Sul mancato sbarco decise il Viminale contro Conte

“L’indirizzo politico del ministro Salvini è diverso da quello del presidente del Consiglio”. Non è il retroscena di qualche giornale durante le settimane della vicenda Open Arms, ma una “velina” inviata in quei giorni all’Ansa da “fonti del Viminale”, il ministero guidato allora da Matteo Salvini.

È il 17 agosto 2019: il governo gialloverde scricchiola (la spaccatura sul Tav è del 7 agosto) e la Open Arms è in mare da più di due settimane. La dichiarazione dal Viminale, letta oggi, fornisce già la risposta ai dubbi sulla paternità della decisione di non far sbarcare i migranti. Adesso Salvini sostiene che la scelta fu condivisa dal governo; il M5S (che di quell’esecutivo faceva parte) e Giuseppe Conte riconducono il caso a una decisione autonoma del leghista.

Un passo indietro. Il 1º agosto 2019 la Open Arms salva 124 persone al largo della Libia. L’Italia le nega il porto. Nei giorni successivi, tre persone vengono trasferite per motivi medici e altre 39 vengono salvate in mare. Il 14 agosto il Tar del Lazio sospende il divieto di ingresso nelle acque italiane, anche se il governo ancora non indica un porto. Lo stallo si sblocca tra il 17 e il 20 agosto: prima sbarcano i 27 minori, poi, su intervento della Procura di Agrigento, le altre 83 persone.

In quei giorni Salvini e Conte si scambiano reciproche accuse. A Ferragosto il presidente del Consiglio indirizza una lettera aperta al ministro: “Ti ho scritto ier l’altro una comunicazione formale con la quale ti ho invitato ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti nell’imbarcazione’”. E anche per gli altri migranti, scrive Conte, la situazione deve sbloccarsi: “Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo mi hanno comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti. Se davvero vogliamo proteggere i nostri ‘interessi nazionali’, non possiamo limitarci a esibire posizioni di assoluta intransigenza”. Di lì a poco sbarcano i migranti e lo stesso Salvini, contrariato, chiama in causa Conte: “Qualcuno si sta portando avanti già nel nome del governo dell’inciucio per riaprire i porti”.

Palamara a Patronaggio: “Tutti con te, anche Legnini”

“Carissimo Luigi ti chiamerà anche Legnini siamo tutti con te”. Sono le 16.45 del 24 agosto 2018 quando Luca Palamara invia questo messaggio al procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, che gli risponde un minuto dopo: “Mi ha già chiamato e mi fa molto piacere”. Giovanni Legnini è in quel momento il vicepresidente del Csm.

Quel 24 agosto è un giorno piuttosto elettrico. Patronaggio ha appena aperto un fascicolo per sequestro di persona contro ignoti: il pattugliatore Diciotti è fermo da giorni in rada, a bordo ci sono centinaia di migranti che non possono sbarcare. Il giorno successivo, quando sarà a Roma per interrogare i funzionari del Viminale, Matteo Salvini, che in quel momento è ministro dell’Interno, sarà indagato. Il Senato come sappiamo salverà poi Salvini dal processo per il sequestro di persona. Ma torniamo a quel 24 agosto.

Per descriverne il clima è sufficiente citare il post su Facebook del segretario regionale abruzzese della Lega, Giuseppe Bellachioma, che ha pubblicato soltanto 24 ore prima. “Se toccate il Capitano – scrive – vi veniamo a prendere sotto casa”.

Il messaggio provoca la reazione dell’Anm che lo definisce un “inaccettabile tentativo di interferire nell’attività dei magistrati impegnati nella delicata vicenda”. Il messaggio di Palamara e la telefonata di Legnini sembrano quindi inseriti in un contesto di solidarietà con Patronaggio. Interpellato dal Fatto, però, Legnini non ricorda però alcuna telefonata: “Non ne ho alcun ricordo e comunque mai ho parlato con Patronaggio di indagini penali”.

Va precisato che Patronaggio non risulta iscritto alla corrente di Palamara, Unicost, né ad altre, e non risultano richieste che riguardano la sua personale posizione. Non si tratta comunque dell’unico messaggio telefonico che intercorre tra i due.

Palamara gli invia un altro messaggio di solidarietà il 12 settembre alle 17.58: “Carissimo Luigi ti sono vicino sii forte e resisti siamo tutti con te un abbraccio”.

In quelle ore Patronaggio ha ricevuto delle minacce anonime. “Grazie”, risponde Patronaggio, “mi fa molto piacere. È un atto intimidatorio ‘firmato’… da certi ambienti estremisti. Sono sereno. Grazie ancora Luca”. “Posso dirlo in plenum?” chiede Palamara, che intende comunicarlo al Csm, ricevendo l’autorizzazione del procuratore. Arriviamo così al 19 maggio 2019.

In quelle ore è l’ingresso della Sea Watch 3 in acque italiane a occupare la scena. Patronaggio, che ha sequestrato la nave dell’Ong, ha consentito lo sbarco dei naufraghi. Salvini lo apprende in diretta mentre è ospite in tv: “Questo procuratore della Repubblica” commenta Salvini, “è quello che mi ha indagato per sequestro di persona… Se vuol fare il ministro dell’Interno, si candida alle prossime elezioni…”. Siamo di nuovo allo scontro.

Il giorno dopo, alle 8.20 del mattino, Patronaggio scrive un lunghissimo messaggio a Palamara e, per quanto risulta al Fatto, anche ad altri esponenti della magistratura: “Alcune precisazioni sulla Sea Watch 3”, esordisce il procuratore, inoltrando un messaggio che “ha finalità solo interne”. Spiega che “la procura di Agrigento ha coordinato le indagini solo dopo che la Gdf e la guardia costiera di iniziativa sono salite a bordo e hanno proceduto al sequestro della nave”. Poi aggiunge che “il Viminale nella persona del capo di gabinetto Piantedosi è sempre stato informato dell’evolversi della situazione così come il capo della polizia”. Quindi precisa che la polizia giudiziaria sta valutando “i rilievi penali della condotta della ong i cui rappresentanti già oggi verranno iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina…”. E qui, sebbene per una manciata di minuti, Patronaggio anticipa un atto d’indagine: l’iscrizione dei futuri indagati. Che l’Ansa renderà comunque pubblica pochi minuti dopo, tra le 9.30 e le 10 del mattino. Patronaggio spiega ancora di non aver mai ordinato lo sbarco, che è “stato conseguenza del sequestro”. A bordo c’erano “situazioni di grave criticità” e la Sea Watch 3 per le sue peculiarità “non poteva entrare nel porto di Lampedusa”. Pochi minuti dopo invia un ulteriore messaggio dove spiega il senso della sua comunicazione: “Solo affinché la discussione avvenga con criteri tecno-giuridici corretti”.

Interpellato dal Fatto, Patronaggio commenta: “Ricordo solo sms ricevuti e inviati a carattere istituzionale nell’interesse di una corretta informazione”.

Scambio sul virus Lombardia, la Lega sceglie la renziana amica di Gallera

Alzare il prezzo, ogni giorno, ogni ora. Ricattare, minacciare, trattare a 360 gradi. Usare il filo con Matteo Salvini contro Giuseppe Conte. Abbandonata l’idea di recuperare il consenso perduto, Matteo Renzi ha tutte le intenzioni di far pesare i seggi in Parlamento. La strategia non è nuova, ma ieri lo scambio è forte. Mentre a Roma Iv sceglie di non votare in Giunta del Senato l’autorizzazione per il processo a Salvini, in Lombardia la renziana Patrizia Baffi viene eletta a capo della commissione d’inchiesta sulla sanità lombarda (posto che spetta all’opposizione) con i voti della Lega e di tutto il centrodestra. Due omicidi senza impronte, che maturano nella notte. Fino a lunedì sera, in Senato Iv era indecisa. E la Baffi rifletteva, mentre Salvini si agitava in Regione.

A Palazzo Madama Davide Faraone giustifica la scelta (non decisiva per il risultato) con la necessità di un supplemento di indagine. Il voto finale sarà in Aula entro il prossimo mese. In realtà serve un supplemento di negoziato. L’ex premier (che sta zitto) vuole posti nelle Commissioni e ricordare al premier che i suoi voti sono determinanti. Ma accarezza anche altri progetti. Racconta chi a Firenze lo conosce da sempre: “Matteo vuol fare il ministro delle Infrastrutture, per questo ha messo nel mirino Paola De Micheli”. Un ministero lo vuole pure Maria Elena Boschi. Ecco che l’ex premier ricomincia a flirtare con Salvini, negli ultimi tempi un po’ trascurato. L’idea di arrivare a un progetto comune con il leader della Lega non l’ha mai abbandonata. Ma soprattutto continua a lavorarci Denis Verdini, che continua un rapporto intenso con il Matteo di Firenze e ne ha stretto uno quasi familiare con quello di Milano, visto che è il fidanzato della figlia, Francesca. Dice un verdiniano doc: “Pure se Renzi volesse far cadere il governo, i suoi senatori non lo seguono. La strada è lunga per una convergenza tra i due. Alle Regionali dobbiamo andare separati”. Imperativi rivelatori.

Ma intanto la Baffi viene eletta a capo della commissione d’inchiesta sulla sanità regionale. Ai danni del candidato ufficiale, quello del Pd, Jacopo Scandella. Il personaggio ha già mostrato l’attitudine a cambiare idea: di Codogno, eletta a Lodi con il Pd, è passata a Iv con la scissione. Ma i suoi rapporti con Giulio Gallera (di cui non ha votato la sfiducia) e Attilio Fontana, sono strettissimi.

