Saipem, mazzata sul Cane a sei zampe

Il jihad in Mozambico costa caro alle imprese e ai contribuenti italiani. Ieri in Borsa è crollata Saipem: il colosso pubblico dell’ingegneria petrolifera (l’Eni detiene 30,54%, Cdp il 12,55%) ha avvisato che, per problemi sul portafoglio ordini, chiuderà i conti 2021 con una perdita superiore a un terzo del capitale sociale e dovrà quindi chiedere agli azionisti un aumento di capitale. In Borsa l’azione ha perso il 30% ai nuovi minimi storici di 1,35 euro. Non è la prima volta che avviene. Nel 2013 due allarmi sui conti, a gennaio e luglio, fecero crollare l’azione da 30 a 14 euro. Il consiglio di amministrazione di Saipem ha rivisto il portafoglio ordini, pari al record di 24,5 miliardi al 30 settembre (ma la società a fine giugno aveva impegni tripli sui contratti, 71,7 miliardi), e ha ritirato anche le stime annunciate il 28 ottobre con il piano strategico 2022-25, che prevedeva ricavi in crescita a un tasso medio annuo del 15%. Saipem, monitorata da Consob, ha avviato “contatti preliminari” con banche e azionisti “per verificare la loro disponibilità a supportare un’adeguata manovra finanziaria”.

La società nel 2016 era stata costretta a un aumento di capitale iperduilitivo da 3,5 miliardi, che aveva dissanguato migliaia di piccoli azionisti. Saipem aveva chiuso il 2019 con uno striminzito utile di 12 milioni. Poi nel 2020 ha pesato il Covid, che ha generato una frenata delle commesse portando il bilancio 2020 in perdita per 1,13 miliardi. Dal 2017 al 2020 ha accumulato perdite per 1,9 miliardi e ora ne prevede altri 2 per il 2021 che ridurranno il capitale a 0,9 miliardi. Sulla situazione dell’anno scorso ha pesato la “guerra santa” lanciata già a ottobre 2017 dallo Stato islamico dell’Africa Centrale (Iscap) vicino alla città e al porto di Palma, nella provincia più settentrionale del Mozambico, Cabo Delgado. Lo scorso marzo un attacco jihadista fece decine di morti. Ma a imperversare è soprattutto la guerra tra le etnie kimwani e amakhuwa contro la minoranza dominante e filogovernativa makonde. La guerra interetnica ha causato 800mila profughi su 1,5 milioni di abitanti della provincia. Le truppe del Rwanda e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), chiamate in aiuto, non hanno ristabilito la pace. Il gigante oil & gas francese Total ad aprile è stato così costretto a sospendere l’estrazione e la liquefazione di gas naturale nel bacino di Rovuma, progetto che vale 4 miliardi e del quale Saipem è partner. A fine novembre gli uomini Total sono tornati nell’area, ma alcuni dirigenti della società di Parigi hanno criticato l’azienda italiana. Intanto la guerra a Cabo Delgado continua e i ribelli paiono attendere l’uscita delle truppe di Rwanda e Sad per riprendere gli attacchi contro l’esercito governativo. Il blocco in Mozambico nel 2021 ha tolto a Saipem ricavi per 1,4 miliardi. Già a metà anno il rosso era di 656 milioni. Con Francesco Caio, amministratore delegato dallo scorso 30 aprile, l’azienda sperava in una schiarita, ma hanno pesato la ripresa della pandemia, maggiori costi per 170 milioni nell’eolico offshore e i rincari di materie prime e logistica. Ora si stima 1 miliardo in meno sia sul margine operativo lordo rettificato che sui ricavi, in calo da 4,5 a 3,5 miliardi, e stimata pari per l’aumento di capitale. A Eni e Cdp, controllate dal Tesoro, toccherà versarne il 43% circa. È l’ennesimo salasso, dopo quello del 2016, anche per i risparmiatori.

Caso Eni e loggia Ungheria: Csm in spedizione a Milano

Archiviata l’inchiesta sull’ex procuratore di Milano Francesco Greco che era stata aperta dalla Procura di Brescia per omissione di atti d’ufficio nella vicenda delle indagini sulla presunta loggia Ungheria. Proprio nel giorno in cui arrivano al palazzo di giustizia milanese i componenti della prima commissione del Csm, per ascoltare il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il sostituto Paolo Storari: per appurare se vi siano i presupposti per proporre al plenum il trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale dell’uno, dell’altro o di entrambi.

