Due “padri”: Giacomo Brodolini, il socialista, e Carlo Donat-Cattin, il cattolico democratico. E due grandi “madri”: due delle “levatrici” ideali della politica e della società del Novecento, il socialismo riformista e la dottrina sociale della Chiesa.
Per li rami, l’identità essenziale dello Statuto dei Lavoratori – oltre che nelle lotte operaie dell’Autunno Caldo del 1969 – è tutta qui: racchiusa nell’impronta di due ministri del Lavoro e nelle loro idee fondative di un impegno e di una coerenza.
Brodolini, marchigiano e in gioventù antifascista nel Partito d’Azione, passò poi al Psi di Pietro Nenni e arrivò nel dicembre del 1968 alla guida del ministero del Lavoro, nel primo governo guidato dal dc Mariano Rumor, portandosi dietro l’esperienza di vicesegretario nazionale della Cgil. Dove, in accordo con Giuseppe Di Vittorio e attirandosi gli strali di Palmiro Togliatti, fu l’estensore del documento che condannava l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956.
Il suo esordio è tragico, ma nello stesso tempo pone le basi per l’avvio di un riforma che riguardava i diritti e la dignità del lavoro e che proprio da un grande socialista, Filippo Turati, era stata battezzata per la prima volta con quella definizione: “Statuto dei lavoratori”. Sono i “Fatti di Avola”: quando in Sicilia, il 2 dicembre 1968, due persone rimasero uccise dopo che la polizia aveva aperto il fuoco contro i manifestanti che chiedevano l’abolizione delle “gabbie salariali” in agricoltura. Il 24 giugno dell’anno seguente, Brodolini farà ancora in tempo a presentare il disegno di legge per il futuro Statuto, ma dovrà dimettersi all’inizio dell’estate per le sue gravi condizioni di salute: morirà di cancro l’11 luglio.
All’inizio di agosto, nel nuovo esecutivo ancora guidato da Rumor, il dicastero tocca a Donat-Cattin. Piemontese di origini savoiarde, giovane dirigente antifascista nel Comitato di liberazione di Ivrea (Torino), giornalista e poi sindacalista della Cisl negli anni della contrapposizione alla Cgil a “trazione comunista” ma anche delle battaglie sindacali contro la Fiat guidata dal “padrone” Vittorio Valletta. In quel momento, Donat-Cattin è il leader della corrente di Forze Nuove che incarna le posizioni della sinistra sociale della Dc e anche le innovazioni sindacali delle Acli. Sarà il ministro dell’Autunno Caldo, sino a meritarsi il titolo di “ministro dei lavoratori”, imporrà ad Agnelli e alla Confindustria il contratto dei metalmeccanici nel dicembre del 1969, nei giorni di Piazza Fontana e nelle stesse settimane in cui riuscirà a strappare al Senato il primo sì alla legge che, dal 1970, porterà per sempre la sua firma.
A unire quei due destini e quelle diverse ma convergenti aspirazioni riformiste, sarà il giuslavorista (e poi anche lui ministro del Lavoro) Gino Giugni, lo studioso di area socialista al quale Brodolini aveva affidato il compito di scrivere il testo. Il professore, a un certo punto, avrà dei dubbi. Soprattutto su quell’articolo 18 poi oggetto di tanti scontri, ma Donat-Cattin sembrò parlare anche a none di Brodolini e gli replicò: “In questo momento si può fare tutto”.
E appena due anni più tardi, nel discorso di inaugurazione della neonata Fondazione Brodolini presieduta proprio da Giugni, toccherà ancora a Donat-Cattin difendere quella battaglia: “Si è infatti iniziato a discutere e a mettere in forse le conquiste dei lavoratori, con richieste di restaurazione dei vecchi equilibri…”.