Mentre M5S grida allo scambio, il Pd denuncia la volontà della Lega di coprire la verità e annuncia una Commissione ombra, Ettore Rosato, coordinatore nazionale di Iv, chiede le dimissioni della neo eletta. Che sparisce tutto il giorno e a sera afferma di non averne alcuna intenzione. Ma lei, che molti vedono già con un piede nel Carroccio, non muove passo senza consultarsi con lui. “Rosato sapeva che la Baffi si sarebbe candidata, me lo ha detto lei. Poi quando scoppia la polemica fa finta di non sapere nulla. E Rosato non è uno che fa politica da ieri”, racconta il consigliere regionale Dario Violi dei 5S. I renziani a Roma, intanto, sminuiscono: “Era lei che aveva firmato per la commissione d’inchiesta. Nulla di strano che si sia candidata”. Appunto. Altro che scandalo per Iv.

L’inciucio dei due Matteo: altro “pizzino” al premier

Lo hanno fatto e a occhio lo rifaranno, gli ufficialmente garantisti di Italia Viva. Già pregustano l’Aula, “il luogo dove ognuno si assumerà le sue responsabilità” come scandisce pugnace il Gennaro Migliore che un tempo fu rosso antico. Perché non smetteranno mai di fare la guerra a Giuseppe Conte, i renziani che ieri hanno contribuito in misura significativa (ma non decisiva) a salvare Matteo Salvini nel voto nella giunta delle elezioni del Senato: nel nome del diritto, ma con in testa sempre quella consegna, logorare il governo, seminare rumore per ricordare che esistono in carne, sangue e parlamentari. Lanciando anche segnali al Carroccio e a vari e eventuali, perché non si sa mai arrivasse un incidente in Parlamento, portando in dote quel governissimo che ha tanti tifosi pure fuori dei Palazzi.

Di sicuro sono tre quelli di Iv in giunta, Francesco Bonifazi, Giuseppe Cucca e Nadia Ginetti, e tutti e tre ieri hanno disertato la sala dove si votava sull’autorizzazione al processo per l’ex ministro dell’Interno, accusato dal tribunale dei ministri di Palermo di sequestro di persona plurimo aggravato e rifiuto di atti d’ufficio per il caso della nave Open Arms. Il resto lo hanno fatto una grillina, Alessandra Riccardi, e un ex 5Stelle espulso di fresco, Mario Michele Giarrusso, specchio fedele della costante frana dentro il Movimento. Sarebbero bastati loro all’ex alleato di governo, ma con l’assenza di Iv è stata apoteosi: 13 sì per la relazione del presidente Maurizio Gasparri, ovviamente contraria all’autorizzazione, e solo 7 no, quelli di 4 grillini su 5, dell’ex 5Stelle Gregorio De Falco di Pietro Grasso di Leu e dell’unica dem sopravvissuta alla scissione in Giunta, Anna Rossomando.

Certo, a dire la parola decisiva dovrà essere l’Aula. Ma Salvini può sperare in questo fiorire di garantisti, e nell’attesa ringrazia. Innanzitutto Riccardi e Giarrusso, con appositi sms. Poi l’intera Giunta: “Ha votato liberamente stabilendo che tutto il governo era d’accordo, anche Conte e Di Maio”. E il renziano Bonifazi gli fa eco: “Dal complesso della documentazione prodotta, non sembrerebbe emergere l’esclusiva riferibilità all’ex ministro dell’Interno dei fatti contestati. Pare che le determinazioni assunte abbiano sempre incontrato l’avallo governativo”.

C’è profumo d’intesa tra i due Matteo, nel comune tirare in ballo Conte. Lo notano e ne chiacchierano tutti. Anche ai piani alti del M5S, dove la lettura è unanime: “Renzi strizza l’occhio a Salvini perché alla fine spera di tirare giù Conte”. E l’eurodeputato Fabio Massimo Castaldo traduce così sui social: “Renzi è l’assistente civico del capo della Lega”. Da Iv negano, parlano e riparlano della necessità di “un’istruttoria ulteriore”, giurano di “non voler fare di Salvini un martire”. E anche la grillina Riccardi, che il capo politico reggente Vito Crimi aveva provato fino all’ultimo a far recedere, giustifica il sì “in punta di diritto”.

Nel M5S sospettano che voglia passare alla Lega. Ricordano che giorni fa si era dimessa dal Direttivo, e che per il voto in Aula sulla mozione di sfiducia al Guardasigilli Bonafede non si era presentata. Lei nega traslochi: “Sono nel Movimento”. Giarrusso anche: “Non andrò nel Carroccio”. Tutti e due rammentano che sul caso della nave Diciotti il M5S votò no al processo per Salvini. Rivendicano coerenza, quella di cui non abbonda il Renzi che il 23 gennaio twittava: “Voterei sì al processo per Salvini per la nave Gregoretti”. Nel frattempo a Palazzo Chigi osservano, preoccupati.

