. Anche se lo stesso Fascismo ebbe parecchie difficoltà a piegare ai propri voleri i magistrati ordinari, tanto forte era in loro la convinzione che quello del magistrato non fosse un mestiere come un altro ma una vocazione, come dovrebbe essere quella dei medici, e per certi reati dovette creare dei Tribunali Speciali. Però perché la Magistratura non rimanesse del tutto avulsa dalla realtà sociale, i Costituenti stabilirono che il Csm, da cui dipendono le carriere dei magistrati, gli spostamenti di sede, le azioni disciplinari, fosse formato per due terzi da magistrati di professione, i togati, e per il rimanente terzo votati dal Parlamento e scelti tra “professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”(art.104 Cost.), i cosiddetti laici. E cosa hanno fatto i partiti? Hanno inserito nel Csm uomini politici di loro gradimento, mascherati da “professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio”. E così, fra finti laici e le varie correnti ideologizzate della Magistratura, la frittata è completa.

Il magistrato esemplare, a mio avviso, è Henry John Woodcock che non a caso è di origine inglese come quel docente, Philip Laroma Jezzi, che rifiutandosi di parteciparvi smascherò le truffe dei concorsi universitari. Mai un’intervista, che io ricordi, mai una comparsata televisiva. Woodcock è uno che non parla delle proprie inchieste nemmeno con la sua fidanzata. Woodcock, come pm, ha condotto importanti inchieste che coinvolgevano tutte le aree politiche. Ovviamente un magistrato del genere è detestato dall’intero “arco costituzionale” e non, che non ama che si vada ad aprirgli le chiappe per scoprire, quasi sempre, che ha il culo sporco di corruzione. Innumerevoli sono le volte in cui Woodcock è stato deferito agli organi disciplinari per delle irregolarità che non ha mai commesso come è stato costretto ad ammettere, a denti stretti, lo stesso Csm. Da una fotografia che ritraeva Woodcock, che è un bell’uomo, aitante, a cavallo di una motocicletta, il Giornale dedusse che era inequivocabilmente “di sinistra” (la canzoncina di Gaber) e apparteneva quindi alla “magistratura politicizzata”. Nella loro inesausta campagna di delegittimazione della Magistratura, i media berlusconiani si sono spinti anche oltre, fino al grottesco. Il giudice Raimondo Mesiano, che aveva condannato la Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti, fu filmato da Mediaset mentre seduto su una panchina fumava una sigaretta e sotto il risvolto dei pantaloni si vedevano dei calzini color turchese. Gli sgherri di Berlusconi ne dedussero che era un tipo strano non adatto alla professione di magistrato.

I magistrati indipendenti stanno sui coglioni a tutti, ma in particolare a Berlusconi dati i suoi precedenti e presenti (nove “non doversi procedere” per prescrizione, in tre dei quali la Cassazione accertò che i reati addebitatigli li aveva effettivamente commessi; condanna definitiva per una gigantesca frode fiscale da 360 milioni di dollari, quasi tutti prescritti; una mezza dozzina di procedimenti penali in corso). Così il Giornale, approfittando dell’indubbia degenerazione di parte della Magistratura, ha tutto l’interesse a pescare nel torbido e a fare di ogni erba un fascio. Sul Giornale del 26 maggio Alessandro Sallusti, che ha ormai perso la sinderesi, scrive che “Mani Pulite è stata una truffa giudiziaria”. Sallusti dice ciò che pensa, ma forse non pensa a ciò che dice. Una “truffa giudiziaria”? Sono passati quasi trent’anni e in quel periodo storico c’era una Magistratura diversa, che cercò di richiamare anche le classi dirigenti al rispetto di quelle leggi che tutti noi cittadini siamo obbligati a osservare. Quelle di Mani Pulite furono inchieste basate su carte, su documenti bancari, su confessioni degli indagati, su trasferimenti di ingenti somme di denaro che gli stessi indagati non riuscivano a giustificare se non con un fumoso e inconcludente politichese (il “che ci azzecca?” di Antonio Di Pietro).

