Mascherine, c’è l’accordo. E i contagi non aumentano

Nove milioni entro maggio fin da lunedì 18 e 20 milioni alla settimana a giugno. È l’accordo raggiunto ieri da Domenico Arcuri con i distributori di Assofarm, Federfarma e i rappresentanti delle parafarmacie sugli approvvigionamenti delle mascherine destinate al pubblico a 61 centesimi (50+Iva). Il commissario, poi, continuerà con 10 milioni di pezzi sino a fine mese a integrare gli stock delle farmacie, a cui ristorerà la differenza di prezzo. Le mascherine, che fino a ieri sembravano introvabili, sono saltate fuori quindi. Secondo fonti vicine al dossier consultate dal Fatto, Marco Velluti, dg di Alliance Healthcare Italia, si è impegnato a far arrivare tra il 18 e il 24 le prime dei 9 milioni di chirurgiche provenienti dalla Cina, prodotte da un’azienda di Stato, dirottando sull’Italia alcune forniture internazionali. Si è arrivati “alla soluzione di un’altra delle questioni più rilevanti della Fase 2”, ha commentato il commissario Arcuri. “È un accordo raggiunto nell’interesse dei cittadini”, ha chiosato Marco Cossolo, presidente di Federfarma.
I Dpi serviranno a contrastare il virus mentre l’Italia riapre. Le indicazioni che arrivano della Protezione civile, nel 10° giorno dalla fine del lockdown, autorizzano a un cauto ottimismo. I nuovi casi sono 888, che portano i contagi totali (positivi, decessi e dimessi o guariti) a 222.104: +0,40%, al di sotto della media registrata dal 4 maggio che è stata dello 0,54%. Dati incoraggianti a fronte di un numero di tamponi stabile: 61.973 quelli di ieri, numero di poco più alto della media del periodo che è stata di 57.700 test al giorno. Quasi la metà – 394 – dei nuovi casi sono stati registrati in Lombardia. Resta alcuno il numero dei decessi: 195. Preoccupa la situazione del Molise, dove un funerale celebrato il 30 aprile dalla comunità rom di Campobasso ha portato a quota 401 i contagi : 15 quelli registrati ieri, di cui 5 nella comunità del capoluogo. Che conta in totale 82 casi.

I giornalisti Mediaset e Toti alla conquista del gruppo Gedi

Giornalisti di Mediaset – delle trasmissioni curate dalla moglie del governatore Giovanni Toti – che scrivono per Il Secolo XIX e La Stampa. Mentre il neo direttore di Repubblica promette premi al miglior giornalista della settimana. La rivoluzione targata Gedi-Elkann arriva nei giornali del gruppo. Lunedì scorso, ecco in edicola 8 pagine sul Covid-19 (si replica la prossima settimana). Titolo: “I cento giorni che sconvolsero l’Italia”. L’inserto è diffuso con Secolo XIX, La Stampa e gli altri giornali del gruppo. A firmarlo è Matteo Bassetti, epidemiologo dell’ospedale San Martino di Genova. Con il virus è diventato una star: prima le apparizioni tv (a partire da Mediaset), poi le comparsate accanto al governatore Toti nelle conferenze stampa. Molti ne sono convinti: Bassetti si candiderà con Toti alle prossime elezioni. Ecco il punto: c’è chi vede l’impronta del governatore anche sull’inserto. Non c’è solo Bassetti. A firmare con il medico e un giornalista del Secolo c’è Martina Maltagliati di Rete 4 (da cui proviene Toti). Viene da Quarto Grado, il programma condotto da Gian Luigi Nuzzi e curato da Siria Magri, moglie di Toti. Bassetti è comparso in trasmissione anche l’8 maggio. Al Secolo lo hanno notato. È il secondo episodio in pochi giorni che suscita mal di pancia in redazione. Il 4 maggio la Regione Liguria ha comprato – con soldi pubblici – tutti gli spazi pubblicitari del quotidiano. I conti sorridono, i giornalisti meno.

Malumore anche a Repubblica, la corazzata Gedi. Non tutti hanno gradito una delle prime mosse del neo direttore Maurizio Molinari: “Cari colleghi – ha comunicato – è stato istituito un premio per il miglior giornalista della settimana”. Saranno 600 euro lordi. Ma la campagna-simpatia di Molinari non ha ottenuto gli effetti sperati.

Orfeo ci riprova col Tg3. Maggioni assedia Vespa

Alcuni esponenti politici da giorni avrebbero il telefono bollente. Non smette mai di squillare. Specie nel Pd e tra i 5 Stelle. E che a volte lo lascino trillare apposta, senza rispondere, per il gusto di tenere sulle spine. Quello di Dario Franceschini, per esempio, è caldissimo. È lui che, anche per conto di Nicola Zingaretti, sta gestendo la partita delle nomine in casa Rai, previste per domani in un importante cda. Un altro col telefono caliente è Matteo Renzi, che sta riuscendo nel miracolo di muoversi in sintonia col Pd ma pure contro. Tra i 5 Stelle, invece, squillano parecchio i telefoni di Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora.

