Vittime Covid: le storie di chi è “sparito” dal bollettino

A Brescia due morti a causa del coronavirus svaniscono e non si ritrovano nella contabilità ufficiale. Due donne hanno lasciato per sempre i loro cari, morte di Covid, mentre la Regione Lombardia ufficializzava “zero decessi”. Tra sabato e domenica in una casa di riposo sul Garda e in una residenza sanitaria assistita sempre in provincia di Brescia queste due donne se ne sono andate, già troppo tardi per essere contate come vittime del Covid. “Sì, una mia paziente è morta a causa del coronavirus, incredibile ritrovarsi con numeri che non corrispondono”, si sfoga un medico della mutua di Rovato.

Il New York Times ha pubblicato un memoriale in prima pagina qualche giorno fa ed è stato un pugno nello stomaco del mondo, in Italia mentre i giornali locali lombardi continuano a pubblicare pagine intere di necrologi il “bollettino” li ignora. Perché i loro nomi cominciano a perdersi – come dimostra l’inchiesta in pagina – nel “percorso” delle comunicazioni tra aziende sanitarie e Pirellone. Perché tra sabato e domenica sono stati dichiarati in via ufficiale zero decessi.

Eppure è bastata qualche telefonata, medici di base, strutture di ricovero per anziani e parenti di persone che non ce l’hanno fatta in questi ultimi giorni per scoprire che non è proprio così.

Ci sono nomi e cognomi, storie di vita, affetti e carezze che stanno svanendo mentre si esulta perché non muore più nessuno anche se non è così, ma serve che lo sia perché l’emergenza sta ormai finendo e tutto deve ripartire, anche quello che non si è mai fermato durante questa pandemia maledetta.

La Lega difende Fontana, ma vuole indagare su Conte

Definire che cosa sia sciacallaggio e cosa critica politica pare sia esclusiva giurisdizione leghista. Questo almeno emerge dall’ultima settimana parlamentare, quella che tante polemiche ha generato intorno all’intervento del deputato 5Stelle, Riccardo Ricciardi, che in Aula ha attaccato la gestione dell’emergenza da parte della Regione Lombardia prendendosi poi gli insulti dalla Lega: “C’è chi fa politica e chi lo sciacallo – ha scritto il Carroccio in un comunicato – e Ricciardi appartiene alla seconda categoria. Abbia almeno la decenza di chiedere scusa”.

La commissione. Posizione legittima, ma viene allora da domandarsi come mai, due giorni prima di quell’intervento, la Lega avesse depositato alla Camera una proposta di legge – primo firmatario il capogruppo Riccardo Molinari – per istituire una commissione d’inchiesta “sull’operato del governo e sulle misure da esso adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Insomma, secondo la Lega ci vuole una commissione per indagare sull’esecutivo (e solo sul suo operato, ci mancherebbe), ma muovere critiche verso la Lombardia e il suo governatore Attilio Fontana è invece atto di codardia che “infanga una Regione, le sue vittime e le famiglie che hanno sofferto”, come da accusa a Ricciardi.

Dalle Regioni. E pensare che, qualche giorno prima che la proposta di legge fosse depositata alla Camera, l’idea di una commissione parlamentare di inchiesta era stata sollecitata proprio dai gruppi leghisti delle due Regioni più colpite.

In Lombardia, i consiglieri salviniani ce l’avevano con Giuseppe Conte e i ministri: “Ci sono troppe zone d’ombra sull’operato del governo nazionale nella prevenzione e nel successivo contenimento della pandemia. A partire dal fatto che sia trascorso un mese tra l’inizio dei contagi e l’avvio delle prime misure di contenimento. Occorre far luce su eventuali responsabilità dei vertici del governo. Appare evidente che qualcosa a livello centrale non abbia funzionato”.

Stessa strategia in Piemonte, altra Regione a guida centrodestra – il governatore è Alberto Cirio – seconda per numero di contagi dopo la Lombardia. Anche qui il gruppo consiliare leghista ha lanciato un appello per una commissione d’inchiesta con l’idea di scaricare la maggior parte delle colpe sul governo: “Non si capisce perché Palazzo Chigi abbia sottovalutato i rischi della pandemia e per quale motivo non ha informato con molto anticipo le Regioni. A tutela dei Piemontesi, è giusto che si faccia chiarezza sulle dinamiche governative con l’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare”.

