Razza predona

Anche se ogni tanto litighiamo, sono un po’ amico di Massimo Giannini, specialmente da quando fu cacciato dalla Rai dell’Innominabile e lo difesi. E ieri il suo editoriale su La Stampa mi ha fatto male. Non per me, che non c’entro niente. Per lui. Dopo mezza vita passata a denunciare giustamente i conflitti d’interessi politico-affaristico-editoriali di B., tentava di negare il conflitto d’interessi politico-affaristico-editoriale dei suoi editori Agnelli-Elkann. E, così, senza volerlo, lo confermava. Diversamente da B, la Real Casa torinese non ha mai avuto bisogno di entrare direttamente in politica: fin dalla fondazione oltre un secolo fa, è sempre stata “governativa per definizione”, come diceva il capostipite Giovanni Agnelli. Perché ha sempre avuto ai suoi piedi quasi tutti i governi, convinti – anche in cambio di tangenti e buona stampa – che “quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia” (Gianni Agnelli). E infatti anche La Stampa, salvo rare parentesi, è sempre stata governativa. Almeno fino a due anni fa, quando andarono al governo due partiti – 5Stelle e Lega – troppo selvaggi per piacere ai soliti salotti, anche se poi Salvini vi è stato subito cooptato. Intanto la Real Casa si comprava pezzo dopo pezzo pure Repubblica, fino alla brutale cacciata di Verdelli e all’arrivo di Molinari, sostituito a La Stampa da Giannini.

Così il giornale più vicino al Pd è passato all’opposizione del governo che ha riportato al potere il Pd, insieme al quotidiano governativo per definizione. Il tutto mentre l’editore incassava da Banca Intesa un assegno di 6,3 miliardi garantiti dallo Stato grazie al dl Liquidità dell’orribile governo Conte. Il vicesegretario del Pd Orlando ha fatto due più due, come chiunque osservi i movimenti dei grandi gruppi finanziari ed editoriali: lorsignori, con i loro media al seguito, non ne hanno mai abbastanza e ora vogliono rovesciare il governo per spartirsi comodamente gli 80 miliardi delle due manovre anti-Covid e quelli in arrivo dall’Ue. Nessuno ha mai parlato di ”complotto” o “congiura”, termini evocati da Giannini (che tira in ballo financo gli odiatori di Liliana Segre e di Silvia Romano) e da quel furbacchione di Mieli per ridicolizzare un tema serissimo: qui si tratta di interessi economici, che sarebbero legittimi se non usassero i media per i propri comodi. Conte, pur tutt’altro che ostile alle imprese, è inviso all’establishment lobbistico-finanziario perché non è un premier à la carte (come lo erano quasi tutti i predecessori). E per giunta non è stato scelto dai soliti noti, ma nientemeno che dai barbari 5Stelle.

Infatti viene attaccato ogni giorno con pretesti ridicoli (gli orari e la punteggiatura delle conferenze stampa) e fake news (nulla a che vedere con la legittima critica) da tutti i grandi quotidiani, fino all’altroieri sdraiati su governi infinitamente peggiori. “Nessuno ci ha mai ordinato alcunché”, “i giornalisti non prendono ordini dall’editore”, giura Giannini. Non ne dubitiamo: certe cose non c’è neppure bisogno di ordinarle. Si fanno col pilota automatico, conoscendo i desiderata dell’editore. Che, quando è vero, ha il solo interesse di vendere i giornali. Ma, quando è finto o “impuro”, usa la stampa per fare affari anche tramite la politica. Vale per gli Elkann, Caltagirone, gli Angelucci, Cairo e anche i De Benedetti. Quando scoppiò lo scandalo della soffiata dell’Innominabile all’Ingegnere sul dl Banche, Repubblica non scrisse una riga: censura dell’editore o autocensura dei giornalisti? E le recenti cronache da Coppa Cobram fantozziana dei due giornali della megaditta sul prestito garantito a Fca erano frutto di ordini superiori o di spontanee obbedienze inferiori?

La Razza padrona descritta da Scalfari prim’ancora di fondare Repubblica e poi di venderla a CdB, non è un’invenzione. Giannini assicura che questa è “un’idea rozza” che “non esisteva neanche negli anni 50, quando a Torino la Fiat e il Pci costruivano la trama delle relazioni industriali del Paese”. Sarà, ma allora e anche molto dopo la Fiat (“la Feroce”) aveva “reparti confino”, schedava gli operai per le loro idee e, quando ne moriva uno in fabbrica, La Stampa, sotto dettatura della capufficiostampa Fiat, tota Rubiolo, scriveva che era “deceduto in ambulanza nel trasporto in ospedale”. Negli anni 90 era cambiato il mondo, ma quando sul Giornale mi azzardai a raccontare il processo sulle tangenti Fiat, il condirettore Federico Orlando fu convocato in corso Marconi da Agnelli e Romiti, che gli chiesero di non farmi più scrivere. Montanelli pregò Orlando di non dirmelo neppure e continuai a scrivere liberamente. Un anno dopo, siccome perseveravo, il capufficio stampa Fiat mi convocò per minacciare di stroncarmi la carriera. Me ne fregai, ma solo perché non lavoravo per giornali Fiat. Ne Il Provinciale, Giorgio Bocca racconta un aneddoto su un dirigente Fiat che rende bene l’idea: “Mi trovai in una villa del Monferrato in casa di un dirigente che un po’ brillo abbracciava alle spalle la sua tota

segretaria e le diceva in piemontese: ‘Ninìn, lo senti l’acciaio?’. E lei brancicava nei suoi pantaloni con una mano, senza girarsi…”. Ecco, oggi la sede legale è in Olanda. Ma l’acciaio è sempre lì dietro, in Italia.