La prima commissione del Csm, presieduta da laico M5s Alberto Maria Benedetti e composta dai consiglieri Braggion-Celentano-Cerabona-Chinaglia-Di Matteo, deve esaminare il clima interno alla Procura. Non è suo compito valutare i profili penali, in valutazione a Brescia, né quelli disciplinari, aperti dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Deve, invece, giudicare se i comportamenti dei due magistrati sotto procedimento abbiano appannato l’immagine d’imparzialità della magistratura e reso difficile, senza colpa, la prosecuzione del loro lavoro in Procura.

Il contesto è quello delle indagini su Eni e sulla presunta loggia Ungheria raccontata dall’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara in verbali segreti che sono poi usciti dalla Procura e finiti sui giornali. Per Storari, indagato in sede penale a Brescia, è già stato chiesto il rinvio a giudizio (udienza preliminare il 3 febbraio) per rivelazione di segreto: per aver consegnato copia di quei verbali all’allora componente del Csm Piercamillo Davigo (che sarà anch’egli giudicato in quella stessa udienza preliminare).

De Pasquale, invece, è rimasto coinvolto nelle polemiche sulla conduzione del processo Eni-Nigeria. Storari lo accusa di non aver messo a disposizione dei giudici prove utili alle difese Eni e atte a dimostrare l’inattendibilità di un testimone d’accusa, l’ex manager Eni Vincenzo Armanna. Per questo De Pasquale (insieme al collega Sergio Spadaro) sul piano penale è indagato a Brescia per rifiuto di atti d’ufficio.

Le audizioni si sono svolte in una sala al quarto piano della Procura milanese, reso ieri inaccessibile ai cronisti. De Pasquale e poi Storari si sono presentati con i rispettivi avvocati, Caterina Malavenda e Paolo Della Sala. Entrambi hanno lasciato alla commissione una serie di documenti. Alle numerose domande poste principalmente da Nino Di Matteo, De Pasquale ha risposto per quasi tre ore, senza mai attaccare Storari e ribadendo di essere dispiaciuto delle tensioni. Ha riferito di continuare a lavorare come prima con i colleghi, da cui è stimato tanto da essere chiamato da giudici che gli chiedono consigli su come avviare, per esempio, le rogatorie internazionali. Sono stati ascoltati anche il procuratore facente funzioni, Riccardo Targetti, l’aggiunto della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Dolci e alcuni dei magistrati più anziani di ciascuno dei sette dipartimenti della Procura. Le audizioni proseguiranno il 7 febbraio, a Roma. A fine novembre era stato sentito anche l’ex procuratore Greco, che aveva accusato Storari di aver svolto su Eni “una contro-inchiesta”.

L’obiettivo della commissione del Csm, comunque, è di stabilire se le fratture nella Procura di Milano siano sanate – come parrebbe per il fatto che il lavoro in questi mesi è continuato con regolarità – oppure se sia necessario intervenire con uno o più trasferimenti. Quello di Storari era già stato chiesto in via cautelare dal procuratore generale Salvi, ma poi bocciato l’estate scorsa dalla sezione disciplinare del Csm, dopo che anche una sessantina di pm e giudici si erano schierati in difesa di Storari.

Chiusa invece la vicenda processuale di Greco, che era stato indagato per omissione di atti d’ufficio nell’ipotesi di aver ritardato le indagini sulla presunta loggia Ungheria. Il gip di Brescia Andrea Gaboardi ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal procuratore Francesco Prete e dal pm Donato Greco.

Robinho “stupratore”, pronto mandato d’arresto per l’ex Milan

Difficilmente il Brasile lo consegnerà alle autorità italiane ma, nel caso in cui l’ex attaccante del Milan Robinho decidesse di espatriare, rischierebbe di venire arrestato. È l’effetto della condanna definitiva a 9 anni di reclusione inflitta a lui e a un suo amico, lo scorso 19 gennaio, per violenza sessuale di gruppo su una ragazza albanese di 23 anni, in un locale del capoluogo lombardo la notte del 22 gennaio 2013. Ieri il fascicolo è stato iscritto in vista dell’ordine di esecuzione della pena per l’ex giocatore, 38 anni e 4 stagioni in rossonero tra il 2010 e il 2014.

Agguato a Scampia, in 2 freddati dai sicari

Due uomini, Pasquale Torre di 45 anni e Giuseppe Di Napoli, 35 anni, sono stati uccisi nel quartiere don Guanella, a Napoli. I sicari sarebbero entrati in azione in sella a uno o più scooter. Le vittime erano in auto. Di Napoli è uscito dall’auto e ha tentato di fuggire ma i killer lo hanno raggiunto e ucciso. Torre, invece, è stato trovato senza vita, ancora seduto sul lato guida della vettura. Dagli accertamenti degli agenti del commissariato Scampia e della Squadra Mobile è emerso che Pasquale Torre è fratello di Mariano Torre, collaboratore di giustizia legato al clan Lo Russo, colui che ha contribuito a fare luce sulla morte di Genny Cesarano, il giovane ucciso a soli 17 anni, all’alba del 6 settembre 2015, nel rione Sanità.

Alto Adige, il gruppo Ebner e il monopolio dell’informazione

Nel regno del duopolio tv e del conflitto d’interessi, c’è un “buco nero” che cattura il pluralismo dell’informazione. In Trentino-Alto Adige, e in particolare a Bolzano, c’è un gruppo editoriale che a dispetto dei principi costituzionali e delle norme Ue controlla da solo quasi l’80% del mercato regionale. Si chiama “Athesia”, è composto da numerose società ed è guidato da Michael Ebner, 70 anni, esponente della Südtiroler Volkspartei, più volte deputato nel nostro Parlamento ed europarlamentare. Già che c’è, è anche presidente della Camera di Commercio di Bolzano. Al gruppo appartengono i principali quotidiani locali: il Dolomiten (12,7 milioni di copie diffuse in un anno), L’Adige (7 milioni) e il Trentino-Alto Adige (quasi 6 milioni). E così arriva a coprire il 68% della diffusione complessiva di tutti i quotidiani, nazionali e locali, venduti nella regione. Di rilievo anche la posizione occupata nelle radio, con il 50% di Sudtirol 1 che raggiunge il 13% della popolazione, superando tutte le altre emittenti. Una concentrazione editoriale che incassa 6,2 milioni l’anno di contributi.

È per questo che l’Associazione dei consumatori “Robin” (direttore Walther Andreaus) e il Centro consumatori Italia (presidente Rosario Trefiletti), assistiti dall’avvocato Massimo Cerniglia, hanno deciso di inviare una “Lettera aperta” al presidente della Commissione Ue, a quelli della Repubblica italiana e del Consiglio dei ministri, oltre che ai vertici delle nostre Autorità di garanzia, per denunciare la situazione. “Nel Trentino Aldo Adige – si legge nel testo – appare emergere una posizione di notevole forza informativa in capo al gruppo privato Athesia che esercita un’influenza significativa sull’intero ecosistema territoriale”. E di riflesso, sul confronto democratico ed elettorale dell’intera regione. Gli autori della lettera si riservano quindi di promuovere una “class action a tutela del pluralismo”, chiedendo intanto alla Commissione Ue di attivare una procedura d’infrazione contro l’Italia.

Morti sul lavoro, 1.221 nel 2021: vicini i livelli 2019 (ma c’erano più occupati per più ore)

Il contatore ufficiale dice che i morti sul lavoro sono un po’ diminuiti nel 2021, ma la realtà è che sono aumentati e di molto. Gli incidenti mortali nelle fabbriche, nei cantieri e nei campi sono quasi tornati ai livelli del 2019, ultimo anno in cui le attività produttive non hanno subito fermate imposte dall’emergenza sanitaria.

