Crisi – Le conseguenze dell’epidemia sui governi

La gestione della crisi causata dal Covid-19, ha influenzato il consenso dei cittadini rispetto ai propri governi. Nel grafico accanto (sui dati di Yougov) è evidente l’andamento di tale consenso di pari passo con l’avanzare della pandemia. In Europa la curva è altalenante e ha riguardato soprattutto le decisioni prese dagli esecutivi sul lockdown e la riapertura. A colpire è la curva del Regno Unito, in picchiata dai primi di maggio, da quando, cioè, i cittadini hanno scoperto, con l’ammalarsi del loro premier, Boris Johnson, che “l’immunità di gregge”, cui si era lui stesso affidato, non esisteva. Seconda viene la Francia, ma in termini assoluti resta il Paese europeo in cui la delusione è stata più forte. Fuori dai confini europei, la curva degli Stati Uniti mostra la perdita di fiducia di 10 punti nei confronti della gestione della crisi di Donald Trump. Di seguito l’analisi dettagliata del consenso in sei Paesi.

 

Stati Uniti

Trump vince, Trump perde: l’America divisa anche sul virus

Nell’America polarizzata da Donald Trump, neppure l’emergenza Covid fa schizzare, in alto o in basso, gli indici di gradimento del presidente: una metà dell’Unione lo boccia, qualunque cosa faccia; e una metà è disposta ad approvare le sue decisioni, quali che esse siano. Due volte, negli ultimi tre mesi, Trump ha toccato il massimo dell’indice di gradimento, salendo al 49% e due volte è sceso intorno al 40%. Paradossalmente, Trump cala quando fa quel che ti aspetti da un presidente: invita alla prudenza e dà linee guida su chiusure e distanze; e sale quando “fa il Trump”, assicura che l’epidemia non è una minaccia, se la prende con la Cina e l’Oms. Spiegarlo è semplice: i suoi oppositori non gli danno credito neppure quando fa le cose giuste; mentre i suoi lo apprezzano se sfida l’establishment della scienza prendendo idrossiclorochina o consigliando di diluire la candeggina in un bicchiere d’acqua. Ieri, s’è fatto vanto del maggior numero di contagi, oltre 1.530.00, e di decessi, oltre 92 mila. “Facciamo più controlli”.

 

Regno Unito

Critiche alle azioni anti-Covid, ma BoJo resta il più popolare

La gestione dell’emergenza Covid fa perdere consenso al governo britannico. Secondo l’ultimo sondaggio YouGov, realizzato fra il 16 e il 18 maggio, il 42% degli intervistati (su un campione rappresentativo di 1.600) disapprova l’operato di Downing Street, mentre ad approvarlo è il 39%. Un calo netto cominciato all’inizio di maggio, quando il no al governo era fermo al 30%. L’insoddisfazione è più netta a Londra (52%), fra gli uomini (44 contro il 40%) e nella fascia fra 18-24 anni (52%), mentre il 56% degli ultra65enni, la fascia di età più colpita dal virus, continua malgrado tutto a condividere le scelte dell’esecutivo. In 19 su 100 non si esprimono. Intaccate solo relativamente, almeno per ora, le intenzioni di voto: il 48% sceglie i Conservatori, che perdono 2 punti rispetto ai primi di maggio, mentre il Labour di Keir Starmer risale dal 30 al 33%. Ma il gradimento per Boris Johnson è solo al 39%. Resta il politico conservatore più popolare, ma non piace al 43% di 6mila intervistati.

 

Francia

Governo, presidente e Sanità: i transalpini sono i più delusi

Tutti i sondaggi lo confermano: in Europa i francesi sono i più insoddisfatti della gestione dell’epidemia di Covid-19 da parte del governo. Stando all’analisi di YouGov, la fiducia dei francesi è in discesa libera da marzo: al 9 maggio, solo il 33% ritiene che il governo stia gestendo “bene” o “piuttosto bene” la crisi e poco più della metà (52%) dà fiducia alle autorità sanitarie. Da sondaggio Odoxa dell’11 è emerso anche che, per solo il 25%, il governo ha preso le “decisioni giuste al momento giusto” e ha detto la verità. I francesi, che all’inizio dell’epidemia credevano nel loro sistema sanitario, “il migliore del mondo”, come ripeteva il governo, e avevano sottovaluto la crisi italiana, si sono dovuti ricredere con gli scandali su mascherine e tamponi e i drammatici bilanci quotidiani. Da studio Cevipof del 2, sono i più pessimisti d’Europa: lo è il 43%, mentre solo il 12% si dice ottimista. Sono molto severi con Macron a cui, sempre per Cevipof, danno un voto di 4,1 su 10. Gli preferiscono il premier Philippe, 57% contro 48%, da studio Ifop del 12.

 

Germania

La Grosse Koalition si riduce, ma Merkel vola nei sondaggi

A due settimane dalla fine del lockdown, la gestione del governo tedesco dell’emergenza coronavirus non veleggia più su un gradimento dell’81%, come accadeva l’8 maggio ad aperture appena iniziate ma è scesa al 66%. Secondo l’ultimo sondaggio settimanale della Zdf il 66% degli intervistati ritiene che le misure prese per fronteggiare la crisi siano state giuste, il 17% le trova esagerate mentre un 15% crede che sarebbero dovute essere più severe. Nel corso delle ultime due settimane, durante le quali ci sono state le manifestazioni contro il lockdown, il consenso dei partiti di coalizione è calato di un punto. In un sondaggio di domenica scorsa dell’Istituto Infratest dimap, per l’emittente pubblica Ard, sia i conservatori della Cdu-Csu che i socialdemocratici dell’Spd hanno perso un punto, passando rispettivamente al 38 e al 15%, mentre sono risaliti i liberali del Fdp al 6% e il partito di destra Afd, tornato al 10%. La cancelliera Angela Merkel invece, negli ultimi sondaggi, è tornata saldamente in testa sui politici più amati, al 68%, guadagnando 4 punti in una settimana.

