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Il nostro pessimo sistema elettorale

Sono fortemente convinto che il nostro sistema elettorale sia la causa della scarsa considerazione politica attribuita ai nostri governanti in virtù del fatto che dopo accese campagne elettorali sono costretti a rimangiarsi quasi tutto, perché costretti a un accordo con i peggiori rivali. I governi giallo verdi e rossi ne sono il massimo esempio. Per me alla base di tutto questo non c’è la fantomatica garanzia democratica, ma la volontà o meno di concedere il potere al popolo con un sistema maggioritario a doppio turno. Vorrei conoscere il suo punto di vista a riguardo. Siete da anni il primo Fatto di ogni giorno per me.

Biagio Stante

 

Caro Biagio, il doppio turno francese è un ottimo sistema elettorale; come del resto il proporzionale puro con una singola preferenza e un piccolo sbarramento. Entrambi consentono ai cittadini di scegliersi i parlamentari, diversamente dal Porcellum, dall’Italicum e dall’attuale Rosatellum, che danno ai capipartito il potere di nominarsi i “nostri” rappresentanti e poi di darci pure la colpa per averli “eletti”.

M. Trav.

 

Montanelli e il merito “premiato nei bordelli”

Nell’Italia delle corporazioni c’è un iscritto che viene sospeso dal proprio Ordine professionale nel: 1998 per 12 mesi; nel 2005 per 2 mesi; nel 2006 per 12 mesi. Nel 2008 l’iscritto impenitente, a fronte di un quarto procedimento disciplinare, si dimette dall’Ordine. Nel 2014 lo stesso Ordine lo riaccoglie, come farebbe il buon pastore con la pecorella smarrita. L’Ordine è quello dei giornalisti del Piemonte; l’iscritto è Massimo Giletti; la violazione riguarda il divieto di commistione tra informazione giornalistica e pubblicità. Mi torna in mente un’amara verità confessata da Indro Montanelli: “Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto”. Forse, anche per questo, sono stati chiusi.

Carmelo Sant’Angelo

 

Maturità: se tutti sono promossi, che esame è?

Ho visto che c’è molta preoccupazione perché potrebbero mancare i presidenti per le commissioni degli esami di maturità. Io non mi preoccuperei più di tanto in quanto questi esami conducono sempre a oltre il 99 per cento di candidati promossi: questo risultato si ripeterà sicuramente anche quest’anno, dimostrando ancora una volta l’inutilità di questo esame. Se tutti vengono promossi, è evidente che la maturità non serve a nulla: sarebbe meglio se venisse eliminata e il voto deciso solo dallo scrutinio dei professori interni che ben conoscono i loro studenti.

Pietro Volpi

 

Conte ha guidato bene l’Italia-trattore in F1

Forse la riconoscenza non è una categoria politica, ma di certo è una virtù, che sono in molti oggi a non dimostrare nei confronti del governo e, in particolare, del premier che ci ha traghettati fuori dall’emergenza. Tutti, a cominciare dallo stesso Conte, hanno ricondotto il merito del buon esito della Fase 1 al senso civico degli italiani…

Per fortuna, il Coronavirus ci ha colpiti mentre al governo c’era Conte, che dalla Fase 2 viene massacrato per qualunque cosa, compresa la riapertura dei parrucchieri di lunedì. Di certo, il ritardo burocratico nella distribuzione dei soldi stanziati c’è stato, e ha prodotto negatività e sofferenza, ma ci vuole una bella infingardaggine a darne la colpa al premier, che si è trovato nella condizione di un pilota che debba affrontare la pista di Melbourne con un trattore…

Si è trovato a trattare con categorie spaccate al loro interno, per cui quello che andava bene ad alcuni non andava bene ad altri, dalla riapertura delle librerie in avanti. E, in più, si è trovato a fare i conti con un governo litigioso, alle prese coi continui disfattismi ricattatori di Renzi e non solo.

