Vuoi i soldi pubblici?. Il governo detta condizioni

Con la crisi innescata dal coronavirus i governi europei, di destra e di sinistra, sono dovuti intervenire direttamente per far fronte al crollo verticale dell’attività economica. E la Commissione europea si è vista costretta a introdurre una nuova (e provvisoria) normativa sugli aiuti di Stato alle imprese.

Le regole del cosiddetto Temporary Framework consentono agli Stati Ue di applicare misure di supporto all’economia in deroga alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato: da sovvenzioni dirette a prestiti pubblici, da garanzie a ricapitalizzazioni.

Anche gli industriali ora ritengono necessario il sostegno pubblico. Basti pensare che mercoledì Carlo Bonomi ha debuttato da presidente di Confindustria chiedendo il raddoppio degli investimenti pubblici, ma ammonendo contro il rischio di uno Stato “gestore dell’economia”. La sua tesi, già espressa, è che pure i sostegni a liquidità e capitale debbano avvenire rinunciando ad avere voce in capitolo. Insomma, sì ai soldi, no alle ingerenze.

Ecco, pretese del genere sono impensabili in altri Paesi. Uno dei casi più eclatanti è quello di Lufthansa, la compagnia aerea tedesca che, come le altre del settore, è in profonda difficoltà. A causa del blocco dei voli ha perso il 99% dei passeggeri, iniziando a bruciare un milione di euro all’ora. Il valore delle sue azioni si è dimezzato rispetto a inizio anno. Con la flotta ferma da mesi, la società ha dovuto cercare aiuto.

Dopo giorni di intensi colloqui, Lufthansa e il governo tedesco hanno raggiunto un accordo: a un pacchetto di aiuti per 9 miliardi di euro si accompagnerà l’entrata dello Stato nel capitale con una quota del 20% e la presenza nel cda di due rappresentanti nominati d’intesa con l’esecutivo.

Il fondo statale di stabilizzazione economica WSF acquisirà la quota con un aumento di capitale, sottoscritto al valore nominale di 2,56 euro per azione, ben sotto il prezzo di mercato (8,35 euro): ciò garantirà un buon rendimento allo Stato se le attività della compagnia torneranno in utile.

Secondo Lufthansa, i rappresentanti del governo che siederanno nel consiglio potranno esercitare pieni diritti di voto solo in situazioni eccezionali, per esempio per proteggere l’impresa da tentativi di scalate.

Il piano prevede anche un prestito di 3 miliardi dalla banca statale KfW (l’equivalente tedesco di Cassa depositi e prestiti) e l’emissione di un’obbligazione convertibile in azioni. Essa potrebbe pagare una cedola del 9%, innescando un flusso nelle casse pubbliche stimato dai media tedeschi in 500 milioni.

E ancora: lo Stato ha possibilità di aumentare la sua quota del 5% più un’azione nel caso di un’offerta pubblica d’acquisto da parte di terzi e fra le condizioni c’è ovviamente anche il blocco della distribuzione di dividendi agli azionisti ordinari e limiti agli stipendi dei dirigenti.

Il pacchetto dovrà essere vagliato dalla Commissione europea, che nelle scorse settimane ha approvato altri imponenti aiuti di Stato. La Francia, ad esempio, ha avuto il via libera per un piano di sostegno ad Air France-KLM: 4 miliardi di garanzie sui prestiti bancari (al 90%) e 3 miliardi di prestiti pubblici diretti. Ma anche qui lo Stato vuole qualcosa in cambio: il miglioramento della redditività e meno emissioni di CO2. Sempre Parigi ha concesso un prestito garantito da 5 miliardi alla Renault (partecipata al 15% dallo Stato), ma il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha dichiarato che gli aiuti saranno condizionati a rilocalizzare la produzione in Francia.

Insomma, la partita dei grandi aiuti si gioca sulle condizioni. Se lo Stato tende una mano alla grande impresa in crisi, si aspetta la sua parte.

Prestito a Fca, Landini osa: “Lo Stato entri nel capitale”

Maurizio Landini la mette giù dolcemente. Però di fronte al grande problema che porrà in futuro la fusione tra Fca, la ex Fiat guidata dagli eredi di Gianni Agnelli, e il colosso francese Psa, accende un riflettore sul tema del controllo statale.

“Noi stiamo dicendo al governo – spiega il segretario della Cgil nel corso dell’incontro sul tema “Dove andiamo. Trasporti al lavoro: costruiamo oggi la mobilità di domani” – che parlare di Fca oggi vuol dire essere consapevoli che a fine anno ci sarà una fusione. E quindi ciò che è Fca oggi potrebbe non esserlo nel 2021”.

Psa, spiega Landini, ha “nella proprietà francese lo Stato” e “allora c’è bisogno che si muova il governo italiano”. Ovvero: “Non sarebbe male se il governo, oltre a convocarci e discutere con l’impresa e svolgere un ruolo su tutta la filiera dell’automotive – aggiunge il leader sindacale – valutasse anche la possibilità di un intervento o di una presenza anche per il periodo di realizzazione del progetto con Psa. È indubbio che stiamo parlando di una fusione in cui dall’altra parte non c’è solo un soggetto privato, ma c’è anche un soggetto pubblico, che è lo Stato francese”.

La proposta di Landini è quanto di più lontano possa esserci in questo momento dalla linea del neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha avviato il proprio mandato all’insegna del “giù le mani dello Stato dalle imprese italiane”. Ma è una linea inevitabile per gran parte dell’industria europea. Si guardi (vedi articolo in basso) al salvataggio di Lufthansa in Germania al cui confronto il costo dell’ennesimo salvataggio di Alitalia impallidisce. Oppure guardiamo alla fine che farà l’Ilva, dove l’unica soluzione immaginabile non potrà che essere quella pubblica (con l’ennesima beffa a opera di una multinazionale: anche per questo si sciopera il 24 maggio).

Landini porta l’idea dell’intervento pubblico anche nella Fca – quasi scandaloso solo a pensarlo – sia pure nella forma di controllo “almeno” fino al rimborso del prestito garantito dallo Stato. Il problema della sede all’estero viene relativizzato: “C’è da molto tempo, non ha mai interessato nessuno e ora invece se ne accorgono tutti”. Il segretario Cgil si dice favorevole anche al prestito di 6,3 miliardi alla Fca garantito dallo Stato italiano, ma appunto, quel prestito offre l’occasione allo Stato di dire la sua in una prospettiva più ampia. Per questo servono garanzie sul “rafforzamento dell’occupazione” e sul “no alle delocalizzazioni”. Se ciò avvenisse, dice il leader del sindacato, “sarebbe una cosa seria”. E “sarebbe serio da parte delle imprese” accettarlo “perché vuol dire che stanno chiedendo i soldi per cose di cui hanno bisogno e per cose che servono a tutto il Paese”.

Ancora più netta Francesca Re David, segretaria generale della Fiom-Cgil, che sulla distribuzione dei dividendi da parte della Fca, bloccata per il 2020 ma che ci sarà negli anni successivi, dice che “con tutti i lavoratori di Fca in cassa integrazione, forse si può ragionare di aspettare a distribuirli per il tempo che intercorre fino alla restituzione del prestito”.

Il problema si è già posto altre volte e per altre aziende, ha dovuto farci i conti anche Urbano Cairo alla Rcs che al dividendo ha dovuto rinunciare. La Fiom lo pone direttamente a casa Agnelli: “Non si possono avere i lavoratori in cassa integrazione e dire che i dividendi non sono in discussione, visto che in questi anni li hanno distribuiti. Quando hanno venduto la Magneti Marelli è iniziata la cassa dopo la vendita. Forse se avessero vincolato una parte agli investimenti avrebbe avuto un senso diverso. I dividendi direi che possono aspettare”.

Mosca manda i jet ad Haftar, la Turchia blinda Tripoli

Tallonato dalle forze di Tripoli che ieri gli hanno strappato altre due località nell’ovest, scaricato anche dall’altro parlamento, quello di Tobruk che non lo riconosce più come suo condottiero, il generale Haftar (nella foto) preme per tornare protagonista della guerra civile, e la Russia non si sottrae. Ieri il governo di Tripoli – l’unico fino a ora riconosciuto da buona parte dell’Occidente – ha denunciato che Mosca ha spedito al generale otto aerei da combattimento, spostandoli da una base in Siria. La notizia è stata indirettamente confermata da Haftar che ringalluzzito ha annunciato una “offensiva aerea senza precedenti”. Di mezzo c’è però la Turchia. Se Egitto, Emirati e Russia fanno ancora il tifo per l’ufficiale della Cirenaica – i primi due perchè gli affidano il contrasto alle milizie islamiche e ai Fratelli Musulmani, il Cremlino perchè vuole tornare ad avere un porto nel Mediterraneo a un passo dalle forze Nato – Ankara sostiene al cento per cento Tripoli e non appena è stata divulgata la notizia dei jet russi, i turchi si sono fatti sentire: “In caso di attacchi contro i nostri interessi in Libia, le conseguenze sarebbero molto pesanti per le forze del golpista Haftar”. Ed ancora: “Il suo obiettivo è di provocare una escalation nel conflitto”. Di tutto si parla, dunque, tranne che di cessate il fuoco, con buona pace di chi, da Palermo a Berlino, dopo ogni conferenza si è sbracciato per annunciare che la tregua era vicina e la diplomazia stava vincendo sulle armi. Nulla di vero. Ieri nuovo colloquio fra il ministro degli Esteri Di Maio e il Segretario di Stato Usa, Pompeo. Entrambi concordi sul fatto che è necessario mettere una fine alle interferenze nel conflitto libico. Da come vanno le cose, l’intento appare poco concreto.

Politica e polizia: così l’epidemia fa strage in Brasile

Il virus in Brasile è divenuto più letale a causa di nuovi alleati, come la fame, la repressione della polizia, l’avidità degli speculatori. Ieri almeno 174 i morti nelle favelas di Rio. I malati sono stati trasferiti negli ospedali da campo montati all’interno degli stadi. Lo Stato di Rio de Janeiro è il secondo più colpito dall’epidemia dopo quello di San Paolo, con 3.237 morti. Le megalopoli paulista e carioca sono divenute simboli di una caotica gestione della crisi sanitaria, ormai politicizzata a causa dell’elezioni municipali di quest’anno e con l’incalzante campagna elettorale per le presidenziali previste nel 2022. “Il paese è il nuovo epicentro della pandemia, accumuliamo circa 240 mila casi nel paese ma il dato è estremamente falso. Alcuni studi universitari a cui ho partecipato appurano che i numeri sono 15 volte superiori”, afferma al Fatto QuotidianoArthur Chioro – ex ministro della Salute nel secondo mandato presidenziale di Dilma Rousseff – medico e docente dell’Università federale di São Paulo. Worldmeter indica che in Brasile ci sono 294,152 contati e più di 19.000 morti. Secondo il deputato federale Carlos Zarattini esiste una disorganizzazione totale e una mancanza di coordinazione centrale nella gestione della pandemia. “Ogni Stato, ogni città – sostiene – prende provvedimenti senza nessuna direttiva nazionale. Il governo di São Paulo e la prefettura della capitale hanno attivato misure corrette, ma avrebbero potuto fare molto di più. São Paulo non ha un lockdown severo, anche a causa del governo federale che boicotta qualsiasi misura di chiusura”.

Chioro sostiene che le misure d’isolamento sono state realizzate in maniera molto improvvisata. “La scommessa dei governanti – afferma – era che il Covid-19 non sarebbe giunto in Brasile”. Il professore prevede che si raggiungerà il collasso della sanità a breve e non solo a São Paulo, perché il Brasile si trova all’inizio dell’epidemia. A Rio la lista d’attesa per entrare in un reparto di terapia intensiva è di circa mille persone. “È fondamentale unificare il sistema d’accoglimento sanitario pubblico e privato. La misura è prevista anche nella costituzione, non so se sarà realizzata, perché abbiamo governanti di concezione ideologica neo liberale, molto vincolati alle lobby. Ma credo che la realtà s’imporrà da sola e alcuni gestori dovranno fare requisizione di letti”, afferma Chioro.

A São Paulo la gente muore in casa senza una diagnosi. “Sono in molti a essere infettati nel Complexo do Alemão. Spesso i corpi delle vittime non vengono rimossi, perché nessuno viene a prenderli: se ne occupano i familiari. Alcune volte le salme sono rimaste in strada. Ma questo non è un fatto inusuale, è ricorrente nelle favelas, giacché lo Stato si rifiuta di fare giungere i servizi nelle comunità”, rivela Thainã de Medeiros, membro di Papo Reto, il collettivo che lavora nell’agglomerato di 17 favela carioca del Complexo do Alemão. Papo Reto è una delle organizzazioni sociali indipendenti che sono in prima linea per affrontare il virus e svolgere il lavoro che lo stato non adempie. I collettivi s’adoperano per lenire la fame, procurando e curando la distribuzione delle donazioni d’alimenti, ma anche informando come sopravvivere al virus, dato che, come afferma Chioro, la “comunicazione” continua a essere diretta solo alla “classe medio-alta del Paese”.

