Ancora un dramma familiare in Sicilia. Ieri a Raffadali (Agrigento) un padre ha ucciso il figlio al culmine dell’ennesima lite. Gaetano Rampello, 57enne poliziotto in servizio a Catania, con la sua arma d’ordinanza ha freddato con 15 colpi – quello fatale alla testa – il figlio Vincenzo Gabriele, di 24 anni. L’omicidio è avvenuto in piazza Progresso, nel centro del paese, e la scena è stata ripresa dalle telecamere di videosorveglianza della zona. L’uomo, che ha già confessato, è stato arrestato mentre si trovava seduto sotto la pensilina di una fermata del bus. Il giovane aveva problemi psichici ed era stato anche denunciato per stalking e reati minori. “La città è sconvolta – ha raccontato il sindaco Silvio Cuffaro –. Conoscevamo tutti la vittima, aveva una vita sociale un po’ turbolenta, ma veniva accettata da tutti. Aveva avuto un’infanzia difficile per via della separazione dei genitori. Lui rimasto a vivere da solo a Raffadali, ma c’era uno zio che si prendeva cura di lui”. “Certi episodi di violenza hanno evidenziato malesseri profondi all’interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia”, ha detto il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio.
Venezia, Mantova, Sora: altri 3 morti sul lavoro
Ancora una giornata nera sul fronte degli incidenti di lavoro, con tre vittime. A Fusina, in provincia di Venezia, all’interno dell’azienda Ecoprogetto un operaio di 48 anni è precipitato da un ballatoio da un altezza di 4 metri, battendo la testa a terra. L’uomo era dipendente di una ditta esterna, la Omd di Treviso. I sanitari del 118 non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. A Castiglione delle Stiviere (Mantova) Gabriele Ferronato, un imprenditore agricolo di 56 anni ,è stato travolto dal muletto che stava conducendo: è morto prima dell’arrivo dei soccorsi. A Sora (Frosinone) un pannello coibentato ha travolto un operaio di 57 anni in un’azienda che opera nel settore del materiale ferroso. A provocare l’incidente sarebbe stato il forte vento.
Stuprata a 15 anni: arrestato un coetaneo, altri 2 indagati. La chat: “Siamo nella m…”
Venerdì avevano deciso di non andare a scuola. Il gruppetto, tre ragazzi e due ragazze, comprano vino e vodka alla pesca e va nell’appartamento di uno dei tre. Nel primo pomeriggio una delle due ragazze esce e chiama i carabinieri raccontando di essere stata violentata. Il figlio del proprietario viene arrestato. Gli altri due ragazzi sono indagati. Accade a Reggio Emilia. La vicenda ricorda quella dello stupro di Capodanno a Roma, in cui alcuni ragazzi dai 19 ai 21 avrebbero violentato una 16enne. L’aggravante, in questo caso, è data dall’età degli accusati, tutti 15enni.
Tutto comincia venerdì mattina. Secondo la ricostruzione della Procura dei minori di Bologna, la giovane si incontra davanti a scuola insieme ai compagni. Il gruppetto decide di saltare le lezioni e di spostarsi nella casa di uno dei ragazzi, rimasta libera perché la madre era al lavoro. Prima però si procurano delle bottiglie di vino e di vodka alla pesca. Qualche ora dopo una delle due ragazze va via, mentre l’altra rimane in compagnia dei tre coetanei, che secondo l’accusa abusano di lei mentre era ubriaca. Sono circa le 15 quando la ragazza si rende conto di quanto accaduto. Scrive un messaggio di aiuto alla sorella, facendosi raggiungere da lei in strada. Arrivano i carabinieri. La giovane in lacrime e sotto-choc racconta di essere stata violentata. Poi fornisce alle forze dell’ordine i numeri di cellulare dei compagni e indica loro l’appartamento. I militari salgono e trovano la porta aperta, ma nessuno all’interno. Poco dopo rintracciano il figlio dei proprietari e lo portano in caserma. E qui gli sequestrano lo smartphone dove ci sono i messaggi di un altro dei tre. “Sta dicendo da mezzora che l’abbiamo violentata. Fai qualcosa, siamo nella m… fino al collo”, recita uno di questi. Anche il mittente viene convocato in caserma, dove ammette le proprie responsabilità e quelle dell’amico in merito ai rapporti sessuali con la ragazza. Sul terzo giovane sono in corso accertamenti.