Questo ora, da cittadina e per riconoscenza, voglio dire a Conte: caro Presidente, lei avrà anche commesso sbagli legittimamente e costruttivamente criticabili, ma nel complesso ha fatto miracoli e il trattore è arrivato dove doveva arrivare. E sono certa che nessuno meglio di lei abbia ora capito i veri mali del Paese e possa impostare le giuste terapie per curarli. Ccioè che, insomma, abbia capito che, quando non ci sono alternative, con un cingolato si può anche affrontare Melbourne, ma per il futuro bisogna cambiare vettura, a cominciare dalle ruote motrici.

Gloria Bardi

 

La Repubblica si fonda sui valori della Carta

Il 2 giugno Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, ci ha invitato a riflettere sul significato della parola “Repubblica”, ricordandoci che essa rappresenta un corpo unico, indivisibile e necessario. Oggi la contrapposizione tra partiti è veramente tragica, la corsa alla demagogia e allo sfruttamento delle disgrazie del popolo non conosce pudore. I valori vanno condivisi, non appartengono a nessun partito: è il senso dello Stato che deve pervadere chi è dentro la Res publica. Oggi la Costituzione può essere oggetto per un programma di partito: perché la sovranità appartiene al popolo (art. 1); perché prima dello Stato viene la libertà della persona (art. 2); perché una libertà formale non ha consistenza se la Repubblica non rimuove gli ostacoli per la realizzazione di un’eguaglianza sostanziale (art. 3); perché il lavoro è un diritto sacrosanto e deve consentire una retribuzione sufficiente e dignitosa (artt. 4 e 36).

Biagio Riccio

C’è la volontà di governarlo tutelando anche l’arte e i cittadini?

Caro Direttore, sono un lettore del Fatto Quotidiano. Attualmente svolgo un dottorato di ricerca, il mio campo di studio è la storia dell’arte. Per questa e per altre ragioni ho molto a cuore i temi della tutela e della valorizzazione dello straordinario patrimonio del nostro territorio e della promozione e del sostegno alle idee della creatività. Ora che l’attuale situazione epidemiologica lascia lentamente spazio a un cauto ottimismo, si è tornati a parlare di turismo, settore primario per l’economia italiana. Tuttavia, al di là dei tentativi di risolvere determinate problematiche, si ha l’impressione che su un piano di coordinamento generale non sia ancora stata formulata un’idea sul come ripensare il turismo e i suoi flussi. Negli anni passati si è assistito, come d’altronde in altri Paesi, a un fiancheggiamento abbastanza esplicito nei confronti di un turismo di massa – spesso mordi e fuggi – che ha invaso le nostre città senza portare vera ricchezza al territorio. Ciò è avvenuto a spese di quella qualità – dalla nostra storia artistica e paesaggistica fino alle attività produttive artigianali e all’agroalimentare –, che è il nerbo della nostra identità storica, sociale ed economica a livello internazionale, e che in quanto tale andava e andrebbe tutelata e incentivata, prima di tutto all’interno di un contesto europeo. Negli ultimi anni, forse, mai come ora si è posto questo problema con così tanta urgenza. Grazie.

Stefano A.

Caro Stefano, dubito purtroppo che ci sia la volontà, e prima ancora la capacità, di governare il turismo in Italia. Il suo riaccorpamento ai Beni Culturali (Conte 2) è un errore che mercifica il patrimonio culturale e affonda il turismo in un porto delle nebbie. Il principio cardine dovrebbe essere solo uno, ben noto alla nostra coscienza almeno fin dal Costituto di Siena (1309): l’“allegrezza dei forastieri” non può essere messa in contrasto con “la prosperità dei cittadini”. E dunque: il lavoro generato dal turismo non dovrebbe essere nero, precario, povero. Le strutture ricettive non dovrebbero espellere i residenti e cancellare le città stesse. Gli itinerari dovrebbero essere ripensati a favore di aree interne e centri cosiddetti minori. Invece, il ministro per i Beni Culturali e il Turismo rilancia l’insostenibile Ponte sullo Stretto. Di questo passo la sua lettera rischia di rimanere attuale e urgente per decenni.

Tomaso Montanari

I negri se la cercano (Come Ambrosoli secondo Andreotti)

Dopo le proteste per l’omicidio di George Floyd, qualche suprematista bianco comincia a mostrare segni di ravvedimento: “Cioè si può fare sesso con un negro anche se sta respirando?”

