Al lavoro senza protezioni: “E se ti lamenti, ti licenzio”

Post su Facebook sulla carenza di mascherine in fabbrica: licenziato. Video anonimo, poi ripreso da giornali online e tv che testimonia in quali condizioni operano gli addetti delle residenze socio-assistenziali, diventate focolai: richiamo disciplinare al presunto autore. In alcuni casi, la voglia di difendersi durante una pandemia è costata caro a chi ha denunciato problemi di sicurezza sul posto di lavoro. È l’altra faccia delle imprese, che fanno la guerra all’Inail chiedendo lo scudo penale ma poi ricorrono al licenziamento per “giusta” causa, perché mal sopportano un “danno di immagine”. Soprattutto dopo che è stato chiarito – se mai non fosse scontato – che gli imprenditori inadempienti sulle prescrizioni anti-virus, intenzionalmente o per colpa, possono subire un processo.

Da una struttura per anziani di Milano, nel complesso di Corvetto, un mese fa è uscito un filmato che mostrava i letti di pazienti morti per coronavirus ancora “non sanificati”, come spiega la voce in sottofondo. Il video ha avuto subito risonanza mediatica: è stato prima pubblicato da Repubblica.it poi è entrato in un servizio di PiazzaPulita , facendo infuriare i vertici della Proges, la cooperativa che gestisce la struttura. L’impresa ritiene di aver capito chi fosse l’autore del filmato e ha inviato una contestazione.

Per l’avvocato Massimo Laratro, che difende con il collettivo Giga Workers la lavoratrice accusata, non ci sono prove che riconducano a lei. Ha poi aggiunto che casi del genere si stanno moltiplicando a Milano. Il più clamoroso riguarda la Fondazione Don Gnocchi. Un gruppo di dipendenti della cooperativa Ampast, che lavora con la onlus, ha parlato per giorni nelle trasmissioni tv e con i giornali di irregolarità sull’utilizzo delle mascherine, puntualmente negate dalla fondazione, che dice di non aver vietato mascherine ma di aver solo invitato a un uso razionale. A ogni modo, su quanto segnalato ora sono in corso inchieste della Procura di Milano e nell’attesa di capire a che cosa porteranno le indagini, la Don Gnocchi ha esercitato la clausola di non gradimento verso quei lavoratori (è prevista negli appalti: il committente dice alla ditta in appalto che gli addetti non gli vanno bene): hanno quindi subito un provvedimento disciplinare e uno è stato licenziato perché parlando con la stampa avrebbero “leso l’immagine della cooperativa e della Fondazione”.

Ci sono storie simili pure nelle aziende private rimaste aperte nonostante il lockdown. Un operaio dell’ex Ilva di Taranto ha scritto sulla sua bacheca Facebook che in fabbrica le mascherine distribuite e i gel igienizzanti non erano sufficienti. Circostanza della quale, tra l’altro, avevano parlato in una nota unitaria anche i rappresentanti di Uilm, Fim, Fiom e Usb. Come spiegato dal sindacalista Usb Franco Rizzo, Arcelor Mittal ha risposto licenziando il lavoratore per esser venuto meno il rapporto di fiducia.

Una lavoratrice di un’Autogrill fuori Roma, dopo aver lasciato un commento sulla bacheca social della trasmissione di Barbara D’Urso, in cui sosteneva che gli operatori sono “lasciati in balìa degli eventi”, è stata messa alla porta dall’azienda.

Anche un ex dipendente di un’azienda che fornisce servizi cimiteriali a Barletta ha scoperto la pericolosità di Facebook: ha condiviso un articolo in cui la Filcams Cgil sollecitava la distribuzione di dispositivi di protezione; la settimana dopo è stato licenziato per il danno di immagine.

Gianluca Teratone – operaio della Nuroll di Caserta, stabilimento di film in poliestere – è invece stato troppo prudente. Sua moglie lavora come infermiera nel carcere di Secondigliano. Nel penitenziario ci sono stati casi di contagio e per questo, dopo averlo comunicato ai suoi superiori, ha ottenuto due giorni di ferie (seguiti da altri due di malattia) in attesa di ricostruire i contatti avuti dalla sua consorte. Dopo alcuni giorni, è venuto fuori che la donna non aveva avuto interazioni con i malati e, non avendo sintomi, non le è stato fatto nemmeno il tampone. Il test sierologico ha confermato la negatività. Una buona notizia? Non proprio. Teratone – che è anche delegato Filctem Cgil – ha ricevuto una lettera di licenziamento. Per l’azienda, avrebbe “cercato di approfittare dell’emergenza in corso per assentarsi dal lavoro”.

Fca: pressing di Pd, 5S e Leu. Ma Gualtieri “non ci sente”

Il vicesegretario dem Andrea Orlando non parla mai per caso. E il suo attacco di sabato contro Fca (“Riporti la sede fiscale in Italia se vuole gli aiuti”), che si avvia a ricevere una garanzia statale a un prestito bancario di 6,3 miliardi tramite Intesa Sanpaolo, non ha sorpreso nessuno al Nazareno. È solo l’ultima spia dell’irritazione che da qualche giorno il Pd, ma anche gli alleati di maggioranza M5S e Mdp-Leu, provano nei confronti del ministero dell’Economia sul tema degli aiuti di Stato. “Il problema è che non sempre Gualtieri ci ascolta” fanno sapere dai piani alti del Nazareno. Un vero problema per il segretario Pd Nicola Zingaretti, che non può fare a meno dell’ex vicepresidente dei Socialisti Europei a Bruxelles come numero due di Conte. I due si sentono quotidianamente per concordare le strategie di governo ma sul tema degli aiuti di Stato alle imprese ormai si è arrivati al muro contro muro.

La proposta a fine aprile era uscita dal cappello del Nens, l’ufficio studi di Vincenzo Visco e Pierluigi Bersani: limitare gli aiuti solo alle aziende che hanno sede legale e fiscale in Italia. La proposta avrebbe escluso dagli aiuti aziende come Fca della famiglia Elkann/Agnelli (sede legale in Olanda e fiscale in Inghilterra), ma anche Mediaset (Olanda) e la Ferrero (Lussemburgo). Ma dalla Commissione Europea è arrivato un no secco: “È illegittimo”. E allora i giallorosa hanno provato ad aggirare il niet con una strategia precisa: chiedere a ogni multinazionale che voglia ottenere gli aiuti di pubblicare un report country-by-country che indichi ricavi, utili e la contribuzione fiscale in Italia e solo in base a quello decidere se concedere o meno le garanzie. “La posizione del Pd sul tema è chiara – dice il responsabile economia dem Emanuele Felice, molto vicino a Orlando – chiediamo a Fca e alle altre aziende che chiedono gli aiuti di rendere pubblici i propri rapporti, è un principio di responsabilità fiscale”. Problema: questi report vengono trasmessi all’Agenzia delle Entrate ma non sono pubblici, nemmeno al Tesoro. L’idea della maggioranza era quella di obbligare la pubblicazione dei report per via parlamentare, ma quando è arrivato il momento di scremare gli emendamenti, quello del M5S è saltato all’ultimo momento: non c’è il sostegno del Mef. Per lo stesso motivo il Pd non riesce a vedere inserita la norma in uno degli ultimi decreti, dallo stesso “Liquidità” al “Rilancio”.

