Si ricomincia: 3 milioni di mq di speculazioni

Cosa resterà di questi anni di grande sviluppo immobiliare a Milano? Tutti gli operatori dovranno fare i conti con le incertezze del dopo-pandemia. Ma per ora esibiscono tranquillità e la parola d’ordine è: avanti come prima. Sulla carta ci sono a Milano progetti che coinvolgono oltre 3 milioni di metri quadrati. Il progetto Mind, sull’area Expo, si estende su 1,1 milioni di metri quadrati. Gli scali ferroviari, abbandonati dai binari e riurbanizzati, trasformeranno 1,2 milioni di metri quadrati. Bovisa Gasometro è un’area di 850 mila metri quadrati da riqualificare. La Città della Salute, nel Comune di Sesto San Giovanni ma senza soluzione di continuità con Milano, impegnerà 1,4 milioni di metri quadrati. Se poi aggiungiamo le trasformazioni in corso o progettate a San Siro, a Città Studi, a Citylife, a Fiera Milano City, Piazza d’Armi, Santa Giulia a Rogoredo, il cambiamento metropolitano è ancor più radicale.

L’operazione “Mind” è il più grosso affare in corso a Milano: 510 mila metri quadrati di nuovi edifici, che ospiteranno 40 mila utenti, per un progetto che prevede investimenti per 4 miliardi, 2 pubblici e 2 privati. Sarà soprattutto terziario (200 mila mq), con l’arrivo, per ora solo ipotizzato, di grandi aziende come Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Celgene, Ibm. Poca residenza (63 mila mq), 30 mila di social housing, altri 54 mila di residenze per studenti, 16 mila di spazi commerciali. Tutto gestito dai privati di LendLease insieme alla società pubblica proprietaria delle aree, Arexpo. Per ora, l’unico che ha già aperto i cantieri è l’ospedale Galeazzi.

Ciò che renderà (forse) possibile l’operazione “Mind”, facendo da calamita per le aziende hi tech e big pharma da attirare sull’area ex Expo, sarà il trasferimento qui delle facoltà scientifiche dell’Università Statale (150 mila mq, costo ipotizzato 380 milioni), oltre al più piccolo centro di ricerca Human Technopole su genoma e big data. Per il parco promesso, che doveva occupare almeno la metà dell’area, resteranno solo le briciole.

L’altra grande trasformazione urbana che cambierà il volto di Milano è quella degli scali ferroviari, sette grandi aree delle Ferrovie dello Stato. Protagonista, con Fs (che contano di guadagnarci almeno 500 milioni) è la Coima di Manfredi Catella. Sorgeranno nuovi edifici per 674 mila metri quadrati. Nelle due aree più grandi e preziose, lo Scalo Farini e lo Scalo Romana, l’indice edificatorio è altissimo, più dello 0,8. A Fs, il Comune di Milano ha lasciato mano libera e concesso un accordo di programma, praticamente un piano regolatore su misura.

Molte polemiche attorno al progetto San Siro, presentato da Milan e Inter, che prevede l’abbattimento del Meazza, la costruzione di un nuovo stadio e, attorno, il solito diluvio di cemento: quasi 300 mila metri quadrati di nuove edificazioni, 180 mila di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi.

A Sesto, sulle aree un tempo occupate dalle acciaierie Falk, saranno costruiti (dagli americani di Hines) edifici per 1 milione di metri quadrati. Indice edificatorio altissimo: 0,9. Il progetto è stato chiamato “Città della salute e della ricerca”, perché qui saranno edificate le nuove sedi dell’Istituto neurologico Besta e dell’Istituto dei tumori: spesa 480 milioni (328 li mette la Regione, 40 lo Stato, 80 i privati). Quanto alla ricerca, il progetto Mind ha scippato l’idea a questa area. Così, a parte i due ospedali, tutto il resto è il solito terziario, residenziale e commerciale. Tanto che Renzo Piano, che aveva firmato il primo piano, se n’è andato sbattendo la porta: “Lascio il progetto. Non sono il garante di uno shopping center con un parco divertimenti”.

Milano e il suo ‘social housing’: un bluff che piace alle banche

La promessa era: un quartiere “green”, affitti bassi e prezzi degli appartamenti bloccati. Ora, però, per le 400 famiglie di Cascina Merlata, periferia nord ovest di Milano, il mondo è cambiato: le spese condominiali salgono, con conguagli da 600 euro a famiglia. Così denuncia il Sicet, il sindacato inquilini della Cisl, mentre il Covid distrugge lavoro e redditi degli abitanti. Chiedono la riduzione dell’affitto, ma la proprietà non risponde, nonostante il quartiere sia stato costruito coi soldi della pubblica Cassa depositi e prestiti proprio per la sua finalità sociale. Fa fede il nome: “Social Village”.

A Cascina Merlata il cosiddetto “housing sociale” (Hs) è attivo dal 2016. Cos’è? Un tentativo di unire attenzione per il sociale, riduzione del disagio abitativo e investimenti immobiliari col sostegno pubblico. Molto in voga fra i fautori del “modello Milano”: nove progetti attivati in pochi anni per aiutare la “zona grigia” del mercato, cioè chi è troppo ricco per le case popolari e non abbastanza per il mercato.

L’idea atterra in città nel 2004 con la nascita di Fondazione Housing Sociale di Cariplo, a sua volta azionista di Intesa Sanpaolo. Nei palazzi romani arriva nel 2009, dentro Cdp, con la genesi del sistema integrato dei fondi: soldi pubblico-privati per costruire 20mila appartamenti in 20 anni per un valore di 2,28 miliardi. Non senza un tocco di ideologia: ambientalismo e un mix sociale che mira a far vivere in armonia giovani e anziani, benestanti e poveri, italiani e stranieri, eterosessuali e Lgbtq riuniti sotto il cappello dell’abitare collaborativo, garantito da coop e “gestori sociali”.

A condire il tutto un’inedita semantica zeppa di anglicismi: i quartieri sono “community”, gli abitanti “stakeholder”. Sotto la Madonnina nascono come funghi: via Moneta ad Affori diventa “Moneta Milano”; Borgo Figino ora è il “Borgo Sostenibile”; via Cenni muta in “Cenni di Cambiamento” con il suo centro di produzione artistica “Mare Culturale Urbano”; via Quintiliano è “Quid-District”. Una geografia milanese dove per entrare è prevista la selezione degli inquilini con tanto di colloquio, bando, domande da presentare al Caf delle Acli, questionari dove rispondere a quesiti come “cosa mi aspetto dal mio vicino di casa?”. Senza dimenticare la garanzia di redditi 3 volte superiori ai canoni.

Quel che conta dell’Hs, però, è il non detto, oggi in realtà messo nero su bianco su riviste accademiche del Politecnico e di Roma Tre: da piano abitativo s’è evoluto in meccanismo di ingegneria finanziaria. Serve, in sostanza, a rivalutare il patrimonio invenduto o che genera perdite, le aree abbandonate, gli appartamenti figli di pignoramenti o le iniziative immobiliari bloccate fin dalla crisi del 2008 e poi divenute decine di miliardi di euro di crediti deteriorati in pancia alla banche. Insomma, coi soldi di Cdp (cioè Tesoro e fondazioni bancarie) si riqualifica un’area abbandonata in periferia e un bilocale da 70 mq arriva a costare 181mila euro, vale a dire fino al 20% in più del prezzo di mercato. È successo a “Cenni di Cambiamento”, ex area industriale oggi orgoglio del Comune. Ma sono in tanti a guardare all’Hs come strumento del futuro: anche il Policlinico, che attraverso il Fondo Ca’ Granda vuole valorizzare il proprio patrimonio immobiliare – circa 1.400 locali in città dentro la cerchia dei Navigli – e coi proventi costruire il nuovo mega polo ospedaliero di Milano da oltre 200 milioni di euro.

