“Democrazia partecipata dei cittadini contro le tecnocrazie”. È il messaggio che il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, vuole inviare a caldo dopo il voto sul Recovery Fund e su cui invita i governi a non tirarsi indietro.
Perché il voto sul Recovery fund è stato importante?
Perché in una situazione di emergenza la maggioranza parlamentare ha detto che serve più politica e meno tecnocrazia. Servono risorse per affrontare questa sfida epocale e il ruolo del Parlamento deve essere centrale, perché rappresenta i cittadini e avrà l’ultima parola.
Cosa chiede il Parlamento?
Scelte coraggiose che valgano per il piano di ricostruzione e per il bilancio pluriennale. E risorse vere e adeguate. Per averle è necessario anche emettere i recovery bond.
Quale dovrebbe essere l’ampiezza di un simile intervento?
Deve rappresentare un “bazooka” impegnativo senza intaccare i programmi previsti dal bilancio e quindi con risorse fresche aggiuntive. La presidente Ursula von der Leyen ha parlato di un impegno europeo complessivo di 2mila miliardi. La prendiamo in parola.
Su questo però c’è ancora battaglia, non tutto è definito.
Capiremo la proposta della Commissione il 27 maggio quando verrà in Parlamento a presentarla. Intanto è importante che la maggioranza del Parlamento a favore del Recovery Fund si sia allargata, il fronte nazionalista abbia perso pezzi e i sovranisti italiani non abbiano avuto il coraggio di votare contro. Tutto questo è di buon auspicio anche per la stabilità dell’Italia. È stato molto importante che la delegazione del M5S abbia sostenuto la risoluzione. Spero che questo l’aiuti a uscire dall’isolamento nel Parlamento, trovando una famiglia politica di riferimento. Sarebbe molto utile perché in Europa c’è bisogno anche di loro.
C’è bisogno di loro per cosa?
Per affrontare la ricostruzione dal basso, dalla parte dei cittadini contro la tecnocrazia. Siamo in un cambio di fase che vede uno scontro politico decisivo fra chi pensa che la nuova fase che si è aperta possa essere guidata dall’alto e coloro che invece indicano la strada di una democrazia partecipata.
Chi sono le tecnocrazie?
Tutti coloro che vorrebbero che in questo momento l’Europa non esprimesse la sua autonomia e la sua indipendenza. Una prova è la critica a Papa Francesco e al suo richiamo a una forte partecipazione sociale ai destini comuni.
Tra le tecnocrazie c’è la Corte costituzionale tedesca?
Sulla Corte tedesca, le istituzioni sono state molto chiare, rivendicando il primato del diritto europeo come interpretato dalla Corte di Giustizia e l’autonomia della Bce. Ho apprezzato le parole chiare della presidente della Commissione, che ha fatto riferimento anche all’ipotesi di una procedura di infrazione.
E la Bce?
In questo momento è il nostro vero punto di forza per il massiccio impiego di risorse in favore della stabilità della moneta unica, e di conseguenza della stabilità degli Stati, specie i più deboli. Minarne la capacità sarebbe un colpo a tutta l’Europa.
Anche lei pensa che servirebbe il ricorso al Mes?
Al presidente Conte ho detto che servono progetti e in Europa ci sono le risorse per finanziarli. Si facciano i progetti. Il Mes può essere una buona occasione per avere ambulatori nelle università, nei distretti industriali, sul territorio e anche per trovare un vaccino e distribuirlo.
L’Economist parla di crisi costituzionale europea. Non è venuto il momento di una riforma della Ue a partire dai trattati?
Questa legislatura è nata con l’ambizione di far partire una Conferenza sul futuro dell’Europa. Con l’emergenza Covid-19 abbiamo visto che tutto questo è davvero indispensabile perché il funzionamento della democrazia sia un punto di forza per gli europei. La democrazia è utile se risponde con tempestività alle domande. Per esempio, una drastica riduzione del diritto di veto è necessaria e indispensabile.
Il governo italiano si è mosso bene?
Ha gestito la più grave crisi dal Dopoguerra, ha fatto scuola anche nei confronti degli altri Paesi, ha stanziato una manovra di sostegno alle persone e alle imprese e oggi è chiamato, insieme all’Ue, a indicare la via della ricostruzione. E devo dire che il presidente Conte dai vertici europei è sempre uscito a testa alta.
Come valuta le scelte dell’Italia in relazione agli altri Paesi?
L’Italia è stata un esempio sulle misure di lockdown. Ma in Europa ci sono buone pratiche, adottate nell’emergenza, che possono essere utili a tutti. Il Portogallo ha varato una legge per dare domicilio legale ai senza tetto e ai migranti, la Danimarca una legge per impedire di destinare risorse a società che pagano dividendi, acquistano azioni proprie e sono registrate in paradisi fiscali. Dobbiamo crescere insieme.
E sulle scelte economiche e il ricorso al debito? Come dovrà essere impiegato?
Servono scelte a carattere sociale e ambientale. Tutti stanno prendendo a prestito decine di miliardi dalle generazioni future con lo scopo di difendere le aziende dal fallimento. Ma stiamo prendendo risorse a debito sui nostri figli. Servono allora scelte socialmente sostenibili i cui benefici siano a vantaggio della “generazione Greta”. Questo può farlo solo l’iniziativa pubblica che deve indicare la strada della ricostruzione e le priorità su cui impegnare un’iniziativa privata maggiormente responsabile nei confronti della comunità. Oggi è questa la grande partita.
La Sanofi minaccia di vendere il vaccino, se trovato, a chi le pare. L’Europa può svolgere un ruolo?
Deve. E serve un cambio di passo. Ricordo che dalla crisi della mucca pazza siamo usciti con una politica veterinaria europea. Sarebbe assurdo uscire dal Covid-19 senza una politica europea per la salute delle persone. La questione del vaccino è un punto di partenza e spero che i governi non si mettano di traverso.