I videogame arrivano in tv: prossima tappa, volare alle Olimpiadi

A 10 minuti dalla fine, Zlatan Ibrahimovic segna il gol del 2 a 2 contro l’Inter. È l’11 aprile scorso, in pieno lockdown, e si gioca il derby della madonnina. Non siamo al San Siro, blindato per la pandemia, ma sul videogioco Pro Evolution Soccer del gigante giapponese Konami. A manovrare Ibra col joystick, comodamente sul divano, c’è il calciatore del Milan Rafael Leao. Lo sfidante è Sebastiano Esposito, giovane attaccante dell’inter, che vede sfumare la vittoria e s’accontenta del pareggio (virtuale, s’intende). Il match è andato in onda sulla piattaforma Dazn, conduzione di Diletta Leotta e telecronaca di Stefano Borghi. Con lo sport in quarantena, per i fan a digiuno ci sono gli avatar dei videogiochi sui canali Sky: calcio, tennis, basket, soprattutto motori. Il pubblico apprezza, a giudicare dall’exploit sui social: dal 1º aprile al 10 maggio, l’ e-sport sulla pay-tv ha innescato più di 570 mila interazioni su Facebook, Instagram e Twitter (circa 14 mila al giorno, secondo Nielsen). Ben il 69% riguarda la Formula 1, il 18% il MotoGP.

Gli sport elettronici (e-sport) volavano prima del virus, la quarantena ha messo il turbo. Lo ha spiegato Luigi Gubitosi, amministratore delegato Telecom, come riporta Bloomberg: “Abbiamo registrato un incremento superiore al 70% del traffico sulla nostra rete nazionale, con un grosso contributo dei giochi online come Fortnite”. Persino l’Oms, dopo aver incluso il gaming disorder tra le dipendenze patologiche, ha esortato a impugnare la consolle durante l’isolamento. Il mercato è pronto ad esplodere: in Italia vale circa 30 milioni di euro. Su scala mondiale, il fatturato supererà a fine anno il miliardo di dollari (+15,7%). Nel 2020 saranno oltre 270 milioni le persone che assisteranno a una gara elettronica. Per dare un’idea: l’anno passato l’industria globale dei videogame valeva 120 miliardi di dollari, più di musica e cinema insieme. Una galassia confinata all’universo internet, fino ad oggi.

La frontiera, ora, è conquistare le olimpiadi e i palinsesti televisivi. Perciò l’8 maggio è nata la Fide (Federazione italiana discipline elettroniche), dall’unione di 2 associazioni di settore: Gec (Giochi elettronici competitivi) e ITeSPA (Italian e-Sports Association). Paolo Blasi, presidente ITeSPA, non si nasconde: “Vogliamo essere riconosciuti come disciplina sportiva dal Coni, per volare alle Olimpiadi di Los Angeles nel 2028”. Il mondiale degli e-sport si giocherà a novembre, in Israele: “Nelle gare globali – dice Blasi – la nazionale dei ‘videogiocatori’ è già un team sportivo, infatti c’è l’antidoping”.

In Italia (secondo Nielsen) l’anno scorso 350 mila persone seguivano quotidianamente eventi di e-sport (+35% rispetto al 2018). 1 milione 200 mila, invece, vi si dedica una volta a settimana (con un balzo del 20%). Anche il governo s’è interessato: il Decreto Rilancio stanzia 4 milioni di euro a fondo perduto per sostenere le software house italiane dei videogiochi. Non saranno la priorità della pandemia, gli esport, ma di sicuro il business del futuro.

Ecco gli spot, moralistici e banali per rifare “il trucco” alle aziende

Città deserte, gente che suona la chitarra ai balconi, volti rugosi sorridenti, bandiere tricolori, slogan e hashtag inneggianti alla resistenza del popolo italiano e al futuro che verrà. Il tutto su noti sfondi musicali palpitanti emozioni o con voci narranti di attori di peso. No, non si tratta né di servizi dei tg né di comunicazioni istituzionali di comuni e città, ma delle nuove pubblicità aziendali ai tempi del covid-19. Visti i tempi grami, e la chiusura in casa, quasi tutti i brand hanno deciso infatti di rivedere lo stile comunicativo, a partire da chi vendeva beni inaccessibili– vedi automobili – per finire con tutti i marchi della grande distribuzione alimentare. Esselunga, ad esempio, ha scelto le note di Over the Rainbow, per far scorrere le immagini di quelli che stringono “i denti sotto la mascherina” e danno una mano “nonostante i guanti”. Come un girasole di Giorgia, invece, è l’opzione di Conad, mentre sulle note di True colors, Carrefour lancia il solenne messaggio: “Oggi più che mai una spesa non è solo una lista. Sono gli ingredienti che rendono migliore ogni tuo giorno”. È invece un tripudio all’#Italiacheresiste lo spot di Barilla, dove la voce di Sophia Loren celebra la “vita che grida dai balconi”, “chi dà tutto senza chiedere nulla” e “la bellezza che non smette mai di ricordarci ci siamo”.

La pubblicità di Fca ci ricorda invece che ci “siamo sempre rialzati più forti di prima perché siamo italiani”, mentre Toyota, sullo sfondo musicale di Nessun dorma, ha ingaggiato Bebe Vio e altri atleti per sottolineare che “certe volte la vita è cattiva”, ma bisogna reagire e le “cicatrici ti fanno diventare speciale”.

Talmente simili sono gli spot, in Italia ma anche all’estero, che un account youtube li ha messi insieme mostrando come gli slogan siano identici, le parole chiave pure – “famiglia”, “casa”, “insieme”, “persone” – e questo indipendentemente dal fatto che si tratti di compagnie assicurative o di aziende che fanno sughi pronti. Certo, il momento richiedeva un cambio rispetto alla banale promozione del prodotto, tanto che ricerche di mercato hanno evidenziato che il pubblico si aspettava soprattutto il racconto di cosa il brand avesse fatto per migliorare la situazione. Di più: in certi casi, lo spot ci ha persino guadagnato, vista la generale bruttezza della pubblicità italiana, nota per l’uso di luoghi comuni e la mancanza di ironia.

Ma alla fine resta comunque un po’ paradossale che le aziende si ergano a dispensatrici di valori morali. E non perché non li abbiano, la pubblicità può avere un’anima, ma per il tripudio eccessivo di retorica e buonismo, così come per l’immancabile caduta, alla fine, nello stereotipo e, manco a dirlo, l’assenza di leggerezza intelligente. Insomma, forse in un periodo già denso di sermoni, uno spot spiazzante, ironico, avrebbe forse aiutato e divertito più di mille video uguali. Osannanti le virtù del popolo italiano, la bellezza delle cadute, l’orgoglio del rialzarci (semmai ci riusciremo).

Nuovi titoli del Tesoro, investitori trattati da scemi e qualche rischio

Parte oggi il collocamento di un nuovo titolo del Tesoro indicizzato all’inflazione italiana, preceduto dal solito coro di apprezzamenti più o meno patriottici. È il Btp Italia maggio 2020-25, codice Isin IT0005410904, che di per sé non è una schifezza. Anzi, è un titolo difensivo grazie all’aggancio appunto al costo della vita con un rendimento reale lordo al minimo dell’1,4% più l’inflazione, se positiva. Ciò non esclude comunque le brutte sorprese, vedi il precedente Btp Italia ottobre 2019-2027, ugualmente emesso a 100, che ora quota 93 euro. Per chi tiene tali titoli fino alla scadenza, c’è poi anche un piccolo premio di fedeltà.

Non nascondiamoci però dietro a un dito. Il problema per questa emissione è il solito. È la preoccupante situazione dei conti pubblici italiani. L’indebitamento dell’Italia, prima sul 135%, si appresta a raggiungere l’angosciante livello del 160% del prodotto interno lordo; e forse anche a superarlo. Ciò non implica il crac dell’Italia, ma il timore può diffondersi più rapidamente di un virus. Certo che l’aumento dei debiti pubblici è un fenomeno generale. Solo che in Germania si parla di un aumento dal 59% al 70%: è molto diverso.

È quindi opinabile l’opportunità di aderire all’offerta del Tesoro. Aggiungiamo il fatto che esso ha annunciato una nuova tipologia di titoli per i risparmiatori entro l’anno. Meglio quindi tenere comunque liquidità da destinare eventualmente a essi. In ogni caso lasciare soldi fermi sul conto è un comportamento saggio e prudente, al contrario di quanto dicono e scrivono sedicenti esperti. In realtà vogliono solo fare guadagnare banche e cosiddetti consulenti. Per questo pressano i risparmiatori a prendersi sul groppone le loro trappole e li trattano da imbecilli se stanno fermi. Cioè liquidi.

Certo che rispetto a fondi, polizze, certificati ecc. è più prudente mettere qualcosa in questi Btp. In particolare potrebbe convenire vendere Btp a tasso fisso, meglio ancor se con guadagni fiscalmente coperti da minusvalenze pregresse, per passare a questi o ad altri titoli con aggancio al costo della vita.

C’è poi una cosa che dà sempre fastidio coi Btp Italia. Il fatto che i risparmiatori vengano trattati come investitori di seconda categoria, condannati a decidere con informazioni incomplete. Possono infatti sottoscrivere i Btp Italia solo prima dell’annuncio ufficiale del tasso d’interesse reale definitivo, forse dell’1,4% e forse maggiore. Invece gli investitori istituzionali (fondi, banche ecc.) possono farne richiesta dopo che esso è stato reso pubblico.

Dai congedi alle colf: le misure del Decretone per le famiglie

Nel decreto Rilancio, il più corposo di sempre – in pratica due manovre finanziaria da 55 miliardi di deficit e 150 miliardi di stanziamenti – trovano spazio anche rinnovi e nuove misure per le famiglie. Dai congedi parentali ai bonus babysitter, dallo smartworking all’abbonamento dei mezzi di trasporto, vediamo insieme gli aiuti previsti.

Bonus babysitter. Con 67,6 milioni di euro è stato rifinanziato e raddoppiato il sostegno per i genitori lavoratori. Passa da 600 a 1.200 euro per le famiglie che hanno figli sotto i 12 anni. Duplicata anche la somma prevista per medici, infermieri e tutti i lavoratori pubblici e privati della sanità, ma anche per il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico che ora potranno richiedere 2 mila euro. Ha diritto al bonus anche chi ha figli disabili sopra i 12 anni. Può essere utilizzato anche per pagare le rette dei centri estivi o dei servizi per l’infanzia destinati a chi ha dai 3 ai 14 anni per i mesi da giugno a settembre 2020. Non è però compatibile con il bonus asilo nido. Il bonus si deve chiedere all’Inps che lo eroga mediante il Libretto Famiglia. I beneficiari del bonus devono registrarsi sul sito dell’Inps nell’apposita sezione dedicata e, dopo l’approvazione della domanda, devono effettuare la cosiddetta “appropriazione” del bonus entro il termine di 15 giorni dalla ricezione della comunicazione di accoglimento della domanda. Potranno essere remunerate tramite Libretto Famiglia le prestazioni lavorative di baby-sitting svolte a decorrere dal 5 marzo e sino al 31 luglio 2020 per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 30 giorni.

Congedo parentale. Con 1,5 miliardi è stato riconfermato anche il congedo parentale che i soli dipendenti del settore privato possono richiedere fino al 31 luglio per un massimo di 30 giorni. Vale per i genitori che hanno figli di età non superiore ai 12 anni. Durante questi periodi, coperti da contribuzione figurativa, viene riconosciuta un’indennità pari al 50% della retribuzione. Confermati anche per maggio e giugno altri 12 giorni di permesso retribuito per i fruitori della legge 104.

Smartworking. I genitori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni hanno diritto a svolgere il lavoro agile, da remoto, fino al termine dello stato di emergenza. La condizione è che nel nucleo familiare non ci sia un altro genitore non lavoratore o che qualcuno sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito. Il ricorso allo smartworking può avvenire anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando questa modalità sia compatibile con il proprio lavoro. Si può lavorare anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente se non sono stati forniti dal datore di lavoro.

Lavoratori domestici. Prevista anche un’indennità da 500 euro mensili per i mesi di aprile e maggio per colf e badanti, anche con più contratti di lavoro, che alla data del 23 febbraio 2020 lavoravano oltre 10 ore settimanali. La eroga l’Inps e sono disponibili 460 milioni. Non devono esserci conviventi con il datore di lavoro né aver richiesto altre indennità del Cura Italia.

Reddito di emergenza. È una delle misure (vale 1 miliardo) più attese che possono richiedere tutti i residenti in Italia con Isee inferiore a 15.000 euro e limiti di patrimonio più generosi di quelli del Reddito di cittadinanza (10.000 euro per una famiglia con una sola persona, incrementati fino a 20.000 euro per famiglie con più componenti e incrementati di 5.000 euro se ci sono soggetti disabili o non autosufficienti). Il valore del reddito familiare deve essere inferiore a 400 euro per le famiglie composte da una sola persona che cresce all’aumentare del numero dei componenti fino a 800 euro. È una misura che tutelerà circa un milione di lavoratori instabili, precari e intermittenti.

Abbonamento trasporti.

Va richiesto all’azienda di trasporto presso cui l’abbonamento è stato acquistato. Si deve allegare la prova del possesso del titolo di viaggio in corso di validità che deve essere stato acquistato prima di marzo 2020. In un’autocertificazione si deve dichiarare di non aver potuto fruire del servizio.

Bonus vacanze. Previsti fino a 500 euro per i nuclei familiari con Isee sotto i 40 mila euro, con quote a scalare (350 per nuclei di due persone, 150 per una sola). Va utilizzato solo in Italia, in un’unica soluzione e per l’80% sotto forma di sconto e per il 20% in forma di detrazione.

Acquisto di bici. È previsto uno sconto del 60% della spesa sostenuta anche per i monopattini e le biciclette a pedalata assistita. Il bonus può arrivare al massimo fino a 500 euro e vale per chi vive in città con almeno 50mila abitanti. L’acquisto va fatto dal 4 maggio al 31 dicembre 2020.