Negli Stati Uniti, la stand-up comedy ha una tradizione consolidata ed esistono monologhisti di ogni tendenza ideologica. In Italia, dove è stata importata da Paolo Rossi negli anni 80 (lo chiamavano “il Lenny Bruce dei Navigli”), (ma non va dimenticato Gianfranco Funari, i cui monologhi al Derby, negli anni 70, erano già stand-up comedy, che da noi nasce da una costola del cabaret), latitano gli stand-up comedian di destra. La novità è un certo Edoardo Fibonacci. In Rete spopola un suo monologo, che userei d’ora in poi come parametro per chi, disorientato una volta per tutte dalle politiche libiche di Minniti, non sa più bene cos’è la destra e cos’è la sinistra.

EDOARDO FIBONACCI: “Con ’sti social, la gente ha smarrito l’abilità di farsi i cazzi suoi. L’altro giorno, la prima cosa che ho fatto, finita la quarantena del cazzo, sono uscito in strada e ho preso a calci un negro. E mi sono fatto un video mentre lo prendevo a calci. E lo posto su Instagram, che è il modo con cui oggi dimostri di esistere. Be’, uno stronzo non ha commentato? Ha scritto: – Anch’io prendevo a calci gli immigrati africani. Poi però mia moglie mi ha detto che sono vittime delle guerre e delle spoliazioni territoriali dell’occidente capitalista. Forse non lo sapevi. Cerca di essere una persona migliore. – Oh, grazie, Nelson Mandela. Allora, primo: hai un matrimonio del cazzo. Tua moglie ti sta rovinando i negri! E ha dovuto fare delle ricerche, perché ’sto fatto delle guerre e delle spoliazioni dell’occidente capitalista non lo ricordano mai, nei tg. È dovuta andare a fondo. Un po’ come fanno i negri nel Mediterraneo, fra parentesi (risate del pubblico) (occhi al cielo, voce in falsetto) ‘No, non si ride di queste cose!’ Secondo: pensi davvero che, adesso che lo so, smetterò di fare certe cose? TU NON MI CONOSCI. Magari penso che i negri se la cercano. Come Ambrosoli secondo Andreotti. O come le ragazzine che vanno in giro con le tette di fuori e poi si lamentano se un marocchino le stupra. Smettetela di dire che gli immigrati sono vittime. Nessuno è innocente! Sei indignato solo perché è un negro, ma se avessi preso a calci una zingara: – Eh, era ora. – Ipocrita. Tutti pronti a offendersi, invece di essere logici. Io che prendo a calci un negro, sul web potrebbe benissimo diventare ‘Fibonacci è un razzista’. Io razzista? Escludo che qualcuno possa essere così stupido da pensarlo davvero. D’accordo, mi piacerebbe esserlo. Ma non ne sarei orgoglioso. Cosa cazzo vieni a rompere il cazzo a me! La Rete è piena di sceriffi, tutta gente che vuole farti sentire un verme. Tipo che il tuo smartphone è stato assemblato da un bambino cinese in un sotterraneo senza finestre. Perché vuoi farmi sentire un verme? È questo il problema. Non si può dire più nulla. L’unica cosa atroce, qui, è la psicosi del politicamente corretto. C’è sempre qualche comunità, o qualche gruppo di interesse, che si offende. Sono solo barzellette! Quanto agli ebrei sotto il nazismo, avranno avuto anche loro i loro torti”.

 

Malattie respiratorie e polveri sottili

Da tempo vengono condotti studi che evidenziano come l’inquinamento, soprattutto quello da polveri sottili, sia corresponsabile di una più alta incidenza delle malattie respiratorie. Riguardo alla diffusione dei virus nella popolazione, una solida letteratura scientifica correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (per esempio Pm 10 e Pm 2,5 ), come ampiamente descritto da Ciencewicki J. nel 2007 nell’articolo Air Pollution and Respiratory Viral Infection (“Inquinamento atmosferico e infezioni virali respiratorie”). La correlazione è stata ampiamente dimostrata per il morbillo, per il virus dell’aviaria, per il virus sincinziale respiratorio e per altre infezioni. È anche noto che la Pianura Padana abbia il triste primato di essere seconda in Europa, per inquinamento, solo alla Polonia. Una ricerca della Società Italiana di Medicina Ambientale ha dimostrato una relazione diretta tra il numero di casi di Covid-19 e lo stato di inquinamento dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali. Tale quadro viene riprodotto anche nelle diverse regioni, dove, a parità di misure e a parità di clima, le zone più inquinate hanno registrato molti più casi, rispetto al rimanente territorio. Pare che le polveri sottili veicolino il virus e, danneggiando i polmoni, ne facilitino l’ingresso. Tale osservazione, supportata da dati scientifici, induce a riflessioni che non sminuiscono l’effetto delle misure adottate nel contenimento della pandemia, ma suggeriscono anche un approccio di tipo ambientale contro l’inquinamento. Che, lo sappiamo, non è nocivo solo per quanto riguarda le infezioni. Forse fra le misure di prevenzione dovremmo nel futuro pensare anche a mantenere l’aria più pulita.

Direttore microbiologia clinicae virologia del “Sacco” di Milano

Conte fonda “Con-Te” senza dirmi nulla?

Eh no, caro Giuseppe Conte, questa proprio non me l’aspettavo da lei (e da Casalino), fondare un partito senza dirmi nulla, tenermi fuori da “CON-TE” (capito l’arguto calembour?), così si chiamerà (leggo in un pezzo molto informato di Stefano Zurlo sul Giornale), così vi chiamerete perché a ’sto punto state bene come state e non contate più su di me. E che cavolo, neppure un sms, che so’ una cartolina per avvertirmi, mentre Alessandro Fusacchia (“a suo tempo ghostwriter di Emma Bonino”) è già dentro e magari dietro una scrivania.

Erano mesi che ogni mattina speranzoso mi affacciavo nella stanza di Marco Travaglio. “Novità?”. E lui: “Niente”. E io: “Sei sicuro che se lo fa ci chiama?”. E lui: “Sicuro”. E io: “Mi fai sapere, posso fidarmi?”. E lui. “Fidati”. Adesso mi sente: caro Marco, scegli tu o non conti niente o per caso stai facendo il furbetto con me? Del resto, fondatore una cippa, sono sempre l’ultimo a sapere le cose. Siamo sull’orlo della guerra civile, gli italiani si stanno armando, su quotidiani e tv scontri e insurrezioni sono preannunciati dalle Alpi ad Agrigento, e sul Fatto

neanche una riga: la solita censura imposta, immagino, da Palazzo Chigi. E come la mettiamo, mi duole dirlo, con i molteplici scoop (sempre altrui) sulla caduta imminente del caro avvocato, che forse è già caduto ma non per il nostro giornale che insiste a chiamarlo premier. E no, dopo tutto quello che abbiamo fatto per questo signore ora che fa, chiama De Falco (l’eroe del “salga a bordo cz”), chiama Angelo Sanza (che ricordo ai tempi del governo Pella), chiama Sali &Tabacci e Fioramontichi, ma si dimentica degli amici. Leggo di “un contenitore a sua immagine e somiglianza”, di “Giuseppi che cospira con due mani” (non con le consuete quattro), di “dieci circoli già in cantiere”, e mi interrogo sulla possibilità di fare pace “CON-TE”. Scordiamoci del passato caro Presidente e pensiamo piuttosto a mettere su il circolo “CON-FATTO”, con Wanda Osiris, Pluto e i Fratelli Bandiera.

Il governo diviso di fronte al ricatto

Sull’Ilva di Taranto i rumors sono pessimi, ma il governo si presenta diviso di fronte al ricatto di ArcelorMittal. Da oltre un anno il colosso franco indiano – ancora affittuario degli impianti, in base al contratto firmato a settembre 2018 e poi stracciato – ha ingaggiato uno scontro con l’esecutivo con l’obiettivo di mollare il siderurgico e i suoi 11 mila operai al suo destino. L’azienda, in base agli accordi di marzo con cui si è rinunciato a un gigantesco contenzioso legale, ha facoltà di mollare l’ex Ilva a novembre pagando una penale calcolata in circa 500 milioni.