Torniamo a Cascina Merlata: il cuore del “Social Village” batte dentro le sette torri che hanno ospitato le delegazioni straniere di Expo 2015. Il piano prevede la creazione, a regime, di 700 appartamenti in edilizia agevolata-convenzionata con accanto un macro intervento a libero mercato detto “UpTown Milano”. Più una scuola e il centro commerciale.

Siamo nell’area di maggior interesse urbanistico per la città del futuro. Un trilocale da 90 mq con terrazzo? 1.200-1.300 euro al mese. Tanti per una periferia? Forse, ma siamo nel primo “smart&green district d’Italia”. A “20 minuti dal Duomo e Malpensa”. Dove si può “andare a Berlino senza prendere l’autostrada”, dicono i promotori di EuroMilano, società controllata da Intesa, Unipol, Corcab e Bastogi, la cassaforte finanziaria della famiglia Cabassi. Responsabile commerciale è Roberto Imberti: ex assessore all’Urbanistica di Cinisello Balsamo in quota Sel, sposato con l’ex sindaca Siria Trezzi, oggi consigliera della Città metropolitana con delega alla mobilità. Da amministratori locali, i coniugi furono indagati e poi archiviati a Monza per l’allargamento dello storico Auchan di Cinisello: doveva diventare “il più grande centro commerciale d’Europa”, è una cattedrale nel deserto. Ora sarà una controllata di Auchan Holding, Ceetrus, a realizzare a Cascina Merlata il centro commerciale. Il “gestore sociale” del quartiere è invece Qls: un grosso consorzio capeggiato da UniAbita, big fra le coop rosse lombarde che ha fatto la storia dell’hinterland nordest tra Cinisello e Sesto San Giovanni, la fu “Stalingrado d’Italia”. Cosa fa un “gestore sociale”? “Insegna a vivere in coabitazione”, dice al Fatto un rappresentante degli inquilini.

Dietro a tutto c’è invece il fondo “Sh Cascina Merlata” e cioè Cdp Investimenti Sgr (al 60%) e le casse di commercialisti e ragionieri. A gestirlo nella pratica c’è invece InvestiRE Sgr – società di Banca Finnat della famiglia romana Nattino, nota per le ottime entrature vaticane – che a sua volta appalta la “gestione immobiliare” alla piemontese Agi-Re: è controllata dal gruppo Ipi, galassia societaria nelle mani di Massimo Segre, commercialista torinese vicino ai De Benedetti.

Il “Village” è stato completato nel 2013. Anni in cui sull’urbanistica milanese dettava legge una renziana di ferro, l’avvocato Ada Lucia De Cesaris. Assessore e vicesindaco prima di rompere con Giuliano Pisapia a un anno dalle elezioni: è lei che ha orchestrato la candidatura di Beppe Sala prima di essere chiamata in Arexpo, la società proprietaria delle aree dell’Esposizione Universale. A fine 2019, De Cesaris è stata nominata in Cdp Immobiliare, ora pure in Eni.

Nomi e carriere che si intrecciano, mentre uno spettro s’aggira fra gli abitanti di Cascina Merlata. I prezzi delle case sono bloccati fino al 2033, quando a poche centinaia di metri sarà a regime il “Mind District” cioè Human Tecnopole, l’Ospedale Galeazzi e l’hub scientifico della Statale. Significa domanda abitativa di professori, chirurghi e scienziati, studenti “ricchi”, manager: i render delle palazzine mostrano prezzi al mq fra 4.700 e 5.500 euro. Non male per Rho-Pero.

“Come può definirsi sociale – ci dice Mattia Gatti, sindacalista del Sicet – un progetto che durante una pandemia rifiuta di ridurre gli affitti a chi è in difficoltà?” Sentita dal Fatto, InvestiRE dice di aver concesso la sospensione dei pagamenti “fino a tre mensilità”, la possibilità “di rateizzare gli importi di queste fatture tramite piani di rientro” a partire da luglio o da settembre per 9 mesi e di spostare i pagamenti di due-tre mensilità a fine contratto per i titolari di patti con futura vendita. “Non basta posticipare i pagamenti – risponde il Sicet – va garantita stabilità abitativa e riduzione dei canoni”. “Contatterò InvestiRE” promette l’assessore alla Casa, Gabriele Rabaiotti, secondo cui la città ha però bisogno di questi progetti per aumentare l’offerta di case in affitto per calmierare un mercato da anni senza freni e, col tempo, sviluppare politiche dedicate ai ceti più esposti: “C’è una logica: insoddisfacente per ora, necessaria per il futuro”.

Gli inquilini del “Social Village” temono però di non poter aspettare. Spese condominiali e oneri accessori salgono, senza preavviso, a botte da 600 euro a famiglia. L’ultimo consuntivo presentato è del 2017 e il futuro, per loro, è terra incognita. Con la crisi molti faticano e intanto scoprono che il quartiere gioiello ha dei difetti: la grande pioggia del 15 maggio Milano ha allagato gli scantinati di quattro palazzine su 7. Piove sul bagnato, però è “Social”.

Bonomi, la voce del padrone “sovversivo” sulle barricate

Questa politica rischia di fare più danni del Covid”, dice Carlo Bonomi in una rilevante intervista a Repubblica. E sentendo il leader degli imprenditori italiani parlare come l’avventore qualunquista di un’osteria viene in mente Antonio Gramsci e il suo “sovversivismo delle classi dirigenti”: sovversivi “dall’alto” e sovversivi “dal basso” contribuirono attivamente alla vittoria del fascismo.

Bonomi è un democratico liberale, sia chiaro (non lo era anche Giolitti?) ma il suo populismo alla Salvini, calato “dall’alto” è inquietante. “Ingeneroso” lo definisce Roberto Gualtieri che, dopo avergli concesso quasi tutto, deve inghiottire l’amaro boccone delle critiche ad alzo zero. Come molti predecessori, del resto, anche Bonomi preferisce sputare nel piatto che gli è stato apparecchiato (vedi l’abolizione dell’Irap). E a mettere le mani avanti con gli operai: al termine del blocco stabilito dal governo infatti si preannunciano licenziamenti massicci. Del resto, spiega, “i posti di lavoro non si gestiscono e non si creano per decreto”.

La politica “come il virus” per Bonomi è quella che “da decenni aumenta la spesa corrente” perché corrisponde a un “dividendo elettorale” a scapito di infrastrutture, ricerca, sostenibilità ambientale, sanità. In attesa di conoscere gli interventi di Confindustria per la sostenibilità ambientale e la centralità delle cliniche private nella lotta al Coronavirus, vediamo qualche dato.

La spesa pubblica italiana (tabelle del Dipartimento della programmazione economica) era al 54% del Pil nel 1992 ed è al 49% nel 2019. Era precipitata al 47% nel 2006, ma la crisi del 2008 e la caduta vertiginosa del Pil italiano (-5%) in un solo anno, l’ha fatta rialzare improvvisamente, così come è accaduto alla spesa corrente al netto degli interessi che, comunque, dal 43% del 2014 sta viaggiando verso il 41%. I redditi da lavoro dipendente della Pubblica amministrazione contavano il 12% del Pil all’inizio degli anni 90 e oggi sono tra l’8 e il 9%. Gli investimenti privati e pubblici, dopo la gelata dovuta alla crisi economica sono ricominciati a crescere dal 2013, sia pure molto lentamente. Nel frattempo, istruzione, sanità e ricerca sono rimaste al palo. Ma la polemica a Bonomi serve semplicemente per attaccare il Reddito di cittadinanza in nome della lotta ai navigator e in ossequio alle “politiche attive”. Peccato che l’inutile navigator sia stato creato proprio per le politiche attive mentre l’esperienza ha ormai dimostrato che lotta alla povertà e politiche attive vanno tenute distinte.

Poi azzanna il decreto liquidità, i “soldi a pioggia”, la “follia” di far anticipare la cassa integrazione alle aziende. I soldi a pioggia, guarda caso, sono sempre quelli che servono a far campare la povera gente mentre quelli per le imprese sono sempre “iniezioni di liquidità” di cui non occorre rendere conto. In ogni caso sui 155 miliardi che il governo ha messo in movimento con i vari decreti almeno 87 sono andati alle imprese. Le responsabilità delle banche nella lentezza dei finanziamenti sono state ammesse anche dall’Abi. Sulla cassa integrazione l’Inps ha annunciato proprio ieri di aver ricevuto 1.176.614 di effettive domande e di averne pagate 923.026, mentre gli anticipi da parte delle imprese costituiscono la norma. Per quanto riguarda i finanziamenti alle grandi imprese, quelle da presentare alla Sace, un buon terzo, 6,3 miliardi, sono stati monopolizzati da Fca che ha ricevuto il via libera due giorni fa, mentre le piccole aziende aspettano. Anche quelli soldi a pioggia? E l’Irap, annullata per il 2020? il rinvio delle tasse, il credito di imposta al 60% per i canoni di locazioni, i finanziamenti a fondo perduto per 10 miliardi? Certo, quando Bonomi attacca il Parlamento che chiude ad agosto ha gioco facile, ma annunciando che “Confindustria resta aperta” non si capisce se prometta un favore o una minaccia.

Ce n’è anche per il sindacato a cui dice che il contratto nazionale ha fatto il suo tempo, ma il meglio lo da quando risponde alla domanda: “Quanti errori avete commesso?” “Uno, il Sud”. E sembra quel Fonzie di Happy Days che non riusciva a chiedere scusa. Infatti non ce la fa a nominare Antonello Montante, ex leader di Confindustria Sicilia che nel 2019 è stato condannato, in primo grado, a 14 anni con queste motivazioni: “Motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali”. Altro che virus.

 

La Maestà e il marketing nella storia di Mr. Uffizi

“C redo che il momento sia giunto: i musei statali compiano un atto di coraggio e restituiscano dipinti alle chiese per i quali furono originariamente creati. Il caso forse più importante di un capolavoro sottratto al suo contesto originale si trova proprio agli Uffizi: la Pala Rucellai di Duccio di Buoninsegna, che nel 1948 fu portata via dalla basilica di Santa Maria Novella”. L’ultima sparata del direttore degli Uffizi Eike Schmidt, evidentemente a corto di idee per gestire la difficile fase post-Covid, è particolarmente grave. Perché riesce a ridurre una questione seria e delicata a chiacchiera da bar, a un annuncio da assessore di terza fila.

È vero: esistono opere oggi musealizzate che si potrebbero riportare nel contesto originale, sanando una ferita e riconferendo significato a complessi oggi disarticolati e inerti. Per rimanere agli Uffizi: si dovrebbero utilmente ricollocare sulle loro pareti della Villa Carducci a Legnaia (oggi nella periferia fiorentina, di proprietà del Polo Museale Mibact della Toscana) gli affreschi degli Uomini illustri di Andrea del Castagno. Un organismo, seppur lacerato, tornerebbe a vivere, e ad attrarre visitatori in una parte di Firenze singolarmente trascurata dal turismo. Ma non farebbe notizia, evidentemente.

Al contrario, citare la celeberrima Maestà di Duccio e il suo possibile ritorno nell’altrettanto celebre basilica di Santa Maria Novella a Firenze significa cercare solo il clamore mediatico, senza alcuna coscienza dei problemi storici in cui ci si infilerebbe. La prima conseguenza sarebbe quella di distruggere la Sala delle Maestà degli Uffizi, dove la tavola di Duccio è al cospetto di quelle di Cimabue e Giotto, in un dialogo altissimo e straordinariamente ispirante. Una di quelle musealizzazioni che, sì, permettono di compensare la dolorosa perdita dei contesti originari, diventando essa stessa un contesto storico. Tanto che quella sala che ora Schmidt vorrebbe distruggere – sala progettata da Ignazio Gardella, Giovanni Michelucci e Carlo Scarpa – è un caposaldo della museologia del Novecento.

Ma, si dirà, questa perdita sarà compensata dalla ricomposizione del contesto originario: no. Per la semplice ragione che non sappiamo dove si trovasse quell’opera, all’interno della chiesa: probabilmente sul grande tramezzo di legno che divideva la chiesa dei laici da quella dei frati. E che oggi però è scomparso. Prima nel transetto destro o nella Cappella dei Laudesi (poi Bardi). Poi, dal 1591, nella Cappella Rucellai, che le dà il nome. Nessuno di questi luoghi ha l’aspetto che aveva quando ospitò la pala, e rimetterla in uno qualunque di quei luoghi sarebbe arbitrario. Raccontare al grande pubblico che sia possibile riparare al danno di un capolavoro “sottratto al suo contesto originario” significa accreditare un falso storico: quella grande, magnifica chiesa è stata trasformata profondamente prima nel Cinquecento e poi nell’Ottocento, e nessuno ha una macchina del tempo capace di riportarla alla fine del 1.200. Insomma, siamo al marketing della storia: un tanto al chilo.

Ma c’è perfino di peggio. Schmidt si presenta come il generoso direttore che si spoglia di un capolavoro definito da lui stesso “inamovibile, per il suo carattere identitario” del suo museo. Ma non dice che, in questa stessa sceneggiata, gioca anche un altro ruolo: perché come presidente del Fondo Edifici di Culto del ministero degli Interni che possiede la chiesa di Santa Maria Novella, egli accetta felice la generosa ‘donazione’ degli Uffizi. Nella immaginaria cerimonia di passaggio, Schmidt consegnerebbe la Maestà di Duccio a Schmidt. Insomma, non un disinteressato convincimento scientifico, ma un clamoroso conflitto di interessi: che meriterebbe una sanzione da parte del ministero per i Beni Culturali.

Schmidt deve la guida del Fec a Matteo Salvini. E mentre Salvini brandisce rosari e bacia madonne, Schmidt decide di spogliare (simbolicamente) lo Stato a favore della Chiesa, affermando che riportare Duccio su un altare purchessia sarebbe “un bellissimo modo per celebrare, nel 2021, gli 800 anni dell’insediamento dell’ordine domenicano in Santa Maria Novella, all’insegna di un dialogo sempre più fertile, culturale e spirituale, tra Stato e Chiesa”. Peccato che Santa Maria Novella non sia più una chiesa in cui si prega, ma un sito storico da visitare a pagamento. Non un museo, si badi, perché non ha né direttore né comunità scientifica: ma questo ormai non va più di moda nemmeno nei musei veri.