A rendere nuvoloso il cielo tra la maggioranza e Via XX Settembre è anche il parere negativo del Tesoro arrivato ieri in Commissione Finanze su due emendamenti di Leu, sostenuti pure da Carlo Calenda, che vieterebbero di distribuire bonus e stock options ai manager e dividendi per tutta la durata dei prestiti garantiti (6 anni). Un provvedimento, quest’ultimo, che creerebbe non pochi problemi a Fca. Gli accordi per la fusione con Peugeot prevedono che nel 2021 l’ex Fiat stacchi agli azionisti un dividendo straordinario di 5,5 miliardi (1,5 andranno alla Exor degli Agnelli). Il dl Liquidità invece impone uno stop ai dividendi solo per 12 mesi. Sono passati invece gli emendamenti di Francesco Berti (M5S) e di Nicola Fratoianni (Leu), per escludere dagli aiuti tutte le aziende con sede nei paradisi fiscali ma extra-europei. Un pannicello caldo che lascerebbe strada libera a Fca: “È una mediazione per non aiutare le imprese che hanno sede nei paradisi fiscali” spiega il deputato grillino in Commissione Finanze, Raphael Raduzzi. Berti (M5S) prova a rilanciare: “Chi vuole garanzie dallo Stato deve pagare le tasse in Italia per intero” ma dal governo sembrano fare orecchie da mercante. Favorevolissima agli aiuti a Fca è invece Italia Viva con Luigi Marattin: “Semplicemente, in quei Paesi il diritto societario è più efficiente, la giustizia più veloce, e le tasse un po’ più basse” tuìtta di prima mattina. Se Romano Prodi ritiene “legittimo” l’aiuto all’azienda di casa Agnelli ma vincolato agli “investimenti in Italia”, sabato sera il premier Conte ha spiegato che non è un “privilegio” a Fca.

Febbre in spiaggia: la scienza secondo Jole

In questi giorni di emergenza sanitaria capita anche che si facciano nuove e sorprendenti scoperte nel campo della biologia. Per esempio che l’uomo è un animale pecilotermo. Vale a dire che se lo piazzi in un ambiente caldo, magari sotto un bel sole torrido, vede impennare immediatamente la propria temperatura corporea, al pari degli animali a sangue freddo come i rettili, gli anfibi e i pesci. Possibile? Sembrerebbe proprio di sì, almeno secondo la presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, che a in una intervista rilasciata a Sky TG24 a proposito della misura della rilevazione della temperatura per poter accedere a uno stabilimento balneare ha rifilato a tutti una perla: “Misurare la febbre a 40 gradi all’ombra? Di cosa stiamo parlando? Con 40 gradi all’ombra chi non avrà 37 gradi di temperatura corporea? Questo è un esempio di quando si calano alcune cose astratte nella realtà e sembrano una barzelletta. Anche scienziati e medici sembra stiano aumentando la confusione che c’è in atto”.

Già, una barzelletta, comunque la si guardi. E per ora l’hanno presa così anche i medici e gli scienziati calabresi. Qualcuno a dire il vero, prima di ridere, si è un po’ indignato. Giusto per il ruolo istituzionale rivestito dalla Santelli. Perché sarà pur vero che il caldo di certe estati italiane si porta dietro un bel po’ di quotidiane metafore – come quella in base alla quale, avvolti dall’afa, andiamo tutti in “ebollizione” – ma bene sarebbe non prenderle troppo letteralmente, queste metafore. Tanto per non fare – questa volta sì – confusione, sradicando l’uomo, con un colpo solo, dalla classe dei vertebrati costituita dai mammiferi. Tutto nato dalle dichiarazioni della Santelli sull’incontro tra Regioni e Governo per definire le linee guida sulle riaperture di oggi.

“A fare confusione è solo la presidente Santelli – dice per esempio Filippo Larussa, medico e segretario del sindacato dei camici bianchi Anaao della Calabria -. Lo sanno anche i bambini che tutti i mammiferi, persino le capre, sono dotati di un meccanismo di autoregolazione della temperatura corporea interna: è per questo che con il caldo si suda”. C’è da dire che qualche attenuante Santelli ce l’ha. È un avvocato non certo una scienziata. E la foga potrebbe averle preso la mano: perché in effetti, a pensarci bene, se le cose stessero così come dice lei, con un clima torrido avremmo tutti la febbre e nei gelidi inverni saremmo, sempre tutti, in forma smagliante. “La comunità scientifica non è affatto confusa – prosegue Larussa -. È evidente che il rialzo della temperatura corporea nell’uomo è non direttamente proporzionale alla temperatura atmosferica ma semmai può variare in relazione a stati fisiologici o a una sfilza infinita di stati patologici, infettivi o infiammatori. Se poi le dichiarazioni di Santelli sono state un modo astruso per dire che con il caldo il virus si indebolisce sappia che non c’è ancora alcuna certezza scientifica”.

Oggi riaprono tutti tranne De Luca: “Niente accordo”

Oggi si riaprirà quasi tutto e quasi ovunque, sperando nel buon senso dei cittadini e nella buona sorte. Con il dpcm firmato ieri del premier Giuseppe Conte e del ministro della Salute Roberto Speranza nasce la nuova fase 2. Ma parte carica delle scorie di una domenica notte di trattative tra governo e Regioni. Così il governatore dem Vincenzo De Luca a Mezz’ora in Più annuncia che oggi in Campania non riapriranno “né bar né ristoranti né altro” perché “vogliamo un’interlocuzione con le categorie per prepararle”.

De Luca rivendica di non aver firmato l’accordo sulle riaperture chiuso alle 3 del mattino: “La Campania non è d’accordo, non è possibile che il governo scarichi le decisioni sulle giunte. Dal 3 giugno ci potrà spostare tra Regioni? Il 2 valuterò”. Da palazzo Chigi rispondono dritto: “L’intesa non è con i singoli governatori ma con la Conferenza delle Regioni, vale per tutti” (vero, il dpcm è stato emanato dopo aver “sentito il presidente della Conferenza delle Regioni”). Ergo, “De Luca alza la posta per avere visibilità, perché a luglio potrebbero esserci le Regionali” soffiano ambienti di governo. Ma resta il nervosismo degli altri governatori. Domenica hanno preteso che le linee guida condivise per le riaperture fossero “richiamate nelle premesse e allegate al provvedimento”. Per chiarire che la responsabilità di una nuova impennata di contagi sarà innanzitutto del governo. E poi c’è il governatore della Lombardia Attilio Fontana: “Abbiamo aperto tutte le attività possibili con regole più severe rispetto ad altre Regioni. Tra una settimana valuteremo i risultati”. Ecco alcune misure del dpcm.