In difesa delle proprie giunte, la Lega si è quindi mossa in Parlamento: prima la richiesta della commissione d’inchiesta, poi l’accusa di sciacallaggio contro chi ha attaccato il modello lombardo. Con la patente di “sciacallo” pronta ad essere distribuita all’occorrenza.

Lombardia, zero decessi? Ma i conti non tornano

Il giorno “zero decessi” della Lombardia probabilmente non c’è mai stato. Il dato era stato comunicato domenica nel bollettino ufficiale della Protezione Civile, riferito, come è consuetudine, ai morti per Covid del giorno prima. Lo stesso governatore lombardo, Attilio Fontana, all’inizio è cauto: “Lo ‘zero decessi’ è un dato che andrà preso con le pinze, nel senso che purtroppo la domenica è un giorno durante il quale la comunicazione non è sempre precisa e perfetta, a volte arrivano in ritardo”. Dopo le verifiche effettuate dalla Regione, però, arriva la conferma: dal Pirellone fanno sapere che i flussi della rete ospedaliere e delle anagrafi comunali non hanno segnalato alcun decesso domenica 24 maggio.

Passano ventiquattro ore, e ieri la Regione registra nuovamente il segno più: 34 decessi, oltre un terzo di quelli complessivi a livello nazionale. Come ben spiega Giorgio Sestili (si veda il grafico nella pagina a fianco), in tutte le domeniche la Lombardia registra una netta – e costante – diminuzione dei decessi. È quindi arrivato il tanto atteso “saldo zero”? È un dato reale quello comunicato dalla Regione e relativo a domenica 24? Abbiamo provato a capirlo ancora sul territorio, contattando le Ats lombarde (tanto più che lo stesso governatore ieri ha affermato che “non è la Lombardia il problema, ma alcune zone della Lombardia”). Quel che è emerso, ancora una volta, è un caos totale sui numeri. A cominciare dalla metodologia con cui questi vengono raccolti: a oggi, dopo tre mesi, non c’è una linea unitaria per la regione. Per esempio, l’Ats di Brescia i numeri sui decessi li raccoglie direttamente dagli ospedali. Quella della Montagna, invece, attende che arrivi la conferma dalle anagrafi territoriali. Il risultato finale è che i numeri e il loro andamento non sono del tutto affidabili, e di conseguenza non lo saranno anche le statistiche a livello centrale.

Contattando Ats per Ats, quello che abbiamo registrato è, nella maggior parte dei casi, un muro di silenzio (con tanto di panico generato tra gli uffici stampa). Dall’Ats di Bergamo ci hanno risposto che “i dati sui decessi vengono comunicati solo dalla Regione”, salvo poi aggiungere che è invece l’azienda sanitaria “a comunicare alla prefettura e alla Regione i numeri relativi ai positivi e ai guariti, mentre la comunicazione dei decessi è in capo a ospedali e Comuni”. Stessa risposta è arrivata dall’Ats Insubria (Varese e Como). Quella della città metropolitana di Milano invece si è limitata a un laconico: “I dati vengono comunicati a Regione e Prefettura”. Quella della Brianza (Lecco e Monza) ha opposto il silenzio. Resta poi un mistero la comunicazione sui decessi dell’Ats Val Padana: “Da sempre – spiegano – trasmettiamo i dati alla Regione e alle nostre due prefetture di riferimento”. Ossia Mantova e Cremona. Abbiamo contattato la prefettura di Mantova, ma la risposta è: “L’Ats comunica esclusivamente il dato numerico dei casi di positività accertati”. Ergo, nessun dato sui decessi. C’è poi l’Ats Montagna (Sondrio e Val Camonica) dove, con dati che vengono aggiornati ogni 24 ore weekend compresi, effettivamente sabato non ci sono stati decessi. L’eccezione alla fine arriva dell’Ats di Brescia: qui, in realtà, domenica 24 maggio sono stati registrati due decessi. Un dato che avrebbe dovuto apparire nel bollettino di domenica. Ma non c’era. E pur sapendo che nel fine settimana il flusso di comunicazioni dagli ospedali si interrompe (a causa del minor numero di persone a lavoro), resta il mistero di un dato registrato ufficialmente nel report riservato dell’Ats Brescia (e trasmesso a Regione Lombardia), ma non presente nel bollettino del Pirellone né domenica né ieri, quando i numeri si sarebbero dovuti aggiornare.

