La sai l’ultima?

 

Foggia

Il pachiderma scappa dal circo e pascola sereno in un’aiuola del centro: “È una savana”

Un grosso, simpatico pachiderma, pacioso pacioso, è stato visto pascolare un’aiuola dei giardinetti di un quartiere residenziale di Foggia. Una scena inusuale e visionaria, quasi sorrentiniana, non fosse che a riprendere l’elefante – e a renderlo protagonista di un video presto diventato virale – c’era un ruspante indigeno e non il regista napoletano. La reazione dell’automobilista foggiano è di sincero stupore, in dialetto strettissimo. Non siamo in grado di riprodurne la fonetica, ma la traduzione è semplice: “Foggia ormai è una savana: guarda un po’, c’è un elefante in mezzo alla strada”. Il mistero del pachiderma è presto risolto, pare fosse in libera uscita dal circo, che aveva piantato le tende poco più in là. Ma non è la prima volta che a Foggia imperversa una bestia selvatica: due anni fa una pantera nera aveva seminato il panico in città e nella provincia, trotterellando tra le campagne di San Severo e la periferia foggiana.

 

Corviale

“Laziommerda”, la password nella fiction di Sky lascia un po’ contrariati i tifosi biancocelesti

Fare cinema sulle periferie romane è rischioso. Il pericolo del cliché è sempre dietro l’angolo. Dove non arriva il cliché, può arriva l’iperrealismo. Oppure i tifosi della Lazio. Gli aquilotti si sono molto risentiti per una scena della serie tv Christian, una produzione Sky girata nel quartiere Corviale, nella quale il protagonista Edoardo Pesce interpreta un picchiatore che riscuote i crediti per la mafia locale. La serie è uscita il 28 gennaio ma c’è una scena già molto discussa, “nella quale Christian – scrive Repubblica – per fare una rapina, chiede al giovane Davide (l’attore Antonio Bannò) la password per aprire il caveau di una banca. La risposta è spiazzante. ‘Laziommerda, Laziommerda. Con due m tutto minuscolo’, dice Davide”. È solo una fiction. E d’altra parte non appare poi così irrealistico che in una periferia romana in cui si faccia una simile professione di romanismo radicale, ma si può comprendere il disappunto dei laziali.

 

La corsa

Repubblica racconta “il tesoro equestre del Quirinale che affascinò la regina d’Inghilterra”

Nella settimana del Colle, Repubblica ci regala un titolo prezioso: “Il tesoro equestre del Quirinale che affascinò la regina d’Inghilterra”. Occorre forse specificare che stiamo parlando della Repubblica dei cavalli, la pagina del sito tutta dedicata alle razze equine. Che spesso regala perle come questa. “La Biblioteca del Quirinale – leggiamo – custodisce una delle più ricche collezioni di libri sull’equitazione e i cavalli d’Italia. Eredità del periodo sabaudo, testimonia il profondo legame storico del palazzo che è sede della Presidenza della Repubblica con la ‘civiltà del cavallo’, che ha caratterizzato per secoli la cultura europea”. Molto bello anche l’attacco: “Testimoni diretti raccontano che, quando fu ricevuta al Quirinale dal presidente Napolitano, durante la sua visita di stato in Italia nel 2014, la regina Elisabetta ostentasse un’aria cortese, ma vagamente annoiata”. Finché non ha messo gli occhi sulla biblioteca dei cavalli.

 

Cambridge

Roomba il robot-aspirapolvere si ribella e scappa da un albergo, lo ritrovano il giorno dopo sotto a una siepe

Roomba scappa! Anche i robottini hanno un’anima, pure quelli bassi e tondi che fanno le pulizie di casa. Un robot aspirapolvere è infatti fuggito da un albergo di Cambridge. “A quanto pare, iRobot non è riuscito a rilevare (o l’ha ignorato) l’ingresso dell’hotel ed è scappato, continuando le operazioni di pulizia anche oltre i confini della struttura – si legge sul sito everyeye.it –. L’assistente manager dell’hotel ha scritto un post su Reddit (poi cancellato) in cui ha raccontato che ‘normalmente il robot rileva il confine impostato e torna indietro, ma questa volta ha deciso di fuggire’”. È l’inizio di una ribellione delle macchine contro lo sfruttamento dell’uomo? Oppure un inopinato grido meccanico contro la disumanità del sistema capitalistico? Non si sa. Sta di fatto che i responsabili dell’albergo si sono accorti dell’assenza di Roomba quando ormai era lontano, il robottino è stato trovato da un inserviente sotto una siepe ventiquattro ore dopo.

 

Forza estinzione

L’ultima, imperdibile moda di TikTok: migliaia di utenti si sfidano a pelare le uova crude

Una notizia per i sostenitori dell’estinzione di massa: l’ultima moda su TikTok è pelare le uova crude. Ogni epoca ha le sfide che si merita e sul social più trendy del mondo gli utenti si divertono così. “Per farlo – spiega Mashable Italia – bisogna separare il guscio dalla membrana interna, per trovarsi tra le mani una strana sacca molliccia. I tiktoker usano una grande varietà di strumenti di metallo per rompere delicatamente il guscio e rimuoverne lentamente i pezzi, il che è davvero una rottura di uova come sembra. Bisogna fare attenzione a non perforare la membrana interna dell’uovo! Gli utenti usano di tutto: pinzette, strumenti per i punti neri o per altre operazioni chirurgiche”. Davvero notevole. “La prima reazione è chiedersi ‘perché?’ – infatti –. Ma poi, non appena ci si adatta all’idea, si rivelano stranamente affascinanti e rilassanti, come del resto succede con altre tendenze inaspettatamente appaganti: come la gente che sbriciola il gesso, sguscia le ostriche o taglia la sabbia”.