I favelados carioca non muoiono solo di Covid-19, ma anche per la repressione della polizia militare che, in piena pandemia, ha inaspettatamente intensificato le incursioni e il 15 maggio nel Complexo do Alemão sono state uccise 13 persone. I cadaveri sono rimasti per ore nei vicoli della Casbah carioca. L’ex ministro Chioro ha una sua chiave di lettura: “Quando le favelas si organizzano per rivendicare i propri diritti finiscono per interferire negli interessi del crimine o di chi controlla politicamente queste comunità; e nuovi leader popolari possono occupare spazi tradizionalmente dominati da quelli che lucrano con lo sfruttamento dei bisogni dei meno fortunati”.

Il virus dei macelli tedeschi: subappalti e sfruttamento

C’è puzza di bruciato nell’industria della carne tedesca. E non è odore di grigliata. La diffusione del Covid-19 nella filiera in Germania ha fatto emergere questioni mai risolte sullo sfruttamento del lavoro di cittadini comunitari dell’Europa dell’Est. Nel Paese che si vanta a buon titolo di garantire un salario minimo di 9,35 euro l’ora, i lavoratori rumeni e bulgari degli stabilimenti dove si tratta la carne arrivano a essere pagati anche un ottavo rispetto al minimo, in virtù di regolari contratti di subappalto.

Una scelta funzionale al fatto che nei supermercati tedeschi sia possibile comprare carne a prezzi eccezionalmente bassi. Un chilo di maiale viene venduto all’ingrosso per 1,92 euro, riferiva l’altroieri Bild. aggiungendo che, in media, ogni tedesco nel 2019 ha mangiato 59,5 chili di carne, in massima parte di maiale. “La cotoletta” deve restare economicamente “accessibile”, ha detto martedì l’esponente della Linke, Dietmar Bartsch in polemica con il leader dei Verdi, Robert Habeck, che invece rivendica un prezzo minimo per la carne: “Se chiediamo agli agricoltori un buon lavoro, il benessere degli animali e la protezione del clima, allora dobbiamo pagarli”.

Intanto quello che arriva dagli stabilimenti di macellazione è un bollettino di guerra: a Coesfeld, in Nordreno-Westfalia, gli infettati per coronavirus sono 260; a Bad Bramstedt in Schleswig-Holstein 264; nella fabbrica di Dissen vicino Osnabruck in Bassa Sassonia sono 92, e a Birkenfeld nel Baden-Wuerttemberg sono arrivati a 400. Nel mirino delle polemiche ci sono le carenti misure sanitarie nelle fabbriche, le precarie condizioni in cui vivono i lavoratori, stipati in mini-appartamenti per risparmiare sull’affitto, orari di lavoro extra-large e stipendi “a volte anche di 1,70 euro l’ora”, racconta Andrea Fink-Kessle, presidente dell’Associazione degli agricoltori per la lavorazione artigianale della carne, a Deutschlandfunk. Tutti problemi che fanno capo a un’unica grande questione: i contratti di subappalto nella filiera. Funziona così: dalla Danimarca arrivano in Germania i maiali pronti per la macellazione, spiega Fink-Kessle, perchè il costo orario oltreconfine è minore. Lì la ditta appaltatrice incassa il prezzo pieno, 13-15 euro all’ora, ma invece di svolgere il lavoro, lo subappalta per 10 euro, con un regolare contratto. Il subappaltatore fa altrettanto finché il salario orario si riduce a cifre minime. “Questo permette ai macelli di eludere completamente la loro responsabilità per le condizioni di lavoro”, dice Johannes Jakob della Confederazione tedesca dei sindacati (Dgb). “L’azienda subappaltatrice – continua Jakob – non ha un contratto collettivo e un consiglio di fabbrica e quindi paga meno e lascia lavorare i dipendenti più a lungo”. Il problema è noto da anni. Nessuno politico di vecchia data “può fare finta di non sapere che nell’industria della carne spesso abbiamo a che fare con condizioni precarie nella situazione lavorativa e abitativa dei lavoratori a contratto dell’Europa dell’Est”, ha detto il ministro della Salute del Nordreno-Westfalia Karl-Josef Laumann. Sotto la pressione mediatica il governo tedesco è corso ai ripari e ha approvato in consiglio dei ministri il “programma di salute e sicurezza del lavoro nell’industria della carne” per limitare i contratti di subappalto e raddoppiare le multe da 15.000 a 30.000 euro. Già, ma come sono avvenuti finora i controlli?