Così attivano i canali con i partiti, mentre Salvini giura: “Con Renzi siamo il giorno e la notte”. E già il doverlo precisare racconta lo stato delle cose, che dalle parti di Conte alimenta cattivi pensieri. “Dicono che Renzi chiarirà sulle agenzie” filtra nel pomeriggio da ambienti di governo. La attendono anche a Chigi, quella nota. Invocano spiegazioni. Così invece del comunicato arriva un contatto diretto, con Maria Elena Boschi e altri dirigenti di Iv. Compatti nel giurare che non c’è alcuna volontà di tendere imboscate al premier. Ma l’aria resta cupa. “Io spero nel voto di tutti i senatori, a patto che Iv non faccia le bizze” riassume la grillina Elvira Evangelista.

Mentre Crimi precisa che Riccardi non verrà deferita ai probiviri, anche se lei già annuncia che in Aula confermerà il no al processo. Non se lo può permettere il M5S, perché i numeri della maggioranza sono già sottili a Palazzo Madama. Teatro perfetto per agguati, in punta di diritto.

Poveretto, come s’offre

Gli inciuci fra i magistrati del caso Palamara devono aver ingelosito i due Matteo, che hanno ripreso i loro traffici per non farsi scavalcare. Con una differenza fondamentale: se le toghe dello scandalo erano dedite ai do ut des , nel caso dei due Matteo si vede solo il do e mai il des. Nel senso che ci guadagna sempre Salvini, mentre l’Innominabile gli fa da palo: nella giunta per le immunità del Senato gli regala l’impunità dal processo Open Arms (con la collaborazione straordinaria della M5S Riccardi e dell’espulso Giarrusso) e in Regione Lombardia gli presta uno dei suoi italomorenti, tale Patrizia Baffi, per guidare la commissione che dovrebbe indagare sui cabarettisti Fontana&Gallera per la brillante gestione della pandemia e ora invece li beatificherà. Ma, per l’eterogenesi dei fini, quello che nasce come favore spesso si trasforma in dispetto. Abbiamo sempre pensato che Salvini dev’essere processato dai giudici e non dai suoi colleghi senatori, ma che nei processi per sequestro di persona e abuso d’ufficio sulle navi delle Ong cariche di migranti bloccate fuori dai porti italiani verrà assolto. Checché ne dica la sua cattiva consigliera Giulia Bongiorno, quella che scambiava Andreotti mafioso e prescritto per assolto e ora teme la condanna del Cazzaro Verde, il sequestro di persona non regge; reggerebbe la vecchia omissione in atti d’ufficio, che però purtroppo non esiste più dal ’97, quando l’Ulivo svuotò l’abuso d’ufficio rendendolo impossibile da provare (a meno che si dimostri un “vantaggio patrimoniale” indebito per chi lo compie, e Salvini bloccando i migranti guadagnava voti, non soldi).

Dunque, se anche l’aula del Senato respingerà la richiesta dei giudici di Palermo per Open Arms, Salvini avrà una passerella e un’aureola di martire in meno da spendere nella sua propaganda per risalire nei sondaggi sulla pelle dei migranti. Cioè: con l’aria di fargli un favore, l’Innominabile gli ha fatto un dispetto. Già che c’era, siccome si crede molto astuto, ha fatto dire ai suoi che per Open Arms bisognerebbe processare non solo l’allora ministro dell’Interno, ma tutto il governo Conte-1, che avrebbe condiviso il blocco della nave spagnola per 20 giorni in base al dl Sicurezza-bis varato il 2 agosto 2019. Così – si è detto tutto soddisfatto – colpisco anche Conte (la sua vera bestia nera) e i 5Stelle: furbo io. Ma, nella fretta, s’è scordato di dare un’occhiata non solo alla richiesta dei giudici, ma anche alle date e alla rassegna stampa. Altrimenti avrebbe scoperto che all’epoca il governo Conte-1 non esisteva più. L’8 agosto il Cazzaro Verde aprì la crisi (pur restando incollato alla poltrona, anzi alla sdraio del Papeete).