Ma come si spiega questo marasma? È solo un problema di aggiornamento dati, quindi? Non è così. “La Regione – dice Samuele Astuti, consigliere regionale del Pd –, diffonde i dati sui decessi quando arrivano le comunicazioni, non quando avvengono effettivamente. Il dato sui decessi di domenica, ci aveva comunicato Regione Lombardia, non era disponibile. È cosa ben diversa dal dire zero decessi. Il problema è questo metodo di monitoraggio dal punto di vista epidemiologico vale ben poco… Sarebbe molto più rilevante sapere quando è avvenuto il decesso, così come quando viene eseguito e processato un tampone”. In questo modo è complicato stilare statistiche e report, una volta che i dati vengono inviati dalla Regione al Ministero della Sanità e poi da questi alla Protezione Civile. La Lombardia non si è ancora dotata di un sistema di monitoraggio automatizzato, né di una banca dati. A tre mesi dall’esplosione della pandemia.

La 5S Riccardi pronta a salvare Salvini

Non c’è solo Mario Giarrusso che tiene tutti sulle spine: “Come voterò? Lo saprete all’ultimo”. Pare che grana ancor più grossa sia quella di Alessandra Riccardi del Movimento 5 Stelle seriamente intenzionata a dire no alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per la gestione dei migranti a bordo della Nave Open Arms. Confermando un dissenso, rispetto alla linea ufficiale del gruppo pentastellato che si era manifestato già a gennaio sul caso Gregoretti. Ma che oggi certifica un disagio che nel M5S preoccupa più del voto stesso sul leader della Lega. Su cui comunque deciderà l’aula dove per scansare il processo per sequestro aggravato di persona e rifiuto di atti d’ufficio, Salvini dovrà raggranellare ben 161 voti. In Giunta grazie all’approdo di Francesco Urraro dal M5S alla Lega, il fronte del centrodestra composto da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (più il rappresentante delle Autonomie) vale già 11 voti su 23. Che oggi convergeranno sulla relazione del presidente dell’organismo Maurizio Gasparri, che nega il semaforo verde ai magistrati di Palermo. L’area di maggioranza di voti ne conta 12. Ma Giarrusso gioca a carte coperte pur avendo confidato a qualcuno i suoi ragionamenti: “Io se voto no, rimango coerente. M5S ha cambiato idea dopo aver salvato l’allora alleato della Lega sul caso Diciotti”. Quello della senatrice Alessandra Riccardi è un altro caso: è lombarda ed qualche pentastellato la sospetta da tempo di intelligenza con il nemico leghista. Il suo disagio è strisciante e le sue critiche a Bonafede, ministro che non ama – per usare un eufemismo – hanno fatto temere il peggio già in occasione della mozione di sfiducia della scorsa settimana. È un fatto che pochi giorni fa si è dimessa dal direttivo del gruppo a Palazzo Madama. Come se non bastasse si segnala anche la posizione di Italia Viva. Dove si lascia intendere che nulla è scontato perché “il caso Open Arms è più controverso” rispetto ai precedenti che riguardano Salvini. Che gongola e mostra il petto: “Rifarei tutto”. Intanto ieri ha incassato il rinvio del processo per la nave Gregoretti che, causa Coronavirus, è slittato al 3 ottobre.

Fca, Bersani sta con Landini: “Il governo parli con la Francia”

Il prestito di Banca Intesa a Fca si farà. E si farà oggi, come ha annunciato ieri l’agenzia economica Bloomberg. Ora toccherà a Sace e governo dire la propria ma nei giorni scorsi è già arrivato il via libera sostanziale. Intesa dovrebbe lanciare prestiti triennali per sostenere le attività di Fca con Sace che garantirebbe l’80% dopo l’approvazione finale da parte del Ministero dell’Economia e Finanza (chissà che tassi applicherà Fca Bank alle concessionarie, si domanda Paolo Longobardi, presidente onorario di Unimpresa).