La morale è molto triste: proprio ora che ci vorrebbero visione, progetto, vera solidità culturale, il patrimonio artistico della Nazione è ridotto a proscenio per le esibizioni mediatiche di modesti apprendisti stregoni.

La sai l’ultima?

 

Sette ore in macchina e 386 chilometri per andare da Mc Donald’s dopo il lockdown

Come diceva la vecchia pubblicità: non è fame, è più voglia di qualcosa di buono. Quando hanno saputo che per Mc Donald’s era finito il lockdown, due ragazzi inglesi hanno deciso che volevano mangiare a tutti i costi un panino del fast food. Piccolo particolare: il più vicino era lontano due ore e mezza di macchina, ma la circostanza non li ha scoraggiati: Ryan Hall e Paisley Hamilton, entrambi di 23 anni, hanno viaggiato da Hull a Peterboroug – 386 chilometri tra andata e ritorno – per mangiare il panino junk food più famoso del mondo. Una volta arrivati sul posto hanno trovato una fila di 30 macchine fuori dal ristorante. In tutto hanno perso 7 ore e speso 27 euro di sterline in benzina per un pranzo di 10 minuti da 20 sterline (un Chicken McNugget, un Big Mac menu, due Coca Cola, due cheeseburger doppi, un McChicken sandwich, un cheeseburger e un filetto di pesce). Senza contare il colesterolo. “Lo rifarei subito, ne è valsa la pena” ha dichiarato al The Sun uno dei due luminari.

 

Parenti serpenti:un indiano avvelena la moglie con un cobra (dopo averci provato con una vipera)
Dove ha fallito con la vipera, è riuscito con il cobra. Un uomo indiano del Kerala era talmente innamorato della moglie, che ha provato a ucciderla due volte usando dei serpenti velenosi. Il primo tentativo è fallito: Sooraj (questo il nome del 27enne indiano) si era portato in casa una pericolosissima vipera di Russell che – come evidentemente premeditato – aveva morso la consorte Uthra costringendola a un ricovero in ospedale di quasi due mesi.
Un piccolo, spiacevole incidente a cui la donna era comunque riuscita a sopravvivere. Sooraj però non si è scoraggiato. A inizio maggio la moglie è stata dimessa e ha deciso di completare la riabilitazione a casa dei genitori. Il premuroso marito si è procurato un cobra da un addestratore di serpenti e l’ha liberato nella stanza della consorte mentre lei stava dormendo. Il secondo rettile è stato più efficiente del primo e stavolta per la povera Uthra non c’è stato nulla da fare.

 

L’efficienza delle Poste. Una cartolina spedita da Roma arriva a Torino con appena 23 anni e 2 mesi di ritardo
Che meraviglia Roma: piazza di Spagna, la scalinata di Trinità dei Monti… un ragazzino di un liceo piemontese in gita con la scuola nel lontano 18 marzo del 1997 aveva deciso di immortalare tanta bellezza con una cartolina da mandare a casa, a Bussoleno (Torino), per salutare mamma e papà. Di quella lettera si erano completamente perse le tracce, ma con le Poste italiane bisogna avere fede.
Così, dopo appena 23 anni, 2 mesi e 7 giorni, la cartolina è arrivata a destinazione la mattina del 25 maggio 2020. L’ha raccontato a La Stampa di Torino il non più giovanissimo mittente Francesco Richetto. Un’ottima notizia: la missiva è giunta in buone condizioni, non è nemmeno particolarmente deteriorata. Sono ancora leggibili i “saluti affettuosi” di Francesco a mamma e papà, e il commento entusiastico del ragazzino di allora: “È veramente molto bella questa piazza, purtroppo devo tornare”.

 

Fermate le rotative, qui si riscrive la Storia: la mamma di Cosimo de’ Medici aveva la sifilide
Una notizia destinata letteralmente a fare storia: la moglie di Giovanni dalle Bande Nere aveva la sifilide. La scoperta è di un team della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, con uno studio che ha guadagnato la copertina del numero di giugno della prestigiosa rivista EmergingInfectiousDiseases. Parliamo di Maria Salviati (1499-1543), moglie appunto di Giovanni dalle Bande Nere e madre di Cosimo I de’ Medici.
Una scoperta che contribuisce a riscrivere la storia della famiglia dei Medici di Firenze. In verità, siamo relativamente sorpresi, visto che agli studiosi era già nota la fiorente (eufemismo) vita sessuale di Giovanni, leggendario condottiero del Rinascimento al servizio del papa e altrettanto leggendario tombeur de femme. Viste le abitudini del personaggio, non è poi così incredibile che a sua moglie sia toccata una malattia venerea. In ogni caso, pare che lo studio dello scheletro di Maria Salviati ci abbia tolto questo dubbio angoscioso.

 

Il volo Dusseldorf-Olbia verso la Sardegna torna indietro prima dell’atterraggio: l’areoporto era chiuso
Un aereo parte dalla Germania per Olbia. Solo che – sorpresa – non c’è nessun areoporto dove atterrare. Avete presente quella piccola pandemia che si chiama Coronavirus? È il motivo per cui tutti i porti e gli aeroporti sardi (tranne Cagliari) sono chiusi e non riapriranno ai voli commerciali prima del 3 giugno. Malgrado questo, con l’ottimismo della volonta sabato 23 maggio un volo della compagnia tedesca low cost Eurowings è partito da Düsseldorf, in Germania, verso l’aeroporto di Olbia Costa Smeralda, paradiso balneare nella parte nord dell’Isola. Ha compiuto tutto il tragitto fino al punto di destinazione, peccato che l’aeroporto di Olbia fosse chiuso. L’aereo non è potuto atterrare e senza colpo ferire – con la coda di lamiera tra le gambe – è tornato da dove era venuto. A bordo c’erano ben due passeggeri: un affarone per loro e soprattutto per la compagnia tedesca, che ha scarrozzato un aereo vuoto su e giù per l’Europa, sprecando solo tonnellate di carburante.

 

Sotto la mascherina nulla: un’infermiera russa si presenta a lavoro in vestito trasparente e biancheria
La quarantena ha colpito duro. Tutti. Qualcuno però ha sofferto di più. In Russia questa settimana è salita alla ribalta un’infermiera in mutande. Se sono loro – medici e personale sanitario – gli eroi di questa epidemia, la nostra eroina ha scelto un costume molto più evocativo di quello di Wonder Woman. E cioè: bardata da capo a piedi con la tuta di plastica trasparente che normalmente si usa negli ospedali per evitare il contagio, ma sotto quella niente. Solo reggiseno e mutandine. La sua immagine è diventata virale, come è facile immaginare, ma l’improvvisa popolarità non ha giovato alla ventenne infermiera di Tula, a sud di Mosca: l’ardita acconciatura le è costata una sanzione da parte dei vertici della struttura ospedaliera. Lei si sarebbe giustificata spiegando di avere “troppo caldo” proprio a causa della tuta e degli altri dispositivi di sicurezza da indossare. La ragazza ha detto di non essersi accorta che la tuta fosse così trasparente. E che quello sotto era un costume, mica mutande e reggiseno.

 

In viaggio col virus: un uomo scopre di essere positivo mentre è in aereo, i 140 passeggeri finiscono in quarantena
Una splendida vacanza. Erano in 140 i passeggeri partiti da Madrid con destinazione Lanzarote, una delle Isole Canarie al largo della costa occidentale dell’Africa. Invece delle spiagge gli toccherà una quarantena chiusi in stanza: a bordo del loro volo c’era un infetto. Com’è possibile? Il nostro eroe si era imbarcato sul volo senza essere a conoscenza della sua positività al Covid. Aveva tutti gli strumenti per sospettarlo, diciamo, visto che un suo conoscente era deceduto per il Coronavirus e aveva partecipato anche alle sue onoranze funebri. Malgrado questo il “passeggero 1” ha preso il volo. E proprio mentre era in volo è arrivato il responso: positivo. Il dipartimento della salute della regione Castilla y León ha avvertito le autorità e la polizia sull’isola. All’arrivo il passeggero untore è stato prelevato e portato via, ma insieme a lui anche gli altri 139 sventurati compagni di viaggio. Chi sedeva più vicino all’uomo dovrà affrontare due settimane di quarantena, tutti gli altri saranno confinati “solo” per una settimana e poi sottoposti al test del tampone.

“Sono come il mio vecchio Ibra: l’età c’è, ma resta forte”

“Ci vuole un fisico bestiale sia per fare politica che per giocare al calcio”.

Gambe forti e bocca volitiva. Un politico vegetariano in Italia non diverrà mai leader. Vero che col calcio si acquistano punti.

Mangiavo di tutto. Ero in Valtellina? Pizzoccheri. Ero a Bisceglie? Orecchiette con le rape. La relazione con il cibo è essenziale, costituente. E poi bisogna dannarsi a viaggiare, incontrare, ascoltare: un politico che non regge la fatica, la piazza, non ha idea di cosa sia il popolo, quindi non ha futuro.

Quando il Milan era in auge anche Enrico Letta era al top. Poi sono iniziati i guai. Simul stabunt, simul cadent.

Certo non sono più i tempi di Maldini o di Van Basten.

Era tranquillo e custodito in Parlamento. Da tifoso del Milan senza altri incarichi usa un vocabolario salviniano. Irriconoscibile.

Lui strumentalizza, la butta in politica, sta sempre tra il pallone e il palco. Io invece sono un tifoso vero, le parolone le uso perché la passione gonfia il sentimento che poi rotola esattamente come la palla in campo.

Piatek fa vergogna, Kalinic è una disgrazia, la Juve ladra.

È permesso sfottere, intignare, polemizzare e anche sfregiare (a parole). Altrimenti che tifoso sei?

Non amo l’uomo forte, però faccio un’eccezione.

Ho detto questo?

Lei così compassato, un vero cattolico democratico.

Ora ricordo, era riferito a Ibra. Un grande, un leader in campo.

È rotto, è anziano.

Il tendine di Achille sta bene, qualche superficiale problemino al polpaccio. Sarà più forte di prima.

Il calcio la rende così esuberante che allaga Twitter con le sue apologie.

Da tre mesi a questa parte sto usando molto Twitter ma per un motivo diverso: temo che questa pandemia possa produrre una crisi finale con l’Europa. È un rischio serio, quindi ho deciso di impegnarmi al massimo.

I suoi compagni sono pensierosi.

Infatti immagino che qualcuno si chieda se io voglia rientrare in politica, quali obiettivi abbia. Non me ne curo, la battaglia per difendere l’Europa è più importante, e quindi insisterò. So che ci saranno mesi difficili, che la rabbia in corpo potrà aprire spazi importanti ai sovranisti. So che sarebbe un suicidio, ma la storia della Brexit ci dice che ti può capitare di fare la più grande fesseria senza neanche un perché.

Sarà martello. Un po’ di Milan e tanto Orbàn.

I social espongono tanto, costringono a un presenzialismo innaturale, esercitano pressioni psicologiche pazzesche.

Il povero Salvini ha appena dovuto esibirsi in playback su Tik Tok. Ha mimato un brano di Cocciante mentre era sul tapis roulant.

Vede dove si arriva? Guida l’idea che devi essere anzitutto un personaggio. Che le idee non siano necessarie. Dico sempre che oggi essere leader è molto più difficile di quarant’anni fa.

C’erano una volta i veri leader.

Falso. Non so se quelli che veneriamo come i santoni della politica oggi ce l’avrebbero fatta.

Oggi sono migliori?

Oggi devono subìre prove inimmaginabili. Certo, il rischio vero è che anziché guidare, aprire un varco, un orizzonte, si diventi follower dei propri followers. Che per puntare a costruire il personaggio si lasci per strada la trebisonda. Per quel che mi riguarda, mi sforzo di mettere avanti a me un’idea e non di seguire il coro.

In Italia tre i premier milanisti. Il suo leader (diciamo così) Berlusconi, poi Monti e quindi lei. Oggi siete i tre poverelli di Assisi.

Al tempo del passaggio di consegne a Palazzo Chigi tra Berlusconi e Prodi io ero sottosegretario di quest’ultimo e mio zio Gianni del Cavaliere. Che non aveva proprio voglia di scambiare parola con Romano Prodi e allora si diresse da me, mentre il neopresidente raccoglieva il testimone da Gianni Letta. Sa di cosa discutemmo? Mi chiese come valutassi la cessione di Shevchenko. Tutto il tempo a parlare del Milan.

Lei ha un futuro in curva a San Siro.

Non dubiti.

“Macchè movida ai Navigli, il vero scandalo sono le Rsa”

Lui che è una mitraglia, lui che scherza, sorride, ironizza e attacca; lui che di solito è il re della metafora, di metafora ne spara una sola, e solo alla fine della chiacchierata: post quarantena è più Alessandro Aleotti che J-Ax, ma da J-Ax ha comunque appena pubblicato Una storia assurda.

È un uomo migliore o peggiore dopo il lockdown?

Sono andato a fasi alterne, ma spero di essere migliore: certe cose che prima, nella mia vita, avevano un’importanza grande, adesso le ritengo più futili; comunque ancora oggi vivo come se ci fossimo dentro.

Cioé?

Fa piacere tornare a certe abitudini, ma non ne siamo ancora fuori, aspetto il giorno in cui verrà definitivamente debellato per capire chi sono diventato; (ci pensa) nel frattempo sono cresciuto.

Sotto quale aspetto?

I problemi sul lavoro possono risultare importanti ma non fondamentali, mentre di fondamentale c’è solo la vita, continuare a vivere.

Cambio di priorità.

Alcune sì.

Ha cantato dal balcone?

Il mio palazzo sì, io no: quel giorno mio figlio dormiva (ha tre anni); (silenzio) quella era la prima fase della quarantena, e anche io ero pieno di coraggio, di ottimismo; anche io mi ripetevo “ne usciremo migliori”, poi ho passato un momento di depressione.

Up e down.

Questa situazione ha fatto emergere quello che siamo.

E chi siamo?

C’è una minoranza di persone straordinarie e una maggioranza di analfabeti funzionali, di giornalisti incapaci o gasati dal proprio appeal, di politici in grado solo di approfittare, di creatori di fake news.

Così ribalta la narrazione dell’italiano buono e bravo.

In realtà siamo stati buoni e bravi perché abbiamo seguito le indicazioni, mentre sono stati meno buoni e meno bravi i decisori; per fortuna ci sono stati giornalisti come Selvaggia Lucarelli, un faro nella nebbia, lei mi ha sorpreso.

L’aperitivo sui Navigli.