I ‘berluscones’ sono ineffabili e quasi affascinanti nella loro faccia di tolla. Maria Elisabetta Alberti Casellati Mazzanti Vien dal Mare, attuale presidente del Senato in quota Forza Italia, in un’intervista al Corriere del 30 maggio, informa di una serie di sue proposte per riformare la Giustizia fra cui il “divieto di porte girevoli dalla magistratura alla politica e viceversa”. Giustissimo. Peccato che la Mazzanti Vien dal Mare sia il prototipo delle “porte girevoli”. Eletta senatrice per il Polo delle Libertà nel 1994, e quindi personaggio politico, si è trasferita nel 2014 al Csm, ed è perciò diventata un giudice dei magistrati, per poi tornare alla politica.

 

Aggiungi “Un posto al Crozza”: c’è De Luca

Maurizio Crozza: ma guarda che filibustiere! Non gliene scappa una, ogni venerdì assistiamo a una lotta sempre più appassionante per conquistarsi Un posto al Crozza su La9. Nessun personaggio può sentirsi al sicuro perché il programma si basa sulla disamina delle cazzate della settimana, bisogna guardarsi le spalle dalla concorrenza più difficile da battere, quella involontaria. Ci sono gli emergenti, come il governatore Luca Zaia (vi diremo una cosa che forse vi farà arrabbiare, potrebbe essere lui l’anti Salvini. Ragionateci su). Ci sono i nuovi capi firmati come Irene Pivetti, di cui Crozza racconta l’oscuro traffico di mascherine (“Ma che filibustiere!”), ma anche l’evidente stato confusionale di chi fu un tempo seguace del primo Umberto Bossi, oggi dell’ultimo Lele Mora. C’è il testa a testa con Vittorio Feltri, ogni volta più mozzafiato perché ormai il direttore di Libero esterna solo per dare la polvere al suo imitatore. Feltri e il suo doppio sono ormai indissolubili come un doppio whisky, come Lucianina e il fratacchione Fazio, come Mauro Corona e Bianchina Berlinguer. oi c’è il governatore Vincenzo De Luca, ma lui merita un discorso a parte. Alta scuola. Napoli milionaria.

Tra i danni collaterali del Covid c’è l’anglismo

Luigi Settembrini, patriota e letterato napoletano, sosteneva che per avere una buona lingua serve un buon Paese. Se è vero anche il contrario, ce la passiamo maluccio: “L’uso degli anglismi in questo periodo è uno dei danni secondari del coronavirus”, sostiene il presidente della Crusca, Claudio Marazzini. Il conto dell’invasione è presto fatto: lockdown, smart working, droplet (tutte parole che hanno un corrispettivo nel nostro ricchissimo dizionario: isolamento, lavoro a distanza, goccioline di saliva o sudore). C’è poi il recovery fund, che segue espressioni (soprattutto di àmbito economico: quantitative easing, project financing, spending review) che abbiamo fatto entrare per pigrizia, esibizionismo e ignoranza. Il monitoraggio dell’invasione si deve al gruppo Incipit, nato nel 2015 e costituito da linguisti e specialisti della comunicazione per controllare neologismi e forestierismi “incipienti”. Una missione impossibile? “La lingua dell’alta cultura non è mai stata padroneggiata allo stesso modo in tutte le regioni e da tutte le classi sociali – ha spiegato Marazzini a Repubblica – per questo si abbracciano i forestierismi”. C’è poi l’effetto del ritocco linguistico, espediente adottato con gioia dalle nostre classi dirigenti: cambiare le parole dà l’illusione di aver cambiato le cose e regala una patina di mistificatoria rispettabilità (cfr. voluntary disclosure). “Distanziamento sociale” è il risultato di una traduzione approssimativa di “social distancing”. State pensando al celebre “coronavairus” del ministro degli Esteri Luigi Di Maio? Spiega il presidente della Crusca che la dizione è corretta: il sostantivo virus (di origine latina) preceduto dalla sua specificazione (Corona), ne fa “una parola anglosassone”. Vero, ma l’effetto comico è dietro l’angolo.