 

Atlanta

Ozzie, il gorilla più anziano del mondo, muore a 61 anni, pochi giorni dopo la sua compagna Choomba (59)

Lutto da primati: è morto a 61 anni Ozzie, il gorilla maschio più anziano del mondo. Lo ha comunicato lo zoo di Atlanta, dove l’animale viveva dal 1988. Dà la triste notizia LaZampa.it: “La morte di Ozzie, di cui non si conoscono ancora le cause, segue di pochi giorni la scomparsa della sua compagna di habitat, Choomba, che era stata soppressa a causa del peggioramento della sua salute. La gorilla aveva 59 anni e i due vivevano insieme da più di 15 anni. Ozzie era l’unico membro rimasto della prima generazione di gorilla che arrivò ad Atlanta con l’apertura della Ford African Rain Forest”. Non è stato il Coronavirus la causa del decesso: il gorilla aveva avuto il Covid lo scorso settembre, insieme ad altri 12 esemplari, ed era vaccinato contro il virus. “Nelle ultime 24 ore era in cura poiché presentava sintomi tra cui gonfiore facciale, debolezza e incapacità di mangiare o bere”, si legge nel comunicato dello zoo. Se ne va per la vecchiaia, insomma, e forse per l’improvvisa solitudine dopo la morte della sua amica.

 

Usa tutto ok

L’erede di Trump e l’incontinenza verbale: Biden chiama un giornalista “stupido figlio di puttana”

Gli ultimi anni sembrano consolidare la preoccupante tendenza delle democrazie occidentali ad affidarsi a leader sempre più anziani, incerti e bizzarri. Qui abbiamo avuto l’esperienza pluridecennale, a suo modo epica, di Silvio Berlusconi, ma altrove non è che si navighi nell’oro. Il Regno Unito è nella mani di un signore dalla capigliatura strana che delira su Peppa Pig e organizza party casalinghi in piena pandemia, mentre tiene chiuso a chiave l’intero Paese che amministra. Gli Stati Uniti sono passati da Donald Trump a un gentile nonno democratico che accusa sempre più spesso avvisaglie di demenza senile. L’ultima prodezza di Joe Biden è di lunedì scorso. Convinto che il suo microfono fosse spento, ha risposto con franchezza e puntualità alla domanda di un giornalista di Fox News sull’inflazione: “What a stupid son of a bitch”. Che stupido figlio di puttana. In seguito si è scusato, sostenendo che l’insulto gli fosse sfuggito “inconsapevolmente”. A sua insaputa. L’incontinenza è una bestiaccia.

“Mattarella è un patriota, i partiti sono soltanto élite”

“Sono un bisnonno e vivo immerso quotidianamente nel futuro anche se i miei anni mi obbligano a guardare il mondo dalla poltrona”.

Il suo amico Sergio Mattarella è di poco più giovane, eppure ha accettato di avanzare verso l’incognita della vita con il grande peso del Quirinale.

Io mi chiamo Guido Bodrato, conosco Sergio da decenni, sono suo amico ed estimatore e mia è la seconda firma alla legge elettorale nota come Mattarellum. Lui ha fatto un gesto da patriota.

Ha accettato di essere il protagonista di una rilevante sgrammaticatura costituzionale, ha fatto ciò che egli stesso diceva non potersi fare.

Ha compiuto una scelta pesante sia dal punto di vista costituzionale che personale. Ma era di fronte alla disfatta dei partiti, all’infragilimento pericoloso della democrazia.

I partiti sono irredimibili. Hanno chiesto a lui di sopperire alle proprie incapacità.

Ho ancora nelle orecchie gli applausi tributati a Giorgio Napolitano al momento della rielezione. Dovevano riformarsi, avevano preso l’impegno di aprirsi alla società, invece sono rimasti ciò che erano: élite autoreferenziale, senza alcuna passione e radice, senza connessione sociale, senza identità.

Il secondo bis al Quirinale aprirà le porte all’elezione diretta del presidente?

Elezione diretta senza popolo? Sarebbe la più funesta e per me indigeribile riforma che condurrebbe al Quirinale un uomo di parte. È questa romantica, assurda malinconia dell’uomo forte.

È però vero che così non si va avanti.

Il Costituente aveva disegnato bene la strada per salire al Colle. Nelle prime votazioni gli schieramenti indicano liberamente i propri candidati e dalla quarta in poi ricercano la convergenza sul più unitario tra i nomi avanzati. È perfetta come costruzione dell’itinerario. Invece cosa si vorrebbe fare? Replicare in grande quel che abbiamo combinato con l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni, divenuti tanti piccoli podestà.

Lei non ha una fiducia sconfinata nei partiti.

Davanti al gesto patriottico di Mattarella di accettare un incarico che non voleva assumere, per salvare l’Italia da una crisi ingestibile, dolorosa e pericolosa, i partiti cosa fanno, cosa dicono?

I partiti sembrano del tutto inconsapevoli della debolezza espressa con questa scelta.

Ecco, inconsapevoli. Scolari senza memoria della storia. Anche Enrico Letta, mi lasci dire, più che leader si sente professore. Invece mi permetto di suggerirgli ciò che ha detto papa Francesco: la realtà è più importante delle idee.