Anziani e Malati Da oggi ci si potrà muovere liberamente nella propria regione, a patto di rispettare il divieto di assembramento e di indossare la mascherina nei casi prescritti. Ma chiunque abbia la febbre sopra i 37,5 gradi dovrà restare a casa. Non solo: “è fatta espressa raccomandazione” a tutti gli anziani o affetti da patologie croniche o da più malattie, oppure con stati di immuno-depressione “di evitare di uscire fuori dai casi di stretta necessità”.

Mascherine Via libera alle mascherine fai da te. Vista la penuria nelle farmacie, il dpcm prevede che “possano essere utilizzate mascherine di comunità, ovvero monouso o lavabili, anche auto-prodotte”, purché siano “in materiali multistrato idonei a fornire adeguata barriera e garantiscano respirabilità”.

Spiagge Gli stabilimenti balneari potranno riaprire, a condizione che le Regioni lo ritengano compatibile con l’andamento dei contagi e che “individuino i protocolli o le linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio”. Andrà garantito uno spazio di “almeno dieci metri quadrati” per ogni ombrellone, mentre sarà obbligatoria “una distanza di almeno un metro e mezzo tra le attrezzature di spiaggia (lettini, sedie a sdraio), quando non posizionate nel posto ombrellone”.

Musei Riaprono con l’obbligo di contingentare le presenze, per garantire la distanza di un metro tra i visitatori.

Palestre e piscine Dal 25 maggio palestre, centri sportivi e piscine potranno riaprire (in Lombardia dal 31). Negli spogliatoi e nelle docce andrà rispettata la distanza minima di un metro. Gli attrezzi e le macchine che non possono essere disinfettati non devono essere usati.

Viaggi Dal 3 giugno ci si potrà spostare tra una regione e l’altro, e soprattutto viaggiare all’estero, ma con alcune limitazioni. Ci si potrà recare negli stati membri dell’Ue e dell’accordo di Schengen, nonché in Gran Bretagna, Andorra, Principato di Monaco, San Marino e Città del Vaticano. Fino al 15 giugno per andare altrove saranno necessarie “comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.

Ma mi faccia il piacere

Viva la Fca (che dio la benedca)/1. “L’innovativo accordo riconoscerebbe il ruolo del settore automobilistico nazionale” (comunicato Fca, 16.5). “Formula innovativa. Un modello per tutta l’economia”, “È un’operazione del tutto innovativa, quella che vede protagonista Fca, il governo e Intesa” (Francesco Manacorda, Repubblica, 17.5). “Va sottolineata la portata fortemente innovativa dell’operazione… per la ripartenza del sistema industriale” (Teodoro Chiarelli, La Stampa, 17.5). Miliardi pubblici alla Fiat: una cosa mai vista.

Viva la Fca (che dio la benedca)/2. “Il prestito fino a 6,3 miliardi di euro che la prima banca italiana si avvia ad assicurare con la garanzia pubblica della Sace a Fca Italy, capogruppo del colosso automobilistico del nostro Paese, servirà ad assistere con nuova liquidità tutta la filiera del settore ‘automotive’, raggiungendo decine di migliaia di lavoratori e di piccole e medie imprese… Il primo grande prestito garantito dallo Stato dell’era post-Covid19… coinvolge, anche grazie alla forza di una grande azienda multinazionale fortemente radicata in Italia, … imprese e lavoratori sul territorio e dà una spinta forte all’economia” (Manacorda, ibidem). Ah ecco, non li prendono per sé, ma per i lavoratori e le piccole imprese. Lo fanno per noi.

Viva la Fca (che dio la benedca)/3. “È un esempio che mette in secondo piano le polemiche in queste ore sul fatto che la holding Fca e la sua controllante Exor … abbiano sede legale in Olanda” (Manacorda, ibidem). Vuoi vedere che, niente niente, Repubblica e Stampa hanno qualcosa a che fare con la Fca?

Viva la Fca (che dio la benedca)/4. “La scelta di spostare la sede delle holding fuori dall’Italia è stata ed è comune a molte multinazionali italiane non solo per vantaggi fiscali offerti da altre legislazioni, ma anche per una linearità del diritto societario che in Italia è difficile trovare” (Manacorda, ibidem). Quando si dice parlare del Manacorda in casa del finanziato.

Test o croce/1. “Sconsiglio il test sierologico, ma in caso di positività la Regione lo rimborsa” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, Italpress,17.5). Quindi ammalarsi conviene.

Test o croce/2. “Sì, io ho posto il problema delle regole di comportamento… uguali in ogni regione. Ma poi ognuno si regola come meglio crede” (Fontana, La Stampa, 16.5). Ma un bel Tso no?

Giù le manette. “Gli errori li ha fatti il governo. Giù le mani dalla Lombardia” (Roberto Formigoni, ex presidente Regione Lombardia, rubrica “La frustata”, Libero, 17.5). Ce le vuole rimettere lui?

Rosé. “A Conte dico: la nostra pazienza è finita” (Ettore Rosato, presidente Iv, Riformista, 9.5). Brrr che paura.

Bluff. “La sconfitta di Bonafede… Non si possono rimandare i mafiosi in carcere per decreto, checché ne dica la propaganda del M5S” (Annalisa Cuzzocrea, Repubblica, 7.5). “Bluff di Bonafede sui boss scarcerati” (il Giornale, 11.5). “Flick svela il bluff del governo ‘No, il decreto Bonafede non riporterà i mafiosi in carcere’” (Il Foglio, 13.5). “Ritorna in cella il boss Sacco” (Corriere della sera, 13.5). “Zagaria tra i primi a tornare in carcere” (Repubblica, 14.5). Quindi, se non è il dl Bonafede, sono i boss che tornano in galera spontaneamente?

Comprensione. “Capisco l’imprenditore che si è tolto la vita” (Silvio Berlusconi, Libero, 11.5). Non aveva una villa in Costa Azzurra.

Cazzullate. “Le lacrime della Bellanova sono state forse il momento migliore di questo governo” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 16.5). Sono soddisfazioni.

Al Renzhab. “Per salvare Bonafede dalla sfiducia, Italia Viva rivuole la prescrizione” (Il Dubbio, 13.5). Cos’è, una richiesta di riscatto?

Neurodeliri. “Questi neuro comunisti al potere espopriano il nostro spazio vitale” (Marcello Veneziani, La Verità, 15.5). “Abusi, cialtronerie, crisi gravissima. Urge gente seria o esplode la bomba” (Veneziani, ibidem, 13.5). Perchè autoescludersi così?