A quella notizia credo relativamente: sono un po’ appassionato di foto e a seconda di come si piazza la macchina fotografica, si alterano le distanze. La colpa non è dei ragazzi, piuttosto parliamo della tragedia delle Rsa, dello scandalo dell’ospedale in zona Fiera o dei mancati tamponi in Lombardia

Quindi…

La storia dei Navigli al limite è un pomeriggio, e non tramutiamolo in un capro espiatorio facile per parlare alla pancia della gente e colpevolizzare i giovani. Le questioni sono altre e ben più gravi.

Travaglio mette la seconda ‘l’ di Gallera tra parentesi.

Come al solito mi trova d’accordo con lui e la storia dello “0,50” è la barzelletta dell’anno; (cambia tono) posso parlare di Gallera e Fontana fino a diventare blu, ma in questo momento è un insulto verso i 35mila morti e le loro famiglie, sentire un artista pontificare: non sono io quello con l’autorità di parlare, e mi sento empatico con chi ha vissuto questa quarantena in un monolocale, magari in sei in pochi metri quadri e vedeva il miliardario che dispensava saggezza dalla sua villa con piscina.

Vasco ha dichiarato: “Sono privo di ispirazione”. Lei è uscito con un lavoro…

Avevo già dei singoli pronti, ma quello che esprimevo in quelle canzoni nasceva da un’epoca differente, invece sono riuscito a creare musica narrando quello che stava accadendo e mi è servito per uscire della depressione nella quale ero caduto. E ringrazio chi sui social mi ha spronato: i produttori Takagi e Ketra, anche loro a chiedere “la mia positività”.

È la seconda volta che parla di depressione.

(Sorride) Qui parto avvantaggiato: già di mio, a prescindere dalla pandemia, sono paranoico, e da quando è iniziata la quarantena non ho mai dovuto comprare la carta igienica perché ho da sempre le scorte; tutto quello che non scade, lo accumulo, sono sempre pronto, ho la mentalità del survivor.

Perfetto.

Ma quando ho visto il picco, per la prima volta non mi sono preoccupato per me stesso ma per i miei affetti e il resto del mondo; poi pensavo ai giovani, ai bambini, e questo mi ha mandato in sbattimento.

Per lei, no.

Della mia vita non mi posso lamentare, ho visto e fatto di tutto, mentre non è giusto per chi la sua esistenza non l’ha ancora assaporata in pieno; per questo sono entrato in paranoia.

Riflessioni da genitore.

Non lo so; in più avevo perso fiducia, avevo la sensazione che ogni mio contributo potesse risultare futile, non necessario, mentre con questo brano mi è mutata la prospettiva, ha la sua utilità e non l’avrei mai pubblicato un mese fa.

Ha giocato con suo figlio?

Tutto il giorno; (torna a prima) se questo periodo lo avessi passato da solo, forse non mi sarei dato questa mossa, mi sarei crogiolato nella disperazione.

Sui social ha scritto qualcosa di simile quando è morto il suo gatto.

Sono un asociale e l’amore incondizionato di un animale dà la svolta alla vita.

Lei asociale?

Sì, e lo scrivo anche nella canzone, “il mio odio per la gente è sparito come i no vax”, e spesso non ti accorgi di quanto è importante una casa fino a quando non te la tolgono.

Cosa ha letto?

Ho guardato tantissime serie tv e il libro di Big Fish, Il direttore del circo. Come sopravvivere alla musica; le giornate sono state veramente piene.

In particolare?

Un po’ come Roberto Benigni ne La vita è bella, mi sono impegnato per far credere al piccolo che tutto fosse normale, niente di diverso, quindi occupargli la giornate e creare un gioco da qualunque spunto.

Super lavoro.

La sera arrivavo distrutto e lì mi avvolgevano i mostri nel cervello. Questa storia ci ha tolto il respiro.

È cattolico?

Non credo in tutte le strutture religiose, però non mi sento ateo; (sorride) in realtà va a giorni alterni, e quando sono con le spalle al muro rivolgo lo sguardo al cielo, e quando le situazioni vanno bene, lo stesso sguardo è per ringraziare.

Equidistante.

Però è stato bello conoscere il Papa e l’incontro c’è stato poco prima del lockdown; comunque ho tutti i sacramenti e mi sono sposato in chiesa, forse sono solo un borghese.

Com’è Papa Francesco?

Simpaticissimo, ha un gran senso dell’umorismo.

Insomma, oggi come sta?

Sto bene, ma sono solo una parte della mia Milano; Milano è parte della Lombardia e la Lombardia dell’Italia, e da tutto questo non posso più prescindere: non mi posso salvare se non si salvano tutti gli altri.

Ma…

Quello che mi disturba di più è che siamo stati trattati tutti da bambini e nessuno ha ammesso i suoi errori o la sua impreparazione; han solo difeso la loro presunta eccellenza sanitaria, fregandosene della realtà.

 

Gli albergatori zittiscono le Regioni: “Ora si riapre”

Se uno vuole capire perché i presidenti di Regione italiani, quelli del Sud, dopo tanto sbraitare di quarantene, passaporti sanitari e blocco dei “confini” stiano ora accettando, tra i mugugni, il “liberi tutti” basta chiedere lumi alle associazioni imprenditoriali del settore del turismo e delle attività connesse (ristorazione, agro-alimentare, etc). Telefonate poco gradevoli sono arrivate ai cellulari dei vari Stefano Solinas, Nello Musumeci, eccetera: insomma, le pressioni di migliaia di imprese capillarmente diffuse sul territorio – e spesso grandi elettori dei governatori – hanno potuto assai di più di quelle del governo per evitare la frammentazione regionale dopo la riapertura completa della mobilità prevista per dopodomani.

La spiegazione sta tutta nei numeri. La stragrande maggioranza del mercato turistico nel Mezzogiorno si concentra nel periodo che va da maggio a ottobre, ovviamente con un picco tra luglio e l’inizio di settembre: cancellata dal Covid-19 una bella fetta del mercato estero (l’anno scorso quasi 96 milioni di presenze, cioè di notti passate in una qualche struttura ricettiva), l’estate 2020 può essere salvata solo dalle presenze italiane (110 milioni nel 2019). Per capirci, a maggio sono saltati una trentina di milioni di pernottamenti di questo tipo: se non si vuole desertificare l’intero comparto, a giugno si deve consentire agli italiani che possono farlo di andare in vacanza.

A questo proposito va forse ricordato che la Lombardia ha 10 milioni di abitanti, il Piemonte quasi 5, il Veneto 4,3 milioni: nel 2018 (dati Istat) i residenti al Nord hanno passato circa 60 milioni di notti in strutture turistiche del Sud o delle isole su un mercato nazionale totale da 122 milioni.

Facciamo qualche esempio. Prendiamo la Sardegna del leghista Solinas, che ancora ieri ribadiva la sua idea del “passaporto sanitario” (arrivi solo se hai fatto il test ed è negativo), ma mettendo le mani avanti: “Se il governo continua a dirci di no dovrà assumersi la responsabilità di un’apertura senza controlli”. Insomma, il presidente sardo non farà nulla (ora s’è inventato la “tracciatura dei turisti”) e la spiegazione la conoscono lui e il suo telefono che, insieme, hanno ascoltato le proteste degli albergatori. Non è difficile da capire la sollevazione di filiere allo stremo. Sul sito della Regione sono disponibili i numeri del 2019: il mercato italiano ha garantito alla Sardegna 7,7 milioni di pernottamenti su 15,8 milioni totali; di quei 7,7 milioni due sono di residenti in Lombardia (il 25% del mercato nazionale e il 12 di quello totale).