I segnali di disimpegno sono molteplici, ma l’esecutivo non è compatto. Il ministero dell’Economia continua a mantenere una linea accondiscendente con la multinazionale nel tentativo disperato di evitarne la fuga. Epilogo di cui parte del governo, specie al ministero dello Sviluppo guidato da Stefano Patuanelli, si è invece convinta da tempo e, tramite i commissari, spinge per obbligare il colosso a rispettare gli impegni, mentre preme perché, se non altro, la penale venga aumentata e non si faccia più affidamento su un gruppo che ha violato i patti sottoscritti neanche due anni fa.

Le mosse di Mittal stanno mettendo in serio imbarazzo il Tesoro, che ha sempre mantenuto un filo diretto con l’ad Lucia Morselli, chiamata l’estate scorsa a gestire la fuga del colosso e che solo all’ultimo ha annunciato che avrebbe presentato un piano industriale che nessuno si aspettava più. Nei palazzi romani l’impressione è che stia giocando una partita quasi personale, senza più l’appoggio della casa madre inglese, in vista dell’ingresso dello Stato. Il 25 maggio, per dire, aveva confermato gli impegni a “mantenere l’integrità degli impianti di Taranto”, salvo poi impedire la scorsa settimana l’ispezione dei commissari allarmati per la mancanza di manutenzione.

Allo staff di Gualtieri viene contestato di non aver mai costretto il colosso a rispettare gli impegni presi, giustificando pure i ritardi nelle riunioni tecniche e minimizzando gli allarmi dei commissari. La stessa penale sarebbe stata inserita solo per indicazione del Mise e del premier Conte: se Mittal si dilegua pagando briciole, qualcuno dovrà spiegare il perché di una strategia così debole.

Ilva, oggi il piano Mittal 5mila lavoratori a casa

Le carte sul futuro dell’Ilva di Taranto saranno scoperte oggi, quando Arcelor Mittal, la multinazionale che gestisce il siderurgico di Taranto e gli stabilimenti di Novi Ligure e Cornigliano, invierà il piano industriale al ministero dello Sviluppo economico. Sarà spedito, non presentato. Non ci sarà alcun incontro al Mise: la proposta sarà valutata prima dallo staff del ministro Stefano Patuanelli e solo successivamente presentata ai sindacati. Un piano “serio e ambizioso” secondo le speranze del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Un piano “ridimensionato” rispetto alle proposte irricevibili presentate a marzo scorso quando i sindacati abbandonarono la trattativa dopo l’annuncio dei 5mila esuberi prospettati da Lucia Morselli, ad di Arcelor Mittal. Eppure tra i corridoi le speranze che davvero il nuovo piano possa essere la via per rendere Ilva un leader mondiale dell’acciaio sono praticamente nulle. Anzi. Tra i rumors circolati alla vigilia, l’ipotesi più accreditata è quella di un piano con 4 mila esuberi a Taranto e 800 negli altri stabilimenti, uno slittamento tra i 12 e i 18 mesi per il completamento del piano ambientale e una nuova ipotesi di gestione produttiva della fabbrica. I rumors raccontano che Arcelor voglia rinunciare al rifacimento dell’Altoforno5 secondo i progetti dei commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria: un progetto che segnerebbe un nuovo corso per la produzione italiana con impatti minori e migliore qualità del prodotto. Troppo costoso, però. Più probabile, insomma, che Arcelor decida di continuare a produrre lavorando solo con Afo1 e Afo4, mandando a fine vita l’Afo2 che nei mesi scorsi era stato al centro dello scontro giudiziario che aveva portato alla richiesta di risoluzione del contratto presentata dalla multinazionale al tribunale di Milano.