Fca Italy ha chiesto 6,3 miliardi come previsto dal decreto Rilancio nonostante abbia la residenza in un “paradiso fiscale” come l’Olanda e nonostante sia in corso una fusione con Psa, partecipata dallo stato francese. Anche per questo il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha proposto che lo Stato entri nel capitale di Fca almeno per la durata del finanziamento.

La proposta è talmente ragionevole che domenica scorsa ha avuto un endorsement d’eccezione dall’economista Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera: “Se il problema è la liquidità – ha scritto – la soluzione migliore è che l’azienda anglo-olandese che possiede il 100% di Fca Italia e che ha liquidità abbondante, le conceda un finanziamento temporaneo”. Se invece il problema è la “solvibilità, cioè abbia bisogno di capitale” allora un prestito “non servirebbe a nulla”. In questo caso lo Stato “non dovrebbe aiutare l’azienda garantendo il debito, ma entrando nel capitale come azionista”.

Ieri pomeriggio, nell’ambito di un dibattito online a cui hanno partecipato tra gli altri Pier Luigi Bersani e lo stesso Landini, l’ex segretario del Pd e già ministro dell’Industria, ha di fatto avallato le tesi della Cgil: “Bene ha fatto Landini a porre il problema anche perché lo Stato in Francia è azionista di Psa” a cui, di fatto, l’ex Fiat ha ceduto il controllo dell’azienda. “Non mi scandalizza che lo Stato entri nell’azionariato, ma esiste anche una diplomazia economica”. Cioè, spiega Bersani, il governo italiano, nel momento in cui garantisce il prestito, dovrebbe discutere “da Stato a Stato” con i francesi e capire dove verranno collocati i fondi e con quali garanzie per l’Italia. Chi garantisce il prestito è il Mef ed è esattamente quel ministero che dovrebbe attivarsi. “Devono essere chiare le condizioni” cioè le tutele dei posti di lavoro e dello sviluppo futuro.

La questione non si riduce a un semplice braccio di ferro con la famiglia Agnelli. Bersani, infatti, non a caso chiama in causa il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il quale ha accusato il governo di voler fare “dell’assistenzialismo e dello statalismo”. Le imprese temono la pervasività della mano pubblica dopo che la “mano invisibile” del mercato ha dimostrato il proprio fallimento (si pensi alle mascherine).

Per questo nel corso del dibattito organizzato da Articolo Uno, si è sentita più volte l’enfasi sulle possibili leve della mano pubblica: “Non sono forse pubbliche Eni, Enel, Fincantieri, Leonardo, Poste?”, dicono all’unisono Bersani e Landini. Perché non pensare, ad esempio, a “un’Agenzia” pubblica sulla politica industriale? Nostalgia dell’Iri? “Almeno allora si formava una managerialità che aveva un’idea del pubblico”, dice Bersani e un po’ di nostalgia in fondo si vede. Ed è questa nostalgia che fa paura. Anche a una parte del governo.

Di Maio, la benedizione alla corsa bis della Raggi

Il cielo azzurro, il tricolore e sotto Virginia Raggi e Luigi Di Maio. Nell’immagine diffusa ieri sui social network, la benedizione dell’ex capo politico del M5S per la ricandidatura della sindaca di Roma. Certo, giurano dagli staff, l’incontro di ieri pomeriggio alla Farnesina tra il ministro degli Esteri e la sindaca era programmato da giorni, “e non si è mai e poi mai parlato di terzo mandato”, insistono dal ministero. Ma quella foto racconta già quasi tutto.