 

Spagna

Sánchez guadagna tre punti, ma sale la paura per l’economia

Il peggio è passato. Almeno rispetto alle conseguenze politiche del Covid-19 sul governo spagnolo. I socialisti di Pedro Sánchez, dopo essere scesi di quasi un punto nei sondaggi di aprile, se si votasse ora prenderebbero il 31,1% dei voti, percentuale in media simile a quella degli spagnoli che ritengono la gestione dell’emergenza buona o molto buona, secondo i dati di Yougov. Ma soprattutto Sánchez sarebbe votato dal 3% in più dei cittadini rispetto alle ultime elezioni di novembre. A rimetterci nella gestione della pandemia, sono soprattutto i soci di governo: Unidas Podemos di Pablo Iglesias perde infatti mezzo punto in un mese, dopo più di un punto perso ad aprile, lasciando al lockdown in tutto quasi due punti percentuali in meno rispetto a novembre. A preoccupare gli spagnoli è il virus (87%), superato solo dalle conseguenze economiche della pandemia (87,4), anche se l’85,2% ritiene che le misure adottate dal governo siano state necessarie. E sulle beghe dell’opposizione, il 74,9% degli spagnoli ritiene che farebbero bene Pp, Ciudadanos e Vox ad appoggiare l’esecutivo.

 

Russia

Unico dato certo: non è mai stato così basso il gradimento di Putin

Il Corona che funesta la vita della Federazione indebolisce anche il potere del presidente. Con una cifra molto sospetta di decessi dichiarati che non supera le 3mila vittime, la Russia conta ormai oltre 300mila infetti, mentre il Cremlino registra il crollo: il consenso del presidente continua a calare. Se a gennaio era favorevole alle politiche attuate da Putin il 68% dei cittadini, lo scorso aprile il consenso dei russi non superava il 59%, ha confermato il sondaggio del centro ricerche indipendente Levada. Secondo l’agenzia di notizie statale Tass la preoccupazione per il virus attanaglia le menti del 50% dei russi mentre il 20% è più preoccupato per le conseguenze sull’economia. Secondo i dati del governo, la disoccupazione affligge il 30% della popolazione, per gli esperti indipendenti che hanno analizzato l’andamento del lockdown, sarebbe il doppio.

 

A cura di Uski Audino, Luana De Micco, Giampiero Gramaglia, Alessia Grossi, Michela A.G. Iaccarino, Sabrina Provenzani

 

Pure al De Luca show ora tocca la fase 2

Il virus, si sa, ha fatto male a un sacco di gente. Direttamente, riempiendo letti di ospedale e terapie intensive; privando famiglie di persone care, senza nemmeno un ultimo saluto, un’ultima carezza; colpendo medici e operatori sanitari. E indirettamente, facendo tremare poltrone e mettendo in discussione cariche politiche, dando una spallata all’economia, costringendo imprenditori a chiudere e mettendo capifamiglia in mezzo a una strada. Qualcuno però della pandemia ha indiscutibilmente beneficiato.

Non vogliamo con questo dire che ci sia chi è stato contento, o chi in segreto si sia fregato le mani per la sofferenza altrui, sia chiaro: anzi, probabilmente le persone di cui parliamo non ci hanno dormito la notte, portando sulla propria pelle le sofferenze altrui. Ma è fuor di dubbio che alcune figure escano dalla cosiddetta fase uno con un’immagine e un consenso che prima del diffondersi della malattia non avrebbero potuto sognare nemmeno in un momento di altissima euforia, pur non avendo mai difettato di autostima.

Ci riferiamo ai presidenti delle regioni che sono uscite meglio dalla crisi sanitaria, dimostrando con comportamenti tempestivi e con forza una leadership che ha poi condotto a numeri più che positivi. Emiliano in Puglia, Musumeci in Sicilia, lo stesso Zaia in Veneto hanno accumulato crediti presso il loro elettorato che ne rafforzano considerevolmente la posizione. Ma c’è una figura che si staglia all’uscita dal tunnel con una potenza mediatica e una incisività decisionale tali da farne un gigante, ed è quella del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. All’inizio della crisi, Re Vincenzo era privo di corona. Difficili rapporti con l’organigramma del suo stesso partito, sconfitto in maniera bruciante nelle primarie nelle quali aveva sostenuto Martina (la Campania è stata l’unica regione dalla quale è uscito vincente l’ex ministro dell’agricoltura); piena contrapposizione alla nuova compagine governativa, data la componente cinquestelle a lui da sempre fieramente opposta, poco amato anche sullo stesso territorio per la fortissima vocazione salernitana e la bassa considerazione per la metropoli napoletana e soprattutto per il sindaco. Eppure, non venendo mai meno a queste caratteristiche, a tre mesi di distanza da questo poco confortante quadro ci ritroviamo un De Luca immensamente forte. I motivi di questa evoluzione sono molteplici. Il primo motivo è ovviamente mediatico. Il gusto per la battuta tagliente, il modo di parlare a mascella stretta e occhi fermi nella telecamera, l’attitudine naturale ai tempi televisivi ne hanno immediatamente fatto una star; il sommario iperbolico offerto da Crozza lo ha reso più che popolare; la condivisione dei suoi contenuti da parte di Naomi Campbell e della televisione giapponese lo ha fatto diventare mondiale. Alcune immagini verbali da lui prodotte, come i carabinieri col lanciafiamme e la mascherina di Bunny, diventeranno un cult senza tempo e saranno ricordate quanto la stessa pandemia. C’è stata poi la perfetta corrispondenza tra la tragicità della situazione e il naturale piglio decisionista che, in momenti di pace, risulta fastidiosamente liberticida. In guerra invece, quando non si sa bene che fare e la paura domina, avere qualcuno che sembri perfettamente consapevole della situazione e di come governarla nel migliore dei modi, gestendo anche macrostrutture disastrate come la sanità campana, caratterizzata da sempre da assolute eccellenze professionali (puntualmente messe in adeguato risalto dall’onnipresente presidente) ma anche da fatiscenti ospedali, è decisamente rassicurante. Apprezzabile anche il modo di cogliere costantemente l’occasione della visibilità per proporre querimonie circa l’insufficiente destinazione di fondi e di risorse alla Regione, della serie: facciamo le nozze coi fichi secchi, e facciamo pure una gran bella figura.