Lo stesso discorso vale per Nello Musumeci, che si lamenta della riapertura di mercoledì a voce sempre più sommessa. Nel 2019 la Sicilia ha registrato 15,1 milioni di presenze turistiche, metà delle quali dall’Italia: dopo la Sardegna, che regala all’isola gemella 3 milioni di pernottamenti, ci sono Lombardia (1 milione) e Piemonte (350mila) che insieme fanno quasi il 19% del mercato nazionale e oltre il 9 di quello totale.

Insomma, tolti gli stranieri l’unica speranza è convincere quanti più italiani possibile a fare vacanza nel proprio territorio: un problema che ha ben chiaro anche Vincenzo De Luca, visto che la sua Campania ha raccolto all’estero 10,4 milioni dei 21,7 milioni di presenze totali del 2019 e la Lombardia è il bacino più ricco del mercato interno (il 16% abbondante dei residenti in Italia e con un alto reddito pro-capite alto).

C’è chi non ha dovuto aspettare i lamenti telefonici degli albergatori. Jole Santelli continua a ripetere che la Calabria è aperta a tutti gli italiani (“l’unico rischio che correte è ingrassare”) e ha pure invitato in vacanza i colleghi Attilio Fontana e Stefano Bonaccini. Anche Michele Emiliano, assai interventista nella prima fase, sa bene che l’economia della Puglia deve più di qualcosa ai suoi 35 milioni di presenze turistiche (la regina del mare italiano): “Rivendico con affetto e orgoglio che Milano è la seconda città della Puglia, nel senso che noi abbiamo migliaia e migliaia di pugliesi in Lombardia: non è possibile immaginare che questo canale, centrale per la nostra vita familiare, lavorativa, per la sanità e per tante cose, possa essere interrotto”.

E tanti saluti a quarantene e passaporti: tutti al mare.

Regali ai privati e reparti inutili. La verità sul miracolo De Luca

Buttate nel cestino i sondaggi di novembre che lo davano sconfitto senza alcuna possibilità di recupero. Quei numeri sono la preistoria della politica. Quando il virus non aveva ancora sconvolto l’Italia, e la pandemia non permetteva a Vincenzo De Luca di mettere mano alla sua più grande virtù, quella di essere un moderno “occasionista”. Il copyright è dello studioso Isaia Sales, che vede il “governatore” come “erede di quella cultura politica che per secoli ha governato con il teorema grandi calamità, leggi speciali e controllo politico su tutto”. Un terreno sul quale Vincenzo ‘o presidente non ha rivali.

In questi mesi se il governo chiudeva, lui, a reti e satira unificate, chiudeva di più, anche la “frontiera” campana. Se a Roma si decideva che ristoranti e pizzerie potevano portare il cibo a domicilio, lui diceva no, in Campania la pizza non viaggia. “Lanciafiamme e guanto di velluto”. Piglio duro contro “i cafoni dei baretti” e attenzione alle fasce più deboli. I 250mila pensionati al minimo, ad esempio, che vedranno lievitare le loro pensioni a mille euro al mese. Un mix di decisioni, annunci, battute che hanno trasformato il “governatore” in una star del web. Fino a suscitare l’entusiasmo di Naomi Campbell, fulminata dal “lanciafiamme”.

Ma ci sono cose che Naomi non sa. Dietro i “fratacchioni”, i runner “cinghialoni” e le altre amenità buone per i titoli di giornale, si nasconde una realtà fatta di fallimenti, scelte sbagliate e sprechi assurdi. Un uso cinico dell’emergenza con un solo obiettivo: la conquista del consenso, fatta di strizzatine d’occhio a ceti sociali diversi (dai padroni delle cliniche private ai pensionati), la rielezione, il trionfo nelle urne a settembre.

Tamponiveloce in tutto, tranne nel monitoraggio

Tanta celerità nel bloccare baretti e giovani in vena di emozioni alcoliche, passo da bradipo nei tamponi. In Campania (con 410 morti da Covid e 4.777 infettati) quelli fatti fino al 28 maggio sono 189.068, 90.670 i casi testati. Nel Lazio (più o meno la stessa popolazione della Campania), dove i morti sono stati 708, ne sono stati fatti 245.993. In Toscana (3,73 milioni di abitanti) 242mila, in Emilia Romagna 310mila. Numeri, dati noiosissimi, che però incidono sulla vita e la salute delle persone e che incrinano la narrazione deluchiana. “Siamo i primi, la nostra sanità è un modello europeo”. La verità è che il modello sanitario campano arriva all’emergenza Covid devastato da anni di commissariamento e di tagli “lineari”. Tradotto: meno ospedali sul territorio, deboli politiche di prevenzione, massacro di medici e infermieri.

Forbici Da commissario ha ridotto medici e posti

De Luca è stato commissario straordinario del piano di rientro dai 9 miliardi di debiti accumulati negli anni precedenti. Una gestione draconiana che ha portato al taglio di 45mila tra medici e infermieri, che non ha determinato quella “svolta epocale” declamata da De Luca. Non riuscendo neppure ad alzare l’indice dei Lea (livelli minimi di assistenza), 105 nel 2015 (la legge prevede un minimo di 160), 124 nel 2016. Nel 2017 peggio della Campania ha fatto solo la Calabria. Efficientismo alle vongole, stando ai dati della Corte dei Conti che sottolinea come in Campania sia stato speso solo un terzo degli 1,7 miliardi attribuiti per l’edilizia sanitaria. “Nel frattempo – denuncia Giosué Di Maro, segretario della Funzione pubblica Cgil – grazie a un piano di rientro tutto basato su equilibri contabili, si perdevano migliaia tra medici e infermieri e si cancellavano oltre mille posti letto”. Quando il virus irrompe, la Campania ha solo 320 posti in terapia intensiva (“la sorte ci ha voluto bene – dice Marco D’Acunto, segretario del settore sanità privata della Cgil – altrimenti qui sarebbe stato un disastro”). E De Luca si lancia nella costruzione dei Covid Center. Trasforma vecchi ospedali in centri per la cura del virus. Il caso più eclatante è quello di Boscotrecase. “Un ospedale di provincia senza rianimazione, con una chirurgia da routine e soli tre infermieri per undici pazienti gravissimi”, così lo descrive un medico del posto che insieme ad altri suoi colleghi firma una durissima lettera di denuncia. Non ci sono tutele per il personale, manca la preparazione ad hoc di medici e infermieri, al punto che “sia il personale che i pazienti sono esposti a rischi gravissimi”, scrivono. Ovviamente nessuno li ascolta, perché la favola del “siamo i primi” prevede altro tipo di narrazione. Nuovi centri anticovid, costruiti più in fretta dei cinesi di Wuhan e del lombardo Fontana.