Conferma che tutto si muove velocemente, dopo l’apertura del capo politico reggente Vito Crimi sul Fatto del 16 maggio scorso: “Si deve discutere della permanenza del vincolo del doppio mandato per chi amministra, il mondo cambia e dobbiamo tenerne conto”. Così ecco che Di Maio riceve in casa propria Raggi, da ex leader che si sente ancora il primus inter pares, e le ostenta sorrisi e sostegno. Ed è anche una risposta al segretario del Pd Nicola Zingaretti, che giorni fa su Il Messaggero aveva fatto muro a un bis della sindaca (“Una minaccia per i romani”). Parole che non sono piaciute a Di Maio. “Quella di Zingaretti è stata una leggerezza, i toni vanno soppesati”, ha osservato con i suoi.

E nel faccia a faccia con Raggi si è parlato a lungo degli strali del governatore del Lazio e del rapporto con i dem, a medio termine fondamentale nella partita per il Campidoglio. Poi, ufficialmente, si sarebbe discusso soltanto di emergenza coronavirus e dei tanti guai da risolvere per i primi cittadini. “L’ho ringraziata per il lavoro fatto” riassume Di Maio. Ma la sostanza politica è che il ministro l’ha ricevuta per ribadire che tutte le decisioni che contano devono passare ancora attraverso di lui, pronto a riprendere il controllo del M5S in autunno, possibilmente per interposta persona (Chiara Appendino o Paola Taverna, le prime opzioni). Prima, entro l’estate, arriverà il voto sulla piattaforma Rousseau la rimozione del vincolo dei due mandati per i sindaci.

Un passaggio che sta a cuore a Di Maio soprattutto perché deve “liberare” la ricandidatura della sindaca di Torino, a lui vicinissima. Con Raggi invece i rapporti sono stati pessimi, se non inesistenti, per lungo tempo. Ma l’ex capo è un pragmatico. E sa che spalancandole le porte per la corsa elettorale la terrebbe un po’ più distante da Alessandro Di Battista, ad oggi l’unico possibile rivale per Di Maio e i suoi negli Stati generali, il congresso che dovrebbe svolgersi tra ottobre e novembre. D’altronde Raggi è popolarissima nella base a 5Stelle, una variabile di cui il ministro deve tenere conto. E comunque su tutti i calcoli incombe sempre l’obiettivo finale, la cancellazione del doppio mandato anche per i parlamentari.

Gran parte della nomenklatura a 5Stelle lo ritiene uno sbocco scontato. E l’addio al vincolo per i sindaci sarebbe la via per arrivarci in scioltezza, magari negli Stati generali. Anche se dalla pancia del M5S lo dicono in diversi: “Stanno provando a forzare per un voto unico su sindaci e parlamentari già adesso, questa è la vera partita”. Forse esagerano. Ma il tema c’è tutto. Perché il Movimento sarà sempre più diverso: per sopravvivere, anche a se stesso.

La curva scende, ma metà dei contagi resta in Lombardia

Trecento nuovi casi. Il numero più basso registrato dal 29 febbraio, che porta il totale a quota 230.158. È la cifra con cui nella prima domenica dalla fine del lockdown la Protezione civile ha aggiornato il bollettino delle 18 sull’emergenza Covid-19 alla voce “contagi totali”, che comprende i positivi, i decessi e le persone dimesse o considerate guarite. Un dato che arriva a fronte del calo del numero dei tamponi che si verifica ogni domenica (35.241), ma che costituisce comunque un segnale incoraggiante: il 18 maggio, infatti, i nuovi casi erano stati 451 su 36.406 analisi, l’11 maggio 744 su40.740 e il 4 maggio dai 37.631 test di cui il Dipartimento aveva dato notizia erano scaturiti 1.221 nuovi contagi. La percentuale di positivi rispetto ai tamponi è, dunque, dello 0,85%, la più bassa da sempre, come del resto quella sui casi testati (che, escludendo le analisi di controllo, sono stati 20.676), all’1,4%. In sostanza ogni mille campioni si trovano 14 positivi.

