Domenico Arcuri porge il gomito e si presenta: “Sono Arcuri, bieco statalista”.
“Direi, bieco sovietico”.
“Se lei dice sovietico è riduttivo”.
Domenica mattina, nella sede della Protezione Civile a Roma, lungo la Flaminia. Al primo piano, c’è un divano in anticamera. Nella sala riunioni solo poltroncine girevoli. Lo spazio per i liberisti da divano muniti di cocktail – copy lo stesso Arcuri – è ridottissimo. Il commissario all’emergenza Covid-19, nonché ad di Invitalia, indossa una famigerata mascherina di Stato. L’elastico non cade dietro le orecchie, ma allaccia la testa. “In segno di pace, regalerò al leader dei liberisti da divano, il mio amico Carlo Calenda, una scatola delle mascherine che abbiamo realizzato a un costo di produzione di 0,12 euro”.
Un dono dell’industria di Stato.
Per me la partita è chiusa, vinta. Ne sono orgoglioso. Malgrado i liberisti da divano, oggi abbiamo un’industria nazionale delle mascherine con ordini che già raggiungono un miliardo e mezzo di pezzi. E a settembre avremo solo mascherine italiane: 140 aziende si stanno riconvertendo, noi stiamo realizzando 51 macchine di proprietà pubblica, di cui 8 saranno messe nelle carceri, le prime due martedì (oggi, ndr).
Dove?
Quattro a Bollate, due a Salerno e due a Rebibbia. Un giorno la storia racconterà di questo caso di reshoring (rimpatrio, letteralmente, ndr) nel nostro Paese fatto in due mesi.
Lei cita la storia. Ci saranno anche gli storici critici, diciamo così.
Si dimentica da dove ho cominciato 67 giorni fa, e quello che ho trovato.
Che cos’ha trovato?
Nulla. In Italia non si producevano dispositivi di protezione e c’era una sola piccola impresa di respiratori, in Emilia-Romagna. Le mascherine si facevano in Cina e c’era un mercato governato da affaristi e potenti intermediari, con scene da Miseria e nobiltà.
Totò cerca mascherine.
Un giorno dovevamo muovere un aereo di Stato per la Bulgaria, per un cargo di mascherine. Non c’erano le mascherine, né il cargo.
In più l’Italia non paga anticipatamente.
È una regola che ho imposto io. In un’altra occasione, l’emissario di un Paese ha soffiato ai nostri buyer un carico già sottoscritto con un contratto. L’ha fatto con una valigetta piena di soldi.
Fino ad arrivare al prezzo di Stato: 0,50 euro.
Sono per difendere sempre le libertà del mercato, ma non quella di arricchirsi calpestando il diritto alla salute.
Dinnanzi ai suoi detrattori, lei gonfia il petto.
Ringrazio il presidente Conte di avermi dato l’onore di servire il mio Paese in un momento inimmaginabile fino a poco fa.
Una guerra.
Per certi versi peggio. I bombardamenti in guerra durano minuti, qui 24 ore e sono invisibili. Per giorni, ho attraversato una Roma vuota, impaurita e dolente. Questa emergenza non è un evento limitato nello spazio e nel tempo, ma un flusso continuo.
Senza una data prevista per la fine.
Appunto.
Però si riapre.
Nella Fase 2 tutto passa dalla responsabilità dei singoli, dei giovani innanzitutto.
Lei teme?
Sono realista, da qualche parte il virus potrà riacutizzarsi.
Lei ha mediato tra la scienza e la politica.
Sono una sorta di infermiere (Arcuri sorride, ndr). Ogni emergenza è un caos, non solo una tragedia. La funzione del Comitato tecnico-scientifico è stata anche quella di azzerare certi individualismi esasperati.
L’Italia ha sempre bisogno di commissari.
Tutti i Paesi erano disarmati e impreparati. A me è toccato cercare dispositivi e attrezzature. In teoria un compito semplice ed elementare.
Epperò.
Quando parti da zero, tutto diventa complicato. Il nostro è uno Stato federalista, c’era bisogno di una risposta nazionale come questa struttura.
Conte quando l’ha chiamata?
Era il 16 marzo, due giorni prima del mio insediamento. Ero per strada.
Non ha tentennato.
Gli ho detto di sì subito. Ho solo preteso che il mio lavoro fosse a titolo gratuito.
Tredici anni a Invitalia.
E sette presidenti del Consiglio.
Oggi Conte.
Mi colpisce la sua umiltà, l’attenzione nell’approfondire i dossier. Però mi ha costretto a installare WhatsApp sullo smartphone. Vede, questa emergenza ci ha talmente segnati che sono nate amicizie. Io e il ministro Boccia ormai viviamo insieme qui dentro, ha una stanza vicino alla mia.
Un governo amico.
Lei potrà non credermi, ma lavoro molto bene con loro. Speranza, che conosco da sempre, è un martello, un grande lavoratore. Di Maio mi ha davvero aiutato a trovare le mascherine in Cina, con Bonafede abbiamo collaborato per i braccialetti. Sento spesso anche Franceschini, Patuanelli e Guerini.
E tra gli scienziati?
Locatelli, di grande umanità, e Ippolito, instancabile.
Con qualcuno avrà litigato: i governatori?
Mi trovo bene con Fedriga, ma non ho mai parlato con Ceriscioli. Comunque da quando pubblichiamo i dati di quello che distribuiamo non ci sono più problemi con nessuno.
Lei è trasversale.
Le ripeto sono come un infermiere che sta qui dalle nove di mattina alle undici di notte, quando va bene. Ora ci sono altre questioni: i tamponi, i reagenti.
Quanti soldi ha mosso?
Mi hanno assegnato un miliardo e 450 milioni di euro. Un altro miliardo e 400 sarà per la rete sanitaria, dentro al decreto Rilancio. Ma per la prima volta un’emergenza produrrà anche dei ricavi. Vedrà.
Ha paura dei pm?
Tutte le volte che potevo usare le deroghe che mi hanno dato ho fatto una gara. Non mi servirà la solita, perpetua immunità.