Comunque è un bisnonno felice e in campo!

Con una passione indomita per il futuro. Non sono il vegliardo che si lagna e si autocompiace di quel che fu.

Tre volte ministro, piemontese, dc di sinistra, acerrimo antiberlusconiano.

Mi spiace che abbia perduto un suo biglietto che accompagnava un omaggio: al più leale dei miei avversari, scrisse. Vero, l’ho combattuto come nessuno.

Democristiano un po’ bacchettone.

Ci vuole testa, un minimo di logica e un po’ di integrità per non cadere in situazioni che producono caos. Quando per esempio si decise di dar vita al Partito democratico, a unire l’anima democristiana e comunista, io dissi: prego, partite voi io resto qui. Voto Pd ma non mi sono mai iscritto.

La Balena bianca era un altro mondo.

Guardi quanta devozione verso la democrazia ha il presidente Mattarella. Analizzi il suo sacrificio personale, non solo quello intimo e privato, e poi lo raffronti con la superficialità, la leggerezza con la quale i partiti accompagnano questo sacrificio. Battono le mani, ma per chi? Per se stessi? Per averla scampata bella?

L’applauso è stato scrosciante anche perché il bis di Mattarella chiude definitivamente le porte alle elezioni anticipate.

E le sembra un motivo degno questo?

No cariche per gli 007: il ddl dem anti-Belloni

Aveva detto di sì a Giuseppe Conte, Enrico Letta, sul nome di Elisabetta Belloni come capo dello Stato. Ma contando sul fatto che quella candidatura non sarebbe mai stata portata in Aula. Sapeva dei no di Matteo Renzi e di Forza Italia. E la regola, per il segretario dem, è sempre stata che sul candidato doveva esserci la convergenza della maggioranza. “Ha fatto finta di volerla e l’ha lasciata bloccare da altri”, era la sintesi, sabato mattina, di un deputato Pd.

Siamo alla guerra delle ricostruzioni. E pure alla legge del giorno dopo: quella che intendono presentare i dem per affrontare il tema delle “incompatibilità e ineleggibilità” che regolino il passaggio dai vertici dei servizi a una carica istituzionale. Ad annunciarlo è stato ieri il deputato Enrico Borghi, membro del Copasir. Perché “nessun politico, neanche un consigliere comunale può essere utilizzato come fonte, confidente, consulente dei servizi segreti, tanto meno può esserne un dipendente”. Ma non c’è una norma che impedisce al capo dei servizi di essere eletto.

Mentre i Servizi diventavano un po’ meno segreti davanti all’opinione pubblica, la Belloni è stata in corsa davvero. E non solo negli ultimi giorni. Con un silenzio/dissenso di Enrico Letta, che ieri a In mezz’ora in più ha dato la sua versione. “Non c’è stata una discussione” sulla Belloni “ma su tutti i vari nomi che abbiamo fatto”. Anche su su Paola Severino, per esempio. Ancora: “Ho sempre detto di essere disponibile ad andare ai gruppi e vedere su questi nomi la disponibilità”.

Metà dei Grandi elettori dem erano pronti a farsi saltare per aria. Con l’altra metà, viceversa, fortemente a favore. Venerdì pomeriggio, quando dal Nazareno sono partiti i sondaggi sul capo del Dis, il partito – d’accordo anche con il segretario – aveva già iniziato l’operazione di votare in maniera massiccia “dal basso” Sergio Mattarella. Il dibattito è stato registrato nelle chat interne: un deputato lombardo intercettato dal Riformista si esprimeva a favore. Le oscillazioni pubbliche di Letta sono dipese anche dal favore che riscontrava la candidatura anche in pezzi del partito, dai gentiloniani in poi. Anche Dario Franceschini sarebbe stato pronto ad appoggiarla, se si fosse andati tutti su quel nome. Ma a Montecitorio, dopo l’annuncio di Matteo Salvini a favore della Belloni, da Graziano Delrio a Lorenzo Guerini, passando per Matteo Orfini e Stefano Ceccanti, venerdì serà, in molti si sono impegnati a bloccare l’operazione.

Cosa fatta platealmente da Matteo Renzi, in diretta su La7. Un asse, quello di Letta con il leader di Iv e con Forza Italia, che potrebbe consolidarsi con una nuova legge elettorale: il proporzionale che tutti nel Pd vogliono. Un sistema che potrebbe anche “ridimensionare” l’alleanza con i Cinque Stelle, come chiede metà partito. Per quanto il leader del Pd ci tenga a mantenersi fuori dalle dinamiche di M5s, il rapporto con Conte si è piuttosto incrinato. Mentre Letta ha parlato molto anche con Di Maio: entrambi lavoravano per Mario Draghi. A proposito di ricomposizioni del quadro.

Il Pd voleva proibire il bis in Costituzione e oggi canta vittoria

Il testo è di poche righe. Al primo comma dell’articolo 85 della Costituzione si aggiunge che il presidente della Repubblica “non è rieleggibile”; il secondo comma dell’articolo 88 – quello che sancisce il divieto di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi di mandato – è abolito. Fine. A farsi carico della proposta, due mesi fa, sono stati tre senatori del Pd, ovvero Luigi Zanda, Dario Parrini e Gianclaudio Bressa, firmatari di un disegno di legge per evitare storture nell’interpretazione dei sette anni di mandato del capo dello Stato. Per i confusi, tocca chiarire che non si tratta di omonimia, ma dello stesso Partito democratico che oggi gioisce per la rielezione di Mattarella (“una vittoria di tutti”) e si complimenta con sé stesso per aver così ben condotto in porto la nave del secondo mandato. Nell’attesa di capire che fine farà quel progetto di legge, è utile però ricordare in che modo fu presentato. Quando il Pd lo depositò – eravamo a inizio dicembre – diversi commentatori ne diedero un’interpretazione arzigogolata ma di certo profetica (spinta dagli stessi dem): quella riforma veniva incontro ai desideri di Mattarella, che quindi avrebbe potuto concedere il bis per poi favorire il definitivo “mai più” alla rielezione dei presidenti.

Di certo c’è che all’epoca il Colle non gradì, lasciando filtrare – pur secondo i consueti rituali di comunicazione quirinalizia – “stupore” per la suddetta interpretazione. Eppure nell’ipocrisia dem le due cose convivono, almeno agli atti: l’euforia per il bis di Mattarella e la convinzione che debba essere l’ultima volta (come già nel caso di Giorgio Napolitano nel 2013).

Basta leggere le dichiarazioni dei diretti interessati. Dario Parrini due mesi fa promuoveva il suo ddl escludendo la rielezione: “L’Italia è il regno dei retroscena, ma non c’è alcuna connessione con il voto per il Quirinale. Sette anni sono un arco temporale più che sufficiente a garantire un livello adeguato di stabilità, evitiamo di tirare per la giacca Mattarella”. L’arco temporale “più che sufficiente” sarà però prolungato, per la gioia dello stesso Parrini che sabato sera si è intestato la rielezione: “Non ho mai nascosto di vedere con favore la sua rielezione. È la cosa più utile per il Paese”.

Stesso itinerario dialettico percorso in due mesi da Zanda. Quando presentò il disegno di legge, era un sergente: “La non rieleggibilità del presidente della Repubblica, che ha un mandato settennale e dunque di lungo respiro, è una modifica opportuna ed è stata sollecitata in passato da Antonio Segni e Giovanni Leone”. Se modifica sarà, adesso sappiamo che sarà tardiva. Col placet di un festante Zanda: “L’elezione di Mattarella è un ottimo risultato, il migliore che si potesse immaginare. Si stabilizza il Paese in un momento delicatissimo”.

Anche Stefano Ceccanti, deputato dem punto di riferimento interno per gli affari costituzionali, era favorevole al disegno di legge (e tutto fa pensare che lo sia ancora), ma al contempo è stato tra i primi sostenitori del Mattarella bis, di cui è alfiere in pubblico e in privato da ben prima che il Parlamento si incartasse sull’elezione: “Ci ho sempre creduto”. Un groviglio di contraddizioni che nel Partito democratico, oggi, si digerisce non solo senza fatica, ma pure stappando la bottiglia buona.

Destra, adesso comanda Meloni: “Da ora Salvini non è più leader”

Il primo è all’angolo e vuole riprendersi la scena con una campagna elettorale permanente che si concluderà solo con le elezioni del 2023. L’altra è delusa, amareggiata con i suoi “ex alleati” e ora lancia l’opa ostile sulla coalizione: centrodestra c’est moi, dice. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono le due facce del centrodestra finito in mille pezzi dopo la settimana di elezione presidenziale. Una guerra fratricida culminata venerdì durante il voto in aula per Maria Elisabetta Alberti Casellati, impallinata da 71 franchi tiratori nella coalizione. Così, l’anno che inizia oggi e si concluderà con le elezioni politiche coinciderà con la sfida per la leadership del centrodestra.

Salvini – che dopo aver bruciato una decina di candidati si è dovuto arrendere alla rielezione di Mattarella – ora deve rilanciare. E per farlo inizierà dal governo. Oggi il leader della Lega dovrebbe incontrare il premier Mario Draghi con il suo capo delegazione Giancarlo Giorgetti, che sabato ha minacciato di dimettersi dall’esecutivo. Per entrare in modalità “campagna elettorale”, Salvini vorrebbe chiedere al premier un rimpasto di governo. Un “tagliando”, dicono da via Bellerio: cambiare i ministri che “non funzionano” come Roberto Speranza e Luciana Lamorgese. “Se c’è qualche ministro che non vuole lavorare, ne parleremo” ha anticipato Salvini. Il rimpasto non lo otterrà. Però servirà come alibi per iniziare a bombardare il governo da fuori. Ieri il leghista ha già dato un primo assaggio ad Affaritaliani.it: “Va affrontato il caso bollette, servono 30 miliardi subito – ha dato la linea – poi vanno riviste le regole della quarantena a scuola che stanno rendendo la vita difficile a molte famiglie”. E poi gli sbarchi che, per Salvini, vanno fermati subito.