Il terzo importante punto è l’orgoglio. Non che fosse una gara, e ovviamente non esiste alcun sentimento anti-settentrionale in Campania; ma il fatto che per una volta la situazione fosse sotto controllo da queste parti mentre andava degenerando altrove, che la risposta istituzionale e civica fosse forte e decisa oltre che pienamente rispettosa delle ondivaghe normative che arrivavano da Roma ha dato una scossa positiva anche a fasce di popolazione storicamente disinteressate all’esercizio del potere locale. Quando poi a reti unificate il Re ha detto a brutto muso che era intenzionato a ostacolare l’emigrazione da nord a sud, la cosa ha assunto dimensioni storiche che hanno fatto tremare i cuori e indotto alla standing ovation virtuale. Ora però si sbarca nella fase due, e il momento non è banale. Il voto, non a caso sollecitato a luglio con valutazioni di carattere sanitario un po’ strumentali, slitterà in autunno o peggio, e il Grande Difensore della pubblica salute rischia così di diventare il carceriere delle imprese e il boia dell’economia turistica. Serve uno spettacolare dietrofront per mantenere l’attuale consenso plebiscitario, e infatti sono già state emanate ordinanze con allargamenti di orari d’apertura, diminuzioni delle distanze sociali (addirittura azzerabili con pannelli di plexiglass nei ristoranti) e fervide richieste al governo di superare i limiti tra gli ombrelloni. Nella piena consapevolezza che, dalle parti nostre, si passa molto velocemente dall’esaltazione della persona alla decapitazione. Masaniello docet, d’altronde.

Il senatore Matteo, tossicodipendente dell’estemporaneo

Il senatore di Scandicci e degli Emirati Arabi si è esibito ieri in Senato nel suo consueto show, lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di sé, poche ore dopo aver comunicato al mondo l’epigrafe del libro in uscita: una citazione di Machiavelli (“Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei”), casualmente, ha scoperto qualcuno, la prima che viene fuori digitando su Google le parole “Machiavelli citazioni”.

Ebbene, quel che pare è risaputo: il drappello che guida e a cui ha dato il nome chiaramente antifrastico di “Italia viva” ha una lista di richieste, un foglietto che periodicamente viene tirato fuori e fatto balenare sotto gli occhi di Conte, come la lama dei coltelli nel buio dei bassifondi della Londra di Dickens. L’occasione è casuale, marginale, può esser questo come quello, la riforma della prescrizione come le misure economiche contro gli effetti della pandemia. Su cosa c’è scritto nell’incunabolo, che è al contempo il manifesto e il testo sacro del renzismo, da quasi un anno si esercitano analisti, esegeti, indovini, aruspici e sensitivi. La versione ufficiale dice “i cantieri, la giustizia”. C’è chi sostiene sia una lista di piccolo cabotaggio: il sottosegretariato alla Presidenza, la delega ai Servizi, la presidenza di una commissione… ovviamente da affidare a qualcuno dei loro (a caso, tanto sono tutti uguali, non possiedono identità propria ma solo quella assorbita per osmosi dal leader della setta). È la potenza in termini numerici di Italia in Coma Farmacologico in Senato, a far sì che ogni volta che c’è un problema nel governo (di cui essa fa parte) il suo leader ci si infili e minacci di allargare la falla, disposto ad appoggiare chicchessia pur di fare pressione psicologica.

L’uomo che parla coi morti di Bergamo e Brescia (che gli chiedono da tempo di intercedere con Conte per riaprire tutto, così che i loro congiunti possano raggiungerli presto) è un carattere distruttivo, “vede dappertutto una via” (W. Benjamin). Ovvio che non crede alla “scarcerazione dei boss ordinata da Bonafede”, né alla combutta del ministro coi mafiosi per silurare Di Matteo al vertice del Dap, e non gli importa della doppia mozione auto-negantesi “Bonafede scarcera troppo-Bonafede scarcera troppo poco”; ma aveva un’occasione doppia, troppo ghiotta per un bulimico come lui: maramaldeggiare godendo della disgrazia altrui (“Essere additati ingiustamente e costringere le proprie famiglie a subire l’onta di un massacro mediatico fa male…”) e fiatare sul collo di Conte, a cui ha fatto ri-pervenire il famoso foglio mediante apposita Boschi.

“Vogliamo contare di più”, dicono gli esponenti di Italia Agonizzante a chi gli chiede che vogliano: e qui entriamo nella filosofia, o meglio nella metafisica, giacché la politica consente una sfasatura tra quel “contare”, cioè avere potere, e la nullità persino ontologica nel mondo reale.

Ora il leader di Italia Esanime ha in uscita l’ennesimo libercolo che conterrà il mix che (non) l’ha reso grande: frainteso garantismo, cantierismo, frecciatine, lotta ai “populisti”, aneddoti personali su Obama, citazioni prese da Google. Negli anni l’abbiamo studiato, ne abbiamo rigirato la psicologia come un prisma. Ieri, l’ennesima conferma della diagnosi: egli è un tossicodipendente dell’estemporaneo, uno schiavo del contingente. È mosso dall’etica dell’attimo. Non valuta le conseguenze delle sue azioni, perché non ha il senso del futuro come costruzione laboriosa, ma solo come luogo ideale, come un eCloud del regno a venire in cui comandano lui e quelli come lui, i Ceo del silicio, i delocalizzatori, i ricattatori dei lavoratori, gli sbloccatori a ogni costo. Ma forse aveva ragione De Mita: “Renzi non ha pensiero”.