Magie La gara d’appalto durata un solo giorno

Un caso che resterà nella storia degli sprechi di questa emergenza, è la costruzione della mega struttura tirata su nel parcheggio dell’Ospedale del Mare a Ponticelli. Emblema di tutti gli scandali sanitari della Campania. L’Ospedale è edificato al limite della zona rossa per l’emergenza Vesuvio, è una vera città sanitaria che si estende su una superficie di 145.800 metri quadri, ha 451 posti letto, 18 sale operatorie. E due piani ancora chiusi. Tutto ciò non basta, a tempo di record De Luca indice una gara d’appalto da 18 milioni (durata un giorno), e quando i tir con i moduli prefabbricati arrivano a Napoli vengono accolti da scene di giubilo. Attualmente ospita un paio di pazienti e non in terapia intensiva. “Il senso di questa operazione è oscuro – dice il sindacalista D’Acunto – visto che abbiamo tantissime strutture vuote o sottoutilizzate”. Anche lui, come gli altri pochissimi critici, si beccherà l’epiteto deluchiano di “imbecille”. Ma in quanto ad opacità spiccano gli accordi con le strutture private. Aiop (una sessantina di case di cura con centinaia di dipendenti) e Aris, di matrice religiosa e con nove cliniche associate. In sintesi: a fine marzo la Regione Campania stabilisce un patto di tre mesi con i privati ai quali rimborserà il 95% del fatturato dell’anno precedente, a prescindere dalle prestazioni effettuate. “Un bel regalo ai privati”. Commenta D’Acunto. Che denuncia: “Abbiamo assistito a pazienti trasferiti da strutture pubbliche a cliniche private in territori dove i posti in terapia intensiva non erano saturi”.

Giudici contabili Parte l’inchiesta su 3,3 milioni

Ora la Corte dei Conti vuole vederci chiaro e capire che fine hanno fatto i 3,3 milioni sborsati, quale emergenza li giustifichi, e soprattutto la corrispondenza con il bassissimo numero di pazienti Covid ricoverati. “Ho buttato il sangue per salvare questa regione”, è il leit motiv di De Luca che esprime “disprezzo” per chi lo critica. Intanto la magistratura apre inchieste. Sull’ospedale di Boscotrecase, sulle Rsa, sugli appalti per “il miracolo” di Ponticelli, sulla gara da 750mila euro per l’analisi dei tamponi affidata all’Istituto zooprofilattico di Portici e al centro clinico Ames.

Ma mi faccia il piacere

La Festa del Cazzaro. “Notte serena Amici, oggi non c’è un cazzo da festeggiare” (Matteo Salvini, Twitter, 2.6.2013). “#Buonadomenica e buona #FestadellaRepubblica, Amici. Orgoglioso di poter esercitare il mio ruolo di governo sempre a difesa dell’Italia! #2giugno” (Salvini, 2.6.2019). “Apprendiamo dalla stampa che ci sarebbe stata negata l’autorizzazione a deporre una corona di fiori all’Altare della Patria il 2 giugno. Non si può neanche onorare la memoria ed il valore dei Militari italiani caduti per difendere la Patria? Alla faccia della democrazia…” (Salvini, Twitter, 2.6.2020). É l’evoluzione della specie.

Unità nazionale. “Salvini: ‘Criminale è il governo’” (Libero, 27.5). “Salvini chiama Mattarella dopo il discorso di Conte: ‘Pietra tombale sul dialogo… Dal governo ci aspettiamo risposte, ascolto e soluzioni, non insulti’” (Agi, 11.4). Lui vorrebbe tanto dialogare, ma purtroppo quel Conte insulta.

La voce del padrone. “Questa politica rischia di fare più danni del Covid” (Carlo Bonomi, presidente Confindustria, Repubblica, 31.5). Ma solo perchè la Confindustria è fuori concorso.

Coerenzi. “È una cosa schifosa che Salvini abbia tenuto in mare dei poveri disgraziati. Ma non sono io che devo decidere se ha commesso un reato, io devo decidere se deve andare a processo. E voterei sì” (Matteo Renzi, leader Iv, Twitter, 23.1). “Open Arms, no della giunta al processo: i renziani ‘salvano’ Salvini” (Il Sole 24 ore, 26.5). Chi è che è una cosa schifosa?

Obituary. “Come battere le fake news. Controffensiva culturale contro le bugie, non basta smentirle una per una” (Gianni Riotta, La Stampa, 25.3). Bisogna proprio non scriverle. Quindi si ritira?

Choc. “Berlusconi vuole lo choc fiscale” (il Giornale, 25.5). Non avrà mica deciso di pagare le tasse?

Il senzatetto. “Il piano casa di Berlusconi” (il Giornale, 31.5). Avete capito bene: il piano casa di Berlusconi. La battuta scrivetela voi.

Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare. “Le dico una cosa. Ero il 1° maggio al Ponte Morandi e ho capito perfettamente come funziona il ‘modello Genova’ di sviluppo economico” (Maria Elisabetta Alberti Casellati, FI, presidente del Senato, Corriere della sera, 30.5). Capo-varo, vado? Vadi, contessa, ma un po’ più a destra!

Folli. “Quanto può valere una riforma del Csm … affidata a un ministro come Bonafede appena scampato per il rotto della cuffia alla sfiducia parlamentare?” (Stefano Folli, Repubblica, 26.5). Quindi: le opposizioni presentano una mozione di sfiducia contro un ministro per farlo dimettere, il Parlamento le respinge, il ministro resta ministro, ma non deve più proporre riforme perchè Folli rosica.

Disegni. “C’è un disegno per colpire la magistratura” (Luca Poniz, presidente dimissionario dell’Anm, 26.5). E questa volta i disegnatori sono tutti magistrati.

La mossa del ronzino/1. “’Perchè ho lasciato il Pd? È troppo giustizialista’. Matteo Renzi si sfoga nel suo nuovo libro ‘La mossa del cavallo’” (Libero, 31.5). Uahahahahahah.

La mossa del ronzino/2. “Renzi: una nuova Tangentopoli? La politica vigili” (Corriere della sera, 31.5). Ma soprattutto vigilesse.

La mossa dell’acciuga. “Comune, altolà delle Sardine: ‘No Raggi-bis’” (Repubblica-cronaca di Roma, 31.5). Brrr, che paura.
Aurelia, Cassia, Appia e Raggia. “Virginia Raggi ha fatto più strade degli antichi romani” (Paolo Ferrara, consigliere comunale M5S a Roma, Facebook, 25.5). Slurp.

L’uomo giusto. “Oggi come oggi se volessi tornare in politica lo farei a un patto solo: guidare la mia città. Penso di avere tutte le possibilità: l’intelligenza, la preparazione, la cultura, per poterlo fare” (Massimo Ghini, attore, 28.5). Tecnicamente, si chiama autopompa.

I governi della settimana. “Ecco il lodo Giachetti: schiaffo al premier e mano tesa alla Lega. Il renziano: darei a Giorgetti la guida di un comitato per varare il dl Rilancio” (il Giornale, 24.5). “Possibile un altro premier: Di Maio avverte Conte” (La Verità, 24.5). “Il Soviet di Giuseppi”, “L’Italia di Giuseppi assomiglia all’Urss” (La Verità, 26.5). “La maggioranza nella palude” (Claudio Tito, Repubblica, 27.5). “Salvini: autunno caldo, Conte cadrà” (Il Messaggero, 27.5). “Bonaccini, le vere ragioni della corsa alla premiership” (La Stampa, 27.5). “In un giorno 30 manifestazioni contro Conte” (Libero, 31.5). “Coro unanime: intellettuali e piazze mai così uniti contro il premier”, “Franceschini cerca un’altra maggioranza” (il Giornale, 30.5). “Anche gli intellettuali lanciano l’allarme: ‘Giuseppi se ne vada o non ne usciremo’” (La Verità, 31.5). “Adesso alle toghe tocca indagare il premier” (Libero, 31.5). “’Il Tempo’ spara: è se Conte fosse il candidato sindaco di Roma di Pd e M5S? Sarebbe una carta per spedire Giuseppi lontano da Palazzo Chigi” (Dagospia, 31.5). Quindi ci siamo: ormai è fatta.