Il 15enne che ha ospitato il festino viene arrestato, il giudice non convalida ma dispone su richiesta della Procura dei minori la misura cautelare in carcere minorile, convertita poi nei domiciliari su istanza dell’avvocato difensore Giacomo Fornaciari. L’ipotesi di reato è violenza sessuale aggravata “dalle condizioni di inferiorità psichica e fisica, avendo la medesima pesantemente abusato di sostanze alcoliche”, scrive il magistrato. Il legale spiega che “lei era consenziente”. Ma per la Procura, gli esami tossicologici ai quali è stata sottoposta la ragazza otto ore dopo i fatti all’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia confermano l’ebbrezza alcolica così come gli altri accertamenti hanno “evidenziato ecchimosi che comprovano la violenza sessuale”.
Bollette, 1,5 mld da extra-profitti delle rinnovabili
Altro che 5 miliardi. Dalla norma sugli extra-profitti per i produttori da rinnovabili – di cui aveva parlato il premier Mario Draghi a dicembre – il governo punta a ricavare appena 1,5 miliardi, come emerge dai calcoli della Ragioneria generale contenuti nella relazione tecnica al decreto Sostegni ter. All’articolo 16 è stata, infatti, disposta la restituzione degli extra-profitti raggiunti dagli impianti rinnovabili (idroelettrico, eolico e solare con l’esclusione di quelli considerati piccoli) che beneficiano di un incentivo fisso, cui si aggiungono i proventi della vendita dell’energia in base dell’andamento del mercato a prezzi molto più elevati rispetto a quando è stato definito l’incentivo. Ma la stima di 1,5 miliardi (sul totale di 6 miliardi di incentivi che pesano in bolletta) viene definita “ragionevolmente conservativa”. Non sono stati conteggiati, in quanto sconosciuti, i contratti di fornitura (anche a prezzo fisso) che hanno un prezzo inferiore al 10%. In altre parole, gli impianti dovranno restituire i soldi se non dimostreranno di aver firmato, alla data di entrata in vigore del decreto, un contratto di vendita dell’energia a prezzo fisso che deve essere al massimo superiore del 10% rispetto “all’equa remunerazione” individuata dall’Arera, l’Authority del settore. Quindi, se i big energetici hanno contratti sotto la soglia del 10% non pagheranno. Mentre a contribuire ad arginare il caro bolletta saranno le “pure” aziende rinnovabili. Quelle associate a Elettricità futura ipotizzano un ricorso per incostituzionalità della norma.
Torzi, ex broker del Papa, rischia processo a Milano
Dopo i fatti vaticani legati all’acquisto di un palazzo a Londra, per il broker molisano Gianluigi Torzi si profila il rischio di un processo a Milano con l’accusa anche di aver “agito” con altri “come gruppo criminale organizzato”. La Procura ha notificato a sei persone la chiusura indagini (415 bis) anche per una truffa da 15 milioni alla società milanese di mutuo soccorso Cesare Pozzo. Oltre a Torzi, coinvolto anche l’avvocato Nicola Squillace, per i pm legato al “gruppo Torzi”. Con loro l’ex procuratore speciale della Pozzo Ferdinando Matera accusato di corruzione tra privati e infedeltà patrimoniale. Alla base dell’indagine del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano la società di investimento londinese Beaumont di Torzi che in due tranche risulterà broker per la vendita alla Pozzo di titoli obbligazionari per 15 milioni “privi di rating ad alto rischio”. Titoli emessi da una società lussemburghese. A monte vi sarebbe una cartolarizzazione. Nel caso crediti venduti da società in ambito sanitario con sede nel sud Italia e sulle quali pesa l’ipotesi investigativa di legami con i clan (cosiddetti mafia bond). La Cesare Pozzo sceglierà questa operazione avendo in mano, secondo i pm, carte truccate. Tra queste: i crediti che, se le società sanitarie del sud Italia dovessero risultare legate ai clan, sarebbero inesigibili. Oltre a ciò, secondo l’accusa, si è mentito sulla durata del contratto, spacciata per 7 anni e in realtà durevole per 20. Matera, ha valutato l’indagine dell’’aggiunto Maurizio Romanelli, è indagato per corruzione (tra privati) perché in cambio di denaro e di appartamenti in centro a Milano, pagati meno del valore di mercato, si è speso “per far concludere alla Cesare Pozzo” le due operazioni. Matera, si legge nel 415 bis, acquisterà una casa in corso di Porta Vittoria per mezzo milione, mentre sul suo conto “riceverà” accrediti per 122mila euro “dalla società di Torzi.”
Caso Amara, “Greco non commise reati”
La posizione di Francesco Greco, fino a novembre 2021 procuratore della Repubblica a Milano e indagato dalla Procura di Brescia per omissione d’atti d’ufficio, deve essere archiviata per “l’evidente insussistenza del fatto ipotizzato”. Dai fatti, “si staglia con evidenza la radicale infondatezza dell’originaria ipotesi d’accusa”. A scriverlo è il giudice bresciano Andrea Gaboardi, accogliendo la richiesta d’archiviazione della Procura e asfaltando, in 27 pagine, le accuse che erano state avanzate dal pm Paolo Storari di “non aver iscritto tempestivamente una notizia di reato a seguito delle dichiarazioni, a lui note, rese da Piero Amara”, l’ex avvocato esterno dell’Eni che tra il 6 dicembre 2019 e l’11 gennaio 2020 aveva rivelato allo stesso Storari e al procuratore aggiunto Laura Pedio “l’esistenza di una presunta loggia coperta denominata Ungheria”. Il giudice Gaboardi ricostruisce i fatti, dalle dichiarazioni di Amara alla sua iscrizione nel registro degli indagati, il 12 maggio 2020, e conclude che non ci sono stati né inerzia investigativa, né opposizione alle indagini, né ritardo nell’iscrizione. Tenuto anche conto che l’11 febbraio 2020 Amara viene incarcerato per altre vicende e che dall’8 marzo al 1 maggio l’Italia intera si ferma per il lockdown.
A causa dell’“immobilismo dei colleghi”, Storari “nella prima decade del mese di aprile del 2020 si rivolgeva informalmente a Piercamillo Davigo, all’epoca componente del Csm”, fornendogli copia degli interrogatori segreti di Amara che poi, per altre vie, arriveranno al Fatto e a Repubblica. Solo “il 27 aprile 2020 Storari scriveva di nuovo alla collega Pedio, trasmettendole in allegato una proposta di scheda di iscrizione a carico di taluni nominativi (Caratozzolo Enrico, Caruso Luigi Pietro Maria, Giordano Francesco Paolo, Mancinetti Marco, Padalino Andrea, Patroni Griffi Filippo, Valori Giancarlo Elia e Vietti Michele Giuseppe)”. Seguono interlocuzioni e incontri, fino all’8 maggio 2020, quando “Storari e Pedio, dopo ampio confronto tra loro e con il vertice dell’ufficio, si sarebbero determinati per l’iscrizione di alcuni nominativi”. Quelli di Amara, Giuseppe Calafiore e Alessandro Ferraro, “soggetti che si erano autoaccusati di aver fatto parte della loggia Ungheria e che erano stati inspiegabilmente ignorati nella scheda di iscrizione in precedenza predisposta dal sostituto Storari”.
Il giudice archivia anche perché comunque, “prima dell’iscrizione, occorreva verificare la complessiva attendibilità del dichiarante” e “delineare… le singole fattispecie oggetto di addebito”. “Orbene, a fronte di tali evidenti esigenze istruttorie, non può certo affermarsi che l’ufficio requirente milanese sia rimasto inerte”. Il giudice rileva invece “l’arbitrarietà e l’evanescenza dei criteri adottati da Storari per selezionare i nominativi dei presunti correi nella scheda da lui abbozzata nell’aprile 2020. Escono, pertanto, smentite o comunque grandemente ridimensionate”, continua il giudice, “le propalazioni accusatorie di Storari (soggetto tutt’altro che disinteressato all’esito del presente procedimento) in ordine a presunti ritardi e/o inerzie dei vertici della Procura” e che ha “egli stesso indagato in prima persona (e in palese conflitto di interessi) sulla violazione del segreto investigativo emersa grazie alla denuncia di Massari” (giornalista del Fatto che nel 2020 portò in Procura i verbali di cui si poteva ipotizzare la provenienza illegale).
A 30 anni da Mani Pulite, muore l’agente Stragapede
“Onore a Rocco Stragapede, uno dei pochi collaboratori del pool che non si è voluto mai vendere al diavolo”. Così Antonio Di Pietro ricorda il suo amico e collaboratore durante gli anni di Mani Pulite, sempre al suo fianco, silenzioso e fedele. Se n’è andato a pochi giorni dal trentesimo anniversario dell’inchiesta che ha rivelato Tangentopoli, a 71 anni, portato via dalla Sla dopo un decennio di sofferenze. Lo ricordiamo come l’ombra di Di Pietro, sempre accanto al magistrato, sempre presente a centinaia d’interrogatori, custode dei verbali e dei fascicoli dell’inchiesta iniziata il 17 febbraio 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, la Baggina dei Milanesi.
Poliziotto della Stradale, aveva conosciuto il magistrato nel 1987, quando questi era impegnato in una delle sue prime inchieste, quella sulle “patenti facili”. Era entrato a far parte della mitica squadretta di polizia giudiziaria di Di Pietro e ne era divenuto l’anima, l’uomo più vicino al pm. Partita Mani pulite, era diventato la “scatola nera” delle indagini, l’ombra di Di Pietro, il silenzioso custode dei segreti dell’inchiesta che stava cambiando l’Italia. Mentre attorno al magistrato di Mani pulite si affollavano i falsi amici, i traditori, gli autori di calunnie e dossieraggi, Stragapede restava fedele all’amico pm, ma soprattutto alle istituzioni e alla giustizia. “Gli devo solo gratitudine”, dice ora, commosso, Di Pietro, “e credo che anche le istituzioni gliene debbano. Non mi ha soltanto aiutato a portare avanti le indagini, ma ha rifiutato qualsiasi tentativo di fermare l’inchiesta e di partecipare a dossieraggi contro di me. Di lui ho fatto bene a fidarmi, era come un fratello e mi mancherà come un fratello. Abbiamo condiviso un pezzo di vita, giorni e notti insieme. Come quelle trascorse al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano, per dividere gli incarichi che il mattino successivo dovevamo distribuire alle varie forze di polizia, in modo tale che ognuna potesse operare senza che l’altra sapesse che cosa doveva fare: proprio perché sapevamo che all’interno delle stesse forze di polizia c’erano dei traditori”.
“Sì, con Di Pietro il rapporto era speciale”, conferma Gabriele, uno dei suoi cinque figli. “Mio padre ha sempre parlato di quegli anni, era orgoglioso di quella stagione. È stato molto di più di un collaboratore. Ha sempre agito senza cercare le luci della ribalta e oggi mi fa piacere che venga ricordato per quanto di bene ha fatto al nostro Paese. Rocco Stragapede al lavoro: è questo il ricordo più intenso che si possa dare di papà. È stata la sua vita”.