Ora attenti a questa Finanza predatoria

Lo scenario di queste settimane richiama per certi versi quello del “golpe dello spread” che portò alla defenestrazione di Berlusconi e all’avvento di Monti nel 2011. Anche in questo caso ci sono la crisi economica, l’allarme sull’indebitamento italiano, un inizio di risalita dello spread, e una parte del circo mediatico-politico che invoca un governo gradito ai “mercati” (Draghi-unità nazionale). Tra le due situazioni c’è però un elemento in comune: il rischio di un nuovo attacco della finanza predatoria globale all’Italia e all’eurozona.

La crisi del 2008-12 fu soprattutto finanziaria e occidentale. Il dollaro, all’epoca, era preso tra due fuochi: da una parte la Cina lo teneva in ostaggio detenendo buona parte dei buoni del Tesoro americani; dall’altro c’era l’Europa con la sua moneta nata da pochi anni ma cresciuta rapidamente e fuori della tutela del dollaro. L’euro era arrivato a coprire il 30% degli scambi monetari mondiali, candidandosi al ruolo di valuta globale di riserva alternativa al biglietto verde. Una de-dollarizzazione fuori controllo è da sempre l’incubo dell’establishment Usa, il quale si orientò verso l’uso delle maniere forti: una stangata all’euro. Superato nel 2009 il momento più acuto della crisi, fu data via libera ai predatori di Wall Street. L’attacco prese la forma di un gigantesco gioco al ribasso lanciato da hedge funds e banche d’affari euroamericane contro i titoli sovrani dei Piigs – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna – prendendo a pretesto la loro esposizione debitoria verso l’estero. Fu creata la falsa narrativa dell’imminente default dell’Italia che obbligò Berlusconi a dimettersi. E il suo successore, Mario Monti, sistemò le cose facendo pagare a pensionati e lavoratori. La festa finì nel corso dell’anno successivo con il whatever it takes di Mario Draghi e con l’euro bastonato e rannicchiato nel suo destino di moneta senza Stato. A quasi dieci anni di distanza, gli attori sono gli stessi ma la partita è più grande ed estrema. Il capitalismo finanziario ha raggiunto lo zenit della sua potenza e si sente pronto a puntare al bersaglio grosso: non il ridimensionamento, ma la distruzione dell’euro al fine di spolpare poi i Paesi che lo adottano. La preda iniziale può essere l’Italia. Se l’aggressione funziona non c’è bisogno di spendere molta fatica per sottomettere il resto del branco. Viste le dimensioni della nostra economia, è tutta l’eurozona che salta assieme a noi. Questo tipo di gioco è presente nella testa della delinquenza finanziaria. Ma sta anche nella testa delle sue potenziali vittime, alcune delle quali non sono così vulnerabili come l’Italia e dispongono di armi di attacco e di difesa non indifferenti. Se usate per tempo. Ed è questo il punto cruciale. Cosa faranno la Germania e la Francia per difendere l’eurozona all’inizio dell’attacco, cioè quando ripartirà la litania sul pericolo di default dell’Italia con impennata dello spread? Alcuni segnali sembrano indicare un certo allarme: la decisione Bce di acquistare anche i bond declassati, la timida mutualizzazione del debito contenuta nel Mes e nel Recovery Fund, la sospensione di alcune misure dell’austerità. Ma è artiglieria leggera. E si è messo da parte il cannone degli eurobond. Che cosa farà l’asse franco-tedesco quando tuoneranno i veri colpi contro i bond italiani e quelli degli altri Piigs? Attenderà che venga attaccato il debito francese? Tenterà di ripetere il “golpe dello spread” a favore di esecutivi tecnocratici nei Piigs? Questa ultima ipotesi è insostenibile perché dietro l’angolo oggi ci sono solo governi sfascisti e ultra-nazionalisti.

La Germania non intende rinunciare a un marco svalutato che si avvale di un vasto spazio di cambi fissi, l’euro appunto. Per la Francia, si tratta di non finire tra i Piigs. Un possibile assalto del capitale finanziario, quindi, dovrebbe spingere l’asse franco-tedesco a usare le armi pesanti. Con l’appoggio delle istituzioni europee. Quali armi? A) si possono obbligare le banche europee a sfilarsi dal racket transatlantico. B) si possono promuovere azioni di contrasto a largo raggio contro la mobilità a breve termine dei capitali internazionali e contro le pratiche illegali degli hedge fund e delle piovre americane. C) si possono neutralizzare le agenzie di rating americane e private sostituendole con agenzie pubbliche ed europee. D) si possono rilanciare forme di Tobin tax rafforzate. E si potrebbe arrivare fino al limite di far risorgere la sfida al dollaro associando l’euro alle politiche de-dollarizzanti dei Brics. Ma c’è il rischio che questa dichiarazione di guerra arrivi tardi. Cioè dopo che l’Italia sarà uscita dall’Eurozona.

La destra schiacciata da renzismi e forconi

Nutro una sincera simpatia per il camerata Ignazio la Russa da quando la scorsa estate ad Atreju, che è la festa di Fratelli d’Italia, mentre con fattivo spirito femminile la sorella Giorgia Meloni si sbatteva da uno stand all’altro (e mancava poco che svuotasse i posacenere e rimettesse le sedie a posto), lui da verace maschio italico cercava di filarsela perché c’era una partita dell’Inter. Ma quando ieri, al termine del dibattito sulle dimissioni del ministro Alfonso Bonafede, il nostro eroe ha chiesto la parola “sull’ordine dei lavori”, con la stessa solennità di chi annuncia l’invasione della Polonia, ho pensato: fermi tutti, vediamo quale scaltro stratagemma ha escogitato l’intelligence dell’opposizione per mandare sotto il governo.