E se nell’ultimo incontro la Morselli aveva confermato che c’era la volontà di andare avanti, le ultime mosse non hanno contribuito a calmare gli animi. Anzi. Arcelor ha inanellato in meno di un mese una serie di colpi che hanno scatenato la rabbia dei sindacati. Il 15 maggio scorso oltre mille lavoratori sono stati lasciati fuori dai cancelli perché collocati nottetempo in cassa integrazione. Una settimana fa, invece, ha impedito ai commissari straordinari e ai loro tecnici di effettuare l’ispezione agli impianti disposta dal Prefetto di Taranto su richiesta dei sindacati motivando il “no” prima con la mancanza di personale in occasione del ponte del 2 giugno e poi con problemi sulle norme anti contagio visto che la delegazione era composta da 15 persone. L’ultima è arrivata nel pomeriggio di ieri, proprio a poche ore del giorno della verità sulle sue intenzioni. Arcelor ha inviato ai sindacati una lettera nella quale ha annunciato il ricorso alla cassa integrazione dal 6 luglio “per un periodo presumibile di 9 settimane” per ben 8.157 dipendenti. Come scrive la stessa azienda si tratta dell’intero “organico aziendale al netto della dirigenza”. Una data, quella del 6 luglio, evidentemente non casuale visto che il 5 sarebbe terminata la “Cassa integrazione Covid”.

I motivi per la nuova richiesta sono gli stessi. Ancora l’emergenza sanitaria “i cui effetti continuano ad avere riflessi in termini di calo delle commesse e ritiro degli ordini prodotti”. Una situazione che secondo Arcelor avrebbe causato anche il “parziale blocco di parte delle attività produttive, manufatturiere, distributive e commerciali che hanno reso difficilissimo, per altro, anche la chiusura degli ordini e delle fatturazioni” e infine un “drastico calo” dei “volumi e di conseguenza delle attività”.

Insomma, una prospettiva desolante. E appare quindi altamente improbabile che con una previsione del genere, in cui la stessa azienda ammette di non riuscire a trovare nuove commesse “nonostante gli sforzi profusi”, Arcelor possa stupire tutti presentando un piano industriale che preveda il reintegro di tutti i lavoratori, punto rimarcato più volte da governo e sindacati come condizione di base per negoziare. Più evidente, appare la volontà di alzare i toni dello scontro per chiudere il più presto possibile “l’affare Ilva” e trattare ancora con il governo una via d’uscita. Una scorciatoia per evitare di attendere la finestra di novembre che all’azienda costerebbe una penale da 500 milioni di cui 100 milioni in materie prime. Una ipotesi che il governo non sembra intenzionato a prendere in considerazione aprendo una nuova battaglia legale, ma questa volta senza esclusione di colpi.

Chiude il “Bertolaso hospital” 2

È durato meno di 15 giorni l’ospedale costruito a Civitanova Marche (Macerata) quando ormai l’emergenza sanitaria era superata: la Regione ha contato 6.738 contagi e 988 morti. Fino a ieri, per dirla con il suo creatore Guido Bertolaso, era l’esempio che l’Italia avrebbe dovuto seguire nella lotta al Covid-19. Ma da oggi non esiste più. È il “Covid Center” di Civitanova Marche, l’ospedale da 84 posti letto tra terapia intensiva e sub-intensiva, costato 12 milioni, entrato in funzione il 23 maggio scorso e che da stasera chiude i battenti. Meno di una ventina i pazienti ricoverati in tutto, mai più di tre insieme. Alle 20 l’“astronave supertecnologica” (definizione by Bertolaso), sorella minore dell’altrettanto inutile ospedale concepito sempre dall’ex capo della Protezione Civile alla Fiera di Milano, abbasserà la claire. L’ultimo degente ieri ha avuto il doppio tampone negativo. Poi, nei corridoi dell’Astronavina circoleranno solo le guardie giurate. Rimarranno così inutilizzate le attrezzature mediche da 6 milioni di euro e le opere murarie costate altri 6 milioni. Ma rimarranno anche gli strascichi giudiziari e le polemiche.

I primi partono dall’esposto presentato il 27 maggio da un gruppo di cittadini e associazioni per supposti reati di falso in atto pubblico e irregolarità rispetto alle norme sugli appalti pubblici, sui quali sta indagando la Procura di Macerata. I magistrati dovranno far luce sul ruolo giocato dal Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (Cisom), sul cui conto corrente sono transitate le donazioni di cittadini e aziende. Soldi privati che, per gli esponenti, sarebbero diventati pubblici nel momento in cui sono stati donati alle istituzioni, sebbene “dirottati senza alcun apparente motivo” sul conto di Cisom.