“Le verifiche si fanno, tranne eccezioni, a voce a distanza o in forma scritta”, ha detto la ministra della Salute della Bassa Sassonia, Carola Reimann, in risposta a un’interrogazione dei Verdi, riporta Taz. Tradotto: i controlli si sono fatti via telefono o via email. L’agroalimentare è tra i primi 5 settori industriali in Germania, con oltre 620mila lavoratori, un giro di affari da circa 179,6 miliardi e un export da 60,1 miliardi di euro, secondo il Bve. Oltre tre quarti dell’export del settore alimentare finisce in Olanda, Francia e Italia, secondo dati del ministero dell’Economia. Basta questo per capire che la lobby dell’alimentare è molto influente nel paese. Clemens Toennies, il discusso imprenditore del maggiore gruppo della carne in Germania e patron della squadra di calcio Schalke 04, respinge la condanna generalizzata alla filiera. “Otto settimane fa ci è stato chiesto di continuare a lavorare durante la chiusura, proprio come gli ospedali, le case di cura e i fornitori di energia”, ha detto il portavoce dell’azienda. “Il rischio” era nella cose. È venuto il momento di ricambiare.

Il Pci fu antisistema e la terra è piatta

Alla fine di un pensiero lungo sessanta righe, il politologo Angelo Panebianco scrive che, nella Prima Repubblica, gli elettori stabilizzarono la democrazia votando i partiti di centro, la Dc e i laici, bilanciati da due forze antisistema tenuti ai bordi del campo, il Movimento sociale a destra, il Partito comunista italiano a sinistra. Per uno con la scienza di Panebianco, politologo d’alto e stimato profilo, assecondare l’idea che il Pci fu una forza antisistema equivale a un Parmitano che tornando dallo spazio incoraggiasse a credere che la Terra sia piatta.

Molto più della Dc, sgovernata da correnti in costante lotta tra loro per un potere privato da esercitare in pubblico, il Pci di Togliatti, Longo, Berlinguer, Pecchioli, con la coda migliorista di Amendola, stabilizzò persino troppo il sistema, cioè lo Stato e così fu letto dagli elettori. Al punto che mentre almeno mezza Dc trafficava con la destra eversiva coperta dalle vecchie gerarchie del potere militare e con le mafie antisistema, il Pci presidiava le architravi della democrazia con una parte del mondo cattolico, i sindacati, le forze laico socialiste. Persino le Brigate rosse se ne accorsero. Panebianco non ancora.

Il futuro: la lezione della medusa

E attraverso la navigazione dei mercantili è arrivata in Italia.

Che cosa rende straordinaria la Turritopsis? Questa medusa dopo aver raggiunto la maturità sessuale, ed essere quindi diventata a tutti gli effetti adulta, regredisce poi a uno stato infantile, per poi ricominciare questo ciclo.

Non è l’eterna giovinezza di Dorian Gray nel famoso Ritratto di Oscar Wilde, perché Dorian rimane immobilizzato nella sua bellezza, mentre la sua decrepitezza sia morale che fisica è riflessa dal ritratto che tiene nascosto in camera. Insomma Dorian è un soggetto statico, un giovane vehe economico per cui se si continua su questa linea in futuro, ma è un futuro che è diventato quasi un presente, un manipolo ridotto di giovani dovrà mantenere una legione di vecchi.

Non è nemmeno un ritorno al passato “una macchina che riavvolgicchio. Non è nemmeno il mito dell’allungamento della vita fino a condizioni ed età indecenti che è una ‘classica trappola della ragione’ da molti punti di vista, estetico, psicologico oltre che il tempo” per dirla con Ivano Fossati. Perché non è logicamente possibile. Se io mi facessi riportare da questa macchina, poniamo, nel Cinquecento la mia stessa presenza o anche un solo semplice gesto come spostare un bicchiere cambierebbe tutta la storia successiva. E se io mi facessi riportare indietro ai miei 16 anni troverei gli stessi amici, le stesse cose, la stessa situazione di allora.

Non è la condizione della Turritopsis. Poniamo che io oggi sia una Turritopsis di quarant’anni fra vent’anni ne avrei venti ma in un altro contesto, che non è ovviamente quello di oggi. L’esistenza della Turritopsis è dinamica, va avanti e indietro, dalla giovinezza alla vecchiaia, dalla vecchiaia alla giovinezza. Immaginiamo che la Turritopsis sia un uomo. Non è immortale (altro terrificante mito soprattutto della Modernità, ma coltivato anche dagli antichi col pantheon degli Dei) sia nella sua fase ascendente che discendente può essere colpito da malattie letali, da uno spigolo fatale di uno sportello in cucina e da qualsiasi altro accidente di cui è cosparsa la vita di un uomo.

