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Un nome adatto al Colle forse era Scarpinato

Mi chiedo perché a nessuno sia venuto in mente di presentare la candidatura del giudice Scarpinato, ora in pensione, alla carica di presidente della Repubblica. Una personalità di incontestato spessore morale e alta formazione giuridica, che ha servito lo Stato negli anni della più intensa lotta contro il malaffare mafioso e politico-mafioso, essendo stato capace, oltretutto, di spiegare in numerose situazioni pubbliche e in modo chiaro e inequivocabile da che parte si deve schierare chi veramente tiene alla verità storica intorno alle stragi, da Capaci a tutte quelle che l’hanno seguita e anche preceduta. Sarebbe stata, in questo momento, una candidatura con un forte valore simbolico. E chi non l’avesse accolta avrebbe dimostrato di stare dalla parte opposta a quella dei tanti cittadini che ogni giorno esprimono, con la propria semplice esistenza e le azioni quotidiane, fedeltà incondizionata ai valori della nostra Repubblica.

Ornella Paiano

 

Covid: pure i giornaloni criticano il governo

Sono sempre di più i giornalisti italiani che non hanno il timore di esprimere ciò che pensano, condannando la gestione catastrofica dell’emergenza sanitaria, con tutte le sue incongruenze, gli errori e il delirio burocratico che sta bloccando la vita quotidiana dei cittadini. Non dovrei dirlo, ma ciò sembra incredibile, perché l’informazione mainstream era completamente schierata a sostegno del governo. Adesso, invece, le crepe sono evidenti, e si sente sempre più forte la voce di chi accusa il governo per i suoi tanti errori. Questo è senza dubbio un segnale di democrazia, e ci fa sperare in meglio.

Cristiano Martorella

 

Intanto le disuguaglianze continuano a crescere

Anche se il Covid è ancora tra noi, la vera emergenza di questo Paese è un’altra, e si chiama povertà. È un fenomeno in continua espansione, aggravato dal fatto che tra i poveri vanno annoverati milioni di individui che lavorano. La situazione è conosciuta da tutti, ma nessuno fa niente per migliorare la cose. Nessun governo, sia esso di centrodestra, di centrosinistra o di unità nazionale ha agito, negli ultimi anni, per arginare questa deriva. Il progressivo impoverimento di un’enorme massa di cittadini è un problema che va ben oltre il discorso di giustizia sociale e dovere di solidarietà – principi sanciti nella Costituzione – ma può diventare (anzi sta già diventando), un pericoloso stimolo all’instabilità che può provocare lo scoppio di conflitti violenti. Agire il più presto possibile per ripristinare una più equa distribuzione della ricchezza dovrebbe essere il primo obiettivo di qualsiasi governo. Invece– e con Draghi se ne è avuta la conferma – si continuano a favorire le classi più abbienti, aumentando di conseguenza le diseguaglianze. Possibile che non ci si renda conto che tirando troppo la corda le cose potrebbero mettersi male e le conseguenze saranno esiziali per tutti, nessuno escluso?

Mauro Chiostri

 

Cene a lume di candela contro il caro bollette

Con la sua pizzeria Alessandro, un mio concittadino di Piombino ha trovato un buon modo per rispondere alla luce troppo alta per il caro bollette: ha deciso di protestare, due volte alla settimana, con l’iniziativa “cena al lume di candela”, nel senso che non avevano la luce elettrica in sala! Un metodo di comunicazione al passo con i tempi, e un modo portare a galla i disagi delle persone comuni.

Massimo Aurioso

 

Tra Ue, Ucraina e Nato l’Italia non deve tacere

E se, in questi tempi in cui, morto David Sassoli, sono aumentate le pressioni sia ufficiali che a mezzo stampa per tenere Mario Draghi dove vuole l’Unione Europea, fossimo noi, in un sussulto di dignità, a chiedere invece alla Ue alcune garanzie circa una certa dipendenza politica dalla Nato, dicendo che non manderemo i nostri soldati a morire in Ucraina? Sia chiaro: non ho nessuna simpatia per Putin, al quale alcuni partiti e leader italiani non hanno fatto mancare il loro appoggio. Ma intravedo come, dietro lo scudo europeo, si celi il rischio che Sleepy Biden ci porti verso una ennesima Peace Keeping che avrebbe lo stesso risultato ottenuto in Afghanistan e in altre parti del mondo dove gli Usa hanno mostrato i muscoli per nascondere debolezze. Sarebbe più giusto, infine, se chiedessimo all’Europa un aiuto nel salvataggio dei profughi che stanno morendo: sia in mare che contro quei muri che alcuni paesi dell’Unione hanno eretto, dopo aver festeggiato la caduta del Muro di Berlino.