Il 9 agosto i legali dell’Ong si rivolsero al Tribunale dei minori di Palermo per far sbarcare almeno i minorenni. Il 12 il Tribunale chiese spiegazioni al governo. Il 14 il Tar Lazio sospese il divieto di sbarco. La nave fece rotta verso l’Italia, ma senza mai ricevere dal Viminale l’indicazione del porto sicuro. Il 15 agosto, dopo giorni di braccio di ferro con Salvini, Conte gli scrisse una durissima lettera, pubblicata anche su Facebook: per i giudici, è la prova che il ministro fece tutto da solo (anche perché il governo non si riuniva più) e contro le indicazioni del premier. Conte ricordava a Salvini: “Ti ho scritto ier l’altro (13 agosto, ndr) una comunicazione formale, con la quale, dopo avere richiamato vari riferimenti normativi e la giurisprudenza in materia, ti ho invitato, letteralmente, ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti nell’imbarcazione’. Con mia enorme sorpresa, ieri hai riassunto questa mia posizione attribuendomi, genericamente, la volontà di far sbarcare i migranti a bordo. Comprendo la tua ossessiva concentrazione nell’affrontare il tema dell’immigrazione riducendolo alla formula ‘porti chiusi’. Sei… proteso a incrementare costantemente i tuoi consensi. Ma parlare come Ministro dell’Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è questione diversa. È un chiaro esempio di sleale collaborazione, l’ennesimo, che non posso accettare”.
Poi rivendicava la linea di “maggiore rigore rispetto al passato” contro l’immigrazione clandestina e i successi raccolti in Europa sulla condivisione dell’accoglienza degli sbarcati: “Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo mi hanno appena comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti. Ancora una volta i miei omologhi europei ci tendono la mano. Siamo agli sgoccioli di questa nostra esperienza di governo… ho sempre cercato di trasmetterti i valori della dignità del ruolo che ricopriamo e la sensibilità per le istituzioni che rappresentiamo. La tua foga politica e l’ansia di comunicare, tuttavia, ti hanno indotto spesso a operare ‘slabbrature istituzionali’, che a tratti sono diventati veri e propri ‘strappi istituzionali’… Hai alle spalle e davanti una lunga carriera politica. Molti l’associano al potere. Io l’associo a una enorme responsabilità”. Molti, quella lettera che anticipava la ramanzina del 20 agosto in Senato, l’avevano dimenticata. Ora torna d’attualità grazie agli intrighi dell’Innominabile. Che, mentre s’offre a Salvini per fargli da palo, si rivela il migliore sponsor di Conte. Meglio di Rocco Casalino.

Edda e Maroccolo, strana coppia del rock

Stefano Rampoldi, in arte Edda, canta i suoi testi stralunati, surreali e romanticamente eversivi e suona le chitarre. Il tocco inconfondibile sulle corde del basso è quello di Gianni Maroccolo, che è anche produttore musicale del disco. Da quelle bass lines rotonde e incalzanti che sono da sempre il suo marchio di fabbrica, genera l’energia motrice di undici brani raccolti sotto il titolo Noio; volevam suonar. Oltre che nel titolo, l’omaggio a Totò e Peppino sta anche nell’immagine di copertina, che li vede alle prese col vigile milanese… ma al posto delle facce originali, ci sono quelle di Edda e Marok. Il disco è stato creato lavorando a distanza fra Milano e la Toscana, durante il lockdown.

Più del Covid poté il virus della creatività, per niente disposto a farsi recludere insieme ai corpi dei due artisti. Ma il bello di quest’opera, oltre all’opera stessa, è che si tratta di un regalo. L’album, disponibile in cd, vinile e digitale dal 30 giugno, arriverà infatti direttamente a casa di chiunque ne faccia richiesta entro il 15 giugno a mailorder@contemporecords.it pagando unicamente le spese di spedizione. L’amichevole complicità della storica label fiorentina, che stamperà i supporti, allarga anche a Contempo il merito dell’operazione, ma la scintilla è scaturita dalla collaborazione dei due artisti in funzione di Alone Vol.4, il disco di Maroccolo in uscita il 17 giugno di cui Edda è ospite insieme ad altri artisti. L’intesa è stata così forte da indurre la coppia ad andare oltre e il risultato è un album sfaccettato e intenso, dove il rock prevale ma che include anche brani atmosferici di grande suggestione, fra cui un’inattesa cover di Sognando di Don Backy, citazioni e omaggi vari. La scelta di renderlo disponibile gratuitamente è venuta in seguito, come una forma di contributo ai fan in un momento di grande difficoltà per tutti. L’ex voce dei Ritmo Tribale, tornato a incedere come solista dal 2008, e il bassista e producer che ha marchiato il sound di gruppi come Litfiba, Csi, Marlene Kuntz, saranno pure una “strana coppia” come Totò e Peppino ma, come i loro ispiratori, anch’essi dimostrano che a volte uno più uno può fare molto più di due.

Visto che ci date solo avanzi, è meglio smettere di cantare

Sono una cantante lirica; come moltissimi altri artisti, ho cominciato a frequentare il Conservatorio all’età di 10 anni, da allora non faccio altro nella vita e la fortuna ha voluto regalarmi molto, ma molto più di quanto avrei osato sognare. Naturalmente anche la fortuna ha bisogno di aiuto e ci sono voluti anni di studio, sacrificio, rinunce, dedizione, fatica, ampiamente ripagati dall’affetto del pubblico. Anche se mai davvero sostenuti dalle Istituzioni italiane, che hanno sempre dedicato al teatro e alla musica in genere gli “avanzi della cena”, e in questo particolare e difficilissimo momento si è davvero superato qualsiasi limite: gli artisti semplicemente esistono per stimolare un patetico quanto passeggero senso di solidarietà, di vicinanza e di patriottismo, destinato a scomparire appena tutto questo sarà passato, sfruttando la nostra necessità di continuare a fare musica insieme utilizzando qualsiasi mezzo: balconi, terrazzi, strade e case. Sono trascorsi oltre quasi tre mesi, e ancora nessun aiuto concreto. Ma davvero siamo ridotti a questo? Davvero in questo paese dobbiamo scoprire che la musica classica è considerata un passatempo?