La carambola che dovrebbe portare in buca Mario Orfeo, per esempio, è un perfetto gioco di sponda Renzi-Franceschini-Spadafora. Domani, infatti, l’attuale presidente di Raiway si dimetterà (al suo posto il Cfo Giuseppe Pasciucco) per approdare alla direzione del Tg3, posto per cui, sostenuto dal Pd, lui spinge da mesi. Nel segno del famoso riequilibrio chiesto da Zingaretti ai pentastellati. E qualcuno si chiede: ma perché sempre e solo Orfeo, quando di giornalisti in quota dem l’azienda è piena? Ma questi sono i dilemmi di mamma Rai: dirigenti con incarichi plurimi e altri a girarsi i pollici.

Comunque, dopo molto insistenze, il veto di Di Maio su Orfeo sarebbe caduto. In cambio i 5 Stelle otterranno la direzione di Raitre con Franco Di Mare, molto spinto da Spadafora. Con Silvia Calandrelli, nominata solo a gennaio da Fabrizio Salini, costretta a levare le tende (ma resta a capo di Cultura, Storia e Scuola). Le trattative, però, fervono. Tanto che a Viale Mazzini circola una storiella divertente. Martedì pomeriggio Dario Franceschini era atteso negli studi di Porta a Porta per registrare la puntata, ma all’ultimo ha dato buca, costringendo Bruno Vespa ad andare in onda la sera, in diretta. “Motivo? Era impegnato con le nomine…”, si racconta, tra il serio e il faceto. Comunque il pressing di Orfeo è servito: avrà il Tg3, con Giuseppina Paterniti che prenderà la direzione del coordinamento news (poltrona che fu di Carlo Verdelli). Antonio Di Bella, invece, resterà a Rainews.

Altro telefono bollente è quello di Monica Maggioni. Che smania per tornare all’informazione. Così l’attuale ad di RaiCom ha ripreso a muovere tutte le sue pedine assai trasversali: da FI a Italia Viva, senza dimenticare il Pd e un suo vecchio sponsor, Paolo Gentiloni. Obbiettivo: un programma in prima o seconda serata su Raiuno. Pare tramontata, infatti, l’idea un talk su Raidue insieme a Gerardo Greco, poiché sul ritorno del giornalista in Rai si è alzato il fuoco di sbarramento di Laganà e Borioni in Cda, ma pure dentro l’azienda. Motivo? Greco ora è un esterno che oltretutto se n’era andato con una cospicua buonuscita alla concorrenza (Mediaset). A quel che si dice, però, il bersaglio grosso di Maggioni sarebbe un altro: Bruno Vespa. Entrare in punta di piedi nel serale della rete ammiraglia per poi, successivamente, prendere sempre più spazio a scapito del popolare conduttore, che ancora oggi detiene tre seconde serate. Al momento, però, la certezza di un programma per Maggioni non c’è, quindi per ora resterà a Raicom dove, come presidente, arriverà Teresa De Santis come risarcimento per la cacciata da Raiuno. Così la tv pubblica eviterà pure la causa di lavoro minacciata dall’ex direttrice. Confermati gli attuali vertici a Rai Pubblicità e Rai Cinema, con qualche malumore: Paolo Del Brocco, infatti, è ad di Rai Cinema da 8 anni e, secondo una direttiva Anac, dovrebbe ruotare.

“Al supermercato parlo in francese o spagnolo. E sparisco per tutti”

Calmo. Pacato. Sorridente. È un mago anche della sopravvivenza, Silvan.

Come sta?

Sono davanti al computer, sto scrivendo un saggio su Cagliostro.

Giustamente…

Me lo ha chiesto un editore, non le dico chi, e da quindici giorni studio ed elaboro; (pausa) aspetti che le leggo un passaggio (cambia tono, e inizia con il primo capitolo…).

Intenso.

Su Cagliostro sono stati scritti circa 2.000 libri e ancora non si è arrivati a una verità; su di lui ci sono due tipi di interpretazioni: o da detrattori o da ammiratori; comunque è pieno di fake news.

In generale o su Cagliostro.

Entrambi i casi.

E poi…

Aspetto, non sono mai uscito, e ho perso la tournée di questa estate più un’ospitata a Domenica In; a febbraio il mio ultimo spettacolo dal vivo ha richiamato a Roma 1.000 spettatori con biglietti a 40 euro.

Nel frattempo si allena?

Come sempre: tre ore tutti i giorni. Io sono un manipolatore.

Legge molto?

Mi chiudo nel mio studio, circondato da 4.000 libri scritti in 5 lingue, e mi estraneo nella lettura.

Quasi in trance…

Perdo la cognizione del tempo, poi sento l’urlo di mia moglie “Aldo, non vieni a mangiare?”, e torno nella realtà.

La televisione?

Guardo solo i telegiornali e non quelle trasmissioni piene di chiacchieroni.

Non le piacciono…

Sono lì per soddisfare la libidine di apparire.

Insomma, non è mai uscito.

Due volte e per recarmi al supermercato.

La riconoscono?

No, mi bardo con cappellino, occhiali e mascherina; poi esprimo solo in francese o spagnolo (e inizia a parlare in spagnolo, con pronuncia perfetta).

Complimenti.

Mi districo con 5 lingue.

Dà una mano in casa?

Non sono capace.

Cosa le manca?