Andiamo con ordine. Ieri l’Inail ha fatto sapere che nel 2021 le denunce di infortunio mortale sono state 1.221, 49 in meno delle 1.270 del 2020. Queste cifre contengono anche i decessi che avvengono a causa di incidenti stradali sul tragitto tra casa e azienda. Se sottraiamo quella componente, abbiamo 973 morti nel 2021 e 1.056 nel 2020. Queste, a loro volta, includono le persone che hanno perso la vita per aver contratto il Covid sul lavoro, circostanza che nel 2020 – per note ragioni – mostra numeri molto più alti del 2021 in cui, tra l’altro, sono entrati in azione i vaccini. Quindi, al netto dei decessi su strada e quelli dovuti al virus, gli incidenti “violenti” sul lavoro nel 2021 sono ben 725 contro i 493 del 2020. In buona sostanza, le morti sul lavoro in senso stretto – le cadute dall’impalcatura, per esempio, o le collisioni con macchinari in fabbrica – nel 2021 sono aumentate del 47% rispetto al 2020. In parte questo dipende dal fatto che nella primavera del 2020 c’era stato un lockdown che aveva riguardato pure buona fetta del tessuto industriale. Magra consolazione perché i dati Istat sul 2021 mostrano chiaramente come anche l’anno appena passato non abbia recuperato né i livelli di occupazione, né le ore lavorate del pre-Covid (queste ultime nettamente inferiori a quelle del 2019). Insomma, nel 2021 si è lavorato a ritmi molto inferiori rispetto al 2019, ma le morti sul lavoro sono solo 58 in meno. Segno che qualsiasi oscillazione dipende solo dagli effetti più o meno severi del Covid e non da miglioramenti della sicurezza nelle aziende.

Tornando al confronto tra 2020 e 2021, va ricordato che le morti per Covid vengono spesso segnalate tardivamente, quindi la forbice tra i due dati è destinata ad assottigliarsi nei prossimi giorni. A livello geografico, infine, i casi sono diminuiti solo nel Nord-Ovest e sulle Isole, mentre sono aumentati al Sud (da 283 a 318), al Centro (da 215 a 227) e nel Nord-Est (da 242 a 276). Gli incidenti “plurimi” sono stati 17 e hanno portato alla morte di 40 persone, 23 delle quali su strada. Le denunce di infortunio in generale sono state oltre 555 mila, leggermente in aumento rispetto al 2020.

Truffa da 440 mln sui bonus Covid: “Virus porta bene”

Avevano creato circa 100 società fittizie per incassare i soldi dei bonus “locazioni”, “sisma” e “facciate”. Così avevano messo in piedi una maxi-truffa attraverso la creazione e la commercializzazione di falsi crediti d’imposta e ora 78 persone sono indagate dalla Procura di Rimini. Ieri la Gdf ha eseguito 35 misure cautelari, di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari, e 23 interdittive. Un sistema che fruttava 440 milioni di euro: “L’inizio del Coronavirus ha portato bene”, dice, intercettato uno dei principali indagati. Parole che ricordano quelle di Francesco Maria Piscicelli, imprenditore captato mentre rideva per gli affari che avrebbe fatto dopo il terremoto dell’Aquila. “Cioè, lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa… vogliono essere fregati praticamente…”, dice in un’intercettazione Nicola Bonfrate, ritenuto capo del sodalizio, parlando con il commercialista Matteo Banin. “Quello invece della locazione è tutto nell’anno”, dice quest’ultimo, “perché vuol dire che tu devi dichiarare un canone il cui 60% ti dà quel valore lì”. Bonfrate: “Minchia! lo dichiari tu”. “Esatto”.

Appalti in Rai, arrestato dirigente Gdf a Viale Mazzini

Turbativa d’asta e corruzione. Con queste accuse il responsabile della direzione Acquisti della Rai, Gianluca Ronchetti, è finito ai domiciliari insieme a due imprenditori, i fratelli Giorgio e Andrea Gnoli. Questi ultimi, attraverso la società Ageas (non più a loro riconducibile), avrebbero ottenuto affidamenti diretti nel settore dei servizi di facchinaggio e manovalanza per gli allestimenti scenici in vari centri di produzione Rai. Fra gli altri, quelli relativi a Sanremo Young 2018. Sotto la lente dagli investigatori (l’inchiesta è condotta dal nucleo economico-finanziario della Gdf di Roma) 140 affidamenti effettuati tra il 2014 e il 2019, tutti sotto la soglia di 40mila euro. In cambio dell’affidamento degli appalti il responsabile Rai avrebbe ottenuto, secondo i pm, mazzette, cene, Rolex e altre utilità per un totale di circa 120 mila euro, somma sequestrata a Ronchetti. La Gdf ha sequestrato anche altri 162 mila euro nelle disponibilità dei due fratelli lombardi e perquisito 7 persone (non indagate). Perquisita anche la sede della Rai.

Ita, ok al piano industriale (tra i veleni)

Non si è ancora sbloccato lo scontro ai massimi livelli in Ita Airways. La riunione di ieri del consiglio di amministrazione non ha chiuso la guerra sottotraccia tra il presidente Alfredo Altavilla e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini: entrambi hanno deleghe operative e Altavilla nei giorni scorsi avrebbe chiesto all’ad di andarsene. Ma il ministero del Tesoro, azionista unico della società “erede indiretta” di Alitalia, ha respinto per ora la manovra.

L’appuntamento di ieri ha così visto un ennesimo rinvio delle decisioni relative alla politica di remunerazione dei vertici, che già da mesi hanno sollevato le critiche e le resistenze dei consiglieri di amministrazione per la loro dimensione monstre rispetti ai conti della società, i cui primi tre mesi segnano un andamento che definire difficile è riduttivo: margine operativo netto in negativo per 170 milioni, ogni euro incassato (inferiore del 50% rispetto alle previsioni) ne ha avuti due di perdite. Ma il consiglio di amministrazione della compagnia ha comunque approvato il nuovo piano industriale quinquennale e ha anche discusso il conferimento dell’incarico di advisor legale e finanziario per la futura alleanza strategica. Si attende ora che il ministero dell’Economia, azionista unico della compagnia, si esprima sulla manifestazione di interesse presentata lunedì 24 gennaio da Msc, la società dell’armatore campano Gianluigi Aponte, e dalla compagnia di bandiera tedesca Lufthansa. Il tandem si è fatto avanti per acquisire la maggioranza di Ita. Nel piano approvato dal board viene determinato il valore prospettico della compagnia sulla base del quale si potranno discutere le quote azionarie e il futuro del marchio Alitalia, che Ita Airways ha acquistato per 90 milioni. Intanto la Commissione Ue ha reso noto l’accordo con il governo italiano per dare luce verde all’operazione Ita, in cui l’esecutivo di Bruxelles chiede che Ita trovi rapidamente una partnership con “un attore europeo per stabilire una presenza più forte sia sui mercati a lungo raggio sia europei, con una graduale integrazione della rete” già quest’anno. Il testo non menziona però la necessità di una partecipazione diretta nella società.

La palla passa ora al Tesoro, dal quale si attende una decisione sulla manifestazione di interesse arrivata una settimana fa da Msc e Lufthansa. Dietro la potenziale partnership con il colosso marittimo e con la compagnia tedesca, ha spiegato nei giorni scorsi il presidente Altavilla, c’è l’idea di creare una “rete di sicurezza”, con il gruppo Aponte che porterebbe il “paracadute” sia nel business del cargo che in quello charter-crocieristico e con Lufthansa che garantirebbe le sinergie su costi e network. Circola l’ipotesi che a entrare nel capitale inizialmente sia solo Msc, mentre Lufthansa resterebbe partner commerciale rimandando la sottoscrizione di una quota azionaria di Ita a un secondo momento. Intanto Delta segue gli sviluppi della proposta Msc-Lufthansa e intende rafforzare la partnership esistente con Ita, mentre Air France non ha ancora restituito tutti gli aiuti Covid e quindi non può entrare nel capitale di Ita, ma pare muoversi più per ostacolare Lufthansa. Tra tattiche e strategie, è in gioco anche il futuro di migliaia di lavoratori, mentre incombono due class action dei dipendenti in esubero da Alitalia che non sono stati assorbiti dal nuovo vettore.

Mps, Draghi&C. vogliono fuori l’ad: “Fase cambiata”

Cambiano i governi, ma quando si tratta di cacciare gli amministratori delegati del Monte dei Paschi i metodi restano sempre abbastanza opachi. Il 20 gennaio scorso, alla vigilia della partita del Quirinale, l’attuale ad Guido Bastianini ha ricevuto il foglio di via dai vertici del ministero dell’Economia, che controlla la banca dopo la nazionalizzazione del 2017. A rifilarglielo sono stati direttamente il direttore generale del ministero Alessandro Rivera e il capo di gabinetto Giuseppe Chiné, che lo hanno convocato per ordinargli di rassegnare subito le dimissioni (Rivera si è poi recato a Palazzo Chigi).

La sostanza del ragionamento, a quanto risulta, sarebbe stata questa: la sua nomina risale al governo precedente e la fase è cambiata. Se così fosse, motivazione e metodi si piazzerebbero in classifica dietro solo a quelli con cui Pier Carlo Padoan cacciò Fabrizio Viola a settembre 2016, con una chiamata, per far posto a un manager gradito a Jp Morgan, con cui Matteo Renzi si era speso in promesse.

il ministero tace, alimentando così le speculazioni. La mossa però solleva diversi interrogativi. Solo a novembre scorso Rivera aveva smentito seccamente le voci in audizione alle Camere: “Non mi risulta che ci siano discussioni in corso sul futuro dell’ad. Sono notizie che non ci constano”, ha detto in quell’occasione. Subito dopo è partita l’operazione per silurare Bastianini.

Ieri sera rumors sulle imminenti dimissioni del manager non hanno trovato conferma, ma il Tesoro vuole accelerare. Della questione si sarebbe fatta carico anche la presidente di Mps, Patrizia Grieco, indicata dal ministero. Fonti finanziarie raccontano di chiamate per vagliare la possibilità che i consiglieri possano ritirare le deleghe a Bastianini se insistesse a non voler cedere il comando. Grieco peraltro è in una situazione paradossale visto che il suo nome è dato da settimane come il possibile presidente di Generali indicato nella lista con cui Leonardo Del Vecchio e Franco Caltagirone vogliono sfilare a Mediobanca il controllo del colosso assicurativo. La lista arriverà a breve e, se la cosa fosse confermata, Grieco dovrebbe dimettersi immediatamente dal Montepaschi e potrebbe essere proprio lei a lasciare il posto al futuro ad se Bastianini dovesse decidere di rimanere anche senza deleghe.

Il banchiere è stato nominato in quota 5Stelle a maggio 2020 (governo Conte-2) dopo un lungo braccio di ferro proprio con il dg del Tesoro Rivera, lo stesso che nei mesi scorsi ha guidato i negoziati falliti con Unicredit per cedergli la polpa di Mps. Il manager però non sembra per ora intenzionato a fare un passo indietro: ha chiuso i primi nove mesi del 2021 con un utile di 388 milioni, al di sopra delle attese del mercato (e della stessa banca) e l’anno potrebbe chiudersi con un risultato netto positivo per circa 500 milioni. Sotto la gestione Bastianini il deficit prospettico di capitale, stimato inizialmente a 1,5 miliardi, sarebbe stato azzerato.

La mossa del Tesoro arriva in un momento cruciale, mentre lo stesso ministero sta negoziando con la Commissione europea e la Bce una proroga della scadenza per uscire dopo il 2023 dal capitale di Mps – dove è entrata nell’estate 2017 spendendo 5,7 miliardi, quasi interamente bruciati – e procedere a una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi per finanziare la ristrutturazione della banca. Bruxelles chiederà un’ulteriore, drastica, riduzione dei costi dopo quella imposta già 4 anni fa e non centrata del tutto. Il piano industriale presentato a fine anno prevede circa 4.500 esuberi (costo: 1 miliardo).

Il 7 febbraio, poi, sarà il cda del Monte a esaminare preliminarmente i conti 2021 che andranno inviati alla Bce. Potrebbe essere già l’occasione per tentare il blitz contro Bastianini, mossa che terremoterebbe ancora di più la banca visto che il bilancio sarà chiuso e approvato solo fra due mesi.

Come sempre, in questi casi, il Tesoro invece di spiegare le sue scelte al mercato si è portato avanti vagliando i possibili sostituti. Tra i nomi più graditi allo staff del ministro Daniele Franco ci sarebbe quello di Alessandro Vandelli, ex amministratore delegato di Bper, ma circolano anche quelli di Luigi Lovaglio, ex numero uno di Creval, Victor Massiah (ex Ubi) e Fabio Innocenzi (ex Carige). Questo sempre che riesca il blitz.