Cacciari su Skype, Billy Idol Padellaro e Del Piero da Ikea

La pandemia ha cambiato anche la tivù. I talk-show sono senza pubblico in studio. Gli ospiti si collegano da casa loro, via Skype. E fino al 18 maggio, senza parrucchieri, la resa estetica era spesso straziante. Ecco una carrellata di tutto quello che non avremmo voluto vedere. E invece lo abbiamo visto.

Del Piero accetta di partecipare a Otto e mezzo. Bello. È a casa sua in California. Bello. Solo che l’arredo attorno a lui sembrava rubato all’Ikea e “smarmellato” dal direttore di fotografia di Boris.

Ranieri Guerra, sempre a Otto e mezzo, opta per il low profile e si collega da un salotto di mestizia antica. Alle sue spalle giusto una mensola, abbandonata per giunta a se stessa senza neanche un soprammobile o un Nardella. Spiace.

Massimo Galli, l’uomo meno ottimista dai tempi di Leopardi e Schopenhauer, diventa la star della fase 1. E purtroppo, con la sua gioia di vivere contagiosa, ci prende quasi sempre. Al mattino si collega dallo studio, al pomeriggio dalla strada, alla sera dal salotto (ma pure dallo sgabuzzino, quando si nasconde dai familiari che gli urlano “Hai rotto le palle con ‘sto Skype!”). Ogni volta la rifrazione della luce del computer sul volto gli dona un colore bluastro stile Puffo, che stride con la portata apocalittica del suo Verbo. Massimo Galli re del mondo: subito.

Cacciari ha scoperto in questi mesi Skype, ma non l’allegria. Alle sue spalle, una babele di libri avidamente compulsati. Luce soffusa, a dare un effetto cristologico al collegamento. Capelli lunghi, deliberatamente spettinati. A al centro della scena, Lui: anzi no, perché Cacciari si agita sempre così tanto che Skype per un po’ ci prova a seguirlo, ma poi decide di sconnettersi. Per sfinimento.

– Ospite di Accordi&Disaccordi, Paolo Crepet decide di palesarsi da una sorta di cripta antichissima. Poi il collegamento salta. E Paolo va a mangiarsi qualche bacca coi Flinstones.

– ACartabianca, De Bortoli sfoggia una pettinatura alla Jerry Lee Lewis assai impomatato. Gli risponde Antonio Padellaro, che da Lilli Gruber omaggia con successo l’acconciatura anni Ottanta di Billy Idol, prima di cantare Rebel Yell accompagnato alla chitarra da Paolo Pagliaro.

Cottarelli si fa riprendere in piedi. La scelta è forse dettata dal desiderio di fuggire più in fretta dalla famiglia, che non ne può più di aprire ogni volta una stanza e trovarselo sempre davanti mentre parla con la Fornero.

– Il ministro Spadafora abbandona la consueta pettinatura Playmobil e si concede il vezzo inconsueto di sfoggiare un pandoro cuneiforme, che ne valorizzi appieno la calotta cranica.

Carofiglio, posizionando la webcam molto in basso per ottenere un’inquadratura ancor più maschia e littoria, ha così paura di uscire dall’inquadratura da non muoversi mai. Ma proprio mai. In questo periodo non è andato in tivù lui, ma il suo fermo immagine.

Severgnini si collega con un pesce alla sua destra. Il pesce è morto, ma ha comunque più carisma di Capezzone a Quarta Repubblica.

(Mi ha chiamato Padellaro. Dice che anch’io sembravo Lerch della Famiglia Addams. Ha ragione. E in ogni caso la battuta su Billy Idol era di Luca Sommi. Giuro!)

Renzi si ostina a fare dirette Facebook (senza pubblico) in piedi e in controluce. Propone poi lo stesso format a L’aria che tira. Grande idea! Di fatto il controluce impedisce di vedere Renzi stesso. E forse questo è un bene. Anche per Renzi.

Calenda indossa le cuffie che utilizzava Bob Dylan nel video di We are the world.

– Ogni volta che Travaglio parla male di Salvini a Otto e mezzo, o salta la connessione o salta l’audio. Ciò dimostra incontrovertibilmente che anche il wi-fi è leghista.

– Il ministro Speranza, da Floris, riscrive le leggi della gravità con una capigliatura che, prima del taglio salvifico, era arrivata ad assumere le sembianze di un blob multiforme.

Sono stati collegamenti bellissimi. Ci mancheranno!

Seconde case a Grado (Go): il virus fa paura, l’Imu anche

Settecentoventiquattro residenti spariti nel nulla. Uno su dieci, o giù di lì, perché Grado (Gorizia) conta 8mila abitanti. Come se New York si ritrovasse senza due milioni di persone. Stavolta, per fortuna, il Covid non c’entra. Almeno non direttamente. Il morbo che parrebbe aver colpito quasi mille persone avrebbe un nome diverso: Imu, inteso come imposta municipale sugli immobili. Quella che getta nel panico i proprietari di seconde case nelle località di vacanza.