Le persone, ma l’importante è stare bene con se stessi e i propri cari; sono espansivo, le leggo un altro capitolo?

Ristoranti, abitudini e distanza: “Mia figlia, licenziata e lontana”

Nel periodo di reclusione forzata ci avete raccontato le vostre giornate, tra nuove abitudini, prove di resistenza e sforzi di fantasia. Vi ringraziamo: le vostre parole sono la conferma che il Fatto non è solo un giornale, ma una comunità viva. Adesso però ci piacerebbe che condivideste con noi anche questi giorni di parziale rientro alla normalità, tra persone che tornano al lavoro e piccole libertà che ci si può finalmente concedere. Qual è stata la prima cosa che avete fatto dopo il 4 maggio? Siete riusciti a incontrarvi con una persona cara? Vi aspettiamo sempre all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it

 

Serve pazienza, anche per rivedere gli affetti
Sul Fatto di oggi (ieri) due lettere mi hanno colpito: quella di A.D. che metteva prima di tutto gli affetti. Su questo mi sento perfettamente d’accordo e penso che la mia situazione sia anche peggiore. Non vedo mia figlia, che vive e lavorava a Barcellona, dal 5 gennaio. Il 30 aprile (lavorando in un customer service di Airbnb) è stata licenziata con tutti i suoi colleghi. Il dolore per l’assenza (che comunque abbiamo sempre sentito) si somma alla preoccupazione per il futuro di autonomia che mia figlia si era costruita. La seconda lettera, del signor Franco Prosperi, purtroppo mi fa sorridere. Sono in pensione da quasi tre anni, dopo 43 anni e otto mesi di lavoro, e, essendo un insegnante, ho ricevuto la prima rata della liquidazione dopo due anni. Covid-19 permettendo, riceverò il saldo a settembre di quest’anno. Porti pazienza.
Bruno De Zen

Anche se posso uscire, non sono invogliata
Quello che avevo sottovalutato nella Fase 2 è che, pur essendoci più libertà rispetto a prima, tutte le limitazioni per mantenere le distanze di sicurezza e le protezioni personali fossero per me un disincentivo per uscire e per fare anche ciò che è concesso fare. Certo, una passeggiata al parco per riprendere un po’ di attività fa bene e me la concedo, e così anche un cappuccino o un cannolo dalla pasticceria. Se mi dicessero però che domani riapriranno i ristoranti, sarei molto scoraggiata ad andarci. Il bello di quei momenti è condividere tempo senza pensieri con gli amici. Se si deve andare, mantenere le distanze, stare attenti a tutto, ricordarsi la mascherina, ricordarsi di non toccare troppo in giro, passa la voglia. L’ho notato in questi giorni, per cui alla fine la ripresa delle abitudini non è un interruttore della luce, ci vuole tempo e gradualità anche per la nostra psicologia.
Giorgia Meli

Una poesia che racconta il nostro grande amore
Ecco i “due vecchietti” del miracolo vivente d’una favola d’amore (vedi foto), con una didascalia in versi.
Un abbraccio grande grande a voi tutti con un mondo di bene e di benedizioni per voi, la vostra famiglia e il vostro lavoro.
Sono questi i due vecchietti / che ogni giorno, ogni momento / fanno sì che il loro amore / non conosca adagiamento / e né ruggine, né muffa! / O c’è il sole, o c’è la luna / sia Raffaele, sia Francesca / non permettono a nessuna / cosa brutta che li assale / di poterla avere vinta, / non lo hanno mai permesso / e più d’una s’è convinta… / una favola d’amore/ iniziata proprio a maggio, / quarant’anni son passati / ed ancora, questo viaggio, / grazie a Dio ce lo facciamo / sempre mano nella mano. / Siamo vecchi, è vero, e tanto… / Ma l’amore non è anziano / resterà giovane sempre, / è una grazia del Signore, / è un miracolo vivente / questa favola d’amore!
Raffaele e Francesca

5Stelle, la grande paura di un rimpasto

Le scorie della scivolata sui migranti portano anche la paura di un rimpasto. Una nube sospesa sopra la testa dei Cinque Stelle, incagliatisi sulla norma per regolarizzare i lavoratori stranieri. Due giorni di caos, a cui ha posto fine il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con un intervento solo in apparenza felpato, alimentati anche dal no al provvedimento di Luigi Di Maio.

L’ex capo temeva, e teme, di lasciare varchi a Lega e Fratelli d’Italia, e ci teneva a ribadire il suo peso di primus inter pares, pronto a riprendere il controllo del M5S dopo l’estate. Ma dietro alle 48 ore da alveare impazzito del Movimento, c’è anche il nodo della squadra di governo a 5Stelle: fragile, a detta di molti grillini, e lo si è visto anche nella gestione del dossier migranti, con un accordo di maggioranza chiuso domenica notte rimesso in discussione la mattina seguente. Per lo stupore dello stesso Conte.