Le polemiche, invece, sono politiche e investono la scelta del presidente della Regione, Luca Ceriscioli, di scommettere sull’Astronave anche quando l’epidemia era in evidente regresso e gli ospedali “terrestri” riuscivano a soddisfare la richiesta di terapie intensive. La prima a puntare il dito contro l’operazione “Covid Center”, già all’inizio di aprile, era stata Daniela Barbaresi, segretaria regionale Cgil. Poi i sindacati dei medici hanno denunciato come le strutture ospedaliere fossero “saccheggiate” di medici e infermieri, dirottati da rigidi ordini di servizio verso l’Astronave. Che però è sempre rimasta praticamente priva di pazienti. Critiche anche sui costi di gestione: si prevedevano circa 1,5 milioni di euro al mese per il mantenimento. Un salasso per la sanità regionale.

“Al di là dell’incomprensibile scelta di fare quell’ospedale – sottolinea Claudio Maffei, ex dirigente sanitario marchigiano – bisogna capire cosa intendono farne. Lo terranno fermo fino a settembre, per vedere se ci sarà una ripresa del virus. Ma ora i nostri ospedali si sono attrezzati e, anche se ci fosse una nuova impennata dei casi, saremmo pronti. Quindi rimarrebbe inutilizzato”.

Regioni, addio tracciamento: crollano i tamponi diagnostici

Possiamo dire che dei 21 parametri di monitoraggio della situazione Covid-19 richiesti alle Regioni dal ministero della Salute – i dati sono peraltro secretati – a contare ne sono rimasti solo due: quanti malati in terapia intensiva, quanti ricoverati negli ospedali. Il resto è una farsa, tanto più grave dopo aver chiesto agli italiani il sacrificio di chiudersi in casa per mesi innescando una pesantissima crisi economica proprio per preparare il sistema alla fase della convivenza del virus.

In buona sostanza, invece, delle mitiche “tre T” che dovevano consentirci una (quasi) normalità in sicurezza – testare, tracciare, trattare – è rimasta solo l’ultima: il numero dei tamponi negli ultimi giorni è calato e questo, ovviamente, è più grave nelle Regioni in cui il coronavirus circola di più (dalla Lombardia in giù). Il punto è che se il Covid-19 è ancora pericoloso – come dicono le istituzioni tutte – affidarsi all’osservazione delle presenze negli ospedali è un grosso errore: quando i pazienti affollano i Pronto Soccorso, il virus circola già da settimane.

Parliamo dei tamponi. In queste settimane molte Regioni ci hanno detto che ne facevano pochi perché mancavano i reagenti. Ebbene, ieri il commissario all’emergenza, Domenico Arcuri, ha sostenuto che, all’esito della procedura di acquisto mondiale concordata proprio con le Regioni, la capacità produttiva teorica passerà a breve dai 60mila tamponi/giorno di media attuali a 90mila (senza contare che l’obiettivo, ora, è comprare macchinari “aperti” per processare i tamponi da fornire alle Regioni).

Problema: nell’ultima settimana il numero dei tamponi effettuati è stato spesso più vicino ai 30-40mila dei primi giorni dell’epidemia che al doppio. Volendo si può dire in un altro modo: nella fase 2, rileva la Fondazione Gimbe nel suo ultimo report, la percentuale dei tamponi diagnostici (quelli che servono a scovare nuovi casi in questo momento) si è ridotta mediamente del 6%.

Sempre usando i dati Gimbe, la media nazionale di tamponi diagnostici ogni 100 mila abitanti era 1.343 nel report al 27 maggio, risulta a 891 in quello diffuso ieri e aggiornato al 3 giugno. Un vero e proprio tracollo in cui i risultati peggiori sono appannaggio di Puglia, Sicilia, Campania, Marche, Lazio e Sardegna: anche Emilia-Romagna e Calabria risultano comunque sotto questa pur bassa media, così come la Liguria, caso più grave perché ai suoi 840 tamponi diagnostici ogni 100 mila abitanti corrisponde un’alta percentuale di positivi (il 4,3%, la più alta d’Italia, seguita dal 3,83 della Lombardia e dal 2,69 del Piemonte contro una media nazionale dell’1,48%).