Tutti temi su cui Salvini punterà per uscire dall’angolo: presto inizierà la sua campagna elettorale in vista dei referendum sulla giustizia di primavera, delle comunali e delle regionali in Sicilia e infine delle politiche del prossimo anno. Sul fronte interno, invece, Salvini è sulla graticola. Gli alleati ormai non lo ritengono più il leader della coalizione e l’ala nordista dentro la Lega è furiosa con il segretario per la sua gestione della partita del Colle. Per questo ieri Salvini ha annunciato che nei prossimi giorni convocherà un consiglio federale in cui non si metterà in discussione ma proverà a ricostruire l’alleanza: “Serve una profonda riflessione sul centrodestra e bisogna ragionare sul futuro della coalizione (con chi è sinceramente interessato), per costruire un progetto di medio-lungo termine”. L’idea è quella di riportare nell’alveo della coalizione Forza Italia e tenere fuori i centristi di Coraggio Italia che ormai a via Bellerio considerano come “una costola della sinistra”. All’interno, invece, pesano i malumori dell’ala di Giorgetti e dei governatori che accusano l’inner circle di Salvini – composto da Claudio Durigon, Edoardo Rixi, Alessandro Morelli, Riccardo Molinari e Andrea Paganella – di averlo mal consigliato.

Nel frattempo è Meloni, leader dell’unico partito che non ha sostenuto il bis di Mattarella, ad approfittare della debolezza di Salvini. Ieri, in una diretta Facebook, Meloni ha preso le redini della coalizione: “Il centrodestra non c’è più, è da rifondare. E questo, da oggi, è il mio lavoro. Un’alleanza polverizzata in Parlamento ma che è maggioranza nel Paese”. Nei prossimi giorni partirà l’offensiva di FdI sui territori “rubando” molti amministratori alla Lega, farà opposizione al governo Draghi di cui fanno parte anche Lega e FI e si opporrà al ritorno al proporzionale. Posizione condivisa con Salvini. “Nel nuovo centrodestra non può esserci un centro trasformista” ha concluso Meloni. In mezzo al guado resta Forza Italia che ieri ha contestato la versione di Meloni secondo cui il centrodestra era contrario al bis di Mattarella. Antonio Tajani butta acqua sul fuoco: “Con il maggioritario, saremo uniti”. Ma poi avverte Salvini e Meloni: “Senza una componente europeista, il centrodestra non sarà un’alleanza di governo”. Come dire: senza di noi non andate da nessuna parte.

I giornali esteri: “Draghi sconfitto”

L’ultimo miracolo di Mario Draghi è stato quello di far dimenticare ai media italiani di aver sgomitato per mesi per prendere il posto di Sergio Mattarella al Quirinale. Il concetto – sparito sui nostri quotidiani, che hanno incensato il premier come uno dei vincitori della riffa del Colle – non è invece sfuggito ai colleghi stranieri, che ieri hanno raccontato la rielezione di Mattarella come un fallimento delle ambizioni dell’ex Bce.

Secondo il Washington Post, non proprio una testata di barricaderi populisti, “i parlamentari italiani hanno deciso contro l’ipotesi di eleggerlo presidente” e questo forse è “un colpo personale per Draghi”, il quale “era noto per bramare dietro al ruolo, anche se non ha mai lanciato una campagna esplicita”.

In Francia, le Figaro racconta che “mentre tutti aspettavano l’elezione di Draghi al primo turno, la sua candidatura ha suscitato più rifiuti che entusiasmi tra i parlamentari”. In Spagna El Pais ricorda che “Draghi era l’altro grande nome” in partita e che, forse per la prima volta, “si è accorto che la politica schizza”. Non è finita. Politico.eu, dorso europeo della nota testata americana, è netto: “Draghi era considerato un candidato, ma ha fallito nell’ottenere un largo sostegno dai partiti”. Anche la prestigiosa agenzia internazionale Reuters non dimentica le mire del premier: “Draghi voleva per sé il ruolo di presidente, ma i suoi obiettivi si sono scontrati con i due partiti più grandi della maggioranza”.

Perfino il Guardian, pur in stile british, nota che Draghi “era indicato come il favorito” ma che l’elezione è saltata anche a causa “del rischio di elezioni anticipate”. Strano: qui da noi Draghi è parso un passante qualunque.

“Conte doveva portare Belloni al voto. Luigi pensa al potere”

L’ex che molti vorrebbero richiamare in servizio osserva la guerra a 5 Stelle stando a qualche passo di lato, e di questi tempi ha il telefono caldo. “Dal Movimento mi hanno chiamato molti che non sentivo da tempo. Io li ascolto: non serbo rancore, però conservo la memoria”. Alessandro Di Battista ricorda parecchie cose. E altre ha da dirne.

Giuseppe Conte ha detto che la stima e che vorrebbe “riaprire un dialogo” con lei.

Sono contento, perché lo reputo una brava persona. Ma Conte sa che io non rinuncerò mai a determinate posizioni e ai miei convincimenti politici.

Ultimamente vi siete sentiti?

Sì, anche in questi giorni. Ma con lui ho iniziato a sentirmi più spesso da quando è stato cacciato dal suo governo, perché a Palazzo Chigi venisse messo un banchiere.

Logico chiederle se pensa di rientrare nel M5S, allora…

Adesso la sola cosa che mi interessa è supportare i referendum popolari. E proseguire nella de-santificazione del messia Mario Draghi.

Perché questo scontro tra Conte e Di Maio? Era inevitabile, vista la situazione?

Credo che a Luigi interessi più salvaguardare il suo potere personale che la salute del Movimento.

Il M5S sta precipitando verso una scissione?

O si arriva a una resa di conti, o faranno prima a cambiare il nome del M5S in Udeur. I 5Stelle che mi chiamano sono preoccupati. Ma ciò che sta accadendo io lo avevo già previsto due anni fa.

In un post lei ha scritto che è “vigliacco mettere Conte sul banco degli imputati”. Ma è il capo, e come tutti i leader deve rispondere del suo operato, non crede?