I governi della settimana. “Conte nuova bestia nera del M5S” (La Verità, 12.5). “Conte nel mirino del fuoco amico. L’ira degli alleati: 5Stelle allo sbando” (Messaggero, 12.5). “La crisi è in atto” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 13.5). “Premier sotto assedio. Il Pd: ‘Così non va’. E spinge per il rimpasto” (il Giornale, 14.5). “Rissa M5S e tutti contro Conte” (Messaggero, 14.5). “Il governo dei tamponi: anche il rimpasto al buio potrebbe essere letale” (Augusto Minzolini, il Giornale, 15.5). “Assedio giallorosso a Conte: vogliono imporgli l’agenda” (il Giornale, 16.5). “Governo in lockdown tra affanni e sospetti” (Verderami, Corriere, 16.5). Ci siamo: praticamente è fatta.

“Mio padre Camus, un uomo solo che amava tutte le minoranze”

Il collegamento nella diretta streaming è un po’ difficoltoso, tuttavia le parole di Catherine Camus, e il suo volto sorridente e gentile, arrivano comunque e regalano memorie e speranza alla platea online del Salone del Libro di Torino in versione “Extra”. Intervistata qualche giorno fa dal giornale inglese The Guardian, la figlia di Albert Camus (1913-1960) ha ricordato che aveva quattordici anni (è nata nel 1945 assieme al fratello gemello Jean) quando lesse per la prima volta La peste. È il romanzo di suo padre uscito nel 1947, sebbene l’avesse concepito agli inizi degli anni Quaranta, che è diventato ora uno dei libri più letti e riletti in Europa in questi tempi pestilenziali o pandemici. “Il messaggio de La peste“, ha detto Catherine, “è vero oggi come lo era ieri, e lo sarà in futuro. Sono contenta di sapere che si legga ancora e che parli ai lettori: c’è un messaggio che dà loro speranza, e questo è molto importante”.

Suo padre la chiamava affettuosamente proprio “Peste”, mentre il fratello Jean era “Colera”. Stimolata dalle domande di Paolo Flores d’Arcais, nel live del Salone Extra che avrebbe dovuto ospitare anche Roberto Saviano, ma con lui il collegamento non ha funzionato, Catherine parla di un Camus che portava i figli piccoli “a giocare al calcio e a pescare”, che arrivava a casa con le tasche piene di chewing-gum per loro, e di lei e di Jean che non si rendevano conto allora di avere come babbo uno dei grandi della cultura del Novecento. “Non sapevo a quel tempo”, spiega, “che fosse celebre. Adesso sono quarant’anni che leggo i suoi libri”. Rammenta: “Mio fratello lo trattava come uno scrittore di serie B, e mio padre rideva”. Un giorno, continua Catherine, “quando avevo otto anni, lo vidi seduto in salotto, con gli occhi bassi. Gli chiesi: ‘Sei triste?’. Mi rispose: ‘Sono solo’”.

Sì, era solo, Albert Camus, morto nel gennaio di sessant’anni fa in un incidente stradale. Era osteggiato a sinistra e a destra, bersagliato dai fascisti e dai comunisti, attaccato dai mostri sacri come Jean-Paul Sartre, e difeso dagli anarchici (ma non sempre) e da ex comunisti come il nostro Ignazio Silone. Dice Catherine: “I dittatori lo odiano ancora oggi. Mio padre era sempre al fianco degli esseri umani. Per lui democrazia era il rispetto delle minoranze. Ogni essere umano, diceva, è un essere unico. Gli si può volere bene o male, però si deve rispettarlo, questo essere umano. Lui amava il pensiero del Sud: il giusto mezzo, insomma. Così a destra lo consideravano troppo di sinistra, e a sinistra troppo di destra”.

L’assurdo, la rivolta, l’amore: ecco i temi centrali, i cicli, dell’opera di Camus, riassunti da Flores d’Arcais. Soprattutto quel suo Mi rivolto dunque siamo. La rivolta, risponde Catherine, “per mio padre è la vita stessa. Quindi la rivolta è solidale, dunque ‘mi rivolto dunque siamo’. Ma la rivolta non dice soltanto ‘no’, ma dice anche ‘sì’. Ci si rivolta per qualcosa. In lui c’era una tensione personale verso tutte le contraddizioni”. Nei mesi del Covid-19, peste moderna, vale sempre quel messaggio del romanzo, della Peste, di cui parlava Catherine: “‘Credo’ , diceva Tarrou, che cominci ad amare questi uomini imprigionati tra il cielo e le mura della loro città”.

“Dalla periferia romana ai Lego, ho imparato a stare in equilibrio”

“Ho costruito buona parte di New York. E di San Francisco”.

Prego?

Ma sì, con i Lego. Ora mi hanno regalato il Big Ben, verrà alto mezzo metro, ci vorranno due settimane di lavoro.

Ha trascorso così la quarantena, Elodie?

Non mi va di lasciare le cose a metà. Vale anche per le pulizie di casa, o quando mi distraggo con i videogiochi. Sono esercizi che mi placano quando mi sento nervosa. E questo non è stato un periodo facile, per nessuno.

Con Fabio, il fidanzato che il pop conosce come Marracash, vi siete tirati i piatti?

No (ride). Abbiamo avuto discussioni, come tutti. Lui non è un uomo facile e io sono una donna complicata. Ma adesso potremo andare a trovare i nostri amici, qui a Milano. Mahmood, Dardust… È una famiglia allargata: purtroppo non eravamo considerati congiunti.

Dardust è l’autore del suo nuovo singolo, “Guaranà”. Un perfetto tormentone estivo, con lei che nel video si tuffa in mare e passeggia in solitudine sulla spiaggia. Nel rispetto delle disposizioni…

Abbiamo girato a San Felice Circeo, viaggio di un giorno, andata e ritorno in Fase 1, mascherine e guanti per lo staff. Non sono neppure passata per Roma a trovare mia madre, non era permesso. L’estate 2020 sarà un terno al lotto: nessuno sa quando avremo un vaccino, e l’immunità di gregge non è un’opzione. Ma anche l’energia di una canzone può aiutare, nel suo piccolo, ad alleviare il peso psicologico che sentiamo addosso. Sono abituata da sempre alla precarietà, ma stavolta non sono io a decidere. E lo trovo frustrante.

Tanti impegni annullati nel momento del successo vero.

Chissà quando torneremo ai concerti. Si vede che doveva andare così. Ma non amo lamentarmi. Vivo con moderazione il rapporto con la carriera. Ho raggiunto un buon equilibrio con me stessa, so tenermi compagnia. Non mi dispiace trascorrere tempo con… Elodie. Una parte di me sfida sempre l’altra. Oddio, sembro matta, vero?

Quanto si conosce, nel profondo?

Se cresci in ambienti complessi sai quale valore dare alle cose. Se un disco non va in classifica non è una sconfitta, devi solo trovare la tua strada. Mi entusiasmo di più a uscire con le amiche, mi godo le piccole cose. L’ho imparato da adolescente: vivevo al Quartaccio, zona Primavalle. Sono orgogliosa di avere lì le mie radici: papà romano, mamma delle Antille francesi, nel loro incontro c’è una ricchezza che mi ha formato il carattere. Nel mio Dna è impresso a fuoco che non sei mai un estraneo, ovunque tu sia. Il tuo Paese è dove vivi. Detto ciò, la periferia romana ti fortifica: i panni sporchi non vengono lavati in famiglia, la comunità non prevede segreti. Lì nessuno ha filtri nel confrontarsi con te, non troverai ipocriti. I falsi adulatori vengono subito smascherati, gli avversari ti dicono le cose a brutto muso. E tu devi replicare con lo stesso linguaggio. Che è l’unico codice accettato.

