“Fare scelte come in un campo di battaglia: chi cercare di far vivere e chi lasciare al proprio destino”. Non tutti hanno accettato la metafora o l’analogia bellica per inquadrare il Covid-19, ma anche i più scettici si dovranno ricredere di fronte a Senza respiro, il documentario realizzato dalla Rai, con il contributo di Arte e Pbs, che verrà trasmesso giovedì 11 giugno in prima serata su Rai Due.
Girato tra Cremona, Piacenza, Bergamo e Codogno, riguadagna immagini tanto strazianti quanto preziose alla sciagura invisibile che la pandemia è stata nella fase più virulenta e crudele. Ci sono i caduti, i feriti, i sopravvissuti, gli eroi, e ci sono anche i militi ignoti, giacché uno scampato con le lacrime agli occhi ritorna ai pensieri spalancati sull’orlo dell’abisso: “La morte ti rende anonimo, che senso ha la vita quando muori così? Non sei servito a niente”.
La commozione non è un valore assoluto, ancor più nell’audiovisivo, eppure ha ragione Duilio Giammaria, che dalla direzione di Rai Documentari ha voluto e supervisionato il progetto, quando rivendica a Senza respiro “la capacità di entrare dentro la sofferenza umana come le news da sole non sanno fare: è una sintesi tra informazione e cinema, lavora sulla percezione”.
Lo stanno facendo in molti, in Europa e altrove: la Bbc ha seguito pazienti e medici al Royal Free London per un Coronavirus Special in due episodi; la radiotelevisione belga francofona (Rtbf), in collaborazione con Look e France Télévisions, ha realizzato Cvid-19: 23 jours au cœur d’un hôpital; Arte ha proposto il collage Viral, ovvero un tg della pandemia nel mondo; Netflix ha risposto con Coronavirus, Explained.
Ma l’Italia, per una volta, non segna il passo: Senza respiro nasce dalla sinergia tra Rai Documentari, la trasmissione Petrolio e, appunto, la franco-tedesca Arte, con i contributi di Francesca Tosarelli da Bergamo, e l’americana Pbs, con il reportage di Sasha Joelle Achilli che ha passato quattro settimane in un ospedale Covid a Cremona.
Dai primi contagi ai decessi in solitudine, il lessico è quello ormai tristemente familiare di una tragedia inedita: “Uno tsunami inaspettato”, “tre passi dalla morte”, “io pensavo di essere in guerra”. Mentre l’Italia già si scopre imbecille, ovvero permeabile al complottismo e al negazionismo, il doc restituisce la verità dei fatti, indagando il pronto soccorso, interrogando allettati, ascoltando medici, interpellando reduci. Non solo la cronistoria delle “Tac tutte uguali e brutte”, le degenze a “pancia in giù, tubo in gola e gola tagliata”, il forno crematorio di Piacenza che a inizio aprile deve rimanere attivo 24 ore su 24, Senza respiro prova a imbastire un’educazione sentimentale alla pandemia: il tè preso ai due lati della porta tappezzata di messaggi affettuosi che separa una donna contagiata dal marito e dal figlio; l’accompagnamento verso la morte delle infermiere: “Non c’era più alcuna possibilità, prima di somministrare la morfina, ci fermavamo un attimo”; il “Sei stato un vero eroe, sono fiera di te” in videochiamata della madre e il “Sei la nostra vittoria, lo sai?” della caposala al diciottenne Mattia, dato per spacciato; il “Sebastian, non ce la faccio, ho paura” di una trentenne con tre figli a cui viene diagnosticata la malattia.
Come vuole il titolo, il basso continuo è il respiro, che affannoso contrappunta persino le immagini di Papa Francesco solo in piazza San Pietro e del presidente Mattarella solo all’altare della Patria, ma l’ossigeno non è unicamente sinonimo di vita, bensì di sofferenza: il casco respiratorio, che “tremavo, sono impazzito”, che è “prova di ghigliottina, ti separa la testa dal corpo”, che lascerà una cicatrice sul collo. Se va bene, perché la valigia sul letto è quella del più lungo viaggio, “hanno spostato il cadavere dal lettino e mi ci hanno messo”, il mantra in corsia irriferibile: “Non possiamo salvare tutti”, lo spettro di Caronte: “Ero un’anima in fila per attraversare il fiume e vedevo quelli che andavano di là”.
Giammaria vuole fare di Rai Documentari “la start-up dell’eccellenza”, punta alla cooperazione internazionale (Pbs per The Choice, France Télévisions) e alla razionalizzazione della filiera nazionale, e Senza respiro è un lusinghiero biglietto da visita. I suoi trascorsi di reporter di guerra hanno calibrato la metafora bellica, ma sul fronte più cruento del Covid il doc invero non ha combattuto: le Rsa, le case di riposo. “Le norme aziendali ce l’hanno impedito, ma l’emergenza richiede emergenza: in certi casi serve il coraggio di osare”. Già, a quando?