Proprio il paese che per secoli è stato Maestro nella Musica e nelle Arti e al quale il resto del mondo si è rivolto e si rivolge tuttora per imparare? Complici colpevoli di questo sfacelo sono soprattutto i canali mediatici, in primis le reti generaliste della Rai. Possibile doversi rendere conto che in questo periodo di quarantena, non sia mai stato concesso al teatro lirico di salire a bordo della cosiddetta “nave ammiraglia“ in Tv? Dovremmo davvero accettare in silenzio che un seppur magnifico interprete della canzone, Andrea Bocelli, venga definito “rappresentante della lirica italiana nel mondo” attraverso un suo concerto messo in onda sulla prima rete della Tv nazionale? Dovremmo davvero accettare che l’arte nostra venga considerata un passatempo proprio nel paese che per secoli ha dato i natali, ha cresciuto e formato artisti di ogni genere, divulgando capolavori anche nella musica che tutto il mondo ci invidia? Mi chiedo: come privilegiata insegnante in uno dei più importanti Conservatori del mondo, S. Cecilia a Roma, cosa dovrei dire ai miei ragazzi che sognano di realizzare i loro sogni studiando duramente ogni giorno per anni, se poi in momento di bisogno, chi dovrebbe occuparsi di risolvere i problemi, non si accorge nemmeno della nostra esistenza? Se nulla sarà fatto per sostenere la musica e i suoi artisti in questo momento, il messaggio sarà terribile: dichiarare che gli artisti sono inutili. A differenza di altri Paesi, al momento da noi molti artisti, soprattutto i più giovani, non godono nemmeno degli “avanzi della cena”. Supplico quindi gli artisti tutti di smettere da questo momento di fare musica. Forse così potremo renderci conto di cosa sarebbe questo mondo senza suoni.

Cara Sophia Loren… – “Dia scandalo: paghi le tasse”

Anticipiamo uno stralcio delle “Lettere scontrose” che Giovanni Arpino scrisse sul “Tempo” negli anni 60, ora raccolte da Minimum fax in un libro in uscita giovedì.

Gentile Sofia Loren, non sarò certo io a lesinare nei suoi riguardi i migliori aggettivi, i più fioriti termini di omaggio. Madre, sposa, sorella, geranio napoletano, zucchero ambrato, godimento degli occhi, elargizione di messi mature, esaltazione di carni familiari, sane eppur turbinose…

Ma il tema di questa “lettera” purtroppo è un altro… Secondo i giornali, il fisco ha dichiarato che Sofia Loren, attrice, ha guadagnato nel 1964 trecentocinquanta milioni di lire. È buono il nostro fisco, lei lo sa: per solito si accontenta di aumentare le cifre dichiarate dai contribuenti e passa De Sica da dieci a cento milioni, Mastroianni da trenta a cento, vari industriali, imprenditori, patrizi e possidenti da zero a dieci, da dieci a cinquanta, da cinquanta a duecento. Il nostro fisco – entità astratta ma all’“italiana” – sa come deve agire, come deve non esagerare, sa quali caute mosse avanzare sulla scacchiera delle nostre suscettibili abitudini. E accetta i concordati, le discussioni, i ricorsi, i pianti, le proteste, le indignazioni del contribuente, ne tiene conto: li traduce in cifre mediane.

Lei, però, gentile Sofia, questa volta ha tirato un poco la corda. Da indiscrezioni molto ben fondate, pare che lei nel 1964 abbia guadagnato non trecentocinquanta milioni, ma circa tre miliardi… Cosa sono tre miliardi? Lei, in un anno, ha guadagnato quanto mettono insieme tremila operai specializzati, ha raggiunto una somma sufficiente ad acquistare una petroliera da settantamila tonnellate, vale il patrimonio-giocatori di una squadra come l’Inter, assi e brocchi insieme. Con tre miliardi si acquistano seicento quadri di Morandi, ammesso che Morandi ne dipingesse uno al mese per seicento mesi filati… Continuo a ripetermi: tre miliardi, e naturalmente la sua figura ora mi sfugge, mi si deforma nella fantasia. Gli aggettivi perditempo che potevo stenderle davanti non mi servono più, ormai la vedo come un forziere, una miniera di diamanti, il forte Knox della nostra tremula economia.