La bullizzavano, da ragazzina?

Non particolarmente. Tutti prendevano per il culo chiunque altro, era anche un modo di giocare. Se hai la lingua tagliente ti farai rispettare quando sei il bersaglio. A piccole dosi faccio ancora uscire, con gusto, la mia anima coatta. Meno di una volta, eh. Un giorno me ne pentii.

Quando?

Al liceo, con la prof di italiano, dedicavamo un’ora alla lettura dei giornali. Quel mattino commentavamo la pena di morte, una mia compagna si disse favorevole. Una posizione dura, risposi con veemenza. Litigammo di fronte agli altri. Capii che la violenza verbale reciproca non è mai dialogo. Dovevo lavorare su me stessa.

Dovrebbero farlo tutti. A leggere gli attacchi a Silvia Romano vien da pensare che la pandemia non abbia fatto riflettere nessuno.

La gente non è lucida, nei momenti critici della storia. In troppi danno il peggio di sé. Dovrebbero pensare, prima di parlare. Ma questo è un limite dei social, anche senza l’emergenza del virus.

A Sanremo ci fu uno scontro con Marco Masini, che l’accusava di essere “troppo magra”.

Acqua passata. È giusto che esista il contraddittorio, lo trovo onesto. Dipende da come ti esprimi. Io non sarò mai sospetta di esaltare l’anoressia, non inviterò altre ragazze a non mangiare. È che ho un metabolismo che brucia calorie. Comunque risponderò sempre da pari a pari sia ai colleghi, sia ai fans o agli haters.

Come ne usciremo mentalmente, da questa peste?

Non migliori. Né nel rapporto con gli altri né in quello con l’ambiente. Siamo su questo pianeta da centinaia di migliaia di anni, ma la nostra evoluzione è ancora ai primi passi. Sarebbe l’ora di capire che non siamo i padroni della Terra, ma ospiti. Non possiamo comprarcela.

Lei intanto ha cambiato look: queste treccine afro…

Sono finte. È un modo di evadere, un ritorno alle origini. Me le ha fatte mia madre, come quando ero bambina. Da femminuccia dovevo distinguermi dai maschietti. Prima dell’età dello sviluppo.

“Per Totti ho pianto giorni, da Veltroni la tessera Pci. Tra Vasco e il Liga? Vasco”

Anna Pettinelli è un po’ come Francesco Pannofino quando doppia George Clooney, e la voce diventa più caratterizzante del personaggio stesso. Così è lei, la riconosci dalla prima sillaba di “pronto”, e subito dopo spinge sull’acceleratore di pensieri e concetti, senza reali incertezze o rallentamenti, ma è costante, pratica, diretta, consapevolmente sfrontata; ha il timer nella testa e la trance agonistica nel taschino di chi, da 40 e passa anni e ogni giorno (su Rds), affronta la diretta radio e deve mantenere la giusta verve e argomenti seducenti. “Eppure non sento la pressione e quando ascolto un professionista abbattersi per l’emozione, mi incazzo”.

Come ha iniziato?

Il confine è marcato “1975”: mio padre era un grande appassionato di musica, passione trasmessa a me, e già da giovanissima rompevo per ottenere i vari pezzi dello stereo, quindi un super sintonizzatore, il giradischi, le casse potenti; poi nell’estate di quell’anno, quando ero in vacanza in Toscana, ascoltavo le frequenze di Radio Montecarlo…

E…

Continuai a Roma con le due stazioni libere del tempo, e le chiamavo a ripetizione per richiedere i brani, tanto da diventare amica con la ragazza che rispondeva al telefono; poi quel 28 dicembre si ruppero gli argini: “Perché non ci vieni a trovare?”. La sera stessa stavo da loro.

Ogni quanto chiamava?

Tutti i giorni e per due o tre volte; allora era così, gli ascoltatori erano pochi, la gente non conosceva l’esistenza delle radio libere; insomma, sono andata, e proprio quella sera mancava la terza voce, così uno dei due conduttori si rivolse a me con un “dai, piazzati al microfono”. Non ho più smesso.

Sembra il film “Radio Freccia” di Ligabue…

È esattamente così; inoltre a casa possedevo un po’ di dischi ed ero padrona di una buona conoscenza musicale. Ero proprio giovane.

Com’era in classe?

Spesso assente.

Solo radio?

No, mi interessavo di politica, la politica attiva: quindi tessere, finanziamento, sottoscrizioni, manifestazioni, organizzazione; poi quando andavo in aula mi presentavo vestita di nero con un cappello a falde larghissime, e mi sedevo in fondo alla classe.

In sintesi?

Una stronza con il botto e molto politicizzata.

Da quale parte?

A sinistra; la domenica mi alzavo all’alba per distribuire l’Unità, e la mia prima tessera del Pci me l’ha firmata Walter Veltroni, all’epoca segretario della sezione.

Veltroni da ragazzo…

Un genio, era già Veltroni.

Tradotto.

Serissimo, impostato, acculturato, sapeva di tutto, il vero capo, e con un certo fascino dovuto al suo appartenere a una borghesia letteraria; a quel tempo eravamo proprio convinti di vivere in mezzo a una rivoluzione e che il mondo sarebbe totalmente cambiato…

Invece?

Erano sogni, oggi non mi affascino e non mi identifico politicamente con nessuno.

Insomma, manifestava.

Un paio di volte, per fuggire dalle aggressioni, mi sono rifugiata dentro la Feltrinelli, ed ero veramente piccola, perché a soli quattro anni e mezzo mi hanno iscritto alla primina; a nemmeno 13 anni ero al liceo, e il mio primo giorno di superiori è stato bagnato da un’occupazione.

Quindi…

Mamma mi accompagnò in classe, e pure la mattina dopo, quella seguente e per tutto l’anno.

Non si vergognava?

Come una pazza, ma l’età non mi permetteva alcuna ribellione; (sorride) mentre frequentavo il primo liceo, in quinto c’era Massimo Lopez, identico a come è oggi.

Cioè?

Imitava tutti i professori e ogni collettivo o assemblea veniva funestato da lui: arrivava, prendeva la parola, piazzava uno show di quindici minuti e se ne andava.

I suoi genitori la sostenevano?

Papà preoccupato, però non ho mai frequentato la parte più estrema della sinistra, non mi associavo ai “compagni che sbagliano”.

Fortuna o istinto?

Istinto e formazione famigliare; (sorride) ero abbastanza in stile “Nanni Moretti”: un’intellettualoide con un po’ di puzza sotto il naso, e giravo sempre con tre o quattro libri sotto il braccio.