Dovete sapere infatti che in qualche segreta situation room di Palazzo Madama i migliori cervelli della destra sono costantemente impegnati ad architettare i più ingegnosi trabocchetti regolamentari, sotto la guida luciferina del senatore Roberto Calderoli (per gli amici, “Doc”, come lo scienziato estroso e maldestro di Ritorno al Futuro). Però questa volta La Russa di pensata ne aveva una tutta sua, originale doc, una figata che sembrava impaziente di comunicare alla presidente Elisabetta Casellati (più altri tre cognomi). Che, tuttavia, particolarmente malmostosa (forse per avere appena letto sui giornali che la cricca giudiziaria di Taranto la considerava “amica nostra”) non gli dava molto retta. Ed è un peccato perché l’acuto stratagemma larussiano consisteva nel far votare tutti i senatori di Fdi, attenzione, non nella prima ma nella seconda “chiama”. E, attenzionissima, non della prima bensì della seconda mozione di sfiducia (non abbiamo capito perché ma già ci fumava il cervello).

Purtroppo, come accertato da illustri matematici, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, e infatti il ministro della Giustizia ha avuto i voti che doveva avere. Da questo siparietto potremmo trarre due considerazioni. La prima è che certi esperimenti, ancorché bizzarri, hanno un loro fascino: come quel tale che durante l’ultimo conflitto faceva estrarre il ferro dalla sabbia di Ladispoli per aiutare la produzione bellica. La seconda è che la destra che vuole liberarsi di Giuseppe Conte non sa più dove sbattere la testa. Perché bisogna davvero essere alla disperazione per dare retta a Matteo Renzi, che millantava (come d’abitudine) una sfiducia che per lui e Italia Viva equivaleva a spararsi avete capito dove.

Da quando è cominciata l’emergenza Covid, Lega e FdI non toccano palla. Mentre i berluscones fanno il doppio gioco, spostandosi continuamente dal campo dell’opposizione e a quello del governo, e viceversa. Forse non sarà del tutto vero che il premier preferisce ignorare le richieste e le proposte di Salvini e Meloni, ma sul predominio mediatico di Conte da almeno due mesi a questa parte non ci sono dubbi. E ciò è motivo d’impazzimento per i due sovranisti. Però. In qualsiasi democrazia il ruolo dell’opposizione giova alla democrazia. Soprattutto se e quando va in discussione in Parlamento un decreto monstre, “Rilancio”, che può smuovere qualcosa come 155 miliardi.

Non spetta a noi dare consigli alla maggioranza, ma con la destra, anche la più ostica e indisponente, un accordo per migliorare le misure e velocizzare l’iter legislativo è nell’interesse del Paese, e dunque del governo. Anche la manifestazione di piazza convocata a Roma per il 2 giugno da Lega, FdI e FI, pur se nel disagio del distanziamento può servire a incanalare nei canali democratici la rabbia e la protesta montanti nelle fasce sociali più danneggiate dalla quarantena. Con i rischi eversivi che segnalano da tempo al Viminale.

Il dialogo in Parlamento tra governo e opposizione sulle cose da fare – ciascuno nel suo ruolo e senza posticce unità nazionali – potrebbe essere l’antidoto allo smarrimento di tanti cittadini che chiedono aiuto e non ne possono più di polemiche inutili e schiamazzi molesti. Sarebbe un primo, forse utile rimedio a furbate varie, renzismi e forconi.

Mail box

 

La svolta informatica della Pa imiti Amazon

La ministra della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone ha intenzione di rendere lo smart working modalità lavorativa ordinaria per il 40 per cento degli impiegati statali. Sarebbe opportuno però preliminarmente creare una direzione generale informatica presso il ministero, finalizzata alla revisione e semplificazione delle procedure. Infatti nel corso degli anni si sono stratificate, in maniera anarchica soprattutto per questioni di appalti, procedure poco funzionali e che non dialogano fra di loro, rendendo il lavoro dei dipendenti pubblici frustrante e, spesso, poco risolutivo per gli utenti. Il modello potrebbe essere Amazon, cioè una piattaforma duttile, dinamica capace di innovare, introdurre nuovi servizi o migliorare quelli esistenti.

Antonio Bovenzi

 

A Genova tifiamo tutti per il “Ponte della Rinascita”

Dare un nome a un ponte è di per sé una cosa difficile, ma secondo me va riconosciuta a tutta la città di Genova la forza etica e politica nella ricostruzione, grazie anche a Renzo Piano. Perciò ritengo che l’opera andrebbe chiamata “Ponte della Rinascita”.

Marcello Magrini

 

La vera riforma della scuola arta dal pensiero astratto

Mi riallaccio a una lettera di martedì sulla scuola. Piattelli Palmarini dice, in La voglia di studiare, che è stato constatato che tutti i giochi di cui si sono riempiti i musei della scienza americani non sono serviti a molto. I ragazzi si divertono, ma non imparano. Aggiungo io che l’abuso delle immagini per spiegare, a discapito del pensiero astratto, è dannoso. Il linguaggio delle immagini è limitato perché non ha la possibilità della negazione (vedi Wittgenstein); eppure oggi la comunicazione è tutta “iconica”! La Corea è ai vertici delle classifiche per preparazione scolastica perché i genitori tengono moltissimo all’istruzione. Anch’io, insegnante di matematica e fisica, quando devo imparare qualcosa di nuovo in matematica, faccio fatica. Innumerevoli sono gli esempi di grandi menti prese dallo sconforto nel cercare di capire. Penso che perfino molti insegnanti comincino a credere che, in fondo, la scuola serva a poco. E invece l’Italia ha bisogno, prima di qualsiasi altra cosa, di buona istruzione. La riforma? Classi da 12 alunni.

Francesco Anselmo

 

Gli sciovinisti nostrani tentano di fare proseliti

Il centrodestra s’è compattato. Il 2 giugno, giorno della festa della Repubblica, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia saranno “in piazza insieme, ma senza bandiere”. In particolare, il “Capitano” Salvini e l’ardita Meloni si contendono, tra le altre cose, la leadership delle piazze. La “pasionaria” Giorgia ha pretese davvero esorbitanti, come se tutti i cittadini del Belpaese si identificassero nelle sue piattaforme di ultradestra sovranista! Ma, si sa, i politici populistici, in nome della demagogia, sono pronti a sfruttare qualsiasi malcontento per fare proselitismo. Nel cuore di Roma, gli impavidi leader del centrodestra porteranno un maxi-tricolore. Gli specchietti per le allodole sciovinistiche funzionano sempre.