I miei attori preferiti sono “cani”

Questa cosa che un attore incapace venga chiamato “cane” non mi va giù. Per rispetto ai cani soprattutto! Mentre passeggio con la mia Nina sotto i platani di lungotevere in un pomeriggio di primavera, per la prima volta noto in lei un portamento austero e sorridente che mi ricorda una grande attrice, Mariangela Melato. Ho cominciato a fare questo gioco, a chiamarla Mariangela, e ho cominciato a chiamare i cani che incontro per le vie di Roma con nomi di grandi attori del passato. La volpina del mio vicino per esempio, con quel guaito irresistibile, è Rina Morelli. Il meticcio bianco col muso un po’ sbilenco e sornione, è uguale a Luciano Salce. Il bastardino arruffato che trotterella dietro un cancello è Tino Schirinzi. Poi c’è Tino Buazzelli, un molosso bonario e rumoroso. Ma anche Tino Carraro, un bracchetto dallo sguardo sagace. Quando abbaiano tutti insieme è un “ribollir di Tini” con grande disappunto di Paola Borboni, una maltesina anziana, incazzata e claudicante. Il mio preferito è Paolo Poli, un dalmata elegantissimo e sorridente, che corre dietro ad Amedeo Nazzari, un fascinoso levriero afgano. Il cocker dell’altro isolato è sempre impegnato a mettere i suoi giochi nel giardino, lo fa col rigore d’un regista: lui è Luca Ronconi. I due bassotti che gli fanno compagnia non se lo filano proprio, come attori indisciplinati, sembra lo deridano, e loro sono Corrado Pani e Paolo Panelli. E poi c’è Carmelo Bene, un randagio dagli occhi vispi che s’aggira solitario e lupesco nelle campagne, seguito da un botolo tutto nero e arruffato, dallo sguardo dolce, che è Memè Perlini. Nelle mie passeggiate di primavera con Mariangela, mi stordisco con la bellezza prepotente di Roma, sogno di fare il grande teatro, e ripasso nella mente i miei attori preferiti, cani per l’appunto.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Condominio: la vita assurda e banale del gruppo egoista

Il condominio è il contenitore narrativo che Enrica Bonaccorti ha scelto di usare per il suo terzo “romanzo” (Il condominio, Baldini + Castoldi ) che non è un romanzo ma un’opera buffa. L’autrice (donna spiritosa e bene orientata nello spettacolo, ma anche colta) costruisce il testo come un rapidissimo lego, affidando la parte musicale (“l’aria irata del generale”, il coro festoso dell’Interno 12 ) al lettore; che, per godersi questo libro molto allegro e con molte cose da ripensare, deve per forza avere qualche riferimento non banale con il mondo dello spettacolo.

Bonaccorti usa anche con bravura un espediente che le abbiamo visto adottare spesso nelle “presentazioni” televisive e nelle connessioni (per lei tipicamente agili ) fra un “numero” e l’altro. È l’uso di un “ridicolo calmo” (cito Veronesi ) oppure di un grottesco educato in cui l’interlocutore è identificato dalla battuta da ridere, e a quella risata può associarsi. Mano a mano che i protagonisti di Condominio (più vivace copione di spettacolo che romanzo) entrano in scena o (come accade spesso nel teatro comico) attraversano la scena per andare altrove, lo spettatore si rende conto che la trovata del “condominio “ come luogo di Teatro (e sarebbe bello trasformarlo in spettacolo) è molto più di un espediente. È la presentazione e interpretazione di una forma di convivenza unica e prima inesistente: la comunità egoista, la comunanza separata, il confine invalicabile del territorio comune.

Strano che non vi siano studi o riflessioni sociologiche su un’organizzazione della vita asociale allo stesso tempo semplice e complicata, banale e assurda, ovvia e inconcepibile. Una giramondo come la Bonaccorti sa bene come, negli Stati Uniti, essere proprietari di di un appartamento in un palazzo dà luogo a due formule diverse e opposte di uso e godimento della proprietà di ciascuno. E anche nel caso americano le parole coprono la realtà.

“Condominio” è la proprietà libera e senza impegni di sorta, senza regole e regolamenti che non siano le leggi federali: rumori, numero di inquilini, feste sul terrazzo condominiale e nello spazio di ingresso, le fa chi le può fare (vedi dimensione e determinazione delle famiglie o dei loro amici). “Cooperativa” (Coop) è la proprietà regolata, protetta (da patti rigorosi) e fatta scrupolosamente osservare in cambio di obbligata e armoniosa convivenza. Tu sei a tutti gli effetti il proprietario. Ma i proprietari, in un’assemblea prevista e richiesta dalla legge, eleggono, tra i membri della stessa assemblea, il consiglio di amministrazione che propone e fa votare le regole. Una volta approvate, quelle regole sono valide in tribunale, come il codice civile. Il condominio americano è più selvaggio e arrischiato di quello italiano. La formula di convivenza proprietaria detta “Coop” è una comunità chiusa ed esigente che accetterà eventuali nuovi acquirenti solo alle regole già stabilite e solo dopo una intervista personale di membri del condominio con aspiranti condomini.