Fu sentito anche come testimone a Brescia, in una delle tante inchieste che hanno tentato di distruggere Di Pietro (sempre prosciolto) e, con lui, Mani pulite. Era colui che custodiva i dossier più delicati, per impedire che cadessero nelle mani di chi faceva il doppio gioco: “E c’era chi lo faceva”, ricorda Di Pietro. “Come poi abbiamo capito. Sono passati trent’anni, ma dobbiamo un riconoscimento a un uomo che ha trascorso gli ultimi dieci anni in un letto per la malattia”. Tempo fa, Rocco aveva mandato al suo pm questo messaggio: “Antonio, abbiamo arrestato tanta gente, dovevamo arrestare il tempo che passa”.
“Con il 90% di vaccinati l’obbligo non ha più senso. È solo un’arma politica”
Professor Andrea Crisanti, come vede la situazione?
Sta passando la buriana della variante Omicron, la cui caratteristica è che i vaccinati si infettano e trasmettono con i numeri pazzeschi che abbiamo visto. La mia impressione, guardando anche ai dati dell’Inghilterra, è che stiamo raggiungendo una situazione di equilibrio ma a livelli piuttosto elevati. Se c’è un momento per liberalizzare è fra due-tre settimane, nel momento di massima protezione della popolazione. O lo fai adesso o non lo fai. Non significa che il virus se n’è andato, sia chiaro. Significa solo che la maggior parte della popolazione è protetta o perché ha fatto la terza dose da poco o perché si è infettata da poco. Punto.
E invece tra vari provvedimenti di apertura, proprio tra due settimane, il 15 febbraio, scatta la tagliola per chi ha più di 50 anni: chi non si vaccina, ma anche chi non ha fatto la terza dose a sei mesi dalla seconda, rischia la sospensione dal lavoro. Si parla di 1,5 milioni di persone.
Mi auguro che il maggior numero di loro si vaccini. Comunque rimane l’incognita dello stato d’emergenza. Se non lo prolungano, come si sente dire, oltre il 31 marzo, non so se possano mantenere il green pass con le relative restrizioni.
L’obbligo vaccinale per ora è fino al 15 giugno, ben oltre il 31 marzo. Non è necessariamente legato allo stato d’emergenza. Gli over 50 con tre dosi sono tra l’85 e l’89%, i guariti da meno di sei mesi oltre 200 mila. Ha senso l’obbligo a questo punto?
Dal punto di vista della trasmissione del virus l’impatto è zero. Può avere un impatto sulle terapie intensive, sopra i 50 anni possono ammalarsi anche in modo grave.
Le terapie intensive lentamente scendono.
Certo, perché diminuisce la trasmissione. Insomma, secondo me, quando si raggiunge un certo livello di protezione non ha senso andare oltre. Anche dal punto di vista epidemiologico. Anche nelle campagne di immunizzazione in Africa non si arriva mai al 100%. Non conviene, costa troppo dal punto di vista economico e sociale. Ci sono persone che non vogliono vaccinarsi.
Senza il green pass e varie forme di obbligo non saremmo a questi livelli di vaccinazioni. L’obbligo è sbagliato?
In una situazione come quella di prima l’obbligo è corretto. Ma se hai superato il 90% hai raggiunto l’obiettivo.
Siamo oltre il 90% di prime dosi tra gli over 12. Sopra l’85% di terze dosi tra gli over 50.
È abbastanza elevato. L’obbligo bisognava metterlo subito, dandosi l’obiettivo del 90%. E una volta raggiunto chiedersi: vale la pena di arrivare al 95% al costo di radicalizzare lo scontro nella società? Un problema politico, non epidemiologico.
Lei cosa ne pensa?