Così ora riemergono timori e veleni, parenti stretti dentro un M5S instabile. Con attacchi sparsi ai maggiorenti che erano al tavolo di domenica, dal reggente Vito Crimi al capodelegazione Alfonso Bonafede, fino al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro. Ma il tema è più largo. Con alcuni big che invocano sotto traccia una correzione della squadra, e certi ministri che fiutano l’aria, preoccupati. Mentre il Pd sta a guardare, attento. E quella frase, “così non reggiamo” che il dem Dario Franceschini ripete spesso dietro le quinte (ieri lo raccontava il Corriere della Sera) viene interpretata anche come una doglianza per certi nomi un po’ così. Nell’intreccio di indiscrezioni e cattivi pensieri, emergono alcune scene. Per esempio il nervosismo del ministro per l’Innovazione Paola Pisano (non toccata dal dossier migranti) che da qualche giorno consulta colleghi di vario ordine e grado per capire “se sto venendo messa in discussione”. Caldeggiata da Davide Casaleggio, l’ex assessore comunale a Torino sa che i rapporti tra il fondatore dell’associazione Rousseau e i big, primo tra tutti Di Maio, si sono fatti gelidi nonostante le periodiche smentite. E ha visto facce e sentito sussurri di diversi grillini, che le rimproverano la faticosa gestione della app per tracciare i malati di coronavirus.

Ma sta all’erta anche il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo. Nelle chat di governo le hanno riversato contro critiche, accusandola dei ritardi sulla cassa integrazione. E anche al tavolo sul decreto Rilancio le frizioni con altri 5Stelle e pure con esponenti del Pd non sono mancate, su norme e cifre. Ma un big della vecchia guardia la difende: “La verità è che molti non hanno perdonato a Nunzia di essere diventata ministro. E c’è tanta gente che scalpita per avere posti”. Di certo sulla graticola è finito anche il ministro per lo Sport, il dimaiano di ferro Vincenzo Spadafora, alle prese con la grana della ripresa dei campionati di calcio.

Spadafora è sempre stato più che scettico sul tema, non lesinando toni duri nei confronti della Federazione e dei club che scalpitano per ripartire. E ieri in Parlamento, mentre ventilava una non facile ripresa “in piena sicurezza”, ha suonato la stessa nota: “Sono consapevole dell’importanza sociale del calcio, rappresenta una grande industria. Ma ho trovato eccessivo l’inasprimento del dibattito”. A margine c’è l’irritazione dei parlamentari grillini che si occupano di sport. Mentre Palazzo Chigi è stato bombardato di telefonate di proteste e pressioni dal calcio che conta. Non a caso Conte è pronto a ricevere i rappresentanti della Lega Calcio per rabbonirli (ieri sera era previsto un incontro, saltato per gli impegni del premier).

Da fuori, una fonte qualificata del M5S: “Realizzare un rimpasto da qui a breve è complicato, non si possono sostituire solo ministri del Movimento”. Fuori però c’è anche il Pd, che guarda. E c’è Italia Viva, che di giorno nega di volere altri posti, ma ci pensa, eccome. “I renziani lo vogliono il rimpasto, ma al massimo possono prendere due sottosegretari” ragiona un veterano dem. Pronto, per il gioco.

L’Italia guida i Paesi del Sud: “Soldi subito e a fondo perduto”

Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro nello scorso week-end hanno fatto arrivare una lettera al gabinetto di Ursula von der Leyen con le loro richieste sul Recovery Fund. A rivelarlo è stato Politico.eu, che riporta anche le richieste centrali: dovrà essere composto in una parte “molto consistente” da grants, ovvero “sovvenzioni a fondo perduto”, piuttosto che da loans, ovvero “prestiti” e dovrà essere pronto per la fine dell’estate, “al più tardi entro settembre”. Non solo: “Dovrà essere basato sul bilancio pluriennale dell’Ue” e “dovrebbe essere rivolto principalmente ai settori e alle aree geografiche dell’Europa più colpite e essere dedicato alla gestione di questa crisi senza precedenti, con criteri di allocazione specifici”. Questo per dire che i meccanismi di distribuzione non dovrebbero essere quelli di un normale bilancio Ue.

Princìpi forti, che sono il tentativo da parte dei Paesi del Sud di fare blocco rispetto alle resistenze dei cosiddetti “frugali”, Olanda in testa.

L’iniziativa della lettera alla presidente della Commissione è italiana ed è stata portata avanti a livello di sherpa, ovvero i consiglieri diplomatici dei primi ministri (per il nostro paese, dall’ambasciatore Piero Benassi), come appreso da fonti diplomatiche a Bruxelles. Ed è stata accolta “con attenzione”, secondo le stesse fonti. E se la lettera fatta recapitare alla Von Der Leyen è firmata da 6 paesi, ci sono altri 6 Stati membri sulla stessa linea di pensiero (come scrive lo stesso Politico).

Perché la trattativa resta complessa. Primo problema, l’entità del Fondo, ancora da stabilire. Poi i tempi: il rischio è di veder arrivare il Fondo solo a inizio 2021. E la proporzione tra grants e loans.

Il tentativo dei Paesi firmatari, dunque, è quello di ricordare alla Commissione che la sua proposta deve essere coerente con le parole della stessa von der Leyen. E per ribadire che bisogna evitare di creare squilibri tra gli Stati membri alla fine di una crisi che ha avuto carattere simmetrico.

La von der Leyen, intanto, ancora ieri ha assicurato, davanti al Parlamento europeo, che nel Recovery Fund ci saranno le sovvenzioni a fondo perduto e sarà destinato soprattutto a chi è stato colpito più duramente dalla crisi sociale ed economica. E anche che il Fondo sarà in grado di anticipare il sostegno a quest’anno. Si attende la proposta della Commissione per la prossima settimana, tra il 18 e il 20 (è già slittata di un paio di settimane). I leader si riuniranno poi per approvarla. La data cerchiata è il 18 giugno: non è detto che ci riescano.

Ma intanto oggi la presidente dovrebbe riunire i Commissari per una sorta di seminario sulla questione. Ieri Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, in un’intervista ha ribadito che serve un Fondo di mille miliardi.

La pressione diplomatica va avanti senza sosta. La richiesta dei 6 sul Recovery Fund è un altro passo del negoziato in corso, nel quale l’Italia ha giocato in attacco fin dal primo momento. Era il 25 marzo (alla vigilia del primo Consiglio europeo sulla questione) quando con la lettera dei 9 (Francia, Italia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Irlanda, Portogallo, Slovenia) si chiedeva l’emissione dei coronabond. Ed è stato il premier Giuseppe Conte a far inserire nella dichiarazione del presidente del Consiglio europeo, Charles Michael, alla fine del vertice del 23 aprile, le parole “needed and urgent” (“necessario” e “urgente”) relative al Fondo.

Da notare che ieri Margrethe Vestager, titolare dell’Antitrust Ue, ha dichiarato: “Stiamo lavorando intensamente al Recovery Instrument collegato al bilancio Ue per avere una ripresa paneuropea più veloce e forte”, mettendolo in relazione al rischio di frammentazione dei mercati. E nel negoziato, il tentativo è anche quello di far leva sulla messa in pericolo delle catene del valore produttivo europee collegate al mercato unico (consapevolezza che ha anche la cancelliera Angela Merkel). Battendo sul fatto che se si destabilizza anche i nordici potrebbero risentirne.

,

M5S-Pd-Iv, pace sui migranti: permessi sì, niente sanatoria

Alla fine di una lunga maratona, densa di colpi di scena che hanno rischiato di mandare in testa-coda il governo, la maggioranza brinda all’accordo che consentirà di regolarizzare i lavoratori stranieri ma anche italiani, impiegati come braccianti, colf e badanti. Perché almeno su questo tema pare ormai raggiunto quel punto di equilibrio che, per dirla con il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese “garantisce le esigenze del mercato del lavoro e la dignità e le condizioni di sicurezza dei lavoratori”. Ma è stato un iter travagliato: le nuove norme che entreranno nel decreto Rilancio esaminato ieri dall’ennesimo Consiglio dei ministri fiume, aggiornano quelle su cui si era registrata l’intesa già domenica scorsa a Palazzo Chigi, poi tornata improvvisamente in alto mare a causa delle fibrillazioni interne ai 5 Stelle. E in particolare di quell’ala del Movimento che, preoccupata di fornire benzina a Matteo Salvini sul fronte dei migranti, aveva ordinato l’improvvisa strambata quando l’accordo di cui era stato garante il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, era già cosa fatta.

Nel frattempo si è continuato a lavorare. E a trattare: il no secco allo scudo penale per chi voglia accedere alla regolarizzazione dopo essersi macchiato di reati gravissimi, come il caporalato, ha offerto il viatico per il semaforo verde accordato dal reggente politico pentastellato Vito Crimi dopo un’interminabile interlocuzione con il ministro dem Beppe Provenzano. Che ieri l’altro a tardissima serata aveva poi dato annuncio sull’accordo fatto “non per le braccia, ma per le persone”.

Le regolarizzazioni potranno avvenire lungo due direttrici: su domanda congiunta del lavoratore (straniero o italiano) e del datore di lavoro, che dovrà farsi carico delle spese per la procedura più di un contributo forfettario per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale. C’è poi anche la possibilità che gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 (e anche in questo caso presenti in Italia da prima dell’8 marzo) possano presentare istanza per ottenere un permesso temporaneo di sei mesi per cercare di lavoro e che sarà poi trasformabile in permesso di lavoro, una volta ottenuto un impiego. Ma alle misure volte all’emersione del lavoro nero non potranno accedere tutti: è precluso agli stranieri irregolari in attesa di essere espulsi o che siano considerati comunque una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.

Niente da fare neppure per i datori di lavoro che abbiano riportato negli ultimi 5 anni una condanna per esempio per caporalato. L’attivazione della procedura di emersione invece sospende i procedimenti penali e amministrativi legati all’impiego di manodopera irregolare, sempre che non riguardino i reati di favoreggiamento dell’immigrazione o lo sfruttamento della prostituzione o dei minori.

Ma non è tutto. Perchè nel decreto Rilancio si annuncia anche un’altra novità, sempre legata al tema del lavoro e che nella maggioranza è stato piuttosto divisivo specie per quel che riguarda il M5S e il partito di Matteo Renzi. Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura indicata da Italia Viva, ha sottolineato che tutto il governo rema nella stessa direzione. Quella di facilitare “le assunzioni di lavoratori italiani e stranieri al momento inoccupati”. Ma la regolarizzazione non basta e andava fatto un passo in più. Che poi è stato annunciato dal ministro del Lavoro, la pentastellata Nunzia Catalfo: verrà inserita nel decreto Rilancio una norma che consentirà anche a chi percepisce il reddito di cittadinanza “di accettare una proposta di lavoro senza perdere il diritto al beneficio”. In che misura? Contratti a termine non superiori a 30 giorni, rinnovabili per ulteriori 30, nel limite di 2.000 euro per l’anno in corso.

Il Decretone (in ritardo) da 55 miliardi: ecco le misure e i destinatari

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri lo menzionò già il 16 marzo presentando il primo decreto da 25 miliardi, spiegando che sarebbe stato pronto “prima della scadenza fiscale di metà aprile”. Il decreto “Rilancio” (già decreto aprile e poi decreto maggio) vede la luce un mese dopo. Il Consiglio dei ministri, rinviato per giorni, lo approva in tarda serata. “Abbiamo impiegato un po’ di tempo, ma posso assicurarvi che non abbiamo impiegato un minuto di più di quello necessario per un testo così complesso”, spiega il premier Giuseppe Conte presentandolo.

È il decreto più corposo di sempre, una mega manovra finanziaria – 55 miliardi di deficit, 150 di stanziamenti; 25 per il lavoro, 15 per le imprese – diventata un treno su cui ci si sono fiondati tutti i ministeri appena dal Tesoro è arrivata l’indicazione che sarebbe stato l’ultimo intervento di peso della crisi Covid-19. Dietro lo scontro sui temi seri, si sono moltiplicate anche le norme ordinamentali non urgenti, avanzi di magazzino ministeriali, misure micro-settoriali (200 milioni, per dire, vanno al parco mezzi pubblici di Taranto). Di un decreto che stanzia fondi di emergenza non c’era bisogno, per dire, dell’articolo 205 che modifica il codice della strada per cambiare le strisce a terra a tutti gli stop per considerare anche le biciclette (misure del genere sono decine). All’ultimo giro sono saltate diverse furbate. Il grosso del testo è comunque composto da aiuti rilevanti. Ecco una sintesi incompleta di tutte le misure.

Lavoro. Rinnovata la cig, ma solo 1 miliardo per il Rem

Il capitolo vale 25 miliardi, anche perché i fondi delle misure di marzo si sono esauriti e in migliaia aspettano ancora gli aiuti. La Cassa integrazione viene rifinanziata (15 miliardi) per altre 9 settimane: 5 usufruibili per il periodo febbraio e agosto, 4 tra settembre e ottobre. Resta poi il divieto di licenziare per altri 3 mesi. Sulla Cassa in deroga, quella per le aziende sotto i 9 dipendenti dove i ritardi per via del meccanismo – che coinvolge imprese, sindacati e regioni – hanno tagliato fuori almeno 4 dipendenti su 5, arrivano misure per snellire l’iter lasciandolo in capo solo all’Inps (che anticiperà subito il 40% dell’assegno, anche per Cassa integrazione ordinaria) ma solo per le domande successive all’entrata in vigore del decreto. Resta a 600 euro mensili l’indennità aprile-maggio per autonomi e lavoratori (e per i professionisti iscritti alle casse previdenziali, stanziati 1,2 miliardi). Per le partite Iva si arriva a 1.000 euro a maggio, ma solo se hanno perso il 33% del fatturato. Prevista anche un’indennità da 500 euro mensili per due mesi per colf e badanti che lavorano oltre 10 ore settimanali (la eroga l’Inps, disponibili 460 milioni). Per i milioni di lavoratori esclusi da tutti i sussidi (precari, atipici, in nero etc.) arriva il Reddito di emergenza finanziato con un solo miliardo: indennità da 400 a 800 euro (in base al nucleo familiare) per due mesi. Può chiederlo all’Inps entro giugno chi ha un Isee sotto i 15 mila euro. Se un membro del nucleo familiare lavora o ha la pensione, si perde il beneficio. Per avere i soldi servirà un mese.

Edilizia. Ecobonus al 110% e cedibile alle banche

Confermata la detrazione al 110% per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, per spese da luglio 2020 a dicembre 2021. Il credito sarà scontabile in fattura e cedibile alle banche.

Imprese. Fondo perduto alle Pmi sgravi per le mascherine

La novità rilevante è la cancellazione del saldo 2019 e acconto 2020 dell’Irap per le aziende fino a 250 milioni di ricavi. Vale 4 miliardi per 1,8 milioni di aziende. Sotto i 5 milioni di ricavi, sono previsti invece 6 miliardi di contributi a fondo perduto divisi in tre scaglioni proporzionati alle perdite di fatturato ad aprile 2020 su 2019: 20% per ricavi fino a 400 mila euro, 15% fra 400 mila e un milione e 10% oltre. A spanne, saranno 2.500 euro nel primo caso, 6.500 nel secondo e 60.000 nel terzo. Il minimo è comunque di 1.000 euro per le persone fisiche e 2.000 per gli altri. Per le imprese tra i 5 e i 50 milioni di fatturato è previsto un mix tra sconti fiscali e interventi dello Stato attraverso Invitalia, mentre per le grandi imprese interverrà la Cassa Depositi e Prestiti con un fondo da 50 miliardi. Previsti anche soldi per la sicurezza. I primi 50 milioni di Invitalia con il programma Imprese Sicure sono finiti il primo giorno (oltre un miliardo di richieste di rimborsi per i soli acquisti di mascherine). Ora arrivano altri 600 milioni tra credito d’imposta (al 60%) per le sanificazioni e i dispositivi e aiuti a fondo perduto per adeguare i posti di lavoro: le imprese fino a 9 dipendenti potranno avere massimo 15 mila euro, 50 mila euro fino a 50 dipendenti, 100 mila per le più grandi. Previsto anche un credito di imposta del 60% per gli affitti delle imprese con ricavi fino a 5 milioni e perdita del fatturato ad aprile almeno del 50%, limite che non vale per gli alberghi. Per le banche arrivano 15 miliardi di garanzie pubbliche alla liquidità. Per le piccole banche viene sdoganato il “modello Popolari venete”: chi rileva istituti in liquidazione coatta avrà un contributo pubblico (stanziati 100 milioni).

Fisco. Stop imposte per imprese, ma è solo un rinvio

Bollette più leggere per tre mesi per le piccole e medie imprese e cancellazione del saldo e dell’acconto dell’Irap per le imprese fino a 250 milioni di fatturato. Vengono poi rimandate a settembre tutte le tasse a carico delle imprese che hanno registrato cali di fatturato, dall’Iva ai contributi. Ma è solo un rinvio a settembre quando dovranno saldare in un’unica soluzione o in quattro rate. Stop anche alle cartelle esattoriali.

Sanità. Presi 10 mila infermieri e più terapie intensive

Il comparto vale 3,2 miliardi. Regioni e province potenziano la rete assistenziale, dai contatti alla sorveglianza attiva e garantiscono il presidio anche delle Rsa. Si potranno stipulare contratti con gli alberghi fino al 31 dicembre e, per potenziare l’assistenza domiciliare, si potranno assumere a tempo infermieri fino a otto unità ogni 50.000 abitanti (quindi circa 10 mila a 30 euro l’ora per 35 ore settimanali, da stabilizzare nel 2021). Diventano poi strutturali 3.500 posti nuovi in terapia intensiva (e 4.225 in subintensiva). Il Commissario straordinario Arcuri riceve in dote 1,4 miliardi. Stanziati 105 milioni per le borse degli specializzandi solo nel 2020 (109 dal 2021) e azzerata l’Iva su mascherine, gel e strumentazione medica per il 2020. Agevolata dal prossimo anno al 5%.

Famiglie. Proroga congedi e bonus baby-sitter

Arriva la proroga fino a 30 giorni del congedo parentale per i dipendenti con figli fino a 12 anni (utilizzabile entro luglio). Per loro è prevista una indennità del 50% della retribuzione. Il bonus baby-sitter passa invece da 600 euro a 1.200 euro e potrà essere usato anche per l’iscrizione ai servizi messi a disposizione per l’infanzia (incompatibile con il bonus asilo nido).

Turismo. Contributo per vacanze, no Imu ad hotel e spiagge

Il governo prevede un bonus vacanze fino a 500 euro per i nuclei familiari con un Isee sotto i 40 mila euro, con quote a scalare (350 per nuclei di due persone, 150 per una sola). Può essere utilizzato solo in Italia, in un’unica soluzione e per l’80% sotto forma di sconto e per il 20% in forma di detrazione. Previsti poi fondi ed esenzioni a sostegno delle attività turistiche: stop all’acconto Imu di giugno per alberghi e stabilimenti balneari e Tosap bloccata fino a ottobre).

Scuola e Università.  Fondi per didattica a distanza e ricercatori

Il totale è 1,45 miliardi destinati all’acquisto di dispositivi di protezione e di materiali per l’igiene individuale e degli ambienti e a tutto ciò che serve per la sicurezza da un punto di vista epidemiologico. Parte dei soldi andrà ai dispositivi per la didattica a distanza e le misure per evitare la dispersione, altro all’adattamento degli spazi interni ed esterni (dai laboratori alle palestre). Si istituisce poi un fondo per l’emergenza Covid di 400 milioni nel 2020 e 600 nel 2021. Circa 1,5 miliardi anche all’Università, ripartiti tra Afam, borse di studio e potenziamento dei progetti di ricerca (l’assunzione di almeno 4mila ricercatori). 100 milioni al comparto museale.

Trasporti. Bonus per le biciclette e 3 miliardi per Alitalia

Sarà previsto un bonus di massimo 500 euro per l’acquisto di biciclette e mezzi elettrici (agli abitanti dei centri con più di 50 mila abitanti). Arrivano 155 milioni a Rfi e 3 miliardi per la nuova Alitalia.

Occhio ai forchettoni

Non avrei firmato, se me l’avessero chiesto, l’appello raccolto dal manifesto fra molti intellettuali di sinistra, fra cui diversi amici e collaboratori del Fatto, contro gli agguati a Conte e al suo governo. Intanto perché non sono un intellettuale, poi perché non vengo da sinistra (anche se spesso mi ci ritrovo) e soprattutto perché conosco bene i meccanismi della disinformazione, fatti apposta per trasformare ogni cosa nel suo contrario e dunque – come puntualmente avvenuto – nel gabellare quell’iniziativa in una minaccia “di regime” contro il sacrosanto diritto di critica al premier e al governo in carica. Ciò premesso, chi legge l’appello si rende conto che coglie nel segno. Anzitutto perché sottolinea quello che anche noi notiamo da mesi: a memoria d’uomo non s’è mai visto un governo tanto osteggiato dall’establishment mediatico-finanziario-lobbistico.

Nella Prima Repubblica i giornali, la Rai e poi anche la Fininvest erano governativi per definizione (salvo gli organi di partito di destra e di sinistra e, dagli anni 70, i tre nuovi quotidiani di opinione, il manifesto, il Giornale e la Repubblica, che riflettevano le libere convinzioni dei fondatori, Rossanda&Parlato, Montanelli e Scalfari). Nella Seconda Repubblica, i governi B. raccoglievano applausi dai giornali di destra e confindustriali, e fischi da quelli di centrosinistra; e i governi di centrosinistra viceversa, con l’eccezione di quelli confindustriali che restavano sostanzialmente governativi. Poi, nel 2011, iniziò la breve (per fortuna) èra delle larghe intese: Monti aveva tutti i poteri, tutta la stampa e tutte le tv ai suoi piedi (a parte il Fatto e poche eccezioni), idem Enrico Letta e il suo santo patrono Napolitano, idem Renzi, almeno fino alla rottura del Nazareno (l’elezione di Mattarella al Colle nel gennaio 2016, non concordata con B.). Il Salvimaio, appena nato, raccolse l’ostilità preconcetta di quasi tutta la stampa e dei poteri retrostanti, che fingevano di avercela con i due partiti “populisti”, mentre in realtà tremavano solo per il M5S. Tant’è che, non appena Conte, Di Maio&C. iniziarono a minacciare le mangiatoie dei soliti noti (concessioni autostradali, Tav, prescrizione e impunità per corrotti ed evasori), l’establishment e i suoi fogli d’ordini puntarono tutto su Salvini, nuovo santo patrono del Sistema. Infatti tutti, persino Repubblica, dopo la crisi del Papeete spingevano per le elezioni subito, che ci avrebbero restituito il finto bipolarismo di prima: finta destra contro finta sinistra, con le rispettive penne alla bava al seguito, e quegli outsider di Conte e dei 5Stelle a casa.

Tanto la roulette del bipolarismo all’italiana è sempre truccata: che esca il rosso o il nero, vince sempre il banco. Per fortuna nostra e sventura di lorsignori, il piano fallì: e, col governo Conte-2 si saldò con sette anni di ritardo quel connubio fra un centrosinistra seminuovo e un M5S semiresponsabile che era già possibile nel 2013, quando Grillo offrì al Pd di eleggere Rodotà al Quirinale e subito dopo di governare insieme. Ma invano, per l’inesperienza e l’arroganza dei 5Stelle e la miopia e le compromissioni di quel Pd, ancora ostaggio di Re Giorgio, che infatti si fece rieleggere per benedire l’inciucio con B.. E col Partito Trasversale degli Affari: lo stesso che l’anno scorso, in mancanza di meglio, si era consegnato mani e piedi a Salvini. E che ora, col governo Conte-2, incentrato sulla figura del premier e condizionato dal M5S e dall’ala meno affaristica del Pd, non riesce più a toccare palla.
Il secondo pregio dell’appello degli intellettuali è proprio questo: aver colto il vero motivo dell’ostilità preconcetta e irriducibile di tutto l’establishment a Conte e al suo governo. Che non sono odiati per i loro errori, ritardi, pasticci, litigi. Ma per i loro meriti: cioè per aver tenuto finora lontane le lobby che hanno sempre spadroneggiato con tutti i governi e ora impazziscono per l’astinenza. Perché l’Innominabile, cioè il leader meno stimato dagli italiani, viene intervistato da giornaloni e tv con frequenza e spazi inversamente proporzionali ai consensi? Perché è l’unico, nella maggioranza, che asseconda le lobby. E perché tutti i giornaloni (ora anche Repubblica, dopo la brutale presa del potere degli Agnelli) tirano la volata al governissimo di Draghi o di chi per esso? Perché, come al circo, più gente entra più bestie si vedono, e Confindustria, Confquesto e Confquello vogliono tornare a comandare tramite i loro burattini. La pressione aumenta a mano a mano che svanisce il ricordo dei morti da Covid-19 e si avvicina l’arrivo dei soldi pubblici, italiani ed europei, roba da centinaia di miliardi, o anche solo da decine (forza Mes!). Il presidente di Confindustria Bonomi, uno dei responsabili della mancata chiusura della Val Seriana (record europeo dei caduti), l’ha detto brutalmente: i soldi li vogliamo tutti noi, basta aiuti a pioggia (peggio che mai ai bisognosi). Questa è la partita che si sta giocando: vecchi e nuovi forchettoni (pensate ai giochetti delle lobby farmaceutiche sulle mascherine) marciano sulla punta non delle baionette, ma dei giornaloni per risedersi al tavolo. Anzi a tavola. E spartirsi la torta. Diceva Totò: “C’è a chi piace e a chi non piace”. A noi non piace.