Ecco l’importanza del “romanzo” allegro (ma non così allegro) di Enrica Bonaccorti. Ci racconta la vita comunitaria italiana nel Paese meno comunitario dell’ Occidente, dove la presunzione del Generale Fioretti e signora (interni 7 e 8) prevale sul buon umore gentile del Colonnello Bellosio (con bella moglie, interno 12) e solo le infinite variabili delle relazioni umane (con tutti i colori dell’arcobaleno come avrebbe detto la Bonaccorti quando si occupava di canzoni) determinano la sequenza degli eventi. Certo non le regole.

Caro Conte, l’arte e la cultura sfamano famiglie, non sono solo “divertimento”

Dire, come ha detto Giuseppe Conte, “abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e appassionare” è peggio che una gaffe, è provincialismo. Quella del presidente del Consiglio è una precisa idea della produzione artistica: un passatempo e nulla più. Conte, insomma, tanto si appassiona dell’arte da mettere tra parentesi un mondo fatto di famiglie che trovano il pane grazie al lavoro di fonici, elettricisti, artigiani, impiegati e precari. Sono gli anonimi lavoratori che al botteghino consegnano solo la speranza di raggranellare merda, tanta e tantissima merda* e così campare grazie al sipario.

Dire, degli artisti, “ci fanno divertire” equivale al “cantami una canzone” ­ o, “raccontami una barzelletta”, con cui i partecipanti a un rinfresco, riconoscendo un cantante o un attore, lo chiamano a esibirsi su due piedi. Corrisponde alla convinzione che la qualità speciale di un maestro del palcoscenico sia – più o meno – quella di un rubinetto o quella di juke-box, senza l’incomodo del gettone. Il prezzo della fama, si dirà. Al prezzo della fame, però. Alla costruzione dei famosi partecipano i soldati del “dietro le quinte” e se certi deficit di stile propri della gentuzza ordinaria vanno a replicarsi nelle istituzioni è il segnale di un ritardo culturale dell’intera società italiana. Le star che in tempo di pandemia si sono prodigate in intrattenimento da remoto pur di piegarsi, per dirla col professor Gervasoni, al pandemicamente corretto, hanno assecondato l’idea di cantare una canzone e dire una barzelletta su due piedi.

L’Italia è uno strano posto dove gli artisti giammai sono ribelli, anzi, sono sempre solleciti verso lo status quo. Questa è una storia vecchia, il rassicurante perbenismo ha intossicato tutte le muse ma il prontarsi di molti vip – su due piedi, via skype – è significato altro: con la schifezza in termini di resa artistica via web si sono messi sotto le scarpe tutte le figure necessarie alla costruzione di un “fatto” artistico.

La precisa idea del presidente del Consiglio – lo spettacolo come passatempo – è stata consolidata da tutti loro. Presi dalla smania etica, ben pasciuti nei loro lussuosi appartamenti, sorvolano su quel divertimento che è, innanzitutto, un costrutto di economia e industria. Un teatro che può aprire subito, anche stamattina, è il Teatro Greco di Siracusa. Sta all’aperto, con tutte le possibilità di distanza che si vogliano per pubblico e attori. Ed è una vera e propria Fiat, quel teatro di Eschilo, Sofocle ed Euripide, per tutti i bei piccioli che genera. La prima cosa che Mosca fa, sorgendo dal crollo dell’Urss – lo ricordate? – è riprendersi il Bolshoi.

Genio e sregolatezza camminano sulle gambe dell’artigianato. Lo spettacolo – soprattutto la messa in scena dal “vivo” – è bene di prima necessità anche oltre lo stesso indotto. Dove c’è una compagnia teatrale, dove cresce un’orchestra, laddove un paese si dà un sipario erge un riparo alle formichine operose d’ingegno. La vera smania, invece che cinguettare delazioni agli smascherati, deve essere estetica perché con la cultura s’imbottisce davvero il panino. Ogni pagina di Shakespeare riguarda falegnami, costumisti, traduttori e dunque stampanti, pieni di benzina, B&B, posizionamento luci, cavi, specchi, cipria e – appunto – panini. In ciascuna di quelle pagine c’è la viva merda.

*Nel gergo teatrale merda significa pubblico, dunque soldi, quindi pane (anzi, panini).

Ricordiamo Falcone senza nave della legalità. L’equipaggio è sul web

Per fortuna. Sì, per fortuna c’è la rete. E poterlo dire subito dopo l’immondo assalto a Silvia Romano tira su il morale. Mi piace, e tanto, questa possibilità di non retrocedere davanti al Covid e di celebrare lo stesso una delle più grandi giornate della memoria del nostro Paese. 23 di maggio 1992, Capaci, la strage che provò a eliminare dalla vita pubblica Giovanni Falcone, e che, nonostante la mostruosa quantità di tritolo, non ci riuscì. È vero, non si potrà ripetere l’esperienza della Nave della legalità, quella che dal 2007 approda ogni maggio il 23 mattina a Palermo arrivando da Civitavecchia con il suo carico di giovanissimi studenti e insegnanti in festa. Sul molo Maria Falcone e centinaia di bambini siciliani con le bandierine a dare il benvenuto; mentre dietro il portello della nave spingono ammassati uno dietro l’altro mille ragazzi a cui quella giornata, come tanti di loro hanno detto, cambierà la vita. Spettacolo indimenticabile per chi l’ha vissuto; ma che in tanti hanno bollato come futile passerella di autorità.

Ecco, tutto questo non ci sarà. Un vuoto autentico. Perché a dispetto delle critiche quella nave è ormai uno dei simboli più belli e romantici del movimento. Ma il Paese per fortuna non è in disarmo. E in queste settimane la creatività si è data da fare. Promuovendo dalla Sicilia a Milano dirette auto-organizzate. Si è dato da fare soprattutto il gruppo di giovani che da anni fa da centrale organizzativa e morale di questo appuntamento al ministero dell’Istruzione, ruotando intorno a una giovane capo dipartimento ormai molto conosciuta, Giovanna Boda. Proprio così. Uno dei simboli, nell’immaginario collettivo, della burocrazia dei faldoni, i concorsi, le graduatorie dei supplenti, i famigerati programmi ministeriali, è in realtà dal 2006 un motore vitale dell’antimafia. Sono cambiati i governi ma questa novità li ha attraversati magicamente tutti, tale è la forza morale che ancora gli eroi di questa guerra antica riescono a comunicare alle generazioni.

Stavolta, mentre la nave fa da ospedale nel porto di Genova, il viaggio lo farà la Rai. Che sabato mattina ospiterà i tipici incontri con le autorità. Ma farà pure vedere agli italiani alcuni insegnanti e studenti che si sono impegnati sul tema della legalità. Per dare al pubblico il volto della lotta silenziosa di ogni giorno. E poi nel pomeriggio andrà all’albero Falcone. Stavolta, purtroppo, senza assembramenti. Ma con l’invito a mettere a quell’ora sul proprio balcone un lenzuolo bianco, il simbolo disperato e poetico della rivolta delle donne di Palermo dopo le stragi. Che ogni 23 maggio torna a riempire le vie cittadine, reclamato dagli studenti in marcia verso l’albero. “Lenzuolo, lenzuolo” ritmano i palermitani, con i giovani ospiti che si guardano interrogativi, per convertire l’interrogativo in brivido quando una signora s’affaccia e srotola davvero un lenzuolo tra gli applausi che salgono in strada. Mettiamolo tutti, quel lenzuolo. Anche se al gruppo dei giovani e delle giovani del ministero resta il rimpianto che “quest’anno non si parte”. “È un appuntamento che aspettiamo sempre per mesi, è bellissimo ritrovare persone che ci danno fiducia, sentire il fiato pulito della nostra scuola, mescolarsi con quelle belle facce, alzarsi alle 6 con Pavarotti sparato nelle cabine e poi cantare sul ponte i Cento passi”.

Ma arriva ora la notizia più importante. Ho detto ad alcuni di questi giovani che avrei voluto parlare qui di loro. Mi hanno risposto di no, che non vogliono essere citati. “Siamo una trentina, una parte a Roma, una parte anche a Palermo, con la fondazione Falcone. Alcuni sono inquadrati al ministero, altri arrivano solo per queste settimane dalle università. C’è chi ha vinto il concorso, chi sta facendo la tesi di laurea. Non sarebbe giusto parlare solo di quelli che lei conosce, siamo in tanti. Preferiamo di no, non nomini nessuno. Parli semmai dell’equipaggio della nave ministeriale. Noi siamo quello. E ci basta”.

Accidenti, eppure avrei voluto dipingere certi occhi grandi come bicchieri, certi sorrisi che si usavano un tempo, certe euforie da innamorati. Ma l’immagine più bella che posso trasmettervi forse è proprio questa. C’è chi, sui social, usa i nickname per non vergognarsi di quello che scrive. C’è, invece, chi non dà il suo nome quando potrebbe vantarsene. Chi venderebbe sua madre per avere il nome sul giornale. E chi per rispetto a Falcone e per solidarietà di squadra lo rifiuta. Ma che bello, questo equipaggio, si può dire?

Covid, il tempo guadagnato: “Siamo morti come mosche per scoprire il lavoro da casa”

 