Io sarei rimasto al criterio epidemiologico. L’azione politica deve avere un obiettivo di sanità pubblica. È inutile che mi accanisco contro l’altro 10% se i dati dicono che il 90% basta. Bisogna valutare la risposta della società, c’è sempre il singolo che non si vuole vaccinare per le più diverse ragioni.
Noi non sappiamo neanche quanti sono gli esentati per patologie e allergie.
Non si contano nemmeno tante persone che si sono infettate, ma sono rimaste asintomatiche. Bisognerebbe vedere quante persone hanno gli anticorpi.
Ma qual è lo standard, il livello sufficiente? Dicono, non solo in Italia, che non c’è.
Non serve lo standard. In Inghilterra trovi che il 95% ha gli anticorpi, o perché sono vaccinati o perché si sono infettati. A quel punto che senso ha l’obbligo? Se facessimo come in Inghilterra forse scopriremmo gli stessi dati.
Un’indagine sierologica?
Certo, un’indagine sierologica.
Cosa pensa del green pass di durata illimitata dopo il booster?
Non sapendo nulla vogliono tranquillizzare le persone vaccinate. Nulla di scientifico.
Faremo la quarta dose?
Spero di no, ma non lo sappiamo. Se non emergessero altre varianti e il livello di immunità si mantenesse elevato non servirebbe. Anche per questo sarebbe utile l’indagine sierologica per valutare il livello di immunità nella popolazione.
Arriva il pass “indefinito”. Ma sulla scuola si litiga
C’è l’accordo sul green pass senza limiti di scadenza per chi ha fatto la terza dose, non c’è ancora invece sul nuovo dispositivo che dovrebbe ridurre le quarantene e la didattica a distanza nelle scuole. Oggi il governo dovrebbe approvare il nuovo decreto: la Lega non vuole “discriminazioni” tra bambini e ragazzi vaccinati e non, che però sono il perno della bozza preparata dai tecnici di Palazzo Chigi e della Salute.
È scontato che le regole per le elementari saranno allineate a quelle delle medie e delle superiori, quindi tutti a casa solo con 3 (se non 4) positivi in classe. Sul resto si litiga e stamattina dovrà pronunciarsi il Comitato tecnico-scientifico. Non si arriverà ad ammettere i positivi asintomatici in classe, come avevano chiesto le Regioni che solo un mese fa volevano addirittura prolungare le vacanze di Natale nelle scuole, ma ci sarà da discutere sull’autosorveglianza in classe e sui test al giorno 0 e al giorno 5 che stanno complicando la vita di famiglie e capi d’istituto. Le nuove regole dovrebbero entrare in vigore lunedì 21 febbraio, le attuali risalgono a fine dicembre quando le vaccinazioni tra i 5 e gli 11 anni erano al 3% e ora sono le prime dose sono al 32%. Speriamo che nelle scuole arrivino anche le mascherine Ffp2.
Non dovrebbe cambiare subito il sistema dei colori, altra richiesta delle Regioni. Con le curve in calo, nessun territorio rischia la zona rossa – l’unica con restrizioni per tutti, non solo per i non vaccinati – e quindi non è così urgente. Il (super) green pass senza limiti per i trivaccinati, invece, serve entro il 10 marzo quando cominceranno a scadere i sei mesi per i primi che hanno fatto il booster. Da ieri la durata è quella. Poi, sulla base dell’andamento della pandemia, delle varianti e del dibattito sulla endemizzazione del Covid, i governi decideranno sull’eventuale quarta dose.
I 427 morti di ieri ci ricordano che il virus è ancora fra noi. È il dato che scenderà per ultimo, ma intanto l’indice Rt è sotto 1, ieri sono stati rilevati 133 mila contagi contro gli oltre 180 mila di martedì scorso, il tasso di positività dei tamponi è tornato al 10% dopo aver superato il 15% e i pazienti Covid nelle terapie intensive sono scesi a 1.549 dai 1.717 del picco del 17 gennaio, con una riduzione degli ingressi del 12% su base settimanale. Ma decine di migliaia di positivi al giorno sono sempre un problema per i medici di famiglia: alcuni sindacati della categoria hanno proclamato lo stato di agitazione. Anche CittadinanzAttiva ha presentato una serie di doglianze, dall’indisponibilità degli antivirali ai malfunzionamenti della piattaforma green pass.