Amanda e Cristobal (tempeste) infuriano in Centro America

In Italia – I temporali violenti della stagione calda sono arrivati. Rovinose grandinate sul Salento sabato 30 maggio e in alta Lombardia martedì 2 giugno, quando in serata le strade di Nembro, paese del Val Seriana già funestato dal Covid-19, sono rimaste intasate da 30 cm di ghiaccio, e chicchi come albicocche hanno bombardato il Lecchese. Poche ore prima c’erano 31 °C nel Mantovano e in Emilia-Romagna. Imbiancata di grandine anche la pedemontana torinese mercoledì sera, e danni da vento nel Biellese. In seguito è cominciato un periodo più perturbato e fresco, come spesso accade ancora nella prima metà di giugno. Intenso fronte atlantico giovedì 4: piogge torrenziali in Liguria, di rara abbondanza in Riviera di Ponente (102 mm a Imperia, sette volte la media dell’intero mese), ma nubifragi con frane e allagamenti specie in Garfagnana (205 mm a Barga), sulle alte vallate emiliane, e sulle Prealpi friulane, dove i rovesci sono proseguiti fino a venerdì mattina con disagi intorno a Cividale (ben 304 mm a San Pietro al Natisone, in gran parte in meno di 24 ore). Scirocco e libeccio a 70 km/h, un pescatore è morto nel rovesciamento di un’imbarcazione nel mare di Anzio (Roma), e una mareggiata ha devastato ampi tratti dei litorali laziali e friulani. Effettuate le consuete misure di innevamento di fine primavera al ghiacciaio Ciardoney, a 3000 m sul Gran Paradiso: il 3 giugno il manto nevoso era spesso da 3 a 4 metri, ed equivalente a uno strato d’acqua medio di 1,5 m, un po’ sotto la norma a causa della siccità invernale.

Nel mondo – A tre settimane dal ciclone tropicale “Amphan” che ha colpito il Golfo del Bengala mietendo 118 vittime, il 3-4 giugno lo stato indiano di Maharashtra ha subito la sferza di “Nisarga”, con raffiche di vento fino a 140 km/h, onde di marea da 2 metri, centomila evacuati e sei morti. In Centro America le piogge torrenziali della tempesta “Amanda” in arrivo dal Pacifico hanno alluvionato ampie regioni tra Sud del Messico, Honduras, El Salvador e Guatemala, e dai suoi resti è gemmata “Cristobal”, che dallo Yucatán sta traslando verso la Louisiana. Inondazioni giovedì anche nello Yemen, più volte colpito questa primavera, almeno 16 vittime in quest’ultimo episodio. Secondo il servizio Eu-Copernicus a differenza dei mesi precedenti maggio 2020 in Europa è stato leggermente più fresco del normale (anomalia continentale -0,3 °C) per effetto del freddo tardivo dalla Scandinavia al Mar Nero. Ma ciò non ha impedito di stabilire un nuovo record di caldo globale (+0,63 °C), battendo il precedente del maggio 2016. Inoltre, gli ultimi 12 mesi (giugno 2019–maggio 2020) nel mondo sono stati i più caldi di sempre, superando il primato del periodo ottobre 2015–settembre 2016. Ma il maggio appena concluso si è distinto pure per il soleggiamento e la siccità eccezionali nelle isole britanniche e in Francia: record di 266 ore di sole nel Regno Unito e di 322 ore a Brest; inoltre, maggio più asciutto dal 1900 in Inghilterra (media nazionale di 10 mm), e rari incendi boschivi e razionamento dell’acqua potabile in Irlanda (maggio più asciutto in un trentennio a Dublino, 8 mm). Analizzando resti fossili di piante, Brian Schubert (Università della Louisiana) e colleghi hanno dedotto che la concentrazione di Co2 nell’aria, oggi a 417 parti per milione, non è mai stata tanto elevata in 23 milioni di anni, ovvero dall’epoca geologica del Miocene, quasi cento volte il tempo di presenza di Homo sapiens sulla Terra (circa 200 mila anni). Lo spiegano nell’articolo A 23 million years record of low atmospheric Co2, sulla rivista Geology. Dunque la portata dei cambiamenti climatici antropici è ancora più epocale di quanto ritenuto finora (tre milioni di anni): c’è da tremare…