Siamo a Grado, un borgo di pescatori che sembra sospeso sulla Laguna ai confini con il Veneto. Intorno isole, pinete e spiagge che d’estate si popolano di migliaia di turisti. Nei mesi scorsi alle porte di tutti i residenti si sono presentati vigili e postini per consegnare le famose mascherine. Due per ognuno degli abitanti che, in quei giorni, si supponevano barricati in casa per il lockdown. Ma ecco la sorpresa: ben cinquecento appartamenti erano invece vuoti. Deserti.

Che diavolo era successo? Certo, capita che qualcuno sia stato sorpreso dal virus mentre era in viaggio, magari all’estero. Ma il dubbio, come ha raccontato Il Piccolo, ha afferrato le autorità: forse il problema non era il Covid, ma l’Imu. E le mascherine che difendono dal contagio potrebbero invece aver smascherato l’evasione: la solita storia dei finti residenti che sperano così di evitare la tassa. Proprio nei giorni in cui il sindaco Dario Raugna aveva annunciato un leggero ritocco dell’Imu sulle seconde case: più 0,5 per cento. Poca roba, ma necessario per portare in cassa 350mila euro da destinare alle famiglia messe in ginocchio dal virus. E subito la questione è diventata politica. Il leghista Enzo Tirelli si è fatto paladino dei proprietari di seconde case contro il comune: “Così si uccide il turismo. Considerarli come vacche da mungere è un atteggiamento Komunista che non possiamo condividere”.

Addio Gervaso, l’opinionista con il papillon

Lo scrittore e giornalista Roberto Gervaso, 82 anni, è morto a Milano dopo una lunga malattia. Autore di successo, in particolare di biografie, e protagonista della grande divulgazione storica in Italia, è stato anche un popolare personaggio della tv, dove compariva sempre indossando il papillon. Si definiva aforista, perché il genere che aveva affinato era quello degli aforismi. Lascia la moglie Vittoria e la figlia Veronica, giornalista del Tg5. Tra le tante definizioni che si era guadagnato, compresa quella di “principe degli intervistatori“, quella che amava di più era il titolo di una rubrica: “il grillo parlante“.

Nato a Roma il 9 luglio 1937, ha collaborato a quotidiani e periodici, alla radio e alla televisione, e per decenni si è dedicato alla divulgazione storica. Tra il 1965 e il 1970 firma insieme a Indro Montanelli i primi sei volumi della Storia d’Italia edita da Rizzoli, acquisendo grande notorietà. Nel 1973 vince il premio Bancarella con la biografia Cagliostro cui seguirono altre sei biografie storiche da Nerone a Casanova, dai Borgia a Claretta Petacci, tutti volumi usciti tra gli anni 70 e 80 da Rizzoli. Nella sua vasta bibliografia di oltre 60 titoli, un giallo storico, Scandalo a corte; due raccolte di grandi storie d’amore, Appassionate e Amanti; sei raccolte d’interviste; una raccolta d’interviste immaginarie, tre raccolte di aforismi; un volume di confessioni, uno di galateo erotico, uno sui sentimenti.

Al nome di Gervaso, che fu tra i primi opinionisti delle tv di Silvio Berlusconi, è legato anche lo scandalo della Loggia P2, di cui Gervaso aveva la tessera numero 622.

Il contrattacco dell’avvocato Arnone: dodici magistrati rischiano il processo

La richiesta di archiviazione è di sei pagine, l’ordinanza del gip Davide Salvucci di 33: dentro ci sono i capi d’imputazione per 12 magistrati di Agrigento accusati, in oltre 10 anni, dall’avvocato Giuseppe Arnone di avere adottato il rito che chiama “alfaniano’’ (“si esercita quando vi sono persone importanti che stanno a cuore al ministro Alfano’’), insabbiando le inchieste sui “fedelissimi’’ dell’ex ministro. Ci sono ipotesi di abuso d’ufficio e diffamazione. Per sapere se la Procura di Agrigento è stata negli ultimi 15 anni il nuovo “porto delle nebbie’’ descritto da Arnone bisognerà attendere la decisione del gup, dopo che la Corte di appello ha bocciato la richiesta di ricusazione avanzata dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio (nella foto), uno degli indagati: per lui l’ordinanza era “abnorme’’, perché il gip si sarebbe già espresso su vicende collegate. “Sono un magistrato – scriveva Patronaggio – costretto a difendere il proprio operato di tre anni alla Procura di Agrigento anche per vicende che non lo vedono protagonista e con coindagati, rispettabilissimi, ma con i quali non ha avuto a che vedere se non per rapporti di ufficio’’.

Sono l’ex procuratore Renato Di Natale, gli aggiunti Ignazio Fonzo e Salvatore Vella (già a giudizio per calunnia), i pm Carlo Cinque, Alessandro Macaluso, Andrea Maggioni, Simona Faga, Santo Fornasier e Alessandra Russo; e i gip Alessandra Vella e Francesco Provenzano. Quest’ultimo ha disposto nel novembre 2016 l’arresto, poi annullato dal tribunale della libertà, del legale più processato d’Italia (110 processi e richieste per 20 anni di carcere), autore di costanti denunce contro il malaffare nella valle dei Templi, bloccate, ha sostenuto Arnone, da una sorta di “patto di scambio’’ tra i magistrati e l’avvocata Francesca Picone, già condannata a 4 anni per estorsione a una famiglia di disabili e ora indagata con le toghe: in cambio di dichiarazioni mendaci contro Arnone avrebbe ottenuto l’impunità su altri fatti denunciati dai carabinieri di Realmonte ma finora non contestati dalla Procura. Tra gli indagati c’è l’ex gip Luigi Birritteri, sottoposto ad indagine disciplinare (poi archiviata) a seguito di denunce di Arnone: dopo la pubblicazione delle sue conversazioni con Luca Palamara, il pm romano sotto inchiesta a Perugia, il difensore di Arnone, Daniela Principato, ha segnalato al procuratore della Cassazione Giovanni Salvi che in quelle intercettazioni “il dott. Birritteri deve evitare che il Csm si soffermi in ordine agli esposti dell’avv. Arnone nonché in merito agli articoli del Fatto Quotidiano, in quanto teme che si scoperchi il suo trascorso concernente la scuola privata organizzata per anni in nero e con laute retribuzioni con evasioni fiscali’’.

L’omaggio di Mattarella

“Non erano numeri, ma persone” Sergio Mattarella ha scelto di essere a Codogno, per la data simbolo del 2 giugno: “Da qui, dove è iniziato il nostro percorso di sofferenza, vogliamo ribadire i valori della Costituzione, ricordando i tanti concittadini morti per il coronavirus e rinnovando grande solidarietà ai loro familiari e alle loro comunità. Qui è presente l’Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio”. Proprio durante il saluto della volontaria della Croce Rossa Giovanna Boffelli c’è stato un momento di grande commozione: “Ho vissuto la malattia delle persone lasciate sole”. Poi, l’incontro coi sindaci del Lodigiano e il presidente della Regione, Attilio Fontana.

“Agiamo in via penale e civile: lo dobbiamo ai nostri nonni e papà”

Era il 22 marzo, quando in quattro abbiamo deciso da Bergamo di costituire il gruppo Facebook “Noi Denunceremo”, che conta oggi più di 55.000 followers.

La nascita del gruppo ha unito forze centripete e contrastanti, il dolore, la rabbia. Ha creato legami, permettendo la nascita di nuovi rapporti tra le persone. Persone con visioni politiche agli antipodi che si sono incontrate e comprese su un comune terreno: quello del senso civico, della condivisione, della solidarietà. Il terreno in cui sono cresciuti i nostri genitori, i nostri nonni, proprio le generazioni falciate dal virus. Chi ha sviluppato la propria vita politica a sinistra ha trovato un’intesa profonda con “quelli di destra”, a dimostrazione che la voglia di buon governo e di giustizia unisce, e non divide.

Tutto in nome delle domande che devono avere risposta. Chi doveva fare, ha fatto? Chi doveva vigilare, ha vigilato? Chi doveva difendere, ha difeso?

Quello che pretendiamo come comitato no- proft “Noi Denunceremo: Verità e Giustizia per le Vittime Covid-19” – nato quasi naturalmente dal gruppo social, il 29 aprile – è che l’autorità giudiziaria indaghi a 360°, noncurante delle pressioni politiche, sulla strage che ha colpito la Lombardia in particolare, ma anche tutto il nostro Paese.

Chiediamo che le Procure incarnino quell’obbligo morale di cui sono investite da tutti i cittadini italiani.

Vogliamo, per coloro che hanno dato mandato al Comitato di agire in sede prima in sede penale, e poi civile, verità e giustizia per le migliaia di morti, per molti versi inspiegabili, dei nostri genitori e dei nostri nonni.

E, nel nome di questa generazione scomparsa, non ci fermeremo finché non saranno acclarate e determinate le responsabilità delle amministrazioni locali – in particolare quelle regionali, poiché è alle Regioni che la nostra Costituzione demanda la gestione della sanità – e del governo centrale.

Ecco perché il 10 giugno decine di aderenti al Comitato attenderanno pazientemente il proprio turno per depositare, davanti alla Procura delle Repubblica di Bergamo, le denunce che come Comitato, assieme ai nostri legali, abbiamo preparato. Non smetteremo di chiedere conto a quella politica che non è stata capace di tutelare la salute dei propri cittadini, i diritti della persona ed il bene comune, tradendo i valori su cui la nostra Costituzione si impernia, finché non avremo risposta.

 

Il gruppo ‘noi denunceremo’: “il 10 giugno sarà il d-day”

Come un treno. Senti il suono che arriva in lontananza. Si ferma a ogni fermata. E tu continui a fare le tue cose. Piano piano il rumore si fa forte. Inizi ad accorgerti delle immagini al telegiornale. E intanto, quello, si avvicina sempre più. Poi è un secondo. Il treno arriva, ti trancia le gambe. Tu lo vedi passarti sopra: oramai agonizzante. Non è più solo in Cina, ora. Il virus è dietro, dentro casa tua. E ti porta via tuo padre. Tua madre. In dei casi, entrambi. Luca Fusco, commercialista 58enne di Brusaporto, in provincia di Bergamo, ha perso il padre, Osvaldo, 85 anni, che fino a tre mesi fa ogni giorno passava in studio a vedere se “con le pratiche tutto bene”. “Non so nemmeno se quelle ceneri che mi hanno restituito siano le sue… per due volte sono state perse”, racconta. “Cuneo, Ferrara, non si sapeva in che città l’avessero portato. Quelli delle pompe funebri si ammalavano uno dopo l’altro, e mio padre si perdeva. È successo tutto così. Ma c’è un punto in cui quella velocità, e la sospensione che dall’altra parte tutto il Paese viveva, si sono incontrate”. È stato suo figlio a creare il gruppo Facebook. “Papà, io te lo faccio, ma guarda che sarà un casino stargli dietro, sai in quanti scriveranno?”. Solo che Luca davvero non riusciva ad immaginare. Con la sua compagna decidono il nome:Noi denunceremo. “L’idea era nata in cucina, una sera. Per condividere, innanzitutto. Non ce n’è un bergamasco che non abbia un parente o amico morto”. In meno di 24 ore gli iscritti diventano migliaia: oggi, oltre 55mila. E da tutt’Italia. Così “Noi denunceremo” è diventato un comitato, e un sito con migliaia di storie. Tutte con lo stesso canovaccio. Abbandono dei malati, e dei familiari (senza tampone). Nessun contatto dalle Ats. Mancanza di assistenza domiciliare. Difficoltà di ricovero per i casi gravi. Pronto soccorso di Alzano. E quei “sacchi neri dell’immondizia”, in cui vengono raccolte le ultime cose delle persone che non ci sono più.

“Ancora oggi – prosegue Luca – mi rendo conto, quando sento gli amici di Milano che si lamentano per le chiusure, che chi non vive qui non può capire. Siamo stati sacrificati. Per interessi altri. Per incapacità. Per errori”. Qui, in queste valli di “lavoratori a testa bassa, proprio come piacciono a loro”, le serrande sono quasi tutte abbassate. Ed è il silenzio che ti accompagna per strada. Ma non perché le persone siano chiuse per le ultime ore di lockdown. Perché proprio non ci sono più. Morte. E prima la bacheca Facebook, poi il sito, hanno raccolto, attraverso le testimonianze dei familiari, le loro storie.

Non s’allude mai alla possibilità di contrarlo o meno, il Covid-19. Il punto, a leggere quei ricordi, era soltanto capire quando. Ora, scritte nere su bianco, quelle centinaia di storie sono diventate esposti, che verranno presentati davanti alla Procura di Bergamo il 10 giugno. “Sarà il nostro D-Day, il nostro Denuncia-Day”, spiega Consuelo Locati, anche lei rimasta orfana di padre, che coordina il team di avvocati. “Saremo tutti in fila. Ordinati, distanziati. Ma persone, non numeri: e vogliamo che si veda anche con un’immagine”. Ogni denuncia si porterà dietro il familiare che l’ha presentata. L’idea è nata, dopo essere stati chiamati più volte in Procura in via informale, “per aiutare i magistrati a fare chiarezza”. Le storie sono state raccolte e divise in tre filoni: ospedali, Rsa e “nessun tampone”. Poi, è scattato il progetto di una vera e propria azione legale, in sede penale e in sede civile. “Non possiamo puntare a una class action perché per il momento nel nostro ordinamento è prevista solo per tutelare i diritti dei consumatori. Ma – riprende a spiegare Consuelo – se dovessimo fare un buco nell’acqua, perché nel penale sarà molto difficile arrivare a un’incriminazione per epidemia colposa o per omicidio colposo, ci rivolgeremo al giudizio civile. E chiameremo a rispondere le autorità, per non aver ottemperato agli obblighi di responsabilità civile secondo l’ex articolo 2043 del Codice. E se nemmeno così otterremo giustizia, dopo il secondo grado andremo alla Corte di Strasburgo, per violazione dell’articolo 32 della Costituzione”. “Parliamo di decine di migliaia di morti”. Ora è Luca a parlare, la mente del Comitato. Siamo seduti a un tavolo all’aperto di un’osteria di passaggio: è la loro prima uscita dal lockdown. “Non si possono nascondere tutte quelle persone, cancellarle. Ci sono responsabilità di gestione nelle strutture – a livello comunale, regionale e centrale – che vanno chiarite. Non ne facciamo una questione politica di questo o quello schieramento, motivo per cui i giornalisti ci hanno chiesto subito se fossimo dei 5Stelle. Si figuri che io sono di destra, quelli della Lega li ho frequentati da vicino per tanto tempo. Ma qualcosa, quando il virus ha cominciato a diffondersi qui, nella Bergamasca, non ha funzionato. Altro che tsunami. La situazione è sfuggita di mano. E laVal Seriananon è stata chiusa, come chiesto dai sindaci della zona. Il resto, purtroppo, è noto”.