Marcello Buttazzo

 

Esame di Stato: mancano le minime norme igieniche

Scrivo come docente di un liceo (classico) milanese, per rompere il silenzio sulle disposizioni della ministra dell’Istruzione in merito allo svolgimento dell’esame di Stato: quelle non a carattere didattico, ma igienico-sanitario. Non intendo invocare l’esame a distanza, perché solo in presenza si può garantire un minimo di serietà a tutta la procedura, ma ci devono essere precise norme da rispettare, esattamente come nei mercati all’aperto, supermercati, negozi, chiese… Invece nelle disposizioni del ministero si esplicita che “non è necessario” rilevare la temperatura corporea all’ingresso dell’edificio scolastico, non si indica di disinfettare le mani e le tastiere dei computer (di guanti non si parla), né di differenziare i percorsi di accesso/deflusso e si permette ai candidati di presentarsi con mascherine fai-da-te. Insomma, la ministra sembra trattare studenti, docenti e personale ausiliario come “carne da macello”, ovviamente per sollevare le istituzioni e i dirigenti da ogni responsabilità relativa al possibile contagio a scuola.

Veronica Olivotto

 

Le vignette di Mannelli sono sempre strepitose 

La vignetta di Mannelli ieri era stupenda: arroganza e ignoranza, da incorniciare. Viva la libertà di opinione!

Claudio Poletti

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri, nell’intervista all’ex manager di Amazon Angioni, per eccesso di sintesi ho riportato come risposta “Amazon compensa i prezzi predatori con cui schianta i concorrenti con le commissioni ai venditori terzi”. La frase pronunciata da Angioni è invece: “Amazon compensa i prezzi bassi con cui prevale sui concorrenti con le commissioni ai venditori terzi”. La gaffe dell’intervista sul fisco fu registrata di nascosto all’insaputa del manager, vicenda per cui è in causa con la Rai.

CDF

 

Come ci segnala la nostra attenta lettrice Manuela Failli, ieri, nell’articolo di De Masi sullo Statuto dei lavoratori, abbiamo scritto che il referendum sulla rappresentanza sindacale si è tenuto nel 1993, quando invece è del 1995. Ce ne scusiamo.

FQ

Facciamo tesoro degli effetti benefici del lockdown su salute e ambiente

Sono un vostro affezionato lettore dalla Germania, emigrato più di 20 anni fa. Vi scrivo in merito agli effetti di questo fermo industriale e lavorativo di circa 2 mesi in tutto il mondo. Da diverse parti ci giungono notizie della ripresa della natura, sia animale che vegetale: è straordinario! Avrei perciò una proposta “sconcia”: fermare il traffico di uomini e cose, così come nel lockdown, per una settimana al mese, e far riprendere e riposare il nostro unico pianeta. Così facendo avremmo tre settimane lavorative e una di pausa. Che ve ne sembra? Complimenti per il vostro unico quotidiano che non posso fare a meno di leggere tutti i giorni.

Rodolfo Giunta

Gentile Rodolfo, l’emergenza virus ci ha mostrato che azioni giudicate fino a un giorno prima impossibili, come sospendere il traffico globale di auto e aerei, sono diventate possibili con decorrenza immediata. E pur creando danni economici hanno svolto la loro funzione principale – quella di proteggere la salute pubblica –, rivelando come effetto collaterale anche il miglioramento delle condizioni ambientali dell’aria che respiriamo e della biosfera che ci circonda, che poi sempre di salute si tratta. Fare tesoro di questa esperienza è dunque un’importante sfida sociale e tecnologica, adattandola ovviamente a una quotidianità normale. La sua interessante idea di dodici settimane all’anno di chiusura totale delle attività umane forse non sarebbe facile da praticare, ma perché non diluire lo stesso effetto tutti i giorni? Se il telelavoro che abbiamo imparato a usare in questi mesi fosse utilizzato in futuro dalla maggior parte degli impiegati che fanno lavoro d’ufficio, in permanenza oppure a turno su alcuni giorni della settimana, ridurremmo di molto il traffico stradale e su mezzi pubblici. Se usassimo meno l’aereo sostituendolo con videoconferenze o in caso di turismo con destinazioni più domestiche, avremmo ridotto strutturalmente le emissioni. Così, più che un modello “stop-and-go” poco tollerabile dalle attività economiche, potremo introdurre cambi di abitudini permanenti che riducano costantemente sprechi e inefficienze energetiche. Invece che lasciar riposare la Terra per una settimana e poi saccheggiarla per le altre tre dovremmo essere capaci di trovare un equilibrio stabile, togliendo un po’ il piede dall’acceleratore senza necessariamente fermarci. Non a caso in francese sviluppo sostenibile si dice “durable”: una convivenza pacifica durevole tra noi e il pianeta che assicuri a entrambi una lunga vita. Lei che sta in Germania troverà sicuramente un termine tedesco ancora più efficace…

Luca Mercalli

Le censure di “Rep” e la vecchia (Elettra) Lamborghini

L’assemblea dei giornalisti conferma la sua fiducia al Cdr e si impegna a vigilare sull’autonomia e l’indipendenza di “Repubblica” (comunicato dei giornalisti di Repubblica-Fca, 19 maggio 2020).

Micromega ha ricordato Franco Cordero con l’intervista che il Venerdì di Repubblica gli censurò nel 2016. Un lettore è allibito: “Repubblica censura?” Non è la prima volta. Nel 2008, Repubblica mi intervista in anteprima sulla tournée Decameron. Memore del trattamento ricevuto in passato dal gruppo Repubblica/Espresso (calci negli stinchi firmati da Serra, Berselli, Mura, Messina e altri), e dato che ti fanno parlare per un’ora, poi riassumono quello che gli pare, e più sono stronzi più ti fregano (nel 2007 omisero la mia risposta sul neonato Pd, cui stavano tirando la volata, dove spiegavo perché il Pd era “un’inevitabile stronzata”); esigo un’intervista a domande scritte e risposte scritte (come deciderà di fare Cordero nel 2016, e infatti lo cassarono).

Il giorno dopo, il giornalista mi dice che al giornale non sono contenti perché l’intervista sembra un mio manifesto (Se intervisti me, cosa devo rispondere, come Fabio Fazio?). Nel pezzo cestinato, dicevo due o tre cosucce: “Sarà una serata di satira contro la politica reazionaria del governo Berlusconi, l’oscurantismo del Vaticano, e l’opposizione molle del Pd. Con Decameron alludo alla peste attuale: il pensiero unico reazionario e guerrafondaio, che vuole governare il mondo col precariato di massa e le speculazioni finanziarie. Svelo il trucco comunicativo che permette a Berlusconi di godere consensi, e perché Veltroni, invece, non morde. Analizzo poi l’operato di tutti i ministri. Non salvo nessuno: Tremonti, Scajola, Prestigiacomo, Gelmini, Brunetta, Alfano. Neppure Confindustria. Dovrei stimare qualcuno di questi? Non sono Enrico Letta. Un pensiero reazionario collega gli atti del governo: dalla repressione delle manifestazioni popolari a Chiaiano, a Vicenza o in Val di Susa, agli attacchi continui alle libertà di espressione, di pensiero e di riunione garantite dalla Costituzione. Berlusconi adesso dice che farà di tutto affinché la tv, pubblica e privata, sia ‘meno ansiogena’. Perché quando la tv racconta la realtà, il suo governo cala nei sondaggi. Si vede che la realtà è comunista. Inoltre, faccio satira sulla religione, sia come collante ideologico del pensiero reazionario, sia come favola per i gonzi. Senza tralasciare lo scandalo dei privilegi assurdi di cui gode il Vaticano: esenzione Ici e 8 per mille; e la questione pedofilia. Parlerò infine della guerra criminale in Iraq e in Afghanistan, in cui siamo impegnati contro l’articolo 11 della Costituzione. Abu Ghraib è politica, sesso, religione e morte insieme. Non faccio satira per andare in tv: vado in tv per fare satira. Deve vergognarsi chi censura”.

Poi venne fatta saltare anche una mia intervista di 3 ore al Venerdì di Repubblica. Motivo: Repubblica aveva annunciato in due righe che avrei fatto il mio monologo, “bruciando la notizia”. Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah! Povero Cordero.

Elettra Lamborghini. Ecco una che sarà divertente veder invecchiare.

Le stranezze del virus

Mentre è aperto il dibattito in Europa sull’attuale attenuazione della pandemia, negli Usa si registrano ancora molti contagi e decessi. In Francia vengono chiuse 70 scuole appena riaperte, in Italia si tira un sospiro di sollievo, meno profondo al Nord, dove ancora si registra l’incremento di positivi e decessi, tanto da far temere la necessità di istituire nuove “zone rosse”. È come se l’Italia fosse divisa in due. In tutto il mondo, inspiegabilmente, ci sono zone in cui il virus colpisce più che in altre. In termini di maggiore incidenza della mortalità della singola regione su quella della nazione di appartenenza, nello Hubei si sono verificati il 96% dei decessi di tutta la Cina. In Lombardia il tasso è del 54,8% sul totale dell’Italia, nello Stato di New York del 42% sul totale degli Usa, nella Comunità autonoma di Madrid del 36% sul dato complessivo dei morti in Spagna. Sono state avanzate tante ipotesi, ma la prova scientifica definitiva manca. E manca la prova scientifica di un decremento dell’aggressività del virus in gran parte dell’Occidente: da qualche settimana il virus c’è sempre, ma “ammala” meno o meno gravemente. Qualcuno parla di “virus attenuato”: ma è una bufala. Si è accumulata esperienza nell’utilizzo dei farmaci disponibili, le terapie intensive si stanno svuotando e c’è più disponibilità clinica. Stiamo anche godendo dei frutti del lockdown. Ma il virus è ancora fra noi. È mutato? Nessun lavoro scientifico lo ha provato. E siamo ancora nel pieno della pandemia.

Mr Plasma: “Qui ho 340 avvocati Cure e pazienti? C’è la privacy…”

Il dottor Giuseppe De Donno, uno dei personaggi più discussi del momento per la sperimentazione con il plasma al “Carlo Poma” di Mantova e per i suoi continui conflitti con colleghi e politici (di sinistra), mi ha concesso un’intervista che è diventata il dialogo surreale. Eccola.

Lei ha molto pubblicizzato la guarigione miracolosa grazie alla plasmaterapia di una paziente incinta. Ma ha dichiarato che avesse una polmonite interstiziale bilaterale, mentre fonti interne all’ospedale mi dicono che aveva un problema più contenuto all’apice di destra. È vero?

Sono informazioni gravissime che ledono la privacy di una paziente. La paziente l’ho seguita io per via ecografica, le immagini le ho solo io.

Però della polmonite ha parlato lei nelle interviste.

Posso denunciare chi le ha dato le informazioni, ho 340 avvocati dietro di me. Ascolti questo fraterno consiglio: non parli di questa donna.

È andata ospite di tutti i programmi tv, dalla D’Urso alla Rai: c’era anche lei, dottore.

Un medico ha scritto che la donna facendo la plasmaterapia ha messo a repentaglio la salute del feto, da quel giorno non ha più rilasciato interviste, ha pianto un giorno.

Ma io non ho detto questo.

Io sono il primario di pneumologia, mica un otorino. Se dico una cosa è perché è quella e nessuno la mette in dubbio. Mi dica nomi e cognomi di chi le ha parlato.

Aveva o no questa polmonite bilaterale?

Le immagini sono sottoposte a lavoro scientifico: non posso mostrarle a nessuno.

Ma questo lavoro scientifico sarà pubblicato?

A lei non deve interessare.

Perché, scusi?

Ecco perché non mi piace dare interviste al vostro giornale.

Sto solo facendo delle domande.