La Lombardia, che ha processato la miseria di 18.000 tamponi negli ultimi tre giorni, al 27 maggio faceva 1.608 tamponi diagnostici ogni 100 mila abitanti, ora – pur restando sopra la media nazionale – 1.149. Fa peggio il Piemonte: da 1.675 a 952. Un effetto collaterale di questa scelta delle Regioni è paradossale: in questo modo la app “Immuni”, a cui pure si chiede di cedere parecchi dati personali, è del tutto inutile.

 

Politici in Consiglio, il Pd alza il muro

C’è un punto di rottura tra le forze di maggioranza sulla riforma del Csm e riguarda la presenza dei politici – come membri laici – nel Consiglio. Il Guardasigilli del M5S, Alfonso Bonafede, ha inserito nel testo base l’impossibilità di essere nominati per parlamentari, ex parlamentari e membri del governo. Ma Pd, Leu e Iv sono contrari. Il ministro ha intenzione di perseguire il suo obiettivo, fino a portare questa modifica anche in Consiglio dei ministri. “Ma è aperto al confronto”, spiegano fonti qualificate. Di certo mentre paginate di intercettazioni mettono di nuovo sotto la lente la degenerazione del sistema correntizio, Pd, M5s, Italia viva e Leu stanno lavorando insieme per la riforma. D’accordo quasi su tutto (dalle regole per rendere meno pilotabile il pacchetto di nomine giudiziarie, ai limiti alle “porte girevoli” da giudici a politici, al nuovo sistema elettorale), resta il muro contro muro sulla presenza dei politici nell’organo di “autogoverno” della magistratura. Ci sono state già diverse riunioni, ma non si arriva a una conclusione. Bonafede è convinto che questo sia il modo per tenere definitivamente fuori la politica dal Csm. Tanto è vero che – nonostante le richieste del Pd di togliere questa modifica dalla bozza – insiste. Ma i dem (rappresentati da Alfredo Bazoli, Franco Mirabelli, Andrea Giorgis e Valter Verini) non mollano. “Non è il caso di continuare a connotare la politica con questo stigma negativo”, hanno detto al ministro. Senza contare che “non è vero che in questo modo si elimina l’influenza della politica: comunque, le nomine passano anche per il gradimento dei partiti: il Parlamento sceglie i magistrati non solo per il loro curriculum, ma anche per il loro orientamento politico generale”. Fatto sta che per adesso non se ne esce: della questione sono stati investiti i capi delegazione.

Peraltro, il ministro ha incontrato mercoledì le opposizioni: anche per loro parlamentari ed ex parlamentari possono essere eletti membri laici. Oggi completerà il giro, vedendo Anm e avvocati. In realtà la sua è una battaglia piuttosto difficile da vincere. E se lui, raccontano, è convinto che tra le motivazioni dei dem ci sia quella di non creare una contraddizione tra parlamentari che eleggono ma non possono essere eletti, i dem, viceversa, pensano che ad agire nelle sue valutazioni sia “il riflesso condizionato” nei confronti della politica, quella convinzione “tipica dei Cinque stelle delle origini per cui tutto ciò che toccano i politici sia guidato da malizia e malafede”. Insomma, più una bandierina, che una reale convinzione.

Ma tutta questa vicenda mette in luce anche un altro dato: a presiedere il Csm sono per Costituzione Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, nella notte dei tempi anche parlamentare e David Ermini, vicepresidente, eletto come membro laico da parlamentare del Pd. Prima di lui il vice presidente era Giovanni Legnini, anche lui del Pd. Una riforma che abolisce la presenza nel Csm di deputati e senatori chiamerebbe in causa la legittimità di questo Consiglio e di quello precedente. Che peraltro, è già parecchio in discussione, visto quel che si è saputo nell’ultimo anno. Mattarella, pur ribadendo lo “sconcerto” e la “riprovazione” davanti al “mercato delle toghe”, ha chiarito che non può sciogliere il Csm in base a “valutazioni discrezionali”.