 

Battesimo. Per entrare nel Regno di Dio bisogna rinascere nello Spirito

“Born again – nati di nuovo” è l’espressione usata nelle chiese “evangelicali” americane per definire i loro fedeli, “rinati” da un’intensa esperienza di conversione spirituale. Il mondo evangelicale è composito, in grande espansione in tutte le Americhe e ben presente negli altri continenti, fondamentalista nell’interpretazione biblica, ideologicamente conservatore (a loro si rivolgeva Trump davanti alla chiesa St. John di Washington, tenendo la Bibbia in mano come una spada), aspramente critico verso il cristianesimo mainstream (la tradizione cattolica e protestante). Un mondo lontano da quel contesto biblico da cui born again trae origine: il capitolo 3 del Vangelo di Giovanni in cui Nicodemo, un uomo di cultura e leader religioso del suo popolo, turbato e incuriosito dall’insegnamento di Gesù, si reca da lui di notte per comprendere meglio la sua posizione.

Il dialogo si fa subito complicato perché i due parlano linguaggi diversi, che non s’incontrano. Come quando Gesù dice a Nicodemo: “Se uno non è nato di nuovo non può vedere il Regno di Dio” (v.3). Sembra un enigma della sapienza orientale, irrisolvibile per la nostra mentalità razionale. E infatti Nicodemo chiede (e noi con lui): “Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel seno di sua madre e nascere?” (v.4). Evidentemente no! Che cosa mai vorrà dire Gesù col suo paradosso? Nicodemo non lo può comprendere con la sua scienza di uomo “vecchio”, termine che qui non si riferisce alla sua età ma alla sua cultura e sensibilità religiosa, benché sia probabilmente la più aperta e dialogante, potremmo dire “liberal-garantista”, vista la difesa che più avanti farà di Gesù: “Non si può giudicare uno senza averlo ascoltato prima e aver saputo quel che ha fatto” (7,50).

Il linguaggio di Gesù è aperto al miracolo perché a Dio tutto è possibile, quello di Nicodemo è aperto essenzialmente alla sapienza umana che, per esempio, non crede che si possa cambiare veramente: quando uno è nato così, rimane così. Gesù cerca di spiegarsi: non si tratta di tornare nel seno di propria madre, non si tratta di ripetere la nascita naturale, ma “se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (v.5). Il riferimento al battesimo è evidente ma l’accento cade sull’azione dello Spirito. Il “non può” di Gesù significa che non è la buona volontà che può essere chiamata in causa, qui ci vuole qualcosa di più, ci vuole un intervento dall’alto, un intervento di Dio. La nuova nascita, infatti, non è possibile all’uomo ma è possibile a Dio: “Quello che è nato dalla carne, è carne, quello che è nato dallo Spirito, è spirito” (v.6). La nascita è sempre qualcosa di radicale: “nasce” qualcuno che prima non c’era. Non si tratta solo di cambiare, ma di cominciare una nuova vita. Cambiamenti, nel bene e nel male, ce ne sono sempre nella vita, ma qui c’è qualcosa di più: c’è un nuovo inizio. Questo nuovo inizio non può partire dalla “carne”, ma dallo “spirito”, cioè non può partire dall’uomo ma da Dio.

Ci meraviglia questo discorso? Ci lascia increduli? Anche a Nicodemo doveva sembrare così, per questo Gesù gli dice: “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (v.8). Della realtà del vento nessuno dubita eppure la sua origine e la sua mèta sfuggono al nostro controllo. Così accade quando si è rigenerati dallo Spirito: si è spinti da una forza irresistibile a ri-orientare la propria vita, facendo scelte nuove e andando là dove lo Spirito conduce.

 

Il Parlamento suicida: una morte annunciata

C’è un modo disperato di uccidersi: il sacchetto di plastica. Il Parlamento italiano lo sta facendo.

È vero che prima ha subito una serie di umiliazioni e di multe e di tentativi di amputazioni. Il fatto nuovo e difficile da spiegare è che ha accettato tutto e ha cercato da solo di aggravare l’imputazione, la umiliazione e la pena. È anche vero che molte delle accuse sono o erano fondate e molte delle dure imposizioni tentate (dette bonariamente “riforme”) potevano avere un senso. Il fatto mai accaduto è l’entusiasmo, la spinta quasi di corsa con cui il Parlamento ha assecondato gli attacchi subiti, e poi, quando poteva, li ha acclamati votandoli.

Però la prova è tremenda. Vuol dire che c’erano persone abbastanza forti e motivate per sradicare pezzi interi di vita e tradizione parlamentare, ma nessuno in grado di fronteggiare ragionevolmente gli attacchi e poi riorganizzare il cambiamento, non come vendetta ma come riforma.

Tutto è cominciato col taglio del vitalizio voluto da un nuovo partito giunto alle Camere in trionfo. Nessuno discute più se lo schiaffo sarà stato in moltissimi casi meritato. Resta la macchia, la cattiva reputazione, la mancanza di stima per chi deve decidere le regole di vita di tutti. Subito dopo è cominciata, nel Parlamento, un implacabile atto di accusa contro una parte del Parlamento stesso: il Senato. Si trattava di sopprimerlo, come un male non più sopportabile, e anzi pericoloso per la vita della Repubblica, con le sue pretese di Camera alta e l’offesa, inaccettabile dei senatori a vita che, come dice Salvini, avrebbero dovuto candidarsi come i veri eletti.

La lotta contro il Senato – benché avvolta in una serie di altre “nuove idee” dette riforme, e identificate nella persona dell’ex primo Ministro, poi ex segretario del maggior partito italiano (fino al 40 per cento di voti), poi (dopo la sconfitta) senatore Matteo Renzi – è caduta sotto una valanga di voti contro. Ma la campagna aveva avuto il suo corso. Adesso, per i cittadini che votano, anche il Senato non merita rispetto e resta una costosa e inutile perdita di tempo. Ma la campagna del Parlamento contro il Parlamento non poteva finire qui. Bisognava tagliare il numero dei deputati e dei senatori o per fare economia o per portarsi al livello di altri Paesi, o per guadagnare tempo e rendere più facile il lavoro del Parlamento. Di nuovo il Parlamento è il giudice e l’esecutore della propria condanna (poi, per altre ragioni, non eseguita) senza che voci autorevoli e indipendenti si levassero a discutere i vantaggi, le ragioni, le obiezioni di così importanti mutamenti costituzionali.

Qualunque complottista deve ammettere che, se c’è un potere forte che vuole la fine del Parlamento, quel potere è solidamente insediato dentro il Parlamento e sa come lavorare a rendere evidente inerzia, malafede e a boicottare se stesso. A questo scopo (il boicottaggio del Parlamento e della sua possibilità di funzionare) vengono usati due espedienti cattivi ed efficaci. Il primo, frequentissimo, è la cosiddetta “bagarre”, parola cara ai media per non nominare autori e colpevoli e far apparire improvvise e violente ondate di disordine in una delle due Camere come “colpa di tutti”. È importante che la “bagarre” avvenga spesso, che gli atti di sfida al rispetto di regole o persone siano frequenti e clamorose. Ed è importante che la inevitabile ripetizione sui social delle immagini peggiori serva ad ancora più discredito del Parlamento. Il secondo espediente è buttare tutto in piazza, magari con gigantesche bandiere nazionali, in modo da far capire, anche attraverso la caricatura gigantesca, tipo Pop art della bandiera, che per poter fare politica bisogna venire in piazza, fra le gente, perché non è possibile in Parlamento a causa della “bagarre” che quelli della bandiera gigante sanno provocare.

Ma se il Parlamento continua rumorosamente a procedere, come una automobile senza marmitta, nel suo chiassoso, lentissimo e inconcludente lavoro, allora si può dare una mano (con grande concorso di tutti) per proporre diecimila emendamenti a una legge detta “Rinascita” che dovrebbe portare sostegno e benefici ai più colpiti, economicamente, dalla pandemia.

La trovata dei diecimila emendamenti non serve a chiarire o migliorare. Serve a impedire. E così il piano è svelato con chiarezza: abolire il Parlamento.