Un segnale che, tuttavia, conferma una tendenza ormai consolidata secondo cui la metà dei nuovi contagi avviene in Lombardia: 148 quelli di ieri, emersi da 5.641 tamponi. E nella Regione più colpita è tornato a correre anche il contatore delle vittime: 34 quelle di cui ha dato notizia l’assessorato al Welfare guidato da Giulio Gallera, dopo gli “zero morti” comunicati domenica con la motivazione che “i flussi provenienti dalla rete ospedaliera e le anagrafi territoriali non hanno segnalato decessi”. Circostanza che ieri la Regione presieduta da Attilio Fontana ha confermato, ma che non convince gli esperti. La situazione “va indagata”, ha osservato il fisico Enzo Marinari, dell’Università Sapienza di Roma: è difficile – è il ragionamento – attribuire il passaggio da zero a 34 a una semplice fluttuazione statistica. “Dopo più di tre mesi , non c’è ancora un sistema di raccolta dei dati efficace e attendibile, nemmeno se si parla del numero dei deceduti”, attacca il consigliere regionale del Pd Samuele Astuti.

A livello nazionale l’aumento è stato di 92 vittime, dopo le 50 delle 24 ore precedenti, per un totale di 32.877: nessuna in Val d’Aosta, Friuli, Alto Adige, Umbria, Sardegna, Campania, Basilicata, Molise e Calabria. Tra le altre Regioni più colpite fa registrare 48 nuovi contagi il Piemonte, 29 l’Emilia, 11 il Veneto, 17 la Liguria e 16 il Lazio. Tutte le altre ne registrano meno di dieci. Continua a calare anche il numero dei ricoverati: sono 541 in terapia intensiva (-12), 196 dei quali in Lombardia (-1). I malati con sintomi ospitati nei reparti ordinari sono invece 8.185, con un calo di 428 unità, mentre quelli in isolamento domiciliare sono 46.574: -854 in 24 ore.

La curva epidemica continua quindi, pur lentamente, a scendere. Un risultato frutto della diligenza con cui gli italiani hanno seguito le regole : di fronte al coronavirus – si legge in uno studio in cui l’Istat ha sondato percezioni e comportamenti nelle settimane centrali di aprile – gli italiani hanno fatto quadrato, sia in famiglia, dove ha prevalso un clima “sereno”, sia rispetto alle istituzioni, reputando “utili” e “chiare” le istruzioni arrivate dal governo. In piena emergenza oltre il 70% dei cittadini non è uscito di casa, quasi il 90% ha indossato la mascherina. “Alta” è stata la fiducia nei confronti di medici (voto 9) e Protezione civile (8,7). Il sentire comune: una soluzione si trova, ma occorre tempo.

Tutti contro Boccia e i “volontari” Poi Conte placa la rissa giallorosa

I sindaci se li immaginano come pensionati con tempo libero e patente di pignoleria. Il Viminale li considera aspiranti concorrenti, per giunta convinti che si possa indossare una divisa e maneggiare le regole della strada dalla sera alla mattina. Alla Protezione civile interessa soprattutto che non sottraggano energie alle altre emergenze, come quella “incendi” che puntuale arriva ogni estate. A Palazzo Chigi sanno solo una cosa: che per i sessantamila “assistenti civici” c’è stato bisogno di convocare un vertice di maggioranza. Tutti contro uno: quel Francesco Boccia che domenica si è presentato al Tg1 con la pettorina dei “vigilantes” della fase 2.

Raccontano che l’idea, al ministro per gli Affari regionali, sia venuta a fine aprile. Di fronte alla mole di prescrizioni che avrebbero scandito la vita degli italiani anche alla fine del lockdown, serviva un surplus di “dissuasori” che gli enti locali non erano in grado di garantire. Dai parchi alle spiagge, dalle piazze ai giardinetti: come evitare che tutti tornassero a comportarsi come se nulla fosse? Così si è cominciato a ragionare di volontari, che non si sostituissero alle forze di polizia, ma che li alleggerissero di compiti per cui non era necessario il loro intervento: il contingentamento degli ingressi ai parchi, per dire, è stato uno dei problemi da subito sollevato dall’Anci. Impossibile, dicono dal 4 maggio, controllare quanta gente entra ed esce. E due giorni fa, quando il ministro ha dato l’input alla Protezione civile perché buttasse giù una bozza di bando, sembrava tutto fatto. Peccato che mezzo governo giura di non averne saputo nulla fino all’apparizione di Boccia al Tg di domenica.