Marina Verzelletti

Mia mamma è caduta in casa il 15 marzo. Da li è iniziato un calvario, verso il più vicino ospedale. La dimettono, dopo averla medicata. Mi dicono: “Lei è fortunata, sua madre non ha il coronavirus.” Gli avevano fatto esami del sangue, una tac polmonare e il tampone. Che però non aveva esito. Mia mamma peggiora. Non era più lei. Ci telefonano dall’ospedale: la mamma era risultata positiva. Tre giorni dopo. Ho chiesto se noi dovevamo stare in quarantena e mi ha detto che non dovevamo fare nulla. La sera, ho guardato il certificato che mi aveva dato. Era retrodatato di due giorni. Era come se io avessi saputo che al momento delle dimissioni era positiva. L’impresa porta mia mamma insieme a un sacchettino della spazzatura nero. Dentro avrei dovuto trovare i suoi effetti personali. Invece c’erano quelli di un’altra persona.

Ezio Limonta

Il 13 febbraio ti ho accompagnato, contro la tua volontà, al pronto soccorso di Alzano, per problemi di calcolosi. Da qualche giorno tossivi. Giovedì 20 la tua tosse peggiora: “bronchite”, disse il medico. Notai che nella camera di fronte, c’era un signore conuno strano cilindro in testa pieno di tubi (un respiratore). Sabato 22 febbraio alle 8.00 notai che il personale portava la mascherina. Che notte ho passato, tu che continuamente tossivi e mi dicevi che avevi la gola arsa e non riuscivi a respirare. Le infermiere, impegnate nella stanza di fronte dal signore col respiratore, anzi coi signori col respiratore, perché da uno erano diventati due. Dopo le 12.00 è successo il finimondo, l’ospedale è stato chiuso per caso di Covitd-19 e, cara mamma, era esattamente sul tuo piano, nella camera di fronte. Come te, nei giorni successivi, tutte le persone della tua camera sono decedute.

Mariangela Armanni

Sabato 28 marzo. Congestione nasale e febbre sotto i 37,5. Assunzione di mucolitici e Tachipirina. La saturazione oscilla tra 93-94%. Martedì 31 marzo. La saturazione scende a 90, nessun medico è disponibile per visitarlo. Mercoledì 1 aprile. Un medico dell’Usca ci contatta al telefono e parla con mio papà. Ci consiglia di continuare con le cure domiciliari, contatterà il medico di base. La telefonata non avverrà.

Cristina Longhini

Mercoledì 18 Marzo avvisano mamma che papà è peggiorato: senza un posto in terapia intensiva non si salverà. Papà viene trasferito in pronto soccorso. Chiamo tutti quelli che conosco: il posto non si trova. Papà viene intubato verso sera, ma senza arrivare alla terapia intensiva. Alle 5 mi chiama il Dr. Manzoni: “L’ossigeno non arriva agli organi periferici, la richiamo appena suo papà sarà morto”. Poi il vuoto. Alle 7:45 richiamo io. Papà risulta essere morto da dieci minuti.

Isabella Sala

È l’11marzo, Maria Rosa si ammala: un po’ di tosse, un po’ di febbre, sarà influenza. Il medico le prescrive un antibiotico. “Mamma, non è meglio telefonare al numero verde della Regione?” L’operatore dice: se non c’è affanno, va bene così. È il 20 marzo. “Ma se non c’é affanno”, dice l’operatore del 112. Alla fine l’affanno arriva, e con esso l’ambulanza. Il saturimetro indica 45. L’operatore scuote la testa: 45 non è un valore compatibile con la vita. Non la rivedremo più. Quando ho scritto questa cronaca noi figli non eravamo ancora riusciti a ottenere un tampone, a 60 giorni dall’ultimo contatto con mia madre.

(1 – Continua)

Padre Bianchi: fatemi restare. Ma il Papa gli ha detto di no

Papa Francesco ha punito due volte il fratello Enzo Bianchi, fondatore e già priore della comunità monastica di Bose. La prima col decreto vaticano del 13 maggio scorso che ne disponeva l’allontanamento, dopo una visita apostolica che ha sancito la burrascosa convivenza col successore Luciano Manicardi. La seconda, negli ultimi giorni, respingendo i tentativi di Bianchi di ottenere una sorta di clemenza papale o quantomeno misure più tenui, non così severe. Lunedì, a tarda sera, invece, l’ex priore ha ceduto. Padre Amedeo Cencini, stimato psicologo della Chiesa e delegato pontificio a Bose, ha convinto Bianchi a lasciare la sua comunità a tempo indeterminato. Una vicenda amara per la Chiesa.

Per seminare lo spirito rivoluzionario del Concilio Vaticano II, nell’inverno del ‘65, un giovane Bianchi, astigiano di Castel Boglione, affittò una cascina in disuso nella frazione di Bose, comune di Magnano, provincia di Biella. Qui il fratello Bianchi, che non s’è mai fatto prete, costruì quella che ai sensi del diritto canonico è un’associazione privata di laici, ma per la Chiesa più visionaria è una comunità cristiana di monaci, uomini e donne, cattolici e protestanti: religiosi impegnati nel dialogo tra le religioni.