Cara Selvaggia, mi sento un po’ cinica a scriverti queste righe. Qualcuno potrebbe indignarsi (e tu sai bene oggi com’è facile) e quindi premetto ciò che è ovvio: questa pandemia è una tragedia immane, soffro per i morti tanto quanto per i vivi, che non sanno per quanto tempo resteranno tali, tra il contagio del virus e quello della povertà. Però una piccola parte di me, quella che riesce ancora a guardare avanti e intravedere il mondo che sarà, vede anche il lato positivo. Qualcosa che un terremoto come questo ci ha insegnato per sopravvivere, ma che se resta ci insegna anche a vivere meglio. Sono una delle fortunate che in questi mesi ha potuto continuare a lavorare in smart-working, e sai cos’abbiamo scoperto in ufficio? Che la produttività non cala, anzi, non mi sono mai sentita così produttiva. Sveglia alle sei, doccia al volo, trucco, colazione terribilmente veloce e povera, e poi corsa, fermata del tram, tragitto, lavoro. Pausa pranzo al bar con una roba surgelata o riscaldata, pagata troppo, prima di tornare dietro alla scrivania con il cibo ancora sullo stomaco. Poi via, di ritorno all’ora di punta, con il tram pieno del crepuscolo, che arrivi a casa e non hai tempo di fare la spesa, di prepararti qualcosa che è già sera. È esser produttivi questo? Ora mi sveglio un’ora e mezza dopo, faccio mezz’ora di yoga (le dirette hanno creato un mostro), mangio un frutto che faccio in tempo a sbucciare e mi siedo davanti al computer con il caffè ancora caldo. Quando ho voglia mi fumo una sigaretta, a pranzo cucino io, appena finisco posso pensare a me e non al ritorno. La spesa non è più una preoccupazione perché la faccio una volta alla settimana; sì c’è un po’ di coda ma è tutto così meravigliosamente lento. Ho riscoperto il mio quartiere, l’aria, lo spazio e il tempo. Questo virus ha tolto a tanti il tempo, ma credo che a tutti gli altri ne abbia fatto dono. Un dono di cui voglio far tesoro perché è costato dolore e sacrificio ma, proprio per questo, mi domando: era proprio necessario? Dovevamo morire come mosche per capire che si può andare più piano senza per questo andare meno veloce? Per capire che lavoro non vuol dire fatica e privazione ma anche tempo per sé e benessere? Spero finisca tutto il più presto possibile, ovviamente. Che trovino un vaccino al virus, ma non a questa nuova coscienza.

Silvia

 

Cara Silvia, da casa, resta anche il tempo per mandare mail preziose come questa. Mail su cui magari tutti non saranno d’accordo, ma che stimolano riflessioni interessanti su come e quanto possa cambiare ancora il mondo del lavoro. Grazie.

 

Lombardia: test del sangue a pagamento, tamponi pure

Le scrivo (che novità) su Coronavirus e fase 2 in Lombardia. Dopo i sintomi, a fine febbraio ho chiesto al mio medico di sottopormi ai test sierologici. Forse un eccesso di preoccupazione, ma con una bimba di 8 mesi volevo la certezza di essere “immune” (che poi, chi l’ha capito se si è immuni?). Il medico di base però non mi ha mai risposto. Così, quando li hanno privatizzati, ho mandato una mail all’Habilita (una struttura privata), perché si sa, chi fa da sé fa per tre. Dal 6 di maggio, nessuno mi ha risposto. Il 12 maggio, telefono e finalmente mi danno appuntamento per l’indomani. Io e il mio compagno riusciamo a fare questi benedetti esami del sangue (coda infinita nonostante al telefono specifichino che per evitare assembramenti è di vitale importanza essere puntuali) e sulla prenotazione scrivono che i referti saranno disponibili online il 19 maggio. Sul sito e sul modulo che ho firmato, precisano che in caso di esito positivo ci contatteranno. Per puro caso decido di vedere se hanno pubblicato online i referti e, a sorpresa, ci sono: positivi. Bene, lo comunico al mio medico di base, che non sa cosa devo fare: forse dovrei sentire l’Habilita e a soli 90 euro (!) mi faranno un tampone. E mi raccomanda l’isolamento fiduciario. Per scrupolo chiamo il numero verde della regione Lombardia (sono di Bergamo) e cosa mi dicono? “Aaaah signora, non so cosa dirle, per noi i tamponi privati non hanno alcuna valenza e non ce ne occupiamo, provi a chiamare il suo medico!” (nemmeno accennano all’isolamento). Nel caos, nessuno mi ha avvisata dei risultati dei test: potrei essere in giro e (se ancora positiva) infettare chiunque. Intanto, oggi tante persone tornano al lavoro. Non so se sono più indignata perché non frega niente a nessuno di 2 test sierologici positivi, o per il fatto che i tamponi dovrò pagarli 90 euro cadauno, dopo averne spesi già 40 (a testa) per il test. E se fossi tra quelli che non hanno avuto la cassa integrazione, o un professionista in attesa dei 600 euro? Sto in isolamento a vita? Ultima domanda: visto che l’autocertificazione non serve più, chi controlla che io non esca di casa? Sono preoccupata e mi chiedo: quanti sono nella mia stessa situazione? Temo che la Lombardia sia una bomba pronta ad esplodere.

P.s. Mia suocera lavora come personale ausiliario in un noto ospedale di Bergamo, trasporta i malati tra i reparti, anche i Covid accertati, quasi sicuramente lei stessa l’ha contratto, ma ad oggi nessuno le ha fatto alcun tampone.

Valentina

 

Come ho già detto altrove, Fontana dice che c’è un pesante atteggiamento anti-Lombardia ed ha ragione: è il suo.

 

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