Franco Novembrini

Preti pedofili. La macina al collo e i silenzi colpevoli della Chiesa

 

Leggo sul Fatto che in Spagna la sinistra, dopo l’indagine iniziata nel 2018 dal quotidiano El Paìs, che ha documentato migliaia di abusi compiuti da preti cattolici e consegnato il dossier relativo a Papa Francesco in persona, chiede l’istituzione di una “Commissione sui preti pedofili” perché sia fatta chiarezza e giustizia sugli abusi sessuali, molestie e pedofilia compiuti dai medesimi. Si vuole così dare il via a una pubblica politica di riparazione, di prevenzione e di assistenza per le tantissime vittime di questo flagello del passato che tuttora continua quasi indisturbato. Anche altri Paesi europei come Irlanda, Francia, Germania hanno compiuto un percorso simile! E l’Italia? Anche qui accadono tali misfatti, ma a parte l’informazione, per lo più non avviene altro. A mio parere, oltre all’inerzia generale si aggiunge anche quella delle famiglie che, pur conoscendo il ripetersi ininterrotto dei fatti sopraccitati, inviano volontariamente i loro piccoli dai loro persecutori. Non capisco né condivido questo modo di agire, perché vorrei che almeno i genitori salvaguardassero i propri figli.

Ivo Bagni

 

Gentile signor Ivo, non credo che nel nostro Paese si possa parlare di genitori che “inviano volontariamente i loro piccoli dai loro persecutori”. Semmai, è ancora possibile – ma anche in questo caso ritengo si tratti di un fenomeno ormai limitato – che alcune famiglie si facciano sopraffare da vergogna o da sudditanza al momento di denunciare gli abusi e le responsabilità di sacerdoti. Il vero problema (il vero scandalo) è l’inerzia della Chiesa italiana e del suo episcopato rispetto a ciò che sta avvenendo, da tempo e ancora con più forza in questi giorni, in altri Paesi europei. La Chiesa italiana sembra invece tergiversare, accampando ragioni di una raccolta di dati e di casi reali, opposta a certe presunte frettolosità solo statistiche dei vescovi spagnoli, francesi e tedeschi. Una posizione ipocrita e indifendibile e che può essere fronteggiata solo con un intervento di Papa Francesco e da un’azione più efficace della magistratura. Con una responsabilità in più per gli uomini di Chiesa: tenuti a rispettare come tutti il Codice Penale, ma ancora prima il Vangelo. Là dove dice: “Chi scandalizza uno di questi piccoli…, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare”.

Ettore Boffano

Noi e i medici. Oramai siamo tutti preda di Alberto Sordi e del suo dottor Tersilli

Una volta c’era il medico di famiglia, il dottore che arrivava nelle case a qualunque ora per visitare grandi e piccini che ne avessero bisogno. Era una presenza tranquillizzante. Arrivava, poggiava la sua borsa da medico con dentro gli strumenti del mestiere, accettava un caffè, magari un bicchierino, due commenti sul tempo, si levava il cappotto, metteva gli occhiali e cominciava il suo lavoro. “Ho bisogno di un cucchiaio, devo controllare le tonsille! Dimmi 33…” Nessuno ha mai capito perché proprio 33 invece che 54 o 38! Ma lui lo sapeva, appoggiava il suo orecchio sapiente sulla schiena e sentiva bronchi e polmoni. “Adesso un bel colpo di tosse. Bravo, sentiamo il cuore…” e col suo stetoscopio, altro strumento misterioso, auscultava i battiti “Vediamo la temperatura, non mordere il termometro! Dentro c’è il mercurio è pericoloso. Guarda che te lo infilo da un’altra parte eh!”. Dopo qualche minuto capivamo dalle sue reazioni il risultato della sua diagnosi. Il medico di famiglia si chiamava così, non a caso, perché conosceva la famiglia, aveva curato i nonni, gli zii, i cugini, e quando arrivava era come ricevere un parente, che però era anche laureato in medicina e la sua presenza ti dava conforto e consolazione. Era parte della famiglia. Oggi il medico di famiglia è diventato il medico di centinaia di famiglie, famiglie che neanche conosce! Una specie di burocrate che si limita a firmare un mare di ricette e spesso non conosce né la tua faccia né il tuo nome. E soprattutto, quando hai la “fortuna” di incontrarlo, non ti ascolta! Come il dottor Tersilli di Alberto Sordi nel famoso film Il medico della mutua… “Come va signora tutto bene?”- “No dottore, sto malissimo”- “E i bambini come stanno?”- “Ma io non ho figli dottore!”- “Male. Ne faccia subito 2 o 3! Più ne fa meglio è!” – “Ma dottore io ho 84 anni!” – “Che sarà mai, quando c’è la salute!”

