Migranti, Conte frena il M5S. Il Pd: “Ora trovi la soluzione”

Hanno fatto un pasticciaccio, i Cinque Stelle. Hanno sbagliato partita sulle nuove norme sui migranti, annebbiati da grane e incomprensioni, scollegati tra loro, di certo ancora sensibilissimi a umori e strategie dell’ex capo che presto si riprenderà il timone, quel Luigi Di Maio che pensa sempre a coprirsi innanzitutto sulla destra. Così deve scendere in campo il premier Conte, per spingerli alla tregua. Mentre il Pd resta fermo sull’altra sponda del fiume, e avverte: “Della questione parleremo direttamente in Consiglio dei ministri”. Non pare un segnale di pace. Ma gli sherpa lavorano tutto il giorno, e a sera inoltrata i segnali raccontano di una tregua all’orizzonte. Dal M5S parlano di un nuovo testo, dal quale verrebbe tolto quello che loro definiscono “un condono penale” per i datori di lavoro. Però dal Viminale ribadiscono che senza questo passaggio non c’è emersione del lavoro nero possibile, e che il provvedimento esclude tutti i colpevoli di reati legati all’immigrazione. La certezza è che si cerca davvero un punto di caduta perché la crisi di governo, si era fatto troppo vicina. Quindi si tratta fino a tarda notte, con il Consiglio dei ministri che balla.

Un’altra lunga giornata per Giuseppe Conte, che in mattinata aveva negato irritazioni e liti con quei discolacci del M5S, figurarsi, ma che nelle stessa nota ha tirato loro le orecchie ricordando che sulla regolarizzazione dei migranti che lavorano in nero c’era un “accordo politico chiuso domenica notte”, ed è una smentita in pieno volto. Soprattutto, precisa palazzo Chigi “regolarizzare per un periodo determinato immigrati che già lavorano sul nostro territorio significa spuntare le armi al caporalato”. E poi “in passato, provvedimenti di regolarizzazione di cittadini immigrati molto consistenti sono stati approvati da governi di centrodestra” è la chiosa, dalla traduzione chiara: cari 5Stelle, non preoccupatevi troppo di Lega e Fratelli d’Italia, e chiudiamo l’accordo su quelle norme da inserire nel dl rilancio.

Così per tutto il giorno il capo politico reggente del M5S Vito Crimi tratta con il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, a cui di fatto palazzo Chigi delega molto della partita. Dalle parti del Viminale però non sono entusiasti, e fanno sapere che “il testo concordato del provvedimento sull’emersione del lavoro in agricoltura e nel settore del lavoro domestico è pronto, ed è il frutto della sintesi raggiunta domenica tra le forze di maggioranza”. Ovvero, il ministro ha tradotto in norme nero su bianco quell’intesa su cui i 5Stelle hanno fatto una conversione ad U: perché di fatto non avevano compreso bene quale fosse l’accordo siglato, e perché non piaceva a Di Maio. Così Crimi di mattina fa muro: “Purtroppo l’ultima bozza visionata lunedì riporta ancora la sanatoria dei reati penali e amministrativi per chi denuncia un rapporto di lavoro irregolare”. Un’interpretazione che gli altri partiti di maggioranza, Pd, Italia Viva e Leu rifiutano. L’impianto politico della proposta è sempre stato questo, dicono. L’emersione del lavoro nero è accompagnata dalla mancata denuncia dei datori di lavoro. Nel gioco dei veti incrociati, il Movimento insiste per lo stralcio della normativa dal decreto, ma la Lamorgese e il Pd non ne vogliono sapere. Per non parlare del ministro dell’Agricoltura, la renziana Teresa Bellanova, che in questa vicenda gioca in prima linea. “Se poi Conte deciderà di farlo, vedremo”, si comincia però a dire in serata. Così sul provvedimento si consuma uno scontro che va oltre la partita sui migranti.

“Sta a Conte risolvere la questione: per noi non è un rappresentante dei Cinque Stelle, ma è il garante del governo”, fanno sapere dal Pd. Battuta di accompagnamento, rivelatrice di un’insofferenza crescente: “Noi siamo i più responsabili. Magari sbagliando”. Al Nazareno aspettano. Tra i sospetti e i dubbi: che gioco fa Di Maio? Dove vogliono arrivare i Cinque Stelle? Che traiettoria seguono? Tra i dem, l’ipotesi che ci sia un altro governo pronto a nascere (per mano di chiunque) la scartano. E continuano a portare avanti l’opzione urne: “Se si va a votare in autunno Italia viva e Movimento stanno messi male. Ma noi no. Noi i nostri voti ce li abbiamo”. Nel tardo pomeriggio a Palazzo Chigi passano tutti i protagonisti della trattativa, dalla Bellanova a Peppe Provenzano (Mezzogiorno). Il M5S sfoggia come un punto a favore la nota della Coldiretti: “No alla sanatoria”. Intanto, si fa sera. La notte porta consiglio.

Tutto il Covid è paese

Il proverbio “Tutto il mondo è paese” è troppo autoassolutorio: ogni cittadino ha il diritto di pretendere che (il dovere di impegnarsi perché) il proprio paese sia meglio degli altri. Però ogni tanto rende l’idea. Tre mesi fa, quando la pandemia colpì l’Europa partendo dall’Italia, tutti ci facevano i complimenti per la reazione del nostro governo e del nostro popolo (a parte i due Cazzari, che facevano il giro della stampa estera per sputtanarci in tutto il pianeta, peraltro mai creduti) e qualcuno chiedeva copia dei nostri decreti e Dpcm per copiarli. Poi il Partito Preso Divanista s’impossessò rapidamente dei media e cominciò ad accusare il governo (ma anche gli italiani) di tutto e del contrario di tutto. Dimenticando che le misure antivirus decise fin qui hanno funzionato e ci hanno portati fuori dall’emergenza, malgrado le vaccate e i sabotaggi di alcuni sindaci, sgovernatori e dirigenti sanitari incapaci, vanesii e irresponsabili, nonché della Confindustria più miope, arrogante e rapace della storia recente, con apposita stampa al seguito. Ora l’ultimo mantra è che da noi la Fase 2 è un caos, un disastro, un’apocalisse, una catastrofe, una farsa, mentre “gli altri” sono già in pieno Regno di Saturno, con balsamiche riaperture di ogni attività per grandi e piccini, tamponi e test sierologici per tutti, mascherine che piovono dal cielo, app di tracciamento garantite e sicure, il tutto gratis et amore Dei.

Il Fatto sabato e il Corriere ieri hanno pubblicato un quadro sinottico delle Fasi 2 nei vari Paesi, da cui emerge che molti sono più indietro di noi (cosa comprensibile, visto che il contagio è partito dopo) e tutti gli altri più o meno al punto nostro. Il che non assolve il nostro governo per gli errori e i ritardi (quelli veri, non quelli inventati). Né i governi stranieri che han fatto peggio di noi (le riaperture premature della Germania con rialzo dei contagi, i disastri di Boris Johnson e della Svezia, che si è semplicemente scordata di imporre il lockdown e ora conta i morti a carrettate). Ma dimostra che le incertezze, le prudenