Il rabbino alla ricerca della Torah perduta e Shakespeare del naso

Dai Moralia apocrifi di Plutarco. Dionigi, tiranno di Siracusa, aveva ambizioni letterarie. Un giorno ordinò a Filossene di correggergli una poesia; e siccome le correzioni gli parvero troppe, condannò Filossene ai lavori forzati in una cava di pietra. Un mese dopo, Filossene tornò in libertà. Dionigi lo invitò a pranzo, e gli sottopose un’altra poesia da correggere. Filossene la lesse, poi disse alle guardie: “Riportatemi alla cava.”

Dai racconti apocrifi di Rafael Cansinos Assens. Una bella ragazza lavorava come operaia in una ditta che esportava in tutto il mondo uva di Malaga. Un giorno scrisse sul retro di una sua foto un messaggio d’amore, e la collocò in una di quelle cassette, fra due grappoli d’uva. Una settimana dopo, un miliardario americano trovò la foto, s’innamorò della ragazza, e la sposò. Un giornale li intervistò. Lei disse: “Se in quella cassetta d’uva non avessi messo la foto, farei ancora l’operaia. Ho forzato il destino”. Lui disse: “Stavo riposando a bordo piscina, quando mi arriva quella cassetta di uva, un regalo aziendale. Non si deve forzare il destino”.

Dalle Fiabe apocrife di Cao Xueqin. Un contadino aveva un bel cavallo purosangue, che un giorno scappò dal recinto. Tutti i vicini dissero al contadino: “Che disgrazia! Un così bel cavallo!”. E il contadino: “Sarà una disgrazia o una fortuna?”. Il giorno dopo, il cavallo tornò a casa con una cavalla purosangue. E tutti i vicini dissero al contadino: “Che fortuna! Avere una cavalla così bella!”. E il contadino: “Sarà una fortuna o una disgrazia?”. Quel pomeriggio, il figlio salì sulla cavalla, che lo disarcionò, fratturandogli una gamba. E tutti i vicini dissero al contadino: “Che disgrazia! Che disgrazia!”. E il contadino: “Sarà una disgrazia o una fortuna?”. Il mattino dopo, un editto imperiale proclamava la guerra e ordinava la mobilitazione generale. Ma il figlio del contadino, avendo la gamba rotta, restò a casa. E tutti i vicini dissero al contadino: “Che fortuna! Che fortuna!”. E il contadino: “Sarà una fortuna o una disgrazia?”. E poiché tutti i ragazzi erano in guerra, il figlio del contadino sposò la più bella ragazza del paese. E tutti i vicini dissero al contadino: “Che fortuna! Che fortuna!”. E il contadino:…

Dalla Biografia di Shakespeare apocrifa di Nicholas Rowe. Un creditore si reca da Shakespeare per riscuotere un debito. Shakespeare si affaccia alla finestra e gli dice di andarsene, o scenderà e gli taglierà il naso. E la moglie, dal letto: “Ma cosa te ne fai, William, del suo naso?”.

Dai Racconti dei Chassidim apocrifi di Martin Buber. Nella lingua semitica, il termine anistarod significa mistero, inspiegabile. Negli Anni 40, viveva a New York un rabbino che era fuggito dalla Romania durante un pogrom. Una notte, gli apparve in sogno un vecchio rabbino, che gli indicava il luogo preciso dove aveva messo in salvo i rotoli della Torah prima della distruzione della sinagoga; e il sogno era così convincente che il rabbino di New York, alla fine della guerra, prese il primo piroscafo per l’Europa, si diresse a colpo sicuro in un villaggio sulle colline subcarpatiche, e cercò il luogo e la persona che il sogno gli aveva indicato. Non trovò un bel nulla. Anistarod.

 

Mail box

 

È legittimo criticare il presidente Mattarella?

Da lettore attento e speranzoso, di fronte al peana mainstream nei confronti del presidente Mattarella, peana quotidianamente sostenuto da epigoni i più vari, mi chiedo: si può criticare il Presidente? A partire dalla sua insistenza sulla concordia e sull’unità ecumenica (unità con chi voleva cannoneggiare i migranti in mare, con chi sostiene che il virus è un complotto e che il governo Conte è peggio del virus? No, grazie! Siamo di parte: partigiani, della democrazia, e del buon senso!), per continuare coi discorsi tutti al maschile (cita le donne solo se sono della polizia o dell’esercito), per finire con la nomina simbolica(?) dei 57 nuovi Cavalieri della Repubblica! Quale messaggio positivo c’è nel nominarne 57 a fronte delle migliaia di infermiere/i, volontari/ie, rider, medici o ricercatori/trici che si sono distinti/e con impegno quotidiano eccezionale in questo lungo e difficile periodo, magari anche a sprezzo della loro vita?

Giorgio Viarengo

 

Caro Giorgio, premiare simbolicamente infermieri, medici e ricercatori mi è parso giusto. Condivido invece la critica a questa ossessione di “ecumenismo” con una destraccia che non fa altro che orrori.

M. Trav.

 

Complimenti per lo stile ironico e graffiante

Il Fatto Quotidiano è un giornale libero (non me ne voglia Senaldi), ma soprattutto un giornale in cui scrivono tanti talentuosi giornalisti oltre ai noti Marco Travaglio, Peter Gomez, Andrea Scanzi e Antonio Padellaro. In particolare, negli ultimi giorni, mi ha colpito un articolo di Daniela Ranieri sul nuovo libro di Renzi: un pezzo graffiante e ironico. Credo che il Fatto funzioni soprattutto perché, prima ancora di non essere succube degli industriali padroni dell’informazione, ha uno stile proprio verso il quale tanti lettori si riconoscono. Complimenti.

Simone Muscas

 

Le scuole erano a pezzi già prima del Covid-19

Ma non potrebbe Il Fatto suggerire un po’ di fantasia per la riapertura delle scuole, come ad esempio l’utilizzo di musei, chiese (sconsacrate o no), edifici vuoti e resi decenti come le ex caserme? Le nostre scuole erano, e sono, fatiscenti, talora cadenti e sovraffollate già prima del coronavirus: cosa mai si può progettare in così poco tempo all’interno di esse?

Marcella Denegri

 

I vostri giornali e libri “sgomitano” sugli scaffali

Caro Direttore, credo di essere stato tra i primi, qui a Manfredonia nel lontano 2009, ad acquistare il vostro giornale. Ho poi sottoscritto l’abbonamento, che ho disdetto perché ogni tanto “saltava” qualche numero. Ma ho continuato ad acquistarlo dal mio edicolante. Ho anche buona parte dei libri da voi editi e/o promossi, che sgomitano nella mia libreria. Poi tutti i mensili Millennium e la collana in atto Chiedi chi erano gli eroi. Complimenti per la nuova veste grafica e per i nuovi contenuti. I caratteri più grandi (a parte quelli dell’editoriale) consentono finalmente di non inforcare gli occhiali e/o di non far ricorso a lente di ingrandimento.

Avv. Vincenzo D’Onofrio

 

Genova, sul nuovo ponte citate i versi di De André

Sono da poco tempo un lettore del Fatto, ma ho letto molti libri di Travaglio, da Mani pulite a Mani sporche e tutta la serie dedicata a B. Seguo la vicenda del ponte da quel disgraziato giorno d agosto in quanto su quel ponte ci sono passato decine di volte. Si avvicina finalmente il giorno dell’inaugurazione e molti come me sono emozionati e non vedono l’ora di passarci sopra nuovamente. Dovranno dare un nome a questo ponte, un nome significativo per Genova, ma soprattutto un nome che lo farà diventare indimenticabile. Chi a Genova e per Genova può definirsi indimenticabile? Ho pensato a Fabrizio De André: nessuno più di lui ha cantato Genova e ha dedicato canzoni in dialetto genovese che hanno fatto il giro del mondo. Sarebbe bello ad esempio che su ogni pilone che sorregge il ponte ci fossero ricordate le strofe più struggenti che Faber ha dedicato alla sua città.

Gianni D’Agostino

Politici, la concordia impossibile

 

“Come nel 1946 i partiti superino le divisioni, l’unità morale viene prima della politica”.

Sergio Mattarella, 2 giugno

 

“Con il centrodestra al governo non sarebbero bastati i cimiteri”.

Pier Luigi Bersani, 2 giugno

 

“Questo governo studia come affossarci meglio”.

“Libero”, 5 giugno

 

Le parole del presidente della Repubblica sono come un faro nella notte ma ciò non toglie che tutto intorno continui a regnare il buio più pesto. Le due pesantissime bordate (tra le tante) che abbiamo trascritto dopo il messaggio quirinalizio per la Festa della Repubblica non possono certamente sminuire il valore dell’auspicata “unità morale” della nazione. Ma certificano piuttosto la concordia impossibile della nostra politica, e tra i nostri politici.

Del resto, come sarebbe possibile “superare le divisioni” quando il confronto maggioranza-opposizione è dominato dalla strategia del discredito. A cominciare da Giuseppe Conte la cui figura, pubblica e privata è il bersaglio quotidiano della destra mediatica (stampa, tv, social) come se invece di un premier – da contestare quanto si vuole ma pur sempre da rispettare rappresentando egli il governo del Paese – ci fosse un pupazzo da tre palle un soldo. Non esiste nefandezza che non gli venga attribuita, nella rappresentazione di un essere sordido disposto, per sete di potere, a speculare perfino sulla salute degli italiani: “Il piano di Giuseppi: confida nel virus per rimanere in sella. E sogna il Quirinale” (“La Verità”). Un autentico mostro a cui, sull’altro fronte, viene contrapposto un fascista e razzista imbecille, gonfio di mojito, selfie e Nutella, che convoca un assurdo assembramento di piazza senza preoccuparsi minimamente dei rischi del contagio. Subito dopo, infatti, il “dialogo” si svolge tra chi (Bersani) parla di un centrodestra degli untori e chi (Garavaglia) dice che qualsiasi accordo tra Lega e governo presuppone l’immediata cacciata di Conte. Fa bene Mattarella a ricordare lo spirito unitario del ’46 perché, in quanto a concordia, lì ci siamo fermati. Dallo scontro elettorale del ’48 tra democristiani e comunisti, alle cariche della polizia di Scelba, ai morti di Reggio Emilia, ai tentati golpe De Lorenzo e Borghese, alle trame nere, al terrorismo rosso, allo stragismo mafioso, quella repubblicana (per limitarci a qualche titolo) è soprattutto una storia violenta, intrisa di sangue. Che non si vede come possa trasformarsi d’incanto in una narrazione virtuosa di uomini che accantonate le divisioni si votano al bene comune. Si dirà che nei momenti più terribili la pandemia sembrava avere suscitato nuove condivisioni e nuova umanità nel ritrovato spirito patriottico dei tricolori al balcone, con la gente affratellata dal sostegno reciproco del “ce la faremo”. Purtroppo, grazie ai soliti personaggi siamo ritornati rapidamente al punto di partenza. Con una politica perfino peggiorata perché, oggi rispetto a ieri, abbiamo in più 34 mila morti e un futuro economico da incubo. Però a molti di essi così va benone: spartirsi i dividendi elettorali del discredito reciproco e, quanto all’“unità morale”, chissenefrega.

Ps. Dopo i Pappalardi arancione, ecco le squadracce nere del Circo Massimo che aggrediscono giornalisti e polizia. Si seminano focolai d’insurrezione. C’è chi non aspetta altro.

 

Negare la conoscenza vuol dire uccidere

In un momento di crisi, dare adito a dubbi sulla credibilità delle istituzioni potrebbe essere destabilizzante. Cosi, malgrado fra colleghi di dubbi ne siamo sorti tanti, nel rispetto del dolore, abbiamo continuato a rassicurare la gente, sempre più confusa davanti a dichiarazioni e provvedimenti spesso discordanti fra loro. Abbiamo ricevuto centinaia di messaggi che esprimevano sospetti sull’Oms, il governo cinese, la malattia, le terapie, complotti e noi abbiamo cercato di lasciar sedimentare ed anche di negare, pur di non sollevare polveroni che poi avrebbero avvolto il buono ed il cattivo. Oggi, credetemi, dopo le ultime notizie, è davvero difficile continuare cosi. In 48 ore sono accaduti fatti sconvolgenti. L’Oms ha deciso di riprendere gli studi sull’impiego di idrossiclorina, dopo averli interrotti adducendo dettagliate motivazioni dei suoi effetti collaterali, fondati su una pubblicazione su Lancet di un gruppo di autori che, pare, non siano neanche esenti da conflitti d’interessi. Per settimane si sono moltiplicati gli appelli a fare le autopsie sui presunti decessi per Covid. Vietate. I cadaveri venivano cremati immediatamente e resi mai più esaminabili. La motivazione era il rischio di contagio, mentre dappertutto si rassicurava che l’infezione potesse avvenire solo per via respiratoria. Ora, miracolosamente, il Ministero della Salute, ne ha cancellato il divieto dai suoi documenti. Finalmente, le autopsie potranno essere eseguite. Il cardiologo Palma aveva lanciato l’invito accorato di non considerare questa malattia una mera polmonite sinciziale, ci sono trombi in tutto il corpo, è una grave vasculopatia. Chi ne avesse ancora voglia vada a cercare le dichiarazioni dei nostri soloni mediatici. Gli hanno subito tappato la bocca. È inaccettabile. Quanta conoscenza negata! Quante vite avremmo potuto salvare. Che periodo buio è questo per la scienza. Il diritto di parola lo ha solo chi si fa pubblicità, chi ha “amici” che lo lascino parlare, scordando che le migliori scoperte che hanno salvato le nostre vite si sono sempre fatte nel silenzio e nella modestia che contraddistingue la vera scienza. Oggi abbiamo soloni mediatici e pericolosi super-io che si autodefiniscono “giudici “ della verità. Ed io penso alle vite non risparmiate.

 

La Clerici torna con un “format” esterno alla Rai

Il nuovo mezzogiorno di Raiuno sta diventando una sorta di “mezzogiorno di fuoco”. La chiusura dopo diciannove anni della Prova del cuoco sta generando gli appetiti di molti, che parlando di show cooking ci sta a pennello. È possibile, infatti, in quello spazio, il ritorno di Antonella Clerici, ovvero la persona che ha portato al successo La prova del cuoco, conducendola per vari lustri, per poi cedere il timone per due volte a Elisa Isoardi, in una sorta di staffetta. La Clerici dovrebbe tornare con un programma nuovo, il cui titolo sarà La casa nel bosco, dove la cucina sarà il pretesto per parlare d’altro, con ospiti e varie amenità. “L’idea mi è venuta pensando alla cucina di Ferzan Ozpetek nelle Fate ignoranti: un luogo dove non solo si spadella, ma si chiacchiera e avvengono cose”, spiega Simona Ercolani, titolare della Stand by me, casa di produzione proprietaria del format (depositato il 20 dicembre 2019).

Il progetto, però, in Rai ha fatto storcere il naso a molti, tanto che hanno iniziato a girare voci e veleni di ogni genere. Tipo che l’idea sarebbe della stessa Clerici (sotto contratto Rai fino a giugno a un milione e 200mila euro a stagione), con l’aiuto del suo agente Lucio Presta, e che poi Raiuno avrebbe deciso di esternalizzare alla Stand by me. Guarda caso, si dice, proprio il gruppo di cui Fabrizio Salini è stato direttore generale e proprietario di quote, che poi ha ceduto quando è arrivato alla guida della Rai.

La chiusura della Prova del cuoco era prevista da molti, dati i bassi ascolti della Isoardi. “Abbiamo iniziato a scrivere un nuovo programma già l’anno scorso, pensandolo per la Clerici. Poi l’abbiamo proposto a Rai e ad altre emittenti”, racconta Ercolani. Nulla di strano, dunque, e nemmeno di nuovo: la maggior parte dei format e delle produzioni tv vengono realizzate così. Casomai il tema è perché la Rai, con 1.300 dipendenti, esternalizza quasi tutte le produzioni, ma qui il discorso sarebbe lungo. Basti dire, per esempio, che Banijay e Endemol (ora fuse insieme) nel 2019 si sono aggiudicate il 69,7% delle produzioni esterne Rai con 1923 ore di trasmissioni nei tre canali principali. Tanto più proprio Salini, nel suo piano industriale, aveva ipotizzato una direzione “nuovi format”, per incoraggiare idee e programmi “made in Rai”, ma della cosa ora non si parla più.

Il nuovo programma della Clerici sarà realizzato nella vera casa di Antonella, ad Arquata Scrivia, in mezzo ai boschi dell’alessandrino, con collegamenti anche a Roma.

Elisa Isoardi, invece, dovrebbe approdare a Raidue, con un nuovo programma. Ma la seconda rete rischia di diventare una sorta di riserva indiana di destrorsi o presunti tali. Come vicedirettore, infatti, potrebbe arrivare Milo Infante, che avrà anche una striscia informativa, ma pure Roberto Poletti che alcuni danno in uscita da Unomattina (ma non è detto). E anche Lorella Cuccarini. Luisella Costamagna, invece, potrebbe essere la nuova conduttrice di Agorà, su Raitre, dove Sigfrido Ranucci è in ballo per diventare vicedirettore. Antonio Di Bella, infine, avrebbe chiesto di tornare negli Usa come capo della sede Rai.

“Senza Salvini e senza Prova? Cattiverie, il mio contratto vive”

“Punto sul dialogo”. Danilo83 dice che gliel’hanno voluta far pagare.

E chi è Danilo83?

Un suo follower. Lei è così assidua sui social.

Ho più di 400 mila fan e Instagram mi è servito tanto al tempo del Covid. Mi ha dato una mano immensa, ho tenuto viva una trasmissione azzoppata dalla pandemia.

I social per Elisa Isoardi sono un grande amore.

Li uso, tento di non farmi soggiogare. Ma non traggo alcun profitto economico.

È vero, con i followers si guadagna. Quanti ne servono?

Bisogna stare sopra i quattrocentomila. Io ne ho 450 mila.

Quindi è influencer.

Sì, influencer, ma non m’interessa.

Dici Isoardi e pensi a Salvini.

È stato tutto così trasparente, sincero, senza un filo di strumentalizzazione da parte mia. Storia nata per amore e chiusa quando il sentimento è andato declinando.

È che si intigna sempre. Finisce la storia e finisce anche la conduzione della Prova del cuoco.

Questa è una cattiveria, un modo per portarmi dentro una realtà che non mi appartiene.

Lo sa che in certi casi conta l’apparenza? Isoardi, liberata dal suo legame sentimentale, si ritrova senza un programma.

Cattiveria. Non so perché. Finora non c’è nulla di ufficiale da parte della Rai.

Lui era su, lei era su. Si chiamano effetti collaterali.

Il modo di intrappolarmi in una condizione dalla quale sono venuta fuori da anni. Sa che la Prova del cuoco io l’ho condotta per la prima volta nel 2009? Prima di ogni effetto, coincidenza, legame, o suo immotivato pregiudizio.

La maldicenza è il grande vizio dal quale effettivamente dovremmo liberarci.

Non si parla di passione, di dedizione al lavoro, di fatica.

Io non lo metto in dubbio.

Non si dice che ho fatto anche programmi di approfondimento, ricorda Uno Mattina?

Non discuto.

E un programma di filosofia con Barlozzetti.

Sì.

E Linea verde.

Purtroppo resistono nella memoria solo le copertine con Matteo. Ho fatto una ricerca breve su internet.

E cosa è uscito?

Scrivo Isoardi? Esce Salvini. Scompare Salvini? Sbuca la defenestrazione dalla Prova del cuoco.

Il mio nome ballerebbe tra queste due sponde? Sa che non ci avevo mai fatto caso? Devo dirle che mi interessa ancor meno. Sono consapevole del mio lavoro, della fatica che mi è costato, della passione (come le ho appena detto ma lei continua a fare orecchie da mercante).

Nessuno potrebbe affermare il contrario.

Quindi incasellarmi adesso è un atto di perfidia.

Infatti l’approssimazione e anche la malevolenza riducono un episodio a tutta una vita. Simul stabunt, simul cadent.

Ma cosa dice?

I fan pensano sempre che la storia chiusa con Matteo le abbia nuociuto. E anche a lui non ha portato bene.

Ma quali fan legge lei? Ma io sono io. Diamine. Vengo da Cuneo.

Da Cuneo.

Sì, che cosa ha da dire su Cuneo?

“Ho fatto tre anni il militare a Cuneo, le basti questo”. Il grande Totò ha immortalato la sua città.

La mia città gli ha dedicato un busto. Sa riconoscere la grandezza e sa sorridere su di sé.

Lei ama la cucina.

Sono figlia di un agricoltore, mi sono battuta per il made in Italy, per la difesa del cibo italiano.

Anche Matteo Salvini.

Anche Renzi, se è per questo.

La Rai è una azienda che sa premiare e sa epurare.

Le ripeto che punto sul dialogo. Ho un contratto ancora vivo. Leggo anticipazioni, ma sono solo voci.

Lei è un’italiana vera.

A me non piace questa intervista.

Parli della Isoardi e pensi sempre a Matteo.

Ma è storia chiusa, diamine!

Tolgono la Isoardi dalla Prova del cuoco e pensi alla storia finita con Matteo.

Io non continuo. Stop. Mi rifiuto.

Lei si inalbera sempre così tanto?

Non cado nel suo tranello. Avrei voluto parlare d’altro.

“Un capo fuori dal governo Di Battista è quello giusto”

Invoca una sterzata: “Ora l’unica linea è la paura di andarsene a casa, ma così per il Movimento sarà solo un galleggiare stanco, dopo una storia straordinaria”. E per cambiare punta forte su un nome: “Alessandro Di Battista ha le carte in regola per diventare un protagonista della politica”. Max Bugani, veterano M5S, capo staff della sindaca di Roma Virginia Raggi, non usa giri di parole.

In queste ore si parla molto di un partito di Giuseppe Conte o di una sua possibile candidatura. Lei che ne pensa?

Stimo molto Conte, sta facendo il massimo in una situazione molto complicata. Lo considero il miglior premier degli ultimi 30 anni e non mi stupirei se stesse pensando di fare qualcosa del genere .

Per il Movimento potrebbe essere un enorme problema, no?

In questo momento il M5S è identificato con il governo. Ma è il segno della nostra debolezza negli ultimi due anni. Ormai a raccogliere consenso è Conte mentre il Movimento cala, innanzitutto perché manca il confronto con i nostri rappresentanti nelle regioni e nei comuni, con gli iscritti e gli attivisti.

Governare pesa: e il M5S cerca di darsi una struttura.

Lo ripeto, il collante in questo momento è solo il timore di non essere più al governo. Credo che quello attuale sia il miglior esecutivo possibile in questa fase, e va sostenuto. Ma bisogna anche stimolarlo sui temi, e per farlo il M5S deve trovare una sua collocazione.

Complicato per un partito alla prima esperienza nei Palazzi, no?

Per questo alla guida del M5S bisognerebbe avere qualcuno che non fa parte dell’esecutivo.

Cioè Di Battista e non Di Maio?

Il problema non può essere un singolo, non basta per spiegare come mai si è passati dal 33 per cento del 2018 al 15 per cento dei sondaggi attuali. Gli Stati generali, il nostro congresso, andavano convocati il giorno dopo le Europee, per capire dove avevamo sbagliato. Invece si è voluto continuare pensando solo al governo. Avevo suggerito di fermarci e ragionare prima delle Regionali in Emilia-Romagna dello scorso gennaio: se hai davanti un burrone è inutile continuare a correre con una benda sugli occhi. Invece si è tirato dritto. E ora assistiamo a un’emorragia nei territori e negli enti locali.

Dopo le aperture al Ponte sullo Stretto lei ha detto: “Rischiamo di diventare l’Ncd”.

Se non stai più in strada e non ti confronti più con la gente smarrisci le tue priorità.

Anche Conte non ha chiuso la porta all’opera.

Il premier fa un grande lavoro di mediazione nella maggioranza, ma il Movimento deve farsi sentire.

Lei sostiene la ricandidatura di Virginia Raggi. Quindi la cancellazione del vincolo dei due mandati.

Non sono il più indicato a parlarne, visto che io potrei fare un altro mandato. Però mi sono esposto su Virginia Raggi, perché ritengo che debba ricandidarsi per dare seguito all’enorme lavoro fatto in questi anni.

Si parla di un comitato costituente in vista degli Stati generali.

Non so. Di certo a costruirlo non potrebbe essere un capo politico ad interim (Vito Crimi, ndr). Un comitato che tenga insieme tutti, senza avere posizioni chiare, magari è una prospettiva che non dispiace a chi ha in mente un M5S al 7-8 per cento, pronto a fare la stampella di destra o sinistra a seconda delle esigenze.

Lei vuole Di Battista leader, è evidente.

Ha tutte le carte in regola per essere un protagonista. Ma ha anche dimostrato di non essere interessato a poltrone e ruoli, ed è la sua forza.

Nel M5S molti sospettano che da capo Di Battista farebbe cadere subito Conte. Hanno torto?

È una scemenza messa in giro da chi ha paura di perdere qualche millimetro del proprio potere.

Ma non è che nel M5S si rischia una scissione?

Dobbiamo ritrovare dei comuni denominatori: se parli di Ponte sullo Stretto e non sei chiaro sulla revoca ad Autostrade disorienti la tua base. Bisogna rilanciare sui temi, dalla cultura all’ambiente: altrimenti rischiamo di arrivare a fine corsa.

Il movimento. Leader è al bivio: Valori. I rischi. Alleanze per Conte

È già congresso. Con le strategie, le trattative, i colpi sotto la cintura. Il primo per i Cinque Stelle, un partito che non fa neanche più finta di essere il Movimento che fu. Perché sette anni di Parlamento e due al governo, hanno trasfigurato gli ex alieni. E allora, negli Stati generali d’autunno, chi vince potrebbe prendersi tutto, ipotecando il futuro del M5S. E del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’avvocato che i 5Stelle hanno issato a palazzo Chigi, ma che a settembre ci tenne a ripeterlo: “È improprio definirmi del M5S”. Eppure, anche lui è appeso all’esito della resa dei conti, che doveva tenersi a marzo e poi è saltata a causa del Covid.

La data non è ancora fissata, ma una cosa è certa: sarà a urne chiuse. A settembre ci sono troppi appuntamenti importanti, su cui nessuno vuole mettere la faccia da nuovo capo politico: le Regionali in cui il Movimento si prepara ad incassare l’ennesima batosta elettorale, il referendum sul taglio dei parlamentari che ha bisogno di un plebiscito per essere davvero considerato una vittoria dai 5Stelle. Meglio lasciare la palla nelle mani del reggente Vito Crimi, che già sopporta sulle spalle tante decisioni scomode, quelle che il suo predecessore Luigi Di Maio non aveva voluto o potuto prendere.

La deroga alla legge dei due mandati, vedremo più avanti, è il marchio più vistoso della quantità di grane che il “commissario Crimi” ha dovuto caricarsi. Ma non l’unica. Solo nell’ultimo mese, per dire, nel M5S sono accaduti due fatti fino a poco fa inimmaginabili. Il primo è la sospensione dal Movimento di Ignazio Corrao: l’eurodeputato siciliano “colpevole” di aver votato assieme ad altri due eletti contro la risoluzione del Parlamento europeo sul Covid che in pancia aveva anche il Mes, e su cui il resto del gruppo si era astenuto. Proprio Corrao era entrato come referente degli Enti locali, carica di peso, nel “Team del futuro” a cui Di Maio aveva lasciato il testimone da capo. Ma ora è vicinissimo ad Alessandro Di Battista, e non può essere un dettaglio. L’altro fatto di rilievo è la fuoriuscita della ligure Alice Salvatore: un tempo intoccabile colonna del Movimento, fervente antagonista dell’alleanza con il Pd – la direzione che Beppe Grillo immagina ormai senza ritorno – che se n’è andata per fondare una lista sua e candidarsi alle Regionali.

Due incidenti, quelli di Corrao e Salvatore, che fanno dire ai parlamentari più pessimisti: “È già tanto se ci arriviamo, agli Stati generali”. Non sono gli unici, però, a temere che il grande fantasma della scissione venga a bussare ancora prima della resa dei conti.

Le due vie. Accordo unitario o resa dei conti

L’obiettivo a cui molti stanno lavorando è quello di trasformare la kermesse d’autunno nella celebrazione di un accordo unitario. È quello a cui punta l’ex capo Luigi Di Maio, fautore di una pax da siglare con una segreteria ripartita per anime e correnti, e un capo politico di sua fiducia (Chiara Appendino è la prima opzione, Paola Taverna la seconda).

Ma, al di là dei tentativi, è probabile che non si riescano a saltare tutti gli ostacoli che si sono piazzati di mezzo. La partita sul Mes, tra tutte, è quella che più preoccupa il presidente del Consiglio Conte. Perché sa che una parte del gruppo non lo seguirebbe, e sa pure che non può fidarsi del soccorso di Forza Italia e di chiunque altro alzi poi troppo il tiro sulla posta in cambio. Non è un caso che, nell’ultima conferenza stampa, abbia ribadito che non prenderà nessuna decisione “senza passare per il Parlamento”. Sa che quella è una spada di Damocle sospesa sull’intera esperienza giallorosa. È una delle ragioni per cui – attraverso alcuni emissari fidati – Conte ha avviato una serie di interlocuzioni con gli eletti alla Camera e al Senato. Bisogna far capire qual è la posta in gioco. Ma il premier è anche preoccupato per l’esito della campagna congressuale nel Movimento. Teme che se passasse la linea “esplosiva” – quella, per intenderci, di Alessandro Di Battista – la sua permanenza a palazzo Chigi potrebbe essere messa seriamente a rischio. E di certo la paura del Di Battista descamisado è l’arma che già da settimane i dimaiani stanno usando per attrarre a sé big di governo ed eletti vari. Non è un caso che proprio Di Battista al Fatto due giorni fa abbia voluto precisarlo: “Io non voglio picconare il governo Conte, ora serve un esecutivo politico”. Il premier ha notato. Ma vuole comunque cautelarsi. Per questo si cercano di ricomporre le fratture interne ai gruppi parlamentari, che ormai vivono allo sbando, divisi in una selva di correnti e sottocorrenti. Anche gli emissari del premier si sono messi a sondare gli umori, e soprattutto a mostrare ascolto e attenzione. Perché i parlamentari scalpitano. C’è chi si sente sottovalutato, chi giudica non all’altezza i colleghi promossi al governo. O chi è impazzito nel vedere che un ministro come Sergio Costa – che, accusano, “non vediamo da mesi” – cinque giorni fa abbia dato udienza proprio a Di Battista, che gli ha portato al ministero il suo progetto di “servizio ambientale” per i giovani disoccupati italiani. Poi c’è chi è all’ultimo giro, e quindi si gioca il tutto per tutto. Per primo, parlando con il Fatto, il capo politico reggente Vito Crimi aveva aperto alla deroga alla regola dei due mandati. Una mossa pensata soprattutto per le due sindache uscenti, Chiara Appendino e Virginia Raggi. Ma che potrebbe dilatarsi, fino alla cancellazione del vincolo per tutti gli eletti. Di certo in diversi l’hanno interpretata come un segnale di debolezza, messo in campo per arginare l’emorragia di eletti: “Significa che siamo ricattabili: basta che una (la Raggi, ndr) ci faccia capire che, se non la sosteniamo noi, lei si candida comunque con una civica e noi molliamo una nostra bandiera”.

I fondatoriIl ruolo di Grillo, lo scontro su Rousseau

E poi c’è l’insofferenza nei confronti di Davide Casaleggio. Ormai inviso a gran parte degli eletti, che non vogliono più versargli l’obolo di 300 euro mensili per la piattaforma Rousseau, e anzi vorrebbero toglierli la gestione della cassaforte operativa. Di Maio lo sa. E ha fatto la sua scelta, rendendola ufficiale in una tesissima riunione in Senato lo scorso aprile. “Il sistema di voto su Rousseau ha portato al caos” ha scandito in faccia a Casaleggio, collegato da Milano, dopo che altri big erano già stati molto duri con l’erede di Gianroberto (Taverna in primis). Il muro al manager milanese, che pochi minuti prima aveva chiesto di tenere la votazione on line per il nuovo capo politico prima dell’estate. Ma gli hanno risposto con una valanga di no. E con l’interpretazione autentica dello Statuto da parte del Garante, Beppe Grillo, favorevole alla proroga in carica del reggente Crimi. Uno snodo. Perché Grillo ha scelto la continuità, il tentativo di costruire una segreteria unitaria di Di Maio. Così ora Casaleggio guarda a Di Battista. Sa che da mesi Crimi, da presidente del comitato di Garanzia, e altri lavorano a una modifica dello Statuto, con l’obiettivo innanzitutto di limitare lo strapotere di Rousseau (in accordo con Di Maio). Per questo spera nell’ex parlamentare romano. Quel Di Battista che gli è rimasto vicino, ma che non ha ancora deciso se correre. Però ha già raccolto attorno a sé big come Corrao, Barbara Lezzi e Max Bugani. Nella base è ancora popolarissimo. E i suoi stanno organizzandosi, con incontri e chat apposite. Cercano truppe. Prima dell’autunno. La tappa decisiva, per i 5Stelle e per Conte.

Ilva, tutti bocciano il piano di Mittal Ma si tratta ancora

La bocciatura è sonora, eppure il governo non chiude la porta. Il giorno successivo alla presentazione del nuovo piano industriale di Arcelor Mittal sull’ex Ilva di Taranto è un giorno di attesa e di analisi. Il piano non passa l’esame dei tecnici ministeriali e dei commissari di governativi. “Si commenta da solo”, spiegano fonti ministeriali. In serata è lo stesso ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli a dirlo: “Non riflette la volontà dell’esecutivo e viola i patti siglati con noi”. Eppure non sembra ancora la parola fine al rapporto con il colosso franco indiano.

Dai ministeri filtra “forte delusione” per il piano, perché non contiene un solo aspetto che si avvicini a quanto era stato stabilito nell’accordo di marzo, dove si era deciso di rinunciare al contenzioso legale e riscrivere i termini del contratto tra Mittal e lo Stato. La bocciatura è sia sulla parte relativa ai tagli sia sulle richieste economiche. Nella riunione di ieri mattina, i tecnici dei ministri dello Sviluppo e dell’Economia, il consulente del governo sul dossier Francesco Caio e i commissari di Ilva hanno studiato le 500 pagine inviate dal gruppo che contengono i 3200 esuberi, a cui si aggiunge il mancato reintegro dei 1800 lavoratori rimasti temporaneamente in forza all’amministrazione straordinaria. In totale, 5mila esuberi. Non solo. Bocciata anche la richiesta di sostegno economico che Mittal avrebbe chiesto allo Stato: ben 200 milioni a fondo perduto a titolo di indennizzo per la crisi Covid e un prestito di 600 milioni con garanzia pubblica della Sace. Su questo è emerso un aspetto curioso: al momento infatti non risulta che Mittal abbia fatto richiesta di prestiti su cui applicare la garanzia né presso le banche né tantomeno in Sace, ma soprattutto – stando a diverse fonti consultare dal Fatto – il gruppo non avrebbe neppure i requisiti per accedere all’aiuto statale sulla liquidità. Non un dettaglio da poco: Arcelor in sostanza avrebbe chiesto allo Stato un sussidio che sa di non poter avere. A queste due richieste si aggiunge quella di poter attingere ad altri 200 milioni di euro dal cosiddetto “patrimonio destinato”, cioè il tesoro sequestrato alla famiglia Riva. Dulcis in fundo, la richiesta che lo stato entri nel capitale di ArcelorMittal Italia con un miliardo. A conti fatti, l’aiuto pubblico richiesto sfiora i due miliardi.

Il Mise ieri ha convocato i sindacati per il prossimo 9 giugno: il ministro Stefano Patuanelli, una volta terminata l’analisi approfondita del documento lo presenterà ai sindacati che sono già sul piede di guerra: per domani, infatti, Fim Fiom e Uilm hanno convocato un consiglio di fabbrica straordinario nello stabilimento di Taranto. Francesco Brigati della Fiom ha definito “predatorio” l’atteggiamento di Arcelor che “da una parte chiede risorse pubbliche e dall’altra è pronta a licenziare migliaia di lavoratori ed allungare i tempi sul piano ambientale e industriale”.

E proprio Patuanelli in un’intervista al Tg1 pur confermando che il piano non rispetta le volontà del governo ha lanciato una sorta di salvagente per non chiudere definitivamente la questione: “Coniugare salute e lavoro a Taranto è l’obiettivo del governo – ha detto il ministro – vediamo se anche la controparte ci crede”. L’idea, insomma, è quella di provare a trattare ancora una volta con Mittal. Il giudizio sul piano resta pesante, ma in questo momento il governo non ha una vera alternativa a Mittal. Al di là dell’intervento statale nell’affare Ilva, senza la multinazionale non ci sarebbe un alcun player con il quale rilanciare le acciaierie che furono dei Riva. E questo il colosso lo sa bene. Ed è per questo che ancora una volta giocherà la prossima mano restando in posizione di vantaggio. La speranza del governo, quindi, è quella di riuscire a trovare una quadra, come suggerito soprattutto dallo staff del ministro Roberto Gualtieri, ma tutto dovrà infine ottenere anche il via libera dai sindacati: una strada che ormai appare inesorabilmente impraticabile.

Braccianti, ecco i numeri dell’emergenza che non c’era

La ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, l’aveva presentata coma la sconfitta del caporalato: aveva pianto annunciando la norma che per settimane aveva monopolizzato il dibattito pubblico e che era stata descritta come una necessità improrogabile, pena la perdita dei raccolti italiani. Ora, potrebbe dover piangere di delusione, poiché gli immigrati regolarizzati con quella legge saranno molti meno dei 220 mila previsti. La stima circolata nei giorni scorsi parla, nella prima settimana, di un totale di 9.500 domande presentate. Una partenza che si può definire eufemisticamente “lenta”. “Da oggi – aveva detto la ministra renziana presentando il decreto Rilancio – gli invisibili saranno meno invisibili”. Secondo la relazione tecnica, la platea da raggiungere è divisa in due gruppi: 176 mila da regolarizzare su iniziativa delle imprese, quindi grazie alla firma di un vero contratto di lavoro come prevede il primo comma; 44 mila su istanza degli stessi stranieri, come prevede il secondo comma solo per quelli che rispettando stringenti requisiti potranno ottenere un permesso per ricerca di lavoro (in passato devono aver operato in agricoltura o nell’assistenza famigliare e devono avere un permesso scaduto non prima del 31 ottobre 2019).

L’esordio, a seconda del lato da cui lo si guardi, mostra tre cose: la prima è che tutta l’urgenza di trovare braccia per salvare l’agricoltura evidentemente non c’era; la seconda è che anche se fosse un ritardo basato sull’incertezza (aziende che magari vogliono prima conoscere i costi complessivi, per poi valutarne la convenienza) evidentemente non era una misura ben accolta; la terza è che le cifre preventivate sono lontane dalla realtà. Il tempo che resta è però poco, dopo il 15 luglio la sanatoria non sarà più possibile.

Anche perché dal lato dei lavoratori c’è forte interesse: “Arrivano ogni giorno centinaia di richieste di informazione”, dice Jean-René Bilongo della Flai Cgil. Ma tanti si stanno purtroppo illudendo inutilmente: con i paletti e i cavilli burocratici sarà molto difficile riuscire ad auto-regolarizzarsi senza l’intervento del datore di lavoro. Come detto, la legge costringe a una corsa contro il tempo e non è sempre comodo – specie per un irregolare – di recuperare subito i documenti necessari.

Nel paradosso comunicativo che oggi viene alla luce, si scopre poi che le associazioni agricole, come Coldiretti e Cia, dicono che le aziende pronte a regolarizzare si contano sulle dita. Proprio loro che per mesi hanno lamentato – soprattutto la prima – la carenza di manodopera nei campi. E ora che ci sarebbero gli strumenti miracolosi, non sembrano più disposti a cogliere l’occasione. “Si mette in pericolo la fornitura alimentare del Paese”, diceva a inizio aprile il presidente Coldiretti Ettore Prandini. Evidentemente è una emergenza a fisarmonica, oggi c’è domani no. Oppure a garantire i raccolti sono stati i lavoratori italiani espulsi da altri settori, soprattutto il turismo, i parenti degli agricoltori e probabilmente gli stessi irregolari che ora quasi nessuno vuole far emergere. Nulla è cambiato, insomma.

Alla Flai Cgil di Foggia, in questa settimana si sono presentati 250 stranieri al giorno. “Hanno chiesto informazioni spiega il sindacalista Daniele – Iacovelli – ma poi solo il 20% è tornato con l’imprenditore disposto a regolarizzare”. “Da noi – dice Igor Prata della Flai di Caserta – le aziende hanno timore delle conseguenze di un’autodenuncia, paura fondata sull’ignoranza, perché la norma dice che si chiudono i procedimenti penali e amministrativi”. Dal Veneto raccontano che i datori stanno aspettando di quantificare il contributo da pagare, in aggiunta ai 500 euro, per far emergere i lavoratori in nero; se risulterà alto, in tanti rinunceranno. E non sembra mancare il mercato criminale dei permessi di soggiorno: “Ci hanno segnalato titolari di aziende pronti ad assumere dietro il pagamento, da parte del migrante stesso, di 5 mila euro”, fa notare Gervasio Ungolo dell’Osservatorio migranti Basilicata.