Forse la vicenda della Turritopsis ha qualche somiglianza con l’eterno ritorno di Nietzsche (“tutto ciò che sarà è già stato, tutto ciò che è stato sarà”) ma nella concezione di Nietzsche il Tempo è fatto da ‘eterni presenti’ che sono contemporanei (il mio primo bacio esiste contemporaneamente a me che in quest’attimo scrivo). Una concezione abbastanza terrificante a cui lo stesso Nietzsche si avvicina e si ritrae spaventato, perché avrebbe tolto senso al suo stesso filosofare. Comunque la Turritopsis, a differenza dell’eterno ritorno, a differenza del Big Bang della fisica che alla concezione nicciana somiglia assai, non è statica ma dinamica, per dirla volgarmente alla toscana “va su e giù come la pelle dei coglioni”.

Attualmente il maggior studioso della Turritopsis Dohrni è lo scienziato giapponese Shin Kubota dell’Università di Tokyo. Se io fossi il reggitore del mondo finanzierei la ricerca di Shin Kubota con enormi somme, per capire se il meccanismo che rende la Turritopsis qual è può essere trasferito sull’essere umano invece di spendere miliardi per andare su Marte o raggiungere qualche altra galassia nel tentativo di consolarci di non essere soli in questo inesplicabile Universo o per trovare un vaccino contro il Covid-19 che, pompato com’è (intendo il vaccino non il covid) invece di rassicurarci finisce per terrorizzarci ulteriormente ed è comunque inutile perché il virus, per difendersi, cambierà composizione mentre la Turritopsis, nella sua essenza, rimane sempre lo stesso soggetto.

Mail Box

 

Il famoso “innominabile” merita la “i” minuscola

Egregio direttore (nel senso letterale del tel termine “ex gregis”), sono dall’inizio un lettore del suo, del nostro giornale e condivido spesso le vostre analisi. Da un po’ di tempo, mi rincresce di dissentire sulla grafia da lei utilizzata – la “i” maiuscola – per definire l’innominabile. Covid dante causa, ho riletto, dopo mezzo secolo, i Promessi sposi nella riproduzione fotolitografica dell’edizione illustrata del 1840. Mi permetto di farle osservare che il Manzoni utilizza sistematicamente la “i” minuscola per definire l’innominato. A meno che lei non voglia offrire un “upgrade” al nostro, io le suggerirei di degradarlo a innominabile con la “i” minuscola: non mi sembra che meriti di più.

Cristoforo Corda

Caro Cristoforo, è un’idea! Ma uso sempre la “I” maiuscola per i soprannomi. Senza attribuire al soprannominato null’altro di maiuscolo.

M. Trav.

 

(S)fiducia a Bonafede/1: uno “spettacolo” indecente

Carissimo direttore, ho seguito la discussione al Senato sulle mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia. Premesso che, dopo la dichiarazione di Di Matteo, avrei desiderato le dimissioni di Bonafede, ho osservato:

– Forza Italia, ideata da un delinquente mafioso, dare lezioni in materia di giustizia;

– Renzi che cerca di barattare qualche poltrona e di portare Italia Viva dal 2,5 per cento al 2,6;

– La Lega votare entrambe le mozioni. Probabilmente, i barbari padani non hanno nemmeno letto quella della Bonino;

– Il “nuovo” Pd di Zingaretti fare un “copia e incolla” di Renzi;

– Il M5S che si chiude a riccio, senza un minimo di autocritica per gli errori commessi;

– Gli ex parlamentari 5Stelle (Paragone, Giarrusso) urlare, sbraitare contro il ministro e poi votare a favore.

Non crede sia stato uno spettacolo indecente in piena crisi economica e sociale del nostro Paese?

Tommaso Bello

Sì.

M. Trav.

 

(S)fiducia a Bonafede/2: quante magagne in aula

Il voto di sfiducia al ministro Bonafede, al di là del risultato, resterà per sempre una pagina vergognosa del nostro Parlamento, che ha votato contro la Costituzione, contro il popolo, contro se stesso per un motivo montato ad arte. Ricordiamo le leggi salvacorrotti di Berlusconi, l’aereo costoso come una flotta e i rubli del gas siberiano, tutti fardelli che portano i promotori della sfiducia. Ma al “nostro” voto noi andremo sapendo chi votare.

Omero Muzzu

 

“Lavarsi le mani”: lo diceva già mia nonna nata nell’800

Una semplice riflessione da una 82enne perplessa: ricordo che mia nonna (classe 1883), quando tornavo a casa da scuola, da una passeggiata o da Villa Borghese, mi ordinava con fiero cipiglio: “Levati le scarpe, indossa il grembiule, lavati le mani!”. Ora le stesse parole (a parte il grembiule) vengono diffuse dalla televisione, dai giornali, da virologi, scienziati, religiosi tuttologi, nani, ballerine e mamme (noi nonne siamo quasi tutte morte), in profonda e credo irreversibile crisi di nervi. Com’è possibile che in 140 anni la popolazione mondiale sia diventata così “zozza”?

Carla Casoni

 

Le assurde pretese degli isolani di Vulcano

Come si fa a far ragionare la redazione di Fuori dal coro di Mario Giordano, che prende le parti di alcuni abitanti di Vulcano che lamentano la mancanza di turisti nonostante l’isola non abbia mai avuto infetti? Bisognerebbe dire al giornalista che per andare a Vulcano si parte da Napoli o da Messina, che invece hanno avuto contagi. A meno che non pensino che i turisti vadano sull’isola in elicottero oppure col paracadute!

Gabriele Napoletano

 

Scandalo Fca: siamo tornati alla Prima Repubblica

Leggendo il vostro giornale sulla questione Fca vedo che siamo tornati ai tempi della Prima Repubblica, quando ai lavoratori veniva tolto e politici e imprenditori promettevano molto (fra l’altro senza quasi mai ottemperare agli impegni). Purtroppo credo che da allora non sia cambiato nulla: un operaio, per accedere a un prestito o mutuo, deve fornire garanzie che in questi momenti non ha, mentre per altri non si pongono problemi… Vi ringrazio: siete l’unico giornale a fare informazione seria nella nostra, purtroppo derelitta, Repubblica, in cui temo che non cambierà mai nulla visto che chi ci governa è lo specchio di quello che siamo.

Roberto M.

 

Con la scusa del contagio le spiagge si pagano tutte

Da alcuni articoli del Fatto si evince che, con la scusa del contagio, si coglie l’opportunità di togliere le spiagge libere quasi del tutto. Sono sempre stato contrario alle concessioni balneari, che dalle mie parti (tra Calabrone e Marina di Pisa) si sono appropriate quasi del tutto di certe spiagge, vietandone l’accesso a chi non paga. È, a mio avviso, una forte restrizione della libertà personale, al limite dell’antidemocratico, perché si obbliga la gente a pagare un balzello per accedere alle coste di proprietà demaniale, cioè di tutti… Credo che esista la libertà del cittadino di responsabilizzarsi, mantenendo le distanze senza pericolose trasformazioni a pagamento di beni pubblici come le spiagge.

Massimo Fabbrini

Il “Padre nostro”. Non esiste la grazia a buon mercato: Dio non è un contabile

 

Buongiorno, non leggo mai il vostro “Vangelo della domenica”: non sono più né credente né “fedele”. Domenica scorsa riguardava il Padre Nostro, che dicono sia la preghiera più bella dei cattolici. Ma c’è un punto di questa preghiera che non ho mai compreso, mi sembra perfino contenere una bugia. Nell’articolo, il Pastore Eugenio Bernardini riporta così: “Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori” (altrimenti recitata “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”). Vorrà dire “rimetti a noi i nostri debiti nella misura in cui noi li rimettiamo”? Oppure “Padre Nostro, sta’ attento, guarda che noi i nostri debiti li abbiamo rimessi ai nostri debitori, dunque rimettili a noi anche tu!”. In un caso dunque potrebbe essere che il Padre misuri quanto li abbiamo rimessi agli altri e che ce li rimetta in egual misura: una perfetta contabilità. Nell’altro caso potrebbe voler dire: ci siamo comportati bene (che di solito è una balla tremenda), dunque, se qualche peccatuccio lo abbiamo fatto, cancellalo perché siamo buoni e bravi e “non ci indurre in tentazione”, sii indulgente, dovessimo compiere qualche altro peccato non è colpa nostra, tu non indurci a compierlo! Fuori dalla messa poi si può essere capaci di accoltellarsi, ma fa niente, ci siamo scambiati poco prima il segno della pace e i nostri peccati ci verranno rimessi. Ego me absolvo!

Angelo Umana

 

Capisco il punto di vista del lettore: descrive quella specie di “grazia a buon mercato” (D. Bonhoeffer) tipica del conformismo religioso, non solo di quello cristiano. Ma se c’è qualcosa di lontanissimo dall’insegnamento di Gesù è proprio l’idea della contabilità divina. Per lui, l’“economia di Dio” non è caratterizzata dal criterio dello scambio ma da quelli del dono e della condivisione (del pane, del perdono, della riconciliazione e dell’amore). Per questo Gesù è molto avversato dal “sistema” (religioso e politico).