La Rai e “Discoring”…

Arrivai dopo un provino, scelta tra 400 ragazzi; oltre a me presero una modella bellissima, ma non in grado di incrociare tre parole, ed Emanuela Falcetti, già giornalista; ah, precedentemente avevo lavorato a Rai3 nel ruolo di annunciatrice.

Oggi come giudica se stessa del 1980?

Come una delle poche persone con le idee ben chiare su cosa voleva e consapevole di aver contribuito a creare un nuovo linguaggio: quello radiofonico.

Ex novo.

Nel 1975 i nostri modelli d’ispirazione erano qualche cassetta registrata e qualche rivista; allora dovevi costruire un mestiere da zero e scopiazzare dov’era possibile. Per questo mi sento una pioniera.

Già allora carattere tosto.

Tremenda, e a 18 anni ero già fuori di casa.

Scelta o obbligo?

Mio padre per salvare il matrimonio decise di tornare a vivere a Livorno, città nella quale sono nata, e abbandonata a cinque anni; gli risposi: “Sei pazzo. Resto a Roma”. “Allora ti mantieni da sola”. Non avevo una casa, iniziai a dormire alla radio: chiudeva la segreteria, aprivo il divano letto, e via; accanto avevo un piccolo armadio per i vestiti.

Quanto tempo?

Due anni; (cambia tono) e senza una lira, si viveva in radio e di radio, quelle onde erano totalizzanti.

E poi?

Tra il 1978 e il 1979 iniziarono ad arrivare i primi soldi, e con il contratto Rai la situazione economica è ulteriormente migliorata.

Mamma Rai.

Non era mia madre, ma un mausoleo, con i funzionari che ci provavano con le ragazze, pieno di raccomandati, e le ballerine che la davano ai dirigenti. Uno schifo.

E lei?

Salvata grazie alla professionalità, e non ero figa.

Non si butti giù.

Ero una ragazza normale e loro avevano bisogno di gente brava.

Nel 1983 il primo Sanremo.

Ce lo dissero a gennaio: “Voi di Discoring condurrete il Festival con Andrea Giordana”, il bello del momento; io, faccia tosta, non mi scomposi.

Tranquilla.

Solo che il produttore decise di tenerci lontano dalle tentazioni della kermesse: niente albergoni o affini, ma un residence marginale e orrendo; (sorride) ero l’unica con la camera matrimoniale, poi ceduta alla Falcetti perché all’epoca aveva un amore e la necessità di vederlo.

È l’edizione di Vasco con “Vita spericolata”…

Sì, e con Isabel Russinova (una delle presentatrici) che per l’emozione piagneva ogni tre secondi e la Falcetti isterica.

Lei, no?

Sono una bestia strana, non soffro l’emozione.

Mai?

Il termine che odio maggiormente è “emozione”; mi spiego: quando Pippo Baudo, che oramai ha superato gli 80, dichiara “sono emozionato di stare qui a Sanremo”, dice un falso. Non è vero.

Perché?

Puoi sentirti felice, eccitato, smanioso, ma non emozionato; chi è emozionato ha il tremolio alle gambe, perde la parola, sente la paura, è insicuro; ma se sei preparato e conosci il mestiere, non puoi emozionarti; (si scalda) certe affermazioni mi suscitano un po’ di incazzatura.

In quel Sanremo Vasco abbandonò il palco.

Quando sei dentro la macchina sanremese, certe situazioni esistono sull’attimo, l’attimo successivo devi pensare “’sti cazzi” e proseguire; come nel 1986 e Loredana Bertè si presentò con un pancione finto.

C’è un minimo denominatore comune tra gli artisti?

Sono uguali nell’incertezza del successo: quando esce un nuovo lavoro, se la fanno sotto, temono di perdere fan e tornare a zappare la terra; ma questa condizione psicologia appartiene a tutti noi.

Tutti…

Ho visto Baudo angosciato perché era fuori dai giochi, e non era una questione di successo, ma di impegno: non aveva nulla da fare. Ed è una condizione drammatica.

La salvezza?

Passare la propria esperienza, trasmetterla ai giovani e per mia fortuna è un impegno che affronto da tempo.

Ora anche ad “Amici”.

Quella con Maria (De Filippi) è stata l’esperienza più bella degli ultimi venti anni: mi sono divertita da matti nell’insegnare ai ragazzi cos’è la musica, cos’è un vinile.

In televisione è in onda “Sapore di mare 2”, con lei tra i protagonisti.

Alt, esperienza bella, ma non sono un’attrice; in realtà eravamo un cast di pippe, con le facce di cartone; Ciavarro era solo bello, ma non si poteva sentire.

Bello, tanto.

Uno degli uomini più belli mai visti, eppure un ragazzo molto semplice; (ride) giravamo a Forte dei Marmi e il cast dormiva in un albergo mediocre, mentre a Eleonora Giorgi, da vip, avevano assegnato un super stellato: la sera andavamo a bere una birra, e ogni volta alle nove e mezzo Massimo (Ciavarro) prendeva la bici, salutava e se ne andava.

E…

Una sera lo abbiamo seguito: raggiungeva la Giorgi.

Ha dichiarato “o odio o amo”.

E purtroppo mi si legge in viso; mia figlia si raccomanda: “Per favore con i miei amici smussa”.

Sua figlia Carolina ha partecipato a “The Voice”.

È una storia non pulitissima: si è iscritta senza rivelare di me, lo hanno scoperto in corso d’opera, e hanno provato a mettermi in mezzo. Gli è andata male. Poi mi sono presentata in trasmissione per le semifinali, con la promessa di non venir inquadrata, invece hanno puntato la telecamera su di me e mi sono nascosta sotto la poltrona.

L’accusa che le rivolgono spesso?

Che sono cattiva e stronza. Senza cuore. Poi chi mi conosce si ricrede, e anche qui Maria mi ha permesso di dimostrarlo ad Amici.

A cena con la De Filippi o D’Urso?

Maria tutta la vita.

Con Sarri o Lotito?

Lotito è simpatico ma è della Lazio. Io romanista.

Vasco o Ligabue?

Vasco.

Nella foto ufficiale dell’addio di Totti al calcio c’è lei che piange.

Francesco lo amo profondamente, per me è un fratello, vorrei lui, Ilary e i bambini a pranzo ogni Natale; è l’unico uomo che quando lo vedo mi manda in confusione; (tono profondo) dopo il suo addio ho pianto giorni.

Una qualità di Totti?

È quello che appare, le cazzate che dice le pensa. È un comico. E aiuta una quantità incredibile di bambini.

Un suo vizio.

Oddio mio, mi vedo così perfetta; (ride) va bene, di voler avere sempre ragione. Ma alla fine ho ragione.

Scaramanzia.

Scale e gatti neri.

Quando si è sentita bella?

Mai. Ho sempre il culo troppo grosso, le cosce idem, la pancia, sono sempre a dieta, però adoro il vino e mi concedo un bicchiere, poi soffro per quel bicchiere, quindi mangio il gelato, arrivano i sensi di colpa e digiuno tre giorni.

Perfetto.

Adesso vedo le rughe, e se qualcuno mi definisce giovanile, je meno.

Ipocondriaca?

Assolutamente.

Lei chi è?

Sono una romanista pasionaria che come al Cavaliere nero di Gigi Proietti “non je devi rompe il cazzo”.

(Perché, come diceva Trilussa, “tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”)

 

Vita di “Littorio” la Belva Umana e le giravolte da Di Pietro a Boffo

A tavola è vegetariano. Alla macchina per scrivere, carnivoro. Il suo giornalismo è una forma mentale di body building, che nutre con le frustrazioni dei suoi lettori trasformate in estrogeni. Fuma la pipa, le sigarette, ma specialmente tutti i rancori che trova, contro i più ricchi e insieme contro i più poveri. I primi li maneggia con cautela, i secondi senza. Ama i gatti e i cavalli più degli uomini, e i meridionali più dei negri, in quest’ordine.

È nato una prima volta a Bergamo, vantandosene. La seconda a Milano, nello stanzone Cronaca del Corriere della Sera, quando nei minuti concitati della chiusura serale, qualcuno gridò: “Colleghi voglio un sinonimo di assassino!”. E dal fondo del salone, il cronista più giovane e allampanato levò in alto la mano e rispose: “Comunista!”. Risero tutti, compresi i comunisti. E uno di loro chiese: “Chi sarebbe questo spiritoso?”. Feltri. Vittorio Feltri.

Era l’anno 1977. Feltri, 34 anni, sorriso e cravatta da sbarbato di prima classe, era appena arrivato dai cugini minori del Corriere d’Informazione. Lo aveva voluto Piero Ottone, ma era diventato il cocco del suo vice, Franco Di Bella, fuoriclasse di storiacce di nera, proprio come il mitico Nino Nutrizio, il direttore della Notte, che aveva allevato il primissimo Feltri alla scuola dei titoli a scatola tipo: “Ecco la belva umana!”.

Al Corriere sbriga in fretta il suo lavoro di inviato speciale. Frequenta sarti, signore e ippodromi. Coltiva ambizione maggiori. E siccome gli viene facile semplificare il genere umano in amici e nemici, ha sufficienti attitudini per fare il direttore. Il suo primo successo è l’Europeo, settimanale di sinistra che a fine anni 80 viaggia ormai anonimo sulla scia di due corazzate, l’Espresso e Panorama. Lui cambia rotta, lo trasforma in un motoscafo armato silurante e in tre anni di polemiche e battaglie – anche contro la vecchia redazione – lo porta da 70 a 120 mila copie.

Stessa apoteosi quando sale in groppa a un cavallo quasi morto, l’Indipendente, quotidiano diretto da un educatissimo Ricardo Franco Levi che a forza di fingersi inglese stava perdendo gli ultimi lettori italiani. Al ronzino gli toglie il fieno e ci mette la birra. E siccome è l’anno 1992, quello dei portenti di Tangentopoli, costruisce, in nome del popolo, altari per Di Pietro e forche per tutti gli altri. Specie Bettino Craxi, che rinomina “il Cinghialone”, appena è sicuro che sia davvero caduto in trappola.

Il quotidiano supera le 100 mila copie, un miracolo editoriale. E anche un buon investimento visto che quando Silvio Berlusconi si toglie i guanti per scendere in politica e riempire il vuoto lasciato dai fuggiaschi della Prima repubblica, anno 1994, sceglie proprio Feltri per sostituire Montanelli alla guida de Il Giornale.

Un minuto prima dell’assalto, Vittorio fa l’offeso: “Io! Proprio io dovrei fare la pelle a Montanelli? È una cazzata!” Un minuto dopo innesterà la baionetta sul nuovo campo di battaglia, che è proprio l’opposto di quello di prima, stavolta accanto a Berlusconi, a Craxi, a “tutte le vittime di Tangentopoli”, contro Di Pietro torturatore, contro il presidente Scalfaro moralista, contro i giudici golpisti e i loro oscuri mandanti. Chi? Sempre loro, i “comunisti!”.

E siccome con la baionetta non ci taglia i tartufi, i titoli rotolano un tanto al chilo, da “Norberto Bobbio mandante morale dell’omicidio Calabresi”, fino a “La lebbra sbarca in Sicilia”, colpa dei negri invasori venuti a rubarci donne e salute. Tutti capolavori di sobrietà: “Velina ingrata” per Veronica Lario, “Patata bollente” per Virginia Raggi, ma anche “Veltroni paraculo” o “Renzi, per fermarlo bisogna sparargli”.

Per quanto si dichiari anarchico, monarchico, radicale, libertario e presidenzialista, Vittorio Feltri è un campione del giornalismo reazionario. Ogni epoca ha avuto i suoi e suonano più o meno tutti la stessa musica: spezzare le reni al nemico, qualunque sia il nemico. Nel suo caso con un imbattibile fiuto per i lettori: “Ho sempre scelto i più arrabbiati”. Ne ha trovati così tanti da raddoppiare quelli del Giornale, per poi fondarne uno in proprio, Libero, nell’anno 2000, col quale supererà le 220 mila copie, ma sempre facendo a pugni qualche volta con la legge, più spesso con la deontologia “dei parrucconi”, cioè l’Ordine dei giornalisti che lo radia e lo assolve ad anni alterni. Tutte medaglie per i suoi fan e per i suoi eredi, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti e l’agente segreto Betulla, il patriota Renato Farina, l’eroe dei Due Stipendi.

Insensibile alla coerenza, ogni volta che si è trovato a corto di argomenti o con troppe querele per quelli malamente usati, Feltri è stato capace di clamorose giravolte. La migliore con Di Pietro a cui aveva attribuito un “tesoro nascosto” di 5 miliardi di lire: tutti i dettagli in cronaca per settimane. Salvo concludere lo scoop in un giorno solo con una lettera di scuse in prima pagina, più altre due per smentire la lunga serie di bugie. Stesso copione nel caso Dino Boffo, il direttore del quotidiano cattolico Avvenire, contro il quale pubblica una falsa informativa della polizia, montando uno scandalo sessuale che pretendeva speculare a quello delle Olgettine di Berlusconi. Per poi smentire tutto, scusarsi, e per le dimissioni di Boffo, dirsi “addolorato”. Da allora “metodo Boffo” è diventato sinonimo di macchina del fango, il prototipo analogico degli odiatori digitali.

Col tempo Littorio è diventato un’icona del cattivismo: guai alla lagna del bene pubblico se interferisce con i miei privilegi privati. E man mano che la sua prosa si è fatta più greve e ripetitiva – come capitò al ringhio di Oriana Fallaci, sua somma ispirazione – è diventato più iracondo e insieme più fragile nelle sue sfuriate in pubblico, dove offre a spallate la sua dottrina del me ne frego. Dichiarandosi ricco, cinico e felice. L’eroe di un giornalismo carognone, il feltrismo, che narra l’Italia agli italiani, avvelenandoci ogni giorno un po’.

Il brutto, l’assurdo, l’incongruo: ecco come si strappa una risata

Il motivo per cui amo così tanto il mio cane è che quando torno a casa è l’unico al mondo che mi tratta come se fossi i Beatles. – Bill Maher

Degli effetti divertenti, le tre teorie classiche della comicità (sociologica, psicologica, cognitiva) hanno messo a fuoco alcuni aspetti (superiorità/ostilità, repressione/liberazione, incongruità/problem solving). Li presero per cause, mentre sono spiegazioni metaforiche del segreto comico: si ride del clown-vittima sacrificale (superiorità/ostilità) per vincere sul caos minaccioso (repressione/liberazione) che spesso è narrato come enigma (incongruità/problem solving).

Teoria sociologica. Spesso si ride di qualcuno: Aristotele (Poetica) e Cicerone (De Oratore) sostengono che la comicità sia rappresentazione del brutto negli uomini. (Consideravano effetto la premessa: il brutto serve a favorire il dispositivo del capro espiatorio.) Se nell’antichità si rideva delle deformità e delle disgrazie altrui, oggi quel tipo di comicità è giudicata inaccettabile; ma c’è chi la pratica lo stesso, apposta. Bill Burr: “Ogni persona super-intelligente dice che i robot ci uccideranno. Anche quel tizio che è morto da poco, come si chiamava? Stava sempre seduto. Stephen Hawking. Troppo superiore per alzarsi in piedi, sempre seduto, tutto supponente”. Platone (Leggi) condanna la derisione, giudicandola ignobile. Dello stesso avviso, Aristotele (Etica Nicomachea) e Quintiliano (La formazione dell’oratore). Per Bergson (1900), la risata è correzione sociale. Freud (1905) distingue la gag innocente da quella tendenziosa, che cela intenzioni ostili od oscene. Teorie contemporanee considerano la comicità una forma di sovversione, in quanto infrazione delle norme sociali; o delle norme conversazionali, analizzate da Grice (1975).

Teoria psicologica. La società impone inibizioni da cui la gag può liberare permettendo l’espressione del proibito. Freud (1905) distingue tre ambiti: comico (l’infantile), spiritoso (l’ostile/cinico/osceno) e umoristico (l’emotivo). Non ce ne sono altri. Esempio comico: Non vorrei essere una giraffa con il mal di gola (Mitch Hedberg). Esempio spiritoso: Ho chiesto a mia moglie: – C’è qualcun altro? – E lei: -Dovrebbe.- (Rodney Dangerfield). Esempio umoristico: La pubblicità di un detergente mostra che rimuove le macchie di sangue. Un’immagine piuttosto violenta. Credo che se hai una maglietta tutta sporca di macchie di sangue, il bucato non è il tuo problema maggiore. Forse dovresti liberarti del cadavere prima di fare la lavatrice (Jerry Seinfeld).

Teoria cognitiva. Aristotele (Retorica) collega la risata a un’aspettativa delusa, e ne paragona il piacere a quello della soluzione di un buon indovinello. Sottolinea pure l’importanza dell’antitesi e della brevità, poiché il contrasto ottenuto rende la nostra percezione più viva. L’inaspettato è un elemento fondamentale della risata anche per Cicerone, e Quintiliano invita a usarlo come strategia retorica (“tradire le attese, prendere le parole in senso diverso da quello che era inteso, applicare una cosa a un’altra sulla base di qualche somiglianza”). Bergson rileva che si ride ogni qualvolta il vivente esibisce qualcosa di meccanico che lo disumanizza. Inoltre, “una situazione è sempre comica quando appartiene simultaneamente a due serie del tutto indipendenti di eventi”. L’incongruità fra gli elementi di un gruppo; la sorpresa dovuta alla sua percezione improvvisa; e il contesto non pericoloso (Martin, 2000) fondano ogni teoria moderna della comicità. Ne è corollario il processo mentale di risoluzione dell’incongruità: si ride sia che fallisca (come nel caso del nonsense e dell’assurdo), sia che riesca (come nel caso dei doppi sensi e delle analogie).

Molte gag interpretano le tre teorie contemporaneamente, un indizio dell’unità del modo comico: Due cacciatori sono in un bosco, quando uno collassa. Non respira più, gli occhi vitrei. L’altro prende il cellulare e telefona alle emergenze: “Un mio amico è morto! Cosa devo fare?” L’operatore risponde: “Si calmi. Posso aiutarla. Innanzitutto, si assicuri che sia davvero morto.” C’è un silenzio, poi si sente uno sparo. Il cacciatore riprende il cellulare: “Fatto. E adesso?” Il lettore è superiore alla stupidità del cacciatore, è sollevato dal pensiero tragico della morte, risolve l’incongruità creata dalla stupidità del cacciatore (Little, 2009); ma le teorie dell’ostilità, della liberazione e dell’incongruità non spiegano perché non tutte le ostilità, liberazioni, incongruità siano divertenti. In realtà, lo diventano sempre, con il modo comico. McGhee (1977) si avvicina al vero quando considera, fra gli elementi indispensabili all’effetto divertente, la fantasia e il gioco. Senza questi, i bambini studiati da McGhee non ridono: mostrano invece curiosità, sbigottimento o paura.

Evoluzione del gusto per la comicità. Il gusto per la comicità segue l’evoluzione della coscienza, il suo impadronirsi del mondo. Il neonato imita la risata felice che gli rivolgono i genitori. I volti sconosciuti lo allarmano, ma presto impara a distinguere il bù! scherzoso da un pericolo vero. Verso i quattro anni, acquisita ormai la padronanza dell’attività motoria, il bambino comincia a trovare divertentissime le gag di Stanlio e Ollio. Alle elementari si sbellica con i giochi di parole e le prime barzellette. Da adolescente scopre la sottigliezza del pensiero, lo sconquasso delle emozioni, il sesso, e le battute di Woody Allen. La maturità lo fa godere della risata angosciosa di Kafka, dell’umorismo persecutorio di Beckett, e dell’ironia vitrea di Nabokov.

Contesto, coscienza ed effetto divertente. Le contingenze del contesto (età, sesso, gruppo sociale, situazione, sociocultura) influenzano la coscienza, e questo modula l’efficacia di ogni effetto divertente. Senza queste contingenze, uno stimolo divertente darebbe sempre una risata immediata, come fa il solletico. La specie comica che più si avvicina a questa condizione di immediatezza è quella della comicità slapstick (per esempio, scivolare su una buccia di banana): si tratta di una incongruità rispetto alle routine corporee. La comicità slapstick contraddice il dominio del riflesso posturale, che, come vedremo, è proprio delle strutture eroiche dell’immaginario.

La risata, come l’orgasmo, è già dentro di noi, selezionata in specifici pattern viscero-motorio-emotivi che attendono solo di essere attivati nel modo giusto.

(4. Continua)