Da qualche anno lei s’è buttata nel lavoro con un impegno incredibile quasi fosse condannata alle galere. Passa da un film all’altro come un ergastolano spaccapietre, come se fosse in debito con la società, senza mai un attimo di respiro, con soste di poche ore o pochi giorni nella villa in Svizzera, con passaggi fulminei in qualche atelier per il guardaroba… Legge copioni, firma contratti, balza su aerei, si distribuisce la giornata come un primo ministro, come un re dell’acciaio… Dov’è finita la Sofia che anni fa ci parlava degli spaghetti? Ora, guizzando da un personaggio all’altro, “non si ha tempo per essere tristi…”, lei dichiara. Le credo…

Che fare? Pagate le tasse, lei potrebbe starsene un poco tranquilla, in pace, a riflettere. Pagate le tasse, potrebbe godersi un po’ di silenzio, di quiete, lontana dagli aeroporti, dai registi, dai truccatori, libera dei bustini che le imprigionano le carni. Pagate le tasse, anche la sua villa in Svizzera le parrebbe più confortevole… finché non vengono pagate queste benedette tasse, l’obbligo della velocità non le riuscirà mai più di scrollarselo di dosso.

Gentile Sofia, le pare bello? Lei ha abbandonato la pizza, l’aria di Ciociaria, il riso spontaneo, la pigrizia nostrana, per essere diva, per muoversi secondo uno schema americano, per risultare sempre più brava, più efficiente, più produttiva, oliata e perfezionata… Crei uno scandalo davvero positivo. Se lei è ancora come noi, allora non ami i produttori, fugga con qualche suo D’Annunzio, pecchi, si disperi, rischi la povertà per poi tornare sugli scudi più bella e combattiva, più umana… Dia una bella lezione ai troppi evasori fiscali, li anneghi nelle loro vergogne. Gliene verrà un’immensa e gratuita pubblicità, le saliranno incontro nuvole d’amore pubblico… Ma forse sbaglio io. Forse questa “lettera” dovevo indirizzarla non a lei, ma a Carlo Ponti.

Convention virtuale, voto per posta: Trump dice no

Donald Trump si ribella alla legge del coronavirus, che imporrebbe prudenza nella riapertura dopo settimane di chiusura: vuole fare il G7 alla Casa Bianca e a Camp David a fine giugno non virtuale – come s’era detto –, ma con tutti i leader dei Grandi del mondo presenti; e ora minaccia di spostare la sede della convention repubblicana, programmata a Charlotte, North Carolina, dal 24 al 27 agosto, se il governatore dello Stato, Roy Cooper, un democratico, non garantisce che l’evento possa fisicamente svolgersi allo Spectrum Center.

“Il North Carolina mi piace talmente tanto che ho insistito per tenerci la convention”, twitta Trump. Ma purtroppo il governatore non assicura che lo Stato ad agosto sia pronto ad accogliere le migliaia di Repubblicani che vorranno esserci: Cooper “deve risponderci subito, altrimenti – è la minaccia – troveremo un altro posto per la nostra convention”.

La convention democratica, che doveva svolgersi a metà luglio a Milwaukee, è già stata rimandata, per iniziativa di Joe Biden, il candidato del partito alla Casa Bianca: si farà dal 17 al 20 agosto, una settimana prima di quella repubblicana. E Biden non esclude affatto che l’evento sia virtuale, anche se questo significherebbe limitarne l’impatto mediatico. Anche nei comportamenti personali, Biden è più prudente di Trump, che nelle ultime due settimane è stato in Arizona e nel Michigan e sabato è andato a giocare a golf in un suo club in Virginia. Ieri, l’ex vicepresidente di Barack Obama è uscito di casa per la prima volta in due mesi: in occasione del Memorial Day, il giorno dei caduti in guerra, è andato a deporre una corona di fiori al Delaware Park.

In queste ore,The Donald appare nervoso, forse irritato dai sondaggi che lo danno dietro Biden di 8 punti a livello nazionale e dai dati dell’economia e della disoccupazione. Lo indispettisce anche il fatto che la California e altri Stati abbiano avviato procedure per promuovere il voto per posta nell’Election Day, il 3 novembre, come ‘antidoto’ a una ripresa dei contagi innescata dall’afflusso ai seggi degli elettori. La tesi del presidente, e dei repubblicani, è che il voto per posta è una procedura che falsa i risultati: “I democratici stanno cercando di truccare le elezioni, è chiaro e semplice”, twitta Trump. In realtà, la preoccupazione non dichiarata è che quella modalità di esprimere la preferenza favorisca i Democratici, elettori più consapevoli e organizzati. In California, il Comitato nazionale repubblicano fa causa al governatore democratico Gavin Newsom, che sta mettendo tutti i cittadini nella condizione di votare per posta e in anticipo. Prendendo spunto dai dati della Johns Hopkins University, secondo cui domenica ci sono stati solo 638 morti per coronavirus negli Usa – la domenica e i festivi spesso i numeri s’abbassano – Trump afferma che “casi e morti … stanno calando in tutto il Paese.” Il totale dei decessi ha ieri superato i 98 mila, quello dei contagi 1.650.000.