Conte è l’ultimo arrivato nel M5S, per così dire. Se il capo politico fosse stato Di Maio Draghi sarebbe stato il presidente della Repubblica. E io che non avrei votato Mattarella, proprio come hanno fatto gli ex del M5S, reputavo Draghi al Colle lo scenario peggiore.

Conte puntava su Elisabetta Belloni. Ma ieri a Mezz’ora in più il segretario del Pd Enrico Letta ha parlato di cortocircuito mediatico tra Lega e M5S sulla direttrice del Dis. A suo dire mancava un accordo condiviso tra Conte e Salvini quando venerdì hanno parlato di una presidente donna. Forse l’ex premier ha sbagliato qualcosa?

Io mi chiedo: se la Belloni è stata davvero elogiata da Letta, perché non ha dato il via libera al votarla in Aula?

Insisto: Conte non ha sbagliato nulla?

Sì: a mio avviso avrebbe dovuto far votare la Belloni in Aula, a qualunque costo.

Conte potrebbe risponderle che non voleva rompere l’alleanza con il Pd.

Ripeto: se c’era davvero l’accordo tra Pd e M5S su quel nome, non vedo il problema. La verità è che il Pdl, cioè il partito dei Letta, Gianni ed Enrico, voleva Draghi.

Eleggere la direttrice dei Servizi al Quirinale, al di là della persona, a molti sembrava un precedente pericoloso. Era un’obiezione così insensata?

Io avrei preferito altre soluzioni. Ma certamente Belloni avrebbe rappresentato un segnale di discontinuità in un Paese gattopardesco.

Però Draghi non è stato eletto al Colle. È andata come lei sperava…

Per adesso.

Va bene. Ma i partiti hanno saputo resistere, no?

Conte, Salvini, Giorgia Meloni e gli ex 5Stelle si sono opposti, e ciò va riconosciuto. Ma anche un pezzo del Pd ha fatto muro, e pure questo va detto.

Però le coalizioni sembrano evaporate. Cosa racconta questo?

Io non ho mai creduto al bipolarismo, l’ho sempre definito una fregatura.

Quindi ora cosa si dovrebbe fare?

Io vorrei una legge elettorale proporzionale, con le preferenze. Così avremmo un sistema più democratico.

Il governo Draghi andrà avanti?

Non lo so. Ma se continuano a parlare solo in politichese il disagio sociale aumenterà.

In questo scenario lei valuta ancora di creare un suo partito?

Prima vengono le battaglie politiche. Poi vedremo.

Promesse al Caimano, Casini, Casellati&C: 50 sfumature di Gigino

Montecitorio, interno sera. Alle 20.20 di sabato, quando Sergio Mattarella supera la soglia di 505 voti, Luigi Di Maio sfoggia un sorriso a trentadue denti e si lascia andare a un fragoroso applauso. Intorno a lui ha una decina di parlamentari a lui vicini – i “dimaiani” –­che lo abbracciano, gli danno il cinque, lo osannano. Come dire: hai evitato il peggio. Cioè la candidata di Giuseppe Conte, Elisabetta Belloni.

Nella partita del Quirinale Di Maio non ha mai fatto asse con il capo politico del M5S. Tant’è che, sempre sabato sera, convocati i giornalisti appena fuori da Montecitorio, è Di Maio il primo gallo che canta: “Alcune leadership hanno fallito, hanno alimentato tensioni e divisioni – dice con lo sguardo serioso riferendosi a Conte – nel M5S serve aprire una riflessione politica interna”. Dietro di lui c’è un gruppetto di dimaiani, da Laura Castelli a Sergio Battelli. Non è certo la truppa di 80 o addirittura 120 parlamentari “dimaiani” che il ministro degli Esteri ha fatto sapere di controllare nel corpaccione del gruppo parlamentare a 5 Stelle. Sabato sera, però, i suoi social e quelli del M5S sono esplosi contro di lui, accusato di aver “tradito” il leader Conte, tanto che per molte ore è spopolato l’hashtag “#DiMaioOut”. Ieri, però, molti di quei commenti sulla sua pagina Facebook erano spariti.

Dall’inizio, Di Maio ha giocato una partita opposta a quella di Conte. Nelle settimane scorse ha incontrato candidati di ogni risma: Letizia Moratti, Giuliano Amato ma anche la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mentre prendeva piede la candidatura di Silvio Berlusconi con “l’operazione scoiattolo” per raccogliere voti tra i parlamentari del gruppo Misto, era stato Fedele Confalonieri a contattarlo per capire se il leader di Forza Italia potesse contare su un pacchetto di voti anche nel M5S. Dai vertici del partito azzurro raccontano anche che il ministro degli Esteri avesse addirittura “promesso 20-30 voti per Berlusconi”. Ma Di Maio ha puntato da subito su altri cavalli. Il primo, facendo asse con Giancarlo Giorgetti, è stato Mario Draghi. Tanto che fonti vicine al ministro, alla vigilia del primo scrutinio, facevano addirittura filtrare un possibile sostegno di Grillo all’elezione del premier. Tentativo che il ministro degli Esteri ha fatto martedì scorso chiamando al telefono il fondatore per chiedergli di appoggiare pubblicamente Draghi, ricevendo però un brusco stop dal comico genovese. Venerdì mattina poi Di Maio aveva addirittura incontrato la presidente del Senato Casellati prima che quest’ultima si andasse a schiantare in aula contro 71 franchi tiratori del centrodestra. Poi, nella serata di venerdì, è arrivato il veto sul nome di Elisabetta Belloni, proposta da Salvini e Conte. Poche ore prima il ministro degli Esteri diceva di lei in Transatlantico: “Elisabetta è mia sorella, alla Farnesina abbiamo lavorato benissimo”. Ma dopo la candidatura lanciata dai leader gialloverdi, è stato proprio lui (con Lorenzo Guerini) a stopparla: “È indecoroso che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni senza un accordo condiviso”.

Sabato mattina, quando la candidatura di Belloni non era più sul tavolo, Il Foglio ha pizzicato Di Maio a parlare con la dem Beatrice Lorenzin in Transatlantico: “Quei due furboni (Conte e Salvini, ndr) giocavano sul fatto che io non ne sapessi niente”. Bruciata Belloni, fonti parlamentari raccontano che – oltre a Draghi – l’altra candidatura che sarebbe andata bene a Di Maio era quella di Pier Ferdinando Casini. Nella riunione di venerdì notte al ristorante Maxela di centristi e forzisti, Giovanni Toti avrebbe chiamato proprio il ministro degli Esteri e gli avrebbe strappato un “sì” su Casini. Una mossa politica con prospettive sul futuro: Casini al Quirinale sarebbe stato il garante del nuovo centro composto dall’ala governista di Forza Italia, i centristi di Toti e Brugnaro e i renziani. Ma forse anche Di Maio e i suoi seguaci, in caso di scissione dal M5S. Ipotesi non ancora scongiurata del tutto, anzi.

5Stelle, la resa dei conti: i duellanti invocano la base

Ne resterà solo uno, tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. “E alla resa dei conti si arriverà in fretta” assicura un big. Nella domenica del post-Quirinale i due poli del M5S tornano a darsele pubblicamente. “Di Maio vuole un chiarimento? L’ho chiesto prima io, a dire il vero” fa notare Conte. E comunque “bisogna rendere conto non a me ma a tutta la comunità degli iscritti” aveva teorizzato già sabato. Ieri l’avvocato ha rincarato la dose: “Di Maio avrà la possibilità di chiarire il suo operato e la sua agenda, se era condivisa o meno”. E l’accenno ai mille incontri del ministro è puramente voluto.

D’altronde lo strappo si è fatto ferita, dopo l’attacco del ministro di sabato sera, scandito con un gruppo di parlamentari a fargli da corona: “Nel M5S serve una riflessione politica, alcune leadership hanno fallito”. Accusa a cui Conte controreplica così: “Di Maio era nella cabina di regia del M5S, ci chiarirà perché non ha espresso questa posizione, e soprattutto chiarirà i suoi comportamenti, non a Conte ma agli iscritti”. È questa la linea dell’ex premier: evocare il giudizio della base, – magari sul web – che percepisce come in maggioranza ostile a Di Maio. Ma il ministro non porge l’ altra guancia, e in serata ribatte: “Non si provi a scaricare le responsabilità su altri, in cabina di regia non si è mai parlato di fare annunci roboanti su presunti accordi raggiunti con Pd e Lega, oggi smentiti anche dal segretario dem Letta”. Su questo batte l’ex capo politico: anche il Pd, l’alleato, ha preso le distanze dalla gestione del caso Belloni da parte di Conte. Ma sullo sfondo c’è molto altro. Perché Di Maio e i suoi hanno puntato l’indice, da tempo, contro i cinque vicepresidenti, la vera segreteria di Conte (quando parla di leadership, Di Maio si riferisce a loro). “Il malessere verso la gestione è diffuso” ripetono. Mentre il dimaiano Gianluca Vacca non nega che la scissione sia possibile: “Non so, sicuramente un’ assemblea non basta”. Ma cosa succederà ora? “Luigi è uno dei tre membri del comitato di garanzia” ricorda un veterano.

Gli altri sono Virginia Raggi – non esattamente contiana – e Roberto Fico, vicino all’ex premier. Tre big voluti da Beppe Grillo, nel comitato che è il contrappeso del presidente, Conte. Da Statuto può “determinare la sfiducia nei confronti del presidente”, ma solo “all’unanimità”. Dovrebbe passare dal web. Una strada difficile. Mentre sull’altra sponda Conte riflette su procedure disciplinari. “Andrà drittissimo” dicono. Di Maio lo attende al varco. Auspica ancora, giurano, un incontro faccia a faccia con Conte. Chissà se è ancora possibile.

I veri vincitori

Chi ha vinto e chi ha perso la battaglia del Quirinale, presentata fin dall’inizio come “Draghi contro tutti” (o viceversa), lo sa chiunque conservi una memoria superiore alle 48 ore: ha vinto chi non lo voleva e perso chi lo voleva (a cominciare da Draghi). Ma i giornaloni raccontano le più variopinte verità parallele, altrimenti dette fake news, per nascondere la disfatta.

Vince Draghi/1. “Draghi sblocca lo stallo al posto dei partiti e garantisce che rimane a Palazzo Chigi” (Messaggero, 30.1). “Il premier ha chiesto al capo dello Stato di restare per la stabilità” (Corriere, 30.1). “Non è dal Quirinale, ma da Palazzo Chigi che si governa” (Stefano Folli, Repubblica, 30.1). comunque l’uva era acerba.

Vince Draghi/2. “Per fortuna questo stallo l’hanno (sic, ndr) risolto il Parlamento grazie anche al contributo di Draghi” (Luigi Di Maio, M5S, LaPresse, 29.1). “Draghi Enea di Mattarella” (Francesco Merlo, Repubblica, 30.1). “La scelta di Mattarella è stata favorita dalla spinta del premier Draghi” (Luciano Fontana, Corriere della sera, 30.1). Pareva spingesse se stesso, invece spingeva Mattarella di nascosto: a saperlo prima, si risparmiava una settimana.

Vince Draghi/3. “Sarebbe molto ingeneroso collocare Draghi tra gli sconfitti. In primo luogo per la statura dell’uomo” (Folli, Repubblica, 30.1). Un filino più basso e perdeva.

Vince Di Maio/1. “Calma, il sì a Draghi arriverà per inerzia” (Di Maio, Giornale, 26.1). “L’area Di Maio per il premier o la Belloni” (Corriere, 27.1). “La Belloni è mia sorella, profilo alto, non bruciamola” (Di Maio, 28.1). “Quei furboni (Conte e Salvini sulla Belloni, ndr) giocavano sul fatto che io non ne sapessi niente. Ma appena abbiamo capito l’aria che tirava ci siamo sentiti con Guerini e abbiamo bloccato tutto” (Di Maio, Foglio, 29.1). “Di Maio costruiva la candidatura Belloni che Conte ha avallato con un misto di ingenuità e sicumera” (Domani, 30.1). “Ho sempre detto che se si deve andare su un tecnico per me c’è solo Draghi. Se è un politico, si può fare con Casini” (Di Maio, Corriere, 30.1). “Il bis di Mattarella è un successo. Alcune leadership hanno fallito” (Di Maio, 29.1). Ha perso sul piano A, sul B, sul C e sul D, però hanno fallito gli altri.

Vince Di Maio/2. “Belloni e Severino anche Di Maio le apprezza” (Corriere, 28.1). Pensa se gli stavano sul cazzo.

Vince Salvini. “Non accetteremo mai il Mattarella bis” (Matteo Salvini, Lega, 28.1). “Ho detto chiudiamola qua e chiediamo il sacrificio a Mattarella: la mia proposta, nelle ore, è diventata la proposta di tanti” (Salvini, 29.1). Sennò gli altri mica ci pensavano.

Vince Letta/1. “Il Pd deposita ddl che vieta la rielezione del presidente della Repubblica” (Repubblica, 2.12). “Conte disfa ciò che Letta tesse per Draghi” (Foglio, 26.1). “Letta ai suoi gruppi: ‘Casini ipotesi che può aiutarci a stare uniti’” (Stampa, 27.1). “Belloni scelta plausibile e onorevole” (nota del Pd, 27.1). “Lavoriamo a una presidente” (Letta, 28.1). “Mattarella vittoria di tutti” (Letta, 29.1). “Letta ha preso in contropiede il centrodestra diviso” (Federico Geremicca, Stampa, 30.1). “Letta porta a casa il risultato” (Corriere, 30.1). Quale, dei tanti?

Vince Letta/2. “Ho chiamato Berlusconi per scusarmi: ho usato parole troppo dure” (Letta, Corriere, 30.1). In effetti dare del “divisivo” a un pregiudicato puttaniere finanziatore della mafia è eccessivo. Basta “bricconcello”.

Vince B.. “La zampata del Cav. Berlusconi sul Colle ha fatto un passo indietro, in realtà ha condotto il gioco” (Libero, 30.1). “Alla fine è dovuto intervenire Berlusconi dal San Raffaele per rimettere in carreggiata un’elezione del capo dello Stato” (Augusto Minzolini, Giornale, 30.1). “Il Cavaliere torna al centro della scena” (Mario Ajello, Messaggero, 30.1). Dimostrando che quello da ricovero non è lui.

Vince Brunetta. “Servono sette anni di Draghi al Quirinale per la stabilità” (Renato Brunetta, FI, Agi, 28.9). “Il bis di Mattarella è un successo per la stabilità” (Brunetta, 29.1). Quella della sua poltroncina.

Vince Boschi. “Votare Mattarella mi sembra mancanza di rispetto verso il presidente della Repubblica che ha già fatto sapere la sua opinione” (Maria Elena Boschi, Iv, 27.1). “Lo abbiamo votato convintamente cinque anni fa (sic, ndr) e lo rifaremo oggi: per noi Mattarella è una vittoria” (Boschi, 29.1). Fortuna che la faccia si può perderla una volta sola.

Vince Mastella. “Sto con Casini” (Clemente Mastella, 28.1). “Mattarella è un democristiano della mia corrente” (Mastella, 29.1). Non viceversa.

Vince Sambuca. “Il fronte Salvini-Conte, con l’alleato Meloni, ha riproposto la coalizione gialloverde frutto del voto del 2018: in maniera assai disinvolta, prima ha puntato su Frattini, poi ha mandato al massacro politico la Casellati, e infine ha tentato di sacrificare persino Belloni” (Maurizio Molinari, Repubblica, 30.1). A parte che la Meloni non faceva parte della coalizione gialloverde frutto del voto del 2018, che Conte non ha appoggiato né Frattini né Casellati, che Belloni l’hanno proposta Conte e Letta a Salvini e Meloni, che l’hanno accettata mentre Letta e Di Maio la sabotavano, tutto il resto è vero. Cioè niente.

Ps. Ah, sabato hanno eletto un presidente donna: però in Honduras.