“Salvini come Fini, Meloni arriverà al 30%”
“Mi pare che Matteo Salvini si stia comportando come a suo tempo fece Gianfranco Fini. E in quel caso non è finita bene…”. Vittorio Feltri, direttore editoriale di Libero, è un esperto del tema, visto che fu lui a chiedersi con un titolo sul Giornale: “Dove vuole arrivare il compagno Fini?”.
Dove vuole andare il “compagno” Salvini?
Non so, mi limito a notare che, con la sua strategia suicida, continua a perdere consensi, passando dal 34% al 17. La giravolta su Mattarella mi ha ricordato le numerose svolte a sinistra compiute una decina d’anni fa da Fini. Sappiamo com’è andata a finire. Auguro a Salvini di non fare la stessa fine.
Quali?
Nel 2018 il leader leghista è andato al governo coi 5 Stelle mollando gli alleati. Poi ha fatto cadere quell’esecutivo senza spiegarne il motivo. Infine è entrato in un governo dove c’è pure il Pd, anche in questo caso senza spiegare. E ora il Quirinale, partita in cui ha dato l’impressione di non sapere cosa fare commettendo una serie infinita di errori.
Perché considera scellerato il sì della Lega a Mattarella?
Innanzitutto sono rimasto allibito che lo stesso Mattarella abbia cambiato idea dopo che per 27 volte aveva manifestato la sua indisponibilità. Ma che tra i suoi sponsor ci sia stato anche Salvini mi ha parecchio sorpreso perché non era nel novero dei candidati di cui si era discusso nel centrodestra. Capisco l’amarezza della Meloni, che si è sentita tradita.
La rosa di nomi del centrodestra (Pera, Moratti e Nordio) la convinceva di più?
Sono tutte brave persone, ma forse prima di sparare nomi a caso bisognava fare qualche ricerca per sondare il loro gradimento, anche nel Paese. E mi chiedo: perché non è mai stato preso in considerazione un nome della società civile? Perché si è voluto pescare sempre e solo nel sottobosco parlamentare? Io, per esempio, avrei proposto Riccardo Muti.
E invece hanno provato con Elisabetta Casellati…
È una mia amica, una persona seria, ma non mi sembra la figura adatta per il ruolo di capo dello Stato. Poi è arrivata Elisabetta Belloni: stiamo tanto a dire di Putin e poi si voleva mandare al Colle il capo dei servizi segreti? Ma andiamo…
L’ipotesi Draghi al Colle la convinceva?
Sì. Per come si sta comportando a Palazzo Chigi sarebbe stato un ottimo capo dello Stato. E avrebbe nominato premier una persona alla sua altezza, magari ritagliandosi il ruolo di suggeritore.
E invece c’è il Mattarella-bis.
Con 14 anni consecutivi di mandato, l’Italia non è più una Repubblica, ma una monarchia, e nemmeno costituzionale.
Il centrodestra è finito?
Dopo questa vicenda si è arrivati a un punto di svolta tutto a vantaggio della Meloni che guadagnerà ancora consensi e alle elezioni arriverà al 30%. Penso che lei non abbia alcuna voglia di riaprire un dialogo con Salvini perché ha davanti una prateria.
L’ha sentita?
Negli ultimi giorni no, ma ci parliamo spesso. Mi sentivo anche con Salvini. Poi un giorno l’ho criticato in un articolo e mi ha mandato un sms: “Tra noi è tutto finito”. Sembrava uno di quei messaggi che si scambiano i fidanzati. Ma io fidanzati uomini non ne ho mai avuti.