La prima a infuriarsi è stata la 5Stelle Nunzia Catalfo: “Sono io la ministra del Lavoro!”, ha tuonato dopo aver letto – in una prima versione dell’ordinanza modificata poi domenica sera – che le candidature erano da ricercarsi tra i percettori del Reddito di cittadinanza. Poi è stata la volta della collega all’Interno, Luciana Lamorgese: “Decisioni assunte senza preventiva consultazione”, si apprende da fonti del Viminale, che ricordano come gli assistenti “non dovranno comportare compiti aggiuntivi per le prefetture e per le forze di polizia”. Tradotto significa che non c’è nessuna garanzia su chi siano i futuri volontari. Ed è proprio questa la perplessità del Viminale: chi farà i controlli per evitare che lì in mezzo si infilino “teste calde, persone con interdittive antimafia o precedenti penali”. “Mettiamo nelle mani di sconosciuti un potere enorme”, ragionano. La selezione, infatti, almeno secondo le modalità previste fino a ieri sera, non prevede filtri: la Protezione civile è incaricata di raccogliere le autocandidature attraverso un form, che verrà lasciato online per una settimana. Poi – visto che l’unico requisito, a parte la maggiore età, è la “dimora abituale” nel comune in cui ci si candida – verranno inviati ai sindaci gli elenchi dei volontari disponibili. Saranno loro a formarli, in base alle necessità del territorio: chi deve prevenire gli assembramenti nelle spiagge, chi regolamentare gli accessi ai parchi e così via. Potranno “lavorare” – gratis – al massimo tre giorni a settimana (16 ore totali) e saranno coperti dall’Inail per eventuali infortuni (il costo è sui 4 milioni di euro).

Dall’Anci sono “esterrefatti” dalla polemica – a sinistra si dice che non servono ronde ma ispettori sul lavoro, a destra si preoccupano della “deriva autoritaria”, Italia Viva parla di “follia” – e chiedono al governo risposte: “Non ci interessa come arriveranno i volontari – dice il presidente Antonio Decaro – basta che ci diano una mano, non possiamo essere lasciati ancora da soli”. Per dire, nonostante l’ostilità del M5S, sono state proprio le due sindache del Movimento, Chiara Appendino e Virginia Raggi a chiedere aiuti per sorvegliare le aree giochi per bambini. Che altrimenti resteranno chiuse. Le retromarce al liberi tutti già non mancano: ieri il sindaco di Milano ha vietato l’asporto dopo le 19, sperando di contenere le persone che bevono fuori dai locali. E che ora potranno essere dissuase da un volontario in pettorina: il vertice ha chiarito che il bando per i 60mila arriverà, anche se non saranno “incaricati di pubblico servizio”. Nemmeno servirebbe, dice il Viminale: nel weekend gli “indisciplinati” sono stati solo lo 0,55% del totale: 1321 persone su 239 mila controllate.

Nuovo metodo Usa per la positività

Continuoa dire a chi mi chiede conferma che la situazione Covid-19 sia molto meno grave: attenti però a non attribuire questo miglioramento al virus, ma al successo delle misure intraprese e soprattutto all’evoluzione delle nostre conoscenze. Abbiamo imparato a gestire i pochi rimedi a disposizione, anche se ancora non è stato individuato “il farmaco” contro il Covid-19, abbiamo conosciuto più approfonditamente il virus e come attacca l’uomo. Se tutto ciò è stato possibile è grazie alla capacità diagnostica. Sappiamo che Covid-19 non presenta, soprattutto alla sua insorgenza, sintomi specifici, ma comuni ad altre patologie e pertanto la conferma diagnostica può venire esclusivamente dalle analisi
di laboratorio.

