Signori, si riapre. Da mercoledì 3 giugno torna libera anche la mobilità fra le Regioni. Fondamentale, dunque, è la capacità di tracciare rapidamente i sospetti positivi. Ecco, ad oggi, con l’eccezione del Veneto, la situazione non è buona: mancano i reagenti per processare i tamponi e quindi il “testing” va a rilento. Qui la situazione nei territori più colpiti a partire dal disastro di Fontana e soci.
Lombardia. “L’altro giorno serviva un tampone d’urgenza, che deve arrivare entro 90 minuti se il paziente è grave. È arrivato dopo quattro ore, perché mancano i reagenti”. A confidare l’ordinaria emergenza di molti ospedali lombardi, è un medico del Papa Giovanni XXIII di Bergamo. La carenza dei reagenti per processare i tamponi c’è in tutta l’Italia, ma in Lombardia di più. “Le riserve scarseggiano”, spiega il biologo di un laboratorio pubblico regionale che chiede l’anonimato, “le consegne arrivano una volta alla settimana e sono sempre più incostanti”. E così il tampone viene dirottato ai privati. A pagamento.
Perché i reagenti sono merce rara? I motivi vanno dal sistema degli acquisti alla dipendenza da un pugno di monopolisti, fino alla mancanza di una efficace regìa regionale. Per processare i tamponi in maniera massiva, si usano robot i quali funzionano solo con i reagenti della società che li aveva venduti. È il “circuito chiuso”. Laboratori pubblici e privati utilizzano gli stessi robot: in un periodo di scarsa offerta diventano concorrenti. Solo che, mentre il privato può contrattare le forniture alla fonte, il pubblico dipende da Aria, l’Azienda regionale per gli acquisti. E così si perpetua il circolo vizioso: il pubblico non ha reagenti, dirotta i tamponi al privato, che li ha perché li acquista dai produttori, che non ne hanno più per il pubblico…
I fornitori possono decidere i prezzi e aspettare che le istituzioni si adeguino. Lo dimostra il bando da 42 milioni per l’acquisto di tamponi e macchinari emesso da Regione Lombardia il 17 maggio. Sei degli otto lotti erano “nominali”, cioè diretti ad altrettante società: Diasorin (costo unitario del test 27 euro, per 1,7 milioni complessivi); Arrow Diagnostics (13,60 a test, per 1,7 milioni), Elitechgroup (18 euro, per 2,2 milioni), Roche (13 euro, per 7,5 milioni), Abbott (26 euro, per 374 mila euro), Cepheid (32,5 euro, per 3,5 milioni). I lotti rimanenti erano destinati a fornitori di “sistemi aperti” ad alta produttività, che è un altro metodo, non vincolato a un’unica marca di reagenti: richiede più lavoro umano, ma facilita gli approvvigionamenti. Peccato che la Lombardia abbia aspettato fino a oggi per dotarne i propri laboratori: in Regione numerose società li vendono, ma non sono mai state contattate dal Pirellone. “È incredibile, perché noi riforniamo ospedali pubblici ed enti di mezza Italia”, racconta un biologo di una di queste aziende. Secondo il Pirellone i sistemi aperti sarebbero meno affidabili. Una verità smentita dai fatti, come dimostrano il Veneto e gli stessi laboratori privati lombardi a cui si affida la Regione.
Ma il Pirellone ha mancato anche nella gestione di quanto aveva già in casa. “Quando è iniziata la crisi in Lombardia a fine febbraio c’erano solo due laboratori hub autorizzati a fare i tamponi, il San Matteo e il Sacco”, racconta il biologo bergamasco, “a fine aprile erano diventati oltre 50, con dimensioni ed experties molto diverse”. Ma, allargando il numero si è polverizzata la fornitura dei reagenti: “E ora tanti laboratori arrancano e i tamponi vagano per la regione, inviati dove i reagenti ci sono”. Questo caos può essere espresso anche in numeri. La Lombardia non si è dotata di un obiettivo ufficiale di tamponi/giorno: oggi ne fa 12 mila circa, ma in rapporto alla popolazione se il Veneto punta a farne 30 mila , Fontana & Gallera dovrebbero arrivare a 60 mila.
Emilia-Romagna. Tredici laboratori, dei quali tre privati convenzionati, con una settantina di macchine di vario tipo – da quelle “proprietarie”, che richiedono il reagente specifico, a quelle “aperte” – e una capacità attuale di 9.300 tamponi al giorno. Oggi per l’approvvigionamento dei reagenti in Emilia-Romagna ogni laboratorio attiva i propri canali. La Regione ha stipulato un contratto con Hologic Italia per una fornitura a tre laboratori (Bologna, Parma e Pieve Sestina, in provincia di Cesena) capace di assicurare 480 mila test. Sono state acquistate anche cinque nuove macchine aperte in grado di processare i tamponi in tempi rapidi. L’obiettivo è arrivare a ottobre con una capacità di 15-20 mila tamponi al giorno. Si valuta un bando per acquistare i reagenti. Finora non va benissimo: dal 4 al 27 maggio l’Emilia-Romagna ha fatto 1.202 tamponi diagnostici ogni 100 mila abitanti contro una media nazionale di 1.343.
Veneto. La giunta di Luca Zia ha adottato subito il “sistema aperto”, ovvero un processo di analisi dei tamponi suddiviso in tre fasi distinte: estrazione del campione, distribuzione dei reagenti e lettura del risultato. È stata la scelta vincente del laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova, diretto dal professor Andrea Crisanti, che era preparato da tempo all’arrivo dell’epidemia. Tra gennaio e febbraio a Padova hanno acquistato reagenti per mezzo milione di tamponi. Questi quantitativi, impiegati da una nuova macchina in grado di ottimizzare il processo, sono aumentati fino a una capacità totale di 2,5 milioni (a fronte di 3,8 milioni fatti finora in Italia). Oggi in Veneto vengono processati tra i 9 e gli 11 mila tamponi al giorno, l’obiettivo è arrivare a 30-40 mila. Anche se la situazione non è omogenea in tutta la regione: a Verona, provincia con maggior numero di contagi, le macchine “chiuse” riescono ad analizzare pochi test e l’azienda ospedaliera ora tratta l’acquisto di una sofisticata macchina made in Usa in grado di accelerare il processo di elaborazione (abbattendo i tempi da 6 ore a 10 minuti) e diminuendo pure la quantità di reagenti necessari. Una è già in funzione a Padova, mentre quella destinata a Verona fino a pochi giorni fa era bloccata dalla dogana Usa. Nelle scorse settimane alcuni macchinari che da mesi lavorano ininterrottamente si sono guastati (uno a Treviso ha preso fuoco) causando un accumulo di 15 mila tamponi non processati: i tecnici, per far fronte all’imprevisto, hanno scelto di concentrare in una sola provetta 10 tamponi, analizzando solo la “miscela” aggregata delle diverse provette che solo in caso di positività richiede un’indagine singola, ma in caso contrario alleggerisce il lavoro. Ora l’arretrato è stato smaltito e le analisi in Veneto registrano un ritardo medio di 1 o 2 giorni.
Piemonte. “La situazione reagenti è sempre tragica. Arrivano col contagocce e spesso siamo abbastanza a secco: a volte, per questo, ci chiedono di fare meno tamponi”. Da quanto racconta un tecnico di laboratorio di uno degli ospedali di Torino, in Piemonte c’è ancora, anche se in dimensioni minori rispetto al passato, un problema di approvvigionamento. Secondo Roberto Testi, responsabile scientifico dell’unità di crisi della Regione, invece è tutto a posto: “C’è stato un problema in Italia perché quasi tutte le piattaforme lavorano con reagenti che vengono prodotti da una casa, la Termo Fisher, oggi in Italia in mano a Roche. Dunque qualche difficoltà l’abbiamo avuta, ma in Piemonte ci siamo salvati perché molte delle piattaforme con cui lavoriamo sono della Diasorin e abbiamo usato altri laboratori di biologia forense che si sono riconvertiti, mettendosi a fare tamponi e usando chimiche diverse di estrazione”. Insomma, a parte qualche caso minore tutto bene e ora “ci sono meno richieste di tamponi, perché i casi sospetti sono meno e perché in Piemonte la strategia è quella di fare più test sierologici: i tamponi li facciamo solo a chi è positivo al test”. Va detto che, seppur non è nella prima fascia, a maggio il Piemonte ha fatto molti più tamponi diagnostici ogni 100 mila abitanti della media nazionale: 1.675, oltre trecento in più.