Il presidente insulta Biden, che “non è mai stato conosciuto per essere intelligente.” Il democratico replica con uno spot: “Quasi 100.000 persone sono morte e decine di milioni sono senza lavoro … E Trump passa la giornata giocando a golf”. Punto sul vivo, il magnate ribatte: “Domenica ho fatto attività fisica… Era la prima volta che giocavo in quasi tre mesi”; e ancora: Obama “giocava sempre a golf, andava a giocare a golf alle Hawaii.”

In un’intervista televisiva, il presidente fa sapere d’avere terminato di prendere l’idrossiclorochina, il farmaco anti-malarico la cui efficacia anti-coronavirus non è certa.

“Volkswagen, il diesel era una truffa: ora mi risarcirà”

Herbert Gilbert è un pensionato di 65 anni che vive in un paesino di un centinaio di abitanti ai piedi della Pflaz, la foresta della Renania-Palatinato, vicino a Bad-Kreuznach. È lui che ha inchiodato Volkswagen per il dieselgate, costringendo il colosso dell’auto tedesca a risarcire il prezzo pieno della sua auto manipolata, meno il costo per il suo utilizzo.

Quando è scoppiato il caso nel 2015 cosa ha pensato?

Ho pensato ‘non può essere!’. Ho sempre guidato Volkswagen e sono sempre stato molto contento delle sue auto. Non potevo immaginare che il gruppo potesse fare una cosa del genere. Un anno dopo, nel febbraio 2016, ho ricevuto una lettera da Volkswagen che diceva che anche sulla mia auto era montato questo dispositivo per il controllo delle emissioni dei gas di scarico non conforme alla legge. Ero sotto choc e molto arrabbiato e per questo ho sporto denuncia contro la casa automobilistica. Capisce, mi sono sentito tradito. Ho saputo che tante persone avevano avuto la mia esperienza: 11 milioni di auto avevano questo problema.

Cosa ha fatto dopo e cosa voleva ottenere con la denuncia?

Una nuova auto non potevo permettermela, l’avevo comprata da appena un anno e mezzo ed era costata parecchio. Volevo ridarla indietro e riavere i soldi, perchè c’era anche il pericolo che con quest’auto non fosse più possibile andare in giro perchè il sistema di pulizia dei gas di scarico non funzionava. Quando ho comprato la mia Sharan Vw volevo un’auto pulita, l’ho comprata a posto per questo scopo. Questo era il messaggio pubblicitario che mandava Vw con l’esempio del fazzolettino bianco. Pensi che adesso per andare nella clinica universitaria a Magonza, dove mi sottopongo ad una terapia perchè sono malato, mi sono comprato un’auto usata a benzina, tutt’altro che amica dell’ambiente. Ma almeno con quella posso raggiungere l’ospedale mentre con quella di Vw non potrei perchè c’è il divieto di accesso per le auto come il mio diesel Vw. È un’assurdità no?

Cosa ha risposto Volkswagen?

Vw ha detto che non aveva frodato, e poi ha installato un cosiddetto software di update che provvedeva a riparare la situazione. Ho sperato che questo software fosse la soluzione e che l’auto a questo punto fosse a posto ma non era vero. Perchè sull’auto era montata un secondo sistema di controllo dei gas di scarico che funzionava solo in un certo range di temperature, tra i 20 e i 30 gradi, e al di là di queste temperature non più. Pare che con questo software l’emissione dei gas fosse anche peggio di prima.

Quale è stato il decorso della sua denuncia?

Io ho fatto ricorso una prima volta al tribunale di Bad Kreuznach e nel settembre 2017 è stata respinta poi sono andato in appello nel tribunale superiore di Coblenza e qui mi hanno dato ragione ma Vw ha chiesto la revisione e allora siamo arrivati alla corte di Cassazione federale che però oggi ha rigettato la richiesta di revisione di Volkswagen e ha detto che il giudizio di Coblenza era giusto.

Che cosa si aspetta per il futuro?

Spero che Vw e altre case automobilistiche che sono finite nello scandalo dieselgate in futuro agiscano in maniera onesta e non imbroglino i loro acquirenti. I soldi non sono tutto, bisogna anche guadagnarsi la fiducia. Personalmente però non comprerò più un auto Volkswagen. Avrò da Volkswagen una buona parte dei miei soldi (25.000 euro sui 31.500 spesi) e potrei comprarmi un’auto elettrica ma non la prenderò sicuramente di Volkswagen.

Da dove è venuto il coraggio di andare fino in fondo?

Tutto dipende da come uno tratta le persone. In prima istanza Vw non voleva nemmeno parlare con me e allora ero anche disponibile a fare una transazione con loro. Ma mi hanno trattato come se non contassi niente. Se Vw mi avesse offerto 10.000 euro per la perdita dell’auto sarei stato pronto a finirla lì. Ma Vw non era pronta nemmeno a parlarmi, non ha mi ha nemmeno degnato di uno sguardo, ha avuto un atteggiamento da snob e questo mi ha ferito così tanto che mi sono detto “va bene, adesso combatto fino in fondo”.