Mi lascia parlare o fa l’arrogante? La donna va protetta fino al parto. Lei cerca lo scoop fregandosene di una donna in gravidanza.

Lo scoop?

Non mi interrompa!

Mica sono una sua alunna.

Se fossi stato il suo maestro lei avrebbe imparato molto di più. Io sono un puro, faccio del bene a prescindere da voi!

Ma da voi chi? Senta, i valori dell’emogas della donna erano buoni, mi dicono.

Non abbiamo pubblicato questi valori apposta, la donna aveva un’insufficienza respiratoria e se lei prova a dire altro io vado dritto con i miei 340 avvocati.

Càspita, sono tanti.

Assolutamente sì.

Mi minaccia?

No, è una cosa fraterna.

Mica tanto. Va bene…

Non va bene per niente, anzi la avviso che lei è in vivavoce.

E quindi?

La avviso.

Cambiamo tema. È vero che prima della plasmaterapia aveva chiesto di avviare la sperimentazione del Tocilizumab?

Ma io sono il principal investigator, mica un campagnolo. Le sue domande nascondono un trabocchetto!

Le ho solo fatto una domanda. Non ha scritto lettere furenti ad Aifa perché le ha negato la sperimentazione col Tocilizumab?

Assolutamente no (chi scrive è in possesso della mail inviata da De Donno a Schettino e Perrone dell’Istituto tumori di Napoli dove era avviata la sperimentazione con in copia una trentina di persone tra cui sindaci e la Cappellari della Lega. De Donno annuncia un esposto alla procura perché non riceve il farmaco, minaccia di rivolgersi a giornalisti e politici per denunciare la cosa e si domanda perché la sperimentazione la stiano facendo a Napoli e non in centro lombardo, chiedendo di girare la mail all’Aifa, ndr).

Ha detto che ha ricevuto 18 proposte di lavoro nel mondo da varie strutture. Quali?

Non lo dico a nessuno, sennò entrano in competizione tra di loro.

Ah. È vero che ci sono tensioni nel suo reparto?

Sono il primario, mica il fruttivendolo. Non transigo quando qualcuno non rispetta i protocolli, divento cattivissimo.

È vero che ha scritto messaggi e lasciato note vocali ai dipendenti annunciando che non accetta comportamenti irriverenti nei suoi confronti, minacciando licenziamenti?

Se questo è il suo giornalismo, andrà lontano.

Mi interessa capire il clima all’ospedale.

Chi se ne frega. Pensi al plasma non a me.

Ma io le sto domandando del plasma, per esempio nella sperimentazione a Pavia dicono che sono morti tre pazienti e da lei nessuno…

Sono morti da loro, mica da me.

Venturi dell’ospedale di Pavia parla della plasmaterapia con più prudenza.

Che vada a studiare, dica a Venturi che studi.

Mi dicono che lei selezioni con grande attenzione i pazienti per non fallire la sperimentazione…

Non abbiamo mai arruolato nessuno che non avesse insufficienza respiratoria. Se scrive corbellerie se ne assume la responsabilità.

La smette di minacciare?

Non mi fido.

Lei ha la vocazione a fare il martire.

Il plasma convalescente diventerà un modello per le epidemie future, si ricordi.

Ma lo è già, è usato per Ebola, Sars…

E allora perché non l’hanno usato prima di noi, nel mondo occidentale?

Non ha iniziato Pavia prima di voi?

No, carina, vede com’è brava lei, non conosce la tempistica degli arruolamenti.

Perché mi chiama “carina”? Non abbiamo questa confidenza.

È un modo affettuoso. Lei riporta le discussioni con miei infermieri? Allora le dico che l’altro giorno mi ha chiamato un suo collega del Fatto e mi ha detto delle cose terribili su di lei, mi sono vergognato per lui.

Su di me?

Se io domani scrivessi un post su quello che ha detto il suo collega su di lei non farei un bel lavoro no?

Un collega che parla male, càpita.

Non uno, mi hanno telefonato in tre. Tutti hanno parlato di lei e gli ho sbattuto il telefono in faccia, sono un signore io.

Caspita, in tre!

Chiaritevi, hanno detto cose pesantissime. Vede, come lei si fida di persone che parlano di me…

Vabbè, non mi interessa.

Scriva che io mi sono prostituito sui giornali e in tv per parlare di plasma, faccia la giornalista seria.

Si candiderà con la destra?

Sono un primario felice, ho un gruppo di medici favolosi, lavoro con Franchini che è un amico. Secondo lei mollo per fare il sindaco o l’assessore a Mantova? Io lascio l’ospedale per 6 mesi solo se posso presentare il Festival di Sanremo.

È serio?

Sì, è il mio sogno da sempre, con mia figlia che fa la cantante che scende le scale dell’Ariston.

Quindi la politica non le interessa? E il selfie con la Cappellari della Lega col logo del partito?

Se me lo chiede un altro, lo faccio con un altro.

Be’ oggi è in diretta con Salvini, parla con Radio Padania, la Maglie…

Lei è amica di politici?

No.

Peccato avrebbe potuto chiedere ai 5 Stelle di retwittarmi.

Ma perché non si limita a lavorare e pubblicare i risultati?

Perché la visibilità serve. La mia Regione si è fidata a lungo di Burioni e poi guardi dove siamo andati a finire. In un altro Stato Burioni non farebbe più il virologo.

Ma che le ha fatto Burioni?

Ce l’ho con certa scienza che non si assume le responsabilità. Galli dovrebbe spiegare perché ha detto certe cose all’inizio, così come Salvarani. Queste persone hanno condizionato la politica. Ora però devo fare una call col Brasile, questo lo può scrivere se vuole.

Grazie, ma io scrivo tutto.

L’importante è che non scriva della donna incinta, glielo chiedo come un fraterno amico.

Ma se mi ha minacciato per 40 minuti.

Non è vero. Glielo chiedo col cuore in mano: se non scrive di lei, le farò fare l’esclusiva quando partorisce.

Arrivederci.