Negli anni, Bianchi ha assunto il ruolo di portavoce e di riferimento della Chiesa progressista, subendo le prevedibili contumelie di quella tradizionalista. Ha collaborato con la Chiesa di Benedetto XVI, ma soprattutto con il pontificato di Jorge Mario Bergoglio. È papa Francesco che l’ha elevato a simbolo per l’unità dei cristiani e l’ha nominato consulente del Pontificio consiglio e poi uditore all’assemblea generale del sinodo dei vescovi sui giovani.

Nel gennaio del 2017, a 74 anni non ancora compiuti, ben prima del 75esimo prologo della pensione nel clero, il fratello Bianchi, chiamato anche padre Bianchi, si dimise da priore di Bose e fu elettore, assieme ai confratelli, del vice Luciano Manicardi. In Vaticano si celebrò la pacifica e cordiale transizione di una comunità ormai diffusa in Italia con altre quattro sedi. Quel passaggio di consegne, secondo le indagini vaticane, di fatto non è avvenuto.

All’indomani della festa dell’Immacolata, il 9 dicembre, su richiesta dell’intera comunità e del priore Manicardi, il Vaticano ha spedito a Bose una commissione ispettiva di alto profilo: il già citato Cencini, consultore della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica; il padre Abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo; la madre Anne Emmanuelle Devéche. Per circa un mese gli inviati di Francesco – perché la vicenda, va precisato, è stata seguita direttamente dal pontefice – hanno svolto l’inchiesta, ascoltato e riascoltato gli abitanti della comunità, hanno scartabellato i documenti negli archivi, hanno verificato le molteplici segnalazioni ricevute. In gran segreto, la relazione di Cencini e colleghi è stata consegnata a papa Francesco.

Nessun altro esame è stato affidato alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata, se non l’ordine di Bergoglio, firmato dal cardinale Pietro Parolin, il segretario di Stato, di espellere Bianchi e altri quattro monaci da Bose, il fratello Goffredo Boselli, il fratello Lino Breda e la sorella Antonella Casiraghi per “seri e gravi problemi nell’esercizio dell’autorità” di Manicardi. In sostanza, Bianchi è accusato di aver sabotato con i suoi amici il governo di Manicardi finché la comunità dei laici, pare compatta, non si è ribellata. Dopo che Cencini ha notificato il provvedimento, Breda si è presto adeguato, mentre Bianchi ha cercato di negoziare con il Vaticano una soluzione diversa per sé e pure per Boselli e Casiraghi. Papa Francesco, però, è stato irremovibile. Questo rigido atteggiamento ha innescato le più svariate illazioni. Per il Vaticano la permanenza di Enzo Bianchi a Bose mette a rischio l’esistenza della comunità. Condannando se stesso, Bianchi ha salvato Bose.

La grande commedia in toga di Manuel Fantoni Palamara

Per chi s’interessa di costume e antropologia, le intercettazioni indicate dalle Procure come “non rilevanti” sono spesso le più rilevanti per tratteggiare caratteri, far emergere vanità, individuare un linguaggio, insomma per comporre il grande romanzo contemporaneo di un potere impegnato con tutti i mezzi alla sua perpetuazione. Vale per politici e magistrati: non facciamo favoritismi. Luca Palamara, ex presidente dell’Anm e leader di Unicost accusato di corruzione, è un personaggio esemplare della commedia dell’eterno brigare dei potenti per restar tali. Eccolo in un’antologia speciale insieme ai suoi comprimari.

Pal: “Ha detto ‘sì, a Roma si dice questo, che è la discontinuità…’, ‘la discontinuità con chi…’ ‘con Pignatone e con Ielo…’”.

“Continuità” voleva dire favorire a capo della Procura di Roma Lo Voi, amico di Pignatone (che chiese l’archiviazione per Tiziano Renzi nel caso Consip, poi respinta dal gip Sturzo); “discontinuità” voleva dire far avanzare Viola, favorito da Palamara&C., che si sentono traditi da Pignatone. La parola e il suo opposto ricorrono spesso nel brogliaccio, poli uguali e contrari della medesima tecnica di macelleria spartitoria.

 

[9 maggio 2019, mezzanotte e un quarto, in hotel] Luca Lotti: Si vira su Viola si ragazzi.

Cosimo Ferri (deputato Pd, oggi Italia Viva, ndr): Ma Ermini voterà?

Lotti: Deve votare oh.

Dev’essere il famoso primato della politica.

 

Lotti: Scritto (a, ndr) Ermini, Davide io non sono un senatore qualunque che ti scrive messaggi del cazzo senza di me non eri lì punto rispondi punto.

David Ermini, deputato Pd, volto televisivo del renzismo, fu eletto vice Presidente del Csm nel 2018. “Ho chiesto la sospensione dell’iscrizione al mio partito perché ritengo che quando si assume un incarico istituzionale si deve essere liberi”, disse dopo l’elezione. “Chi arriva al Csm dismette la propria casacca, risponde solo alla legge e alla Costituzione”.

 

[Ore 1:09 Voce di uomo che dice “’o volemo fa st’aggiunto?”]

Lotti: La storia vera è che… Ielo ha detto a Pignatone tu lasciami stare su questa roba, io te mando avanti Consip.

Lotti, come tutti sanno, è indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio nell’inchiesta sugli appalti Consip. Naturalmente ciò non è in relazione con la frase da lui pronunciata.

 

Pal: Cioè tu mi dici vieni a Potenza, ti porto all’agriturismo, cioè con mia moglie i miei figli e tutto quanto, poi mi dici me la vedo io, e questa è corru… no, no, aspè, cioè non si sa che cazzo mi hai corrotto, i coglioni.

Uomo: Sì, ma la corruzione mi serve un’altra cosa…

Pal: Mi hai corrotto i coglioni.

Uomo: Sì, non basta.

Pal: Non solo, ma in quell’occasione io gli ho detto ‘fammi pagare’.

Il pm e il suo interlocutore contestano che farsi pagare un soggiorno in agriturismo da un imprenditore sia corruzione: serve molto di più; se il presunto corrotto si offre pure di pagare, poi… Scrisse Cechov: se vuoi offendere moltissimo un uomo corrompilo con una piccola somma.

 

Pal: Ma che cazzo me ne frega quello non capisce un cazzo… oh ma che cazzo me… che cazzo me ne frega!

Lo abbiamo inculato.

Quello me lo metto a pecora.

Nei conciliaboli i partecipanti menzionano con particolare frequenza l’organo sessuale maschile e i suoi usi (l’ultima frase è anche in un’altra intercettazione: quella tra Carminati il Cecato e il suo uomo detto “Spezzapollici”). È la corrente coprolalica della magistratura. “L’oscenità genitale dei magistrati dipende dall’abitudine che hanno di portare la toga. E lo stesso per i signori ecclesiastici. Tutti coloro che si considerano al di sopra del livello umano precipitano al di sotto” (Flaubert, lettera a M.me Roger des Genettes).

 

Pal: Mi diceva questo Centofanti è pericoloso, lo devi lasciar perdere… ti vogliono inculare… occhio che lo utilizzano come arma di ricatto… dimmi la verità, hai fatto qualche processo e l’hai aiutato? Stefano, mai, perché non stavo in ruolo nel 2001, non avevo neanche processi a Roma perché stavo nel pieno della Anm e non facevo un cazzo, ero uno che girava l’Italia dal Quirinale al coso, quindi Centofanti non gli ho potuto…

Il pm non ha dubbi di non aver favorito in qualche processo un soggetto (l’imprenditore Centofanti, arrestato nel 2018 e scarcerato) non in base alla propria integrità, bensì perché era altrove, all’Anm, a “non fare un cazzo”. Splendido, rassicurante e nobile dipinto della magistratura.

 

[Ore 1:15, Palamara in auto con Lotti]

Lotti: Io sto parlando con la Carfagna, con un pezzo di Forza Italia…

Pal: E Matteo invece?

Lotti: Matteo è fermo da una parte, è lì a guardare… non si muove.

Pal: Ma sta tranquillo o sta…?

Lot: Sta come sta Matteo, la vicenda dei genitori l’ha colpito, il danno d’immagine c’è stato…

Matteo non ha un’immagine positiva, c’è poco da fare.

Pal: Quella cosa di Firenze là, no? Quella cosa là, il documentario.

Lot: No è tutta roba che… lui dal 4 dicembre non ha più ritrovato il filo, dopodiché è l’unico che può ritrovare il filo.

Pal: È un po’ come un Ronaldo.

Povero Matteo. Sottovalutato come documentarista, svilito come stratega scattista persino dagli amici. Resta il dubbio, su cui gli inquirenti non si sbilanciano, se sia da intendere Cristiano Ronaldo, cinque volte Pallone d’Oro, o Ronaldo “il Fenomeno”, che oggi pesa 100 chili e non potrebbe giocare neanche una scapoli-ammogliati.

 

[A una cena] Uomo: Ma poi ti seguono, guarda che c’erano quelli anche all’altro tavolo.

Pal: Ma co ‘sto piatto o co uno nuovo… Ciccio, co ‘sto piatto o co uno nuovo.

Uomo: Andate, per non dare nell’occhio… per non farti capire, capito?

[Voce maschile indica dove prendere il vino].

[Palamara chiama tale Ciccio ripetutamente. Poi parlano di calcio]. Pal: ‘A Finanza manco m’ha salutato, gràttate i coglioni. Arcuri for president.

[Uomo, verosimilmente procuratore aggiunto Ielo, si avvicina e spiega ai commensali un problema di salute].

[Voce di uomo che dice di essersi ubriacato]. [Uno dice “andiamo a fa’ un po’ di pubbliche relazioni, dai”]. [Palamara racconta a una donna di essere stato in Kosovo ieri].