Ad oggi, l’unico test di riferimento è il tampone, anche se abbiamo scoperto che non è infallibile. Studi hanno dimostrato che si possono avere risultati di falsa negatività, quando il virus è presente in quantità bassa, ma anche falsi positivi, quando il virus è morto ma suoi pezzi residui possono essere ancora “letti” dal nostro test. Purtroppo si investe molto poco in questo settore di ricerca, dimenticando che pur costituendo poco meno del 20% della spesa sanitaria, ne condiziona gran parte del restante 80%. Neanche a dirlo, in Italia, gli investimenti in ricerca in questo settore sono davvero molto esigui. È proprio dei giorni scorsi, la notizia che negli Usa è stata messa a punto una nuova metodica, approvata dalla Fda (Food and Drug Administration), molto più economica e capace di identificare in quaranta minuti la presenza del virus nel naso, bocca o polmoni. La vera novità è che sarà presto proposta una versione che potrà essere utilizzata, non solo nei vari ambulatori, ma anche a casa. Sarà questa una vera rivoluzione che, grazie all’immediatezza del risultato, fra gli altri benefici, ridurrà il tempo dei possibili contatti dei soggetti che non conoscono ancora la loro positività. Speriamo che arrivi presto anche in Italia.

*direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Lockdown e Fase 2, le misure convincono. Ma c’è ancora paura

Nonostante i trend del contagio da molte settimane abbiano delineato una curva discendente, la paura è ancora fortemente sentita dagli italiani. Anche in piena fase 2, il 57% teme di poter essere vittima del Covid. Per fare una comparazione e comprendere quanto il fattore paura sia determinante, bisogna pensare che all’inizio di aprile, nel periodo maggiormente critico dal punto di vista sanitario, il 67% della popolazione avvertiva la paura del contagio. Pertanto se nel frattempo i decessi e i contagiati sono diminuiti dell’80%, il livello di paura invece ha fatto registrare una flessione solo del 10%.

Insomma, il sentiment degli italiani non è direttamente influenzato dagli indicatori ufficiali che descrivono l’andamento dell’epidemia. D’altronde nello studio dei comportamenti sociali questo è un fenomeno noto: non c’è una correlazione nei tempi tra la diminuzione di un fenomeno e la sua percezione.

Per esempio molti studi hanno dimostrato che se in un territorio diminuiscono gli omicidi, solo dopo 2-3 anni i cittadini si sentono più tranquilli. Anche se potrebbe sembrare un esempio improprio, spiega più di ogni altra cosa il fatto che nonostante ci sia un miglioramento dell’epidemia, il livello paura rimane alto e non segue l’andamento discendente del numero dei contagiati e dei decessi.

Proprio per questo i cittadini reclamano “prudenza”, anche se sono consapevoli dell’accentuarsi della crisi economica. Tra l’altro sarebbe sbagliato misurare il livello della paura collettiva con le foto e i video girati nello scorso weekend in cui si vedevano assembramenti soprattutto nelle aree della movida. Si tratta di un numero minoritario di cittadini che si comporta come se in questi mesi non fosse accaduto nulla, e che quindi rientra in quella percentuale del 35% che dichiara di non avere paura. Infatti il 56% ritiene che sia stato giusto riaprire un po’ alla volta le varie attività e solo il 35% appoggia la linea contraria del “tutto e subito”, cavalcata dal presidente della regione veneta Zaia. Così anche per la celebrazione delle messe: il 57% approva che fino al 26 maggio sia stato sospeso qualsiasi evento religioso. Anche per quanto riguarda la possibilità di poter oltrepassare i confini della propria regione prevale la cautela. Infatti il 67% afferma che sarebbe favorevole a differenziare l’apertura delle regioni in relazione al numero dei nuovi casi presenti, al contrario solo 1 cittadino su 4 è invece per la linea maggiormente permissiva, cioè permettere a tutti di poter andare in altre regioni, indipendentemente dalla consistenza dei contagi.

Nel complesso il decreto Rilancio è giudicato positivo da parte del 51%, almeno nella logica che il governo stia cercando di aiutare gli italiani.

Al contempo non mancano però le preoccupazioni economiche. Al 42% che dice di non aver avuto contraccolpi economici in seguito al lockdown, si contrappone sia il 15% che dichiara di aver perso interamente il proprio reddito, che un ulteriore 12% che in questi mesi ha avuto dimezzati i propri ricavi. A questi si aggiunge un 15% che lamenta una diminuzione delle entrate fino al 25%. Insomma in totale è quasi un cittadino su due che nel periodo di lockdown ha registrato una netta diminuzione del reddito.

*Direttore di Noto Sondaggi