 

Al Quirinale insieme a Valdo Spini: un’atlante ragionato che non lascia vuota nessuna stanza

Sul Colle più alto è il libro appena pubblicato da Valdo Spini ( Editore Solferino) scritto nel modo giusto in un momento essenziale. Occorre dire subito che il libro, ovvero il modo di affrontare il problema proprio nel momento rovente e confuso che stiamo vivendo, corrisponde alla vita pubblica e politica del figlio di un grande storico italiano, un padre partigiano, guida, accademica e degli eventi italiani prima e dopo la guerra e le persecuzioni fasciste.

Valdo Spini ha raccolto, conservato e messo a frutto una grande eredità, che viene dalla integrità della cultura ma anche con l’appartenenza alla Chiesa Valdese dove l’esperienza della separazione e poi del respingimento e della persecuzione sono parte della storia, europea e familiare. Queste sono, io credo, le ragioni che hanno fatto di Valdo Spini, varie volte deputato e ministro della Repubblica italiana nata dall’antifascismo, un politico diverso, senza ricerca di carriere, volto esclusivamente ai diversi compiti affidategli, vissute come una mite chiamata alle armi.

Proprio per questo Spini si è rivelato un autore diverso del libro che tanti stanno scrivendo. Sul Colle più alto non è una visita guidata al Quirinale e una valutazione di pregi e difetti di coloro che hanno abitato e guidato il Colle. Gli intenti di Spini sono due. Il primo è che ogni ritratto deve essere onestamente completo di eventi, decisioni, motivazioni politiche nel meglio e nel peggio di ciascuna vicenda, Il secondo è che questo suo resoconto ai lettori-cittadini sia credibile in ogni momento e mai segnato da circostanze che, alcune volte, hanno coinvolto e riguardato lo stesso Spini.

Fra i personaggi del libro, è interessante l’andare e venire concitato, allo stesso tempo entusiasta e depresso, di Matteo Renzi che entra in scena al grido di “rottamare!’ e mantiene l’impegno con un malanimo (rottamare, per Renzi, è sinonimo di eliminare) che il libro racconta con la stessa aderenza ai fatti che Spini dedica ai personaggi che ricorda con affetto o che ammira. Importa all’autore che non restino stanze vuote nel più importante luogo d’Italia, e che non ci siano alterazioni di umore o di appartenenza.

Per spini conta che gli italiani sappiano da chi sono stati rappresentati. E aggiunge – voglio ripetere – un aspetto insolito: la presenza, la testimonianza, dello stesso Valdo Spini, che a molti degli eventi (scelta e successione) è stato protagonista e presente.

Il Colle più alto è dunque allo stesso tempo una mappa, una guida e una raccolta di brevi e intensi saggi di storia italiana della Repubblica che ci raccontano molto e che sarebbe bene conoscere.

 

Sul Colle più alto

Valdo Spini

Pagine: 256

Prezzo: 16

Editore: Solferino

I balletti del ministro mentre arriva il disastro

Tra le tante oscenità, la corrida quirinalizia ci ha regalato forse l’immagine più avvilente all’ultimo tornante: il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti che minaccia le dimissioni mentre Sergio Mattarella si avvia alla riconferma. “Si ricomincia a lavorare, ma se c’è una crisi aziendale non è che la colpa può essere della Lega e di Giorgetti, magari è una cosa di tre anni fa quando Giorgetti non era al Mise”, ha detto ai cronisti parlando di sé in terza persona. “Giorgetti mi ha detto che se uno ci mette l’anima e risolve i problemi, lavora e poi gli altri ministri, di notte, gli smontano il lavoro magari ci rimane male”, ha aggiunto un’ora dopo Salvini, fingendo di difenderlo.

Chissà quanto ci rimangono male le migliaia di lavoratori che rischiano il posto costretti a chiedersi: “Quali grandi piani di Giorgetti vengono ostacolati?” . Ai lavoratori Embraco non è arrivata nemmeno una parola ora che l’epilogo s’è consumato, però adesso sanno che il ministro ritiene che non è colpa sua, la loro crisi è vecchia.

Lo scenario più desolante è però sull’automotive. I 700 esuberi alla Bosch di Bari e i 550 alla Marelli sono l’antipasto del disastro in arrivo nell’indotto, settore che impiega oltre 160mila lavoratori. I casi Gianetti Ruote, Gkn, Timken, Speedline e Caterpillar non sono serviti a nulla. Più di metà dei fornitori lavora per Stellantis, l’ex Fca consegnata ai francesi di Peugeot. La strategia industriale disegnata dai manager di casa Agnelli si è rivelata un flop. A fronte di una capacità di 1,5 milioni di vetture, gli stabilimenti consumano cassa integrazione (raddoppiata nel 2021) e sono fermi a 700mila auto. L’Italia ormai è fuori dai grandi Paesi produttori: in pochi anni è scivolata all’ottavo posto. Senza un piano per gestire la transizione ecologica sarà un disastro, ma il governo non l’ha predisposto, a differenza di Francia e Germania. L’unica novità di questi mesi è stata John Elkann, presidente di Stellantis, ricevuto a Palazzo Chigi dopo che l’ad di Stellantis Carlos Tavares aveva minacciato il governo di non fare più la “gigafactory” a Termoli se non viene coperto di sussidi. L’unica lingua che i capitalisti moderni usano coi nostri governi. Magari hanno ragione loro.

Il triangolo no! L’astuta Vecchia Signora, Dusan il nuovo fenomeno e la Joya triste

Il triangolo no, non l’avevo considerato” cantava nel 1978 Renato Zero. E anche se nessuno sembra prestarvi attenzione, è più o meno questo il refrain che da qualche giorno sta risuonando nella testa di Paulo Dybala, il 28enne campione argentino della Juventus che a sorpresa ha visto giungere alla Juventus Dusan Vlahovic, 22enne gioiello serbo della Fiorentina. “Lui chi è? Come mai l’hai portato con te? Il suo ruolo mi spieghi qual è?”, pare stia chiedendo Paulo alla Signora (Vecchia, ma sempre affascinante) con cui s’accompagna da qualcosa come sei anni e mezzo, per l’esattezza dall’estate del 2015.

Ed è vero, ultimamente tra lui e Madama non erano state rose e fiori, qualche screzio era affiorato, qualche piatto era volato; ma alla fine Paulo e Signora se l’erano promesso: ancora insieme per altri cinque anni, in divisione dei beni, finché vecchiaia (agonistica) non ci separi. Tutto molto bello. Tutto commovente. E invece…

Provate a mettervi voi, adesso, nei panni del povero e sostanzialmente ripudiato Paulo. Da una vita siete legati sentimentalmente alla Signora che a tutti, nel pianeta pallone, fa girare la testa; vi chiamano la “Joya”, tutti guardano a voi con malcelata invidia, sembrate fatti l’uno per l’altra ma nel “magic moment” della “liaison amoreuse”, quando l’età matura raggiunta consiglia di solennizzare l’unione rendendola perpetua, definitiva, indistruttibile, dopo aver trovato sulla parola ogni tipo di accordo e aver addirittura provveduto alle pubblicazioni di matrimonio ecco che Lei, la Signora, vi avverte di punto in bianco che un nuovo Lui è apparso all’orizzonte ed entrerà presto, anzi subito, a far parte del ménage famigliare, un ménage a tre.

E siccome la new entry è più giovane (di almeno 6 anni), bella e seducente come una star di Hollywood e con le sue doti promette di risolvere qualsiasi problema (persino l’amministrazione della casa, al momento problematica, potrebbe risentirne in positivo), e quindi merita adeguata remunerazione, ecco la novità: la Signora spende una lauta fetta del suo patrimonio per accalappiarlo e si lega a lui per cinque anni; e in ragione di ciò, gli accordi verbali raggiunti a suo tempo con voi, con colui che per tutto il vicinato era la “Joya”, cambiano; perché per Madama non è più così importante, ora, la prospettiva di restare assieme a lungo, diciamo che tre anni bastano e avanzano visto che Lui, l’uomo nuovo del Triangolo, più giovane e attraente, si fermerà per almeno cinque (ma tutti sperano diventino dieci); e anche i soldi concordati per il ménage vanno rivisti, ridimensionati; di certo, non possono essere più di quelli concordati con la nuova fiamma finita sotto i riflettori, la new entry che fa girare la testa all’intero mondo. “Io volevo incontrarti da sola semmai – recita la canzone –, mentre lui, lui chi è, lui chi è, già è difficile farlo con te…”.

E insomma: alzi la mano chi non si sente curioso di vedere che cosa succederà all’Allianz Stadium a partire da domenica 6 febbraio, ore 20:45, 24esima giornata di campionato, giorno di Juventus-Verona. Ci saranno Lui, Lei e il nuovo Lui per la prima volta insieme. Appassionatamente? Chi vivrà vedrà. Perchè, appunto: “Il triangolo no, non l’avevo considerato; d’accordo ci proverò, la geometria non è un reato…”.

 

Tremate, tremate, le streghe son riabilitate (e nonna Iva si scatena)

 

NON CLASSIFICATI

La sua gatta è ancora lì.

L’Aquila di Ligonchio si scatena in un’intervista al Corriere: Iva Zanicchi racconta che a 82 primavere suonate lei è ancora sessualmente attiva. E dunque: “Il sesso? Conta, conta. Ogni donna, a qualunque età, dovrebbe gridare al proprio uomo l’amore sentimentale e quello carnale. Io e Fausto siamo legati da 36 anni. È piacevole stare con lui, ci divertiamo, lui dice che lo faccio ridere, lui in compenso mi prende per la gola perché è un grande cuoco. Sì, c’è, facciamo l’amore ancora, perché fare l’amore fa bene alla vita. A qualunque età”. Il grande rischio è diventare fratelli, dopo molti anni? “Certo. Ma per questo bisogna imporsi di fare l’amore. Casomai ti aiuti un po’ con la fantasia. Io ne ho tantissima.. Ma non mi faccia dire altro che poi il mio compagno si arrabbia…”. La canzone che porta a Sanremo ha versi piuttosto espliciti: “Per amore sai che io brucerei (…) / Voglio amarti nei pensieri, nelle mani (..) / Voglio amarti nelle braccia, nel calore / Della pelle, del tuo viso su di me (…) / Voglio amarti perché ho fame anch’io di te”. Va bene la promozione, però non è che bisogna raccontare proprio tutto tutto…

 

Un Fiore per Ama.

Alla fine Fiorello farà il tris e non darà buca al suo amico Ama. Fiore è sbarcato a Sanremo e sembra che ogni sera farà incursioni a sorpresa sul palco: Ama tira un sospiro di sollievo e intanto mette a punto gli ultimi dettagli. Al settimanale Oggi ha detto: “Trent’anni fa, quando avevo appena iniziato, un giornalista mi definì ‘il presentatore della porta accanto’. Ecco, credo che il mio segreto sia questo”. Il suo segreto? Dietro c’è un controllo maniacale di ogni dettaglio. Io seguo tutto in prima persona, sono della Vergine, preciso, pignolo. Sono sempre presente e seguo qualsiasi passaggio in maniera scrupolosa, sia al Festival sia ai Soliti Ignoti. Se guidi la macchina non basta entrare e mettersi al volante, devi anche conoscere il motore”. E poter contare sugli amici…Sul fronte contagi si registra quello del mitico maestro Beppe Vessicchio, che non sarà all’Ariston per Sanremo 2022 a meno che non si negativizzi entro oggi. “Sono a casa positivo. Ho dovuto mandare un sostituto a fare le prove con Le Vibrazioni. Spero entro lunedì di riavere la mia libertà e raggiungere Sanremo in tempo per il Festival”. Anche noi speriamo: senza Vessicchio Sanremo non è Sanremo.

 

Bandito Pupo.

“Il ministero degli Esteri italiano mi ha recentemente informato che il governo dell’Ucraina mi ha inserito nella lista nera, quella degli indesiderati, dei ‘criminali’. In pratica, se mi presento alla loro frontiera, rischio di essere arrestato”: lo ha raccontato Pupo sui suoi social. Il cantante aveva partecipato al festival russo della canzone di guerra, tenutosi a Jalta, nella Crimea occupata dai russi, lo scorso anno. A voi il commento.

 

PROMOSSI

No sabba, no cry.

In un documentatissimo pezzo sul Post leggiamo che il parlamento catalano ha approvato una risoluzione che riabilita centinaia di donne che tra il Quindicesimo e il Diciottesimo secolo furono perseguitate, torturate e uccise perché accusate di stregoneria: si tratta di circa 100mila persone, di cui l’80 per cento donne. Guaritrici e “maghe”, ma anche donne che avevano conoscenze scientifiche, che sapevano usare le piante medicinali oppure praticavano aborti; “spesso erano vedove o non erano sposate e anche per questo trasgredivano la norma sociale”. Perchè Catalogna? La valle di Àneu, nel nord-ovest della Catalogna appunto, fu il luogo in cui nel 1424 venne approvata la prima legge contro la stregoneria in Europa e uno dei luoghi più insanguinati perché lì avvennero più esecuzioni sulla base di questo reato. Naturalmente hanno votato contro i conservatori del Partit Popular Català e i destri di Vox, secondo cui il parlamento avrebbe dovuto occuparsi di questioni più urgenti.

 

Il testamento di Gianfranco: ringraziare le lacrime, accarezzando la vita e la morte

Accarezzava la vita, Gianfranco. Serio, inflessibile, quasi maniacale nel suo lavoro di architetto, perché il bello, fosse un’arcata o anche un pavimento, doveva essere bello fino all’ultimo millimetro come lo aveva pensato lui. E tuttavia la vita era per lui qualcosa che assomigliava a un buffetto, un sorriso, un getto di ironia, talora mescolata con la malinconia. Come avrete capito, Gianfranco non c’è più. Ma non voglio qui parlarvi della sua vita o della sua malattia, che pure potrebbero essere esemplari per tutti noi. Voglio parlarvi della sua lettera finale, affidata a un’amica un mese prima di andarsene. Perché quelle molte righe parlano di una specifica generazione siciliana, dei suoi drammi e delle sue speranze, più di quanto potranno i trattati di storia, se mai qualcuno penserà di scrivere della materia ripercorrendo con la pila accesa gli anni ottanta e novanta del secolo scorso.

Gianfranco ha ripassato a lungo il senso della sua vita man mano che gli arrivavano i bagliori del traguardo finale. E gli è venuto istintivo fare qualcosa di speciale: scrivere agli amici che aveva avuto intorno, ringraziarli per avere condiviso tanto di lui, del suo percorso. La Sicilia madre, dove ora riposa, e dove respirò adolescente la cappa di morte dei corleonesi; la Milano che si rivoltò a Tangentopoli; la Roma che gli ha dato il successo e una splendida famiglia. Così scrivendo una lettera piena di gratitudini individuali e collettive (“ritenetelo un ultimo atto di gratitudine ed affetto nei confronti di ognuno di voi”), ha voluto ricordare anche coloro che non ci sono già più da molti anni, assaporando la fantasia di poterli rincontrare, di poterci parlare perfino. Come Cesare Garboli, intellettuale libero e raffinato, che aveva conosciuto quasi per caso e di cui era diventato amicissimo. Ma anche altri che non aveva mai visto di persona, da Camilleri a Chaplin (“ci pensate quanto sarà bello poter chiedere a Chaplin quanto piacere gli avesse dato poter denigrare Hitler e tutto l’orrore che incarnava?”). Ma, ecco il passaggio forse più commovente, sognava anche di “avere la possibilità di dire a Giovanni, Paolo e Carlo Alberto della grande rivoluzione che la loro testimonianza civile ha causato nell’animo della gente di Sicilia di cui orgogliosamente ho fatto parte, di ringraziarli per tutte le lacrime che mi hanno fatto versare. Ecco, questo è il mio Dopo…”.

Quando ho letto queste parole sono trasalito. Vedete, questo 2022 sono trent’anni tondi dal 1992 di “Giovanni” e “Paolo”, sono quarant’anni tondi dal 1982 di “Carlo Alberto”. Chissà cosa verrà detto durate questi anniversari. Chissà come verranno ricordati.

Ecco, io credo che questa sia forse la testimonianza più potente di cui disponiamo su ciò che essi hanno fatto per un giovane siciliano che non sopportava la mafia e la corruzione (e che per questo, ventenne, aderì da Milano alla “Rete” guidata da Leoluca Orando). Perché ci comunica che la loro fu per lui una “grande rivoluzione”, altro che fare semplicemente “il proprio dovere”. Pensiamoci: che cosa vi potrebbe essere di più grande del fatto che un giovane siciliano di allora, mentre si avvia a percorrere l’ultimo tratto di vita, li ringrazia felice “per tutte le lacrime che mi hanno fatto versare”? Lacrime di orgoglio, di rivolta, di amore. Ecco, forse Gianfranco (Mangiarotti) scrivendo la sua lettera a futura memoria, scrutando – non visto – la dolce compagna Francesca, anche lei architetta (“ci trovammo a lavorare in due cantieri accanto”), ha regalato a tutti il senso più grande di che cosa sia stata la lotta alla mafia. “Felice per le lacrime”. E per una persona seria e profonda come lui, per la quale la vita era comunque un buffetto, un sorriso, uno spruzzo di ironia, non c’era davvero espressione più bella. Detta accarezzando la vita, detta accarezzando la morte.

 

“Frenesia” Quirinale: Renzi voleva cambiare regole e gioco a gara in corso

 

BOCCIATI

Sillogismi opinabili

Cambiare la Costituzione è come il nero, sta bene su tutto. O almeno così sembra pensarla Matteo Renzi. La brutta figura fatta dai partiti nel corso della settimana spinge il leader d’Italia Viva ad avventurarsi in un azzardato sillogismo: “L’indecoroso show di chi ha scambiato l’elezione del Presidente della Repubblica con le audizioni di X Factor dimostra una sola cosa: bisogna far scegliere il Presidente direttamente ai cittadini. Stanno ridicolizzando il momento più alto della democrazia parlamentare”. In altre parole, il pensiero di Renzi può prosaicamente essere tradotto così: se i giocatori in campo si mostrano inadeguati tanto vale cambiare le regole del gioco. Soluzioni facili (e poco coraggiose) a problemi complessi. La risposta definitiva arriva da un utente su Twitter: “I parlamentari sono lo specchio della società, dei quali sono i rappresentanti. Non c’è bisogno che vi spogliate di un’altra responsabilità, dandola a noi. C’è bisogno che facciate con responsabilità quello che è il compito che vi abbiamo affidato”. Così è, sì ci pare.

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PROMOSSI

Un veneto a Roma

Uno dei protagonisti di questa frenetica settimana tra i palazzi romani è stato indubbiamente Luca Zaia. Il Doge non bazzica con grande frequenza le conventicole romane, non è solito intrattenersi nei corridoi del Transatlantico della Capitale; per la stragrande parte del tempo se ne sta in Veneto sul territorio, a fare molto e parlar poco. Dev’essere per questo che il chiacchiericcio perlopiù fine a se stesso della politica di palazzo, tutta concentrata a mostrarsi decisiva nella scelta del nuovo inquilino del Colle, ha fatto emergere un’insolita vena ironica nel presidente del Veneto che ha molto divertito i cronisti. “O vulite festeggià o’ Natale? Addà passà ‘a nuttata”: dopo aver tirato fuori niente di meno che Eduardo per rispondere a chi gli chiedeva quanto ci volesse ancora perché il centrodestra tirasse fuori un nome, all’ennesima domanda analoga l’icastico Zaia ha dato il meglio di sé sfoderando addirittura Ho Chi Minh: “Se entra una tigre in casa tua non fare niente, apri la finestra e lascia che se ne vada da sola”. E con una punta di malizia ha aggiunto “Potrebbe pure essere un tigrotto”. Forse la giusta distanza da un contesto è l’unico modo per viverlo con le dovute proporzioni.

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Centro

Tra i commenti più divertenti alla tormentata partita del Quirinale c’è stato quello di Gianfranco Rotondi: “Il vertice del centrodestra è stato rinviato perché Renzi non ha ancora dato le indicazioni, essendo impegnato a dare la linea al Pd”, ha scritto giovedì pomeriggio di fronte all’ennesimo posticipo della sua parte politica. Un vecchio lupo di Transatlantico come Rotondi ha centrato due piccioni con un tweet: la sedicente, o quantomeno auspicata, centralità del leader d’Italia Viva nelle trattative per il Colle, e l’immobilità confusa e vagamente impotente dei due fronti antagonisti, che per l’intera trattativa sembravano sperare nell’arrivo di un deus ex machina che li togliesse dall’impaccio della decisione. Rotondi ha fatto centro. Deformazione professionale.

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Bis al Quirinale. Lo “spirito di sacrificio” di Sergio cattolico e laico. Gli applausi di ebrei e buddhisti

Ieri a Testaccio, popolare quartiere di Roma, alla messa di mezzogiorno, la stessa frequentata da Enrico Letta, è stata aggiunta in extremis un’intenzione alla preghiera dei fedeli: “Preghiamo per il nostro presidente Mattarella”. E così in varie chiese italiane.

La rielezione di Sergio Mattarella è soprattutto il bis al Colle di un cattolico proveniente dalla migliore tradizione scudocrociata, quella della sinistra dc. Un cattolico adulto quindi, per il quale la dimensione intima della fede non ha riflessi clericali nella sfera pubblica e in questo caso istituzionale. Lo ha spiegato molto bene il direttore di Avvenire Marco Tarquinio nel suo editoriale di ieri: “Sanamente laico (Mattarella, ndr) perché di profonda radice cristiana. E chi conosce sul serio la storia della nostra democrazia sa che questo non è un gioco di parole, ma una cultura preziosa e una costante qualità politica, che Sergio Mattarella ha interpretato con appassionata coerenza per tutta la sua vita”.

Nei messaggi di auguri arrivati dal mondo cattolico si mette in rilievo lo spirito di sacrificio del presidente rieletto, il quale ha subordinato le sue “prospettive personali differenti” alla decisione del Parlamento di sabato scorso. Ecco il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani: “Il Suo esempio di uomo e di statista, lo spirito di servizio e di sacrificio manifestato anche nella presente circostanza, costituiscono un punto di riferimento per tutti i cittadini al di là delle appartenenze politiche e degli schieramenti”. Del resto, per un cattolico, lo spirito di sacrificio è un pilastro della fede. Il concetto lo rende bene padre Antonio Spadaro, gesuita come papa Francesco e direttore della Civiltà Cattolica, in un’intervista ad Askanews: “La sua disponibiltà è certamente un sacrificio personale per il bene del Paese: gliene va dato atto con gratitudine sincera”. E ancora: “Mattarella è una figura molto gradita al mondo cattolico, ed ha sempre mantenuto nella giusta maniera i rapporti di rispetto con l’Oltretelevere. Credo che il mondo cattolico abbia percepito la sua volontà di concludere il suo mandato come assolutamente sincera. Certo, la situazione che si è venuta a creare è inedita e un po’ di emergenza, e in questo senso si accoglie la sua disponibilità come segno di piena continuità rispetto a come si è comportato fino a adesso, mantenendo cioè al primo posto il bene del Paese”.

Il Mattarella presidente e cattolico ha poi un tratto ecumenico, se così possiamo dire. Nei giorni scorsi ha fatto notizia lo striscione esposto dagli studenti delle scuole ebraiche di Roma: “Grazie presidente Mattarella”. Con questa motivazione: “Da giovani ebrei non possiamo dimenticare il suo impegno contro ogni forma di antisemitismo, anche mascherato da antisionismo”. E sabato, nel giorno della sua rielezione, c’è stato finanche l’entusiasmo dell’Unione Buddhista Italiana che fa perno, ovviamente, sulla saggezza: “In questo particolare contesto storico poter contare nuovamente sulla sua saggezza è garanzia per tutte e tutti per il progresso civile e sociale del Paese”.