La grande bellezza della Giustizia. Si sente molto la mancanza di Ettore Scola, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Alberto Sordi. Palamara che racconta le traversie in Kosovo ricorda Carlo Verdone nei panni di Manuel Fantoni. Squallore e potere: “Pur disprezzandosi l’un l’altro, si adulano a vicenda e, pur volendo essere l’uno superiore all’altro, si prostrano l’uno all’altro” (Marco Aurelio).

Lotti contro il pm “nemico”. “Pronta l’interrogazione”

Tra il 15 e il 27 maggio 2019 c’è più di un incontro tra Luca Lotti e Luca Palamara. Si discute della futura nomina di Marcello Viola alla Procura di Roma. E si discute anche del concorrente di Viola, Giuseppe Creazzo, che da procuratore capo di Firenze ambisce alla guida della Procura romana. C’è però qualche dettaglio da tenere a mente. Il primo: Creazzo, appena tre mesi prima, ha chiesto – e ottenuto – gli arresti domiciliari (che saranno poi revocati) per i genitori di Matteo Renzi, Tiziano e Laura Bovoli, con l’accusa di bancarotta fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il secondo: su Creazzo c’è un esposto presentato alla Procura di Genova da un pm del suo stesso ufficio (per il quale non è indagato, ndr).

Parlando del Risiko delle nomine negli uffici giudiziari, delle caselle di Torino, Roma e Reggio Calabria, Lotti dice: “…per me è un pizzico legata alla difesa di ufficio che devono fare loro due di una situazione fiorentina che, ve lo dico con franchezza, è imbarazzante….”. L’ex consigliere del Csm Luigi Spina commenta: “…te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile”. Poiché Lotti, a Firenze, non era coinvolto in nessuna inchiesta, par di capire che Creazzo andava “tolto dai coglioni” per altri motivi e l’inchiesta sui genitori di Renzi potrebbe essere un riferimento logico. Anche Lotti potrebbe riferirsi alla stessa vicenda quando definisce “imbarazzante” la “situazione fiorentina”.

Il parlamentare Pd (autosospeso dal partito, ndr) preferisce non commentare, ma fonti a lui vicine spiegano che il riferimento non era all’inchiesta sui genitori di Renzi, bensì all’esposto pendente alla Procura di Genova. Come dire: per gli esponenti della corrente Unicost (un paio, ndr) che intendevano sostenere la candidatura di Creazzo alla Procura di Roma, la sua “difesa d’ufficio” rispetto all’esposto sarebbe stata complicata.

Un fatto è certo: Lotti è contrario all’approdo di Creazzo a Roma. E così una settimana dopo, quando il plenum ha già sancito la vittoria di Viola su Creazzo con 4 voti a 1, pensa che si potrebbe tornare sul suo esposto a Genova, favorire un’interrogazione parlamentare sull’argomento e affossarlo definitivamente. Non è esattamente il ruolo che un parlamentare della Repubblica dovrebbe svolgere. Ma Lotti, da quando è diventato l’artefice della nomina di David Ermini al Csm – con l’asse tra Unicost e Magistratura Indipendente, creato insieme a Luca Palamara e Cosimo Ferri – nella partita delle nomine, e di Roma in particolare, c’è entrato con tutte le scarpe. Ed ecco la conversazione del 27 maggio 2019.

“…un passaggio a Genova me lo puoi fare te personalmente (…)?” chiede Lotti, “perché io l’ho pronta l’interrogazione

parlamentare al ministro della Giustizia…”. “Ma la fai proprio te”, risponde Palamara. “No”, risponde Lotti “ci vuole cinque stelle a Bonafede (…) per chiedere se viste le cose

uscite sui giornali …”. “E come mai”, continua Palamara, che non capisce il ruolo del M5S, “perché si stanno scollando”. “Perché c’è un pezzo che si sta scollando”, conferma Lotti. “E te lo recuperi”, continua Palamara. “No, ma tanto non mi serve a nulla, me lo gioco su altre cose. Però, capito, già il fatto che ci sia un’interrogazione parlamentare sul (al, ndr) ministro della Giustizia, che chiede se (…) corrisponde al vero le notizie di giornale uscite su una donna fiorentina, però va deciso se farla o no”.

In alternativa si potrebbe realizzare un’interrogazione parlamentare sull’esposto che il pm Stefano Fava ha presentato al Csm sull’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: “Piuttosto – continua Lotti – gli faccio una roba sulla prima commissione e quindi fa uscire la roba anche su Ielo (Paolo, procuratore aggiunto di Roma, ndr) e Pignatone”. Lotti non dovrebbe interferire sulle nomine né influenzarle attraverso le interrogazioni parlamentari. Ielo peraltro è il procuratore aggiunto che ha chiesto il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento e rivelazione del segreto nell’inchiesta Consip. Fonti vicine a Lotti spiegano che, secondo il parlamentare Pd, il M5S, che al Csm, con i suoi componenti laici, aveva già scelto Viola, avrebbe potuto trovare utile presentare un’interrogazione parlamentare (mai presentata) sul concorrente Creazzo.