Il Padre Nostro riflette questa particolare “economia”: ogni riferimento all’agire umano è visto come “conseguenza” dell’agire di Dio e non come “condizione”. Come ricevo il perdono così sono invitato a darlo (“gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, Matteo 10,8). Se non lo faccio, sono come quell’uomo che si vede condonato un gran debito ma poi non ne vuole condonare uno più piccolo a un suo debitore (Matteo 18,21-35).

Dunque, quel “come” (“rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”) non è il prezzo dello scambio, ma la conseguenza di un amore scandaloso per la mentalità comune, perché non chiede nulla in cambio ma chiede molto in coerenza. Per questo ho insistito sul rischio ipocrisia nella preghiera e sulla necessità di non chiedere a Dio ciò per cui io non sono disposto a impegnarmi, almeno nel limite delle mie umane possibilità.

Pastore Eugenio Bernardini

Acqua alta dal 1951: il lato nascosto della Grande Milano

Ora che le acque si sono ritirate, è possibile fare il punto su uno dei lati nascosti della Grande Milano: l’acqua alta. Per non aver niente da invidiare a nessuna città al mondo, neppure Venezia, Milano – che è città d’acqua, con quattro fiumi imbrigliati che scorrono nelle sue viscere – si è dotata da tempo di un sistema infallibile per sommergere una parte (periferica) della metropoli, allagando strade e danneggiando seminterrati e cantine. È l’esondazione del Seveso e del Lambro, che a ogni grande pioggia mette in difficoltà i quartieri di Niguarda e di Lambrate, blocca la circolazione del metrò, fa saltare l’energia elettrica in interi quartieri.

Succede da tempo immemorabile, almeno dal 1951, ma Milano, che cura bene la sua immagine, non fa trapelare le sue magagne, i metrò che frenano di colpo gettando i passeggeri a terra, le case per anziani diventate un laboratorio per moltiplicare il Covid-19 e altre piacevolezze, tipo l’acqua alta. E i milanesi sono dei santi, perché da decenni subiscono le esondazioni, ascoltano le promesse di soluzione, le vedono regolarmente non mantenute e mantengono la calma, in attesa della prossima pioggia in cui i tombini esploderanno di nuovo nelle strade, come sempre.

La settimana scorsa c’è stata l’ultima esondazione, con il consueto seguito di articoli, foto, indignazioni, proteste, promesse. Tutto subito dimenticato, anche perché siamo alle prese con una difficile ripartenza da Coronavirus. In attesa della prossima grande pioggia, non riusciamo però a non ricordare le promesse non mantenute di tutte le amministrazioni comunali, di destra e di sinistra. La svolta doveva arrivare con Expo: nel progetto iniziale c’erano le “vie d’acqua”, una serie di canali che dai Navigli dovevano arrivare fino al sito dell’esposizione universale, a Rho Pero. Progetto impossibile, per i dislivelli che già Leonardo da Vinci conosceva bene. Niente paura: con i soldi delle “vie d’acqua” risolveremo finalmente il problema esondazioni – promisero il sindaco in carica Giuliano Pisapia e quello futuro Giuseppe Sala – mettendo in sicurezza Lambro e Seveso. Non se n’è saputo più niente.

Ancora prima – era il 20 ottobre 2014 – l’assessore Marco Granelli scrisse un post memorabile: “Oggi giorno importante per il Seveso. Dopo 40 anni e più di chiacchiere, ecco risposte concrete che ci permettono di andare oltre l’emergenza. Il governo Renzi decide per il progetto vasche + depurazione mettendoci 80 milioni di euro che si aggiungono ai 20 del Comune di Milano e ai 10 di Regione Lombardia. Progetto definitivo a fine ottobre e primi lavori nel giugno 2015”. Siamo nel 2020, e il Seveso e il Lambro continuano felicemente a esondare.

Tutta colpa della burocrazia, delle lungaggini e dei Comuni a nord di Milano, spiega oggi il sindaco della città. “Il Comune sta facendo tanti lavori di manutenzione” per risolvere il problema del Seveso, ha dichiarato Sala, “ma senza le tre vasche di laminazione a Nord di Milano la situazione non si risolverà: quella più avanti è Senago, ci preoccupa la situazione di Bresso perché c’è una gara aggiudicata, ma è due anni che fronteggiamo ricorsi in particolare dal Comune di Bresso. Ora pare che il Tribunale delle acque deciderà a giugno, speriamo”. Ecco: speriamo. Ma la prossima volta che fate una promessa, da bravi amministratori tenete presenti anche le variabili sfavorevoli, oppure cucitevi la bocca e prima di dare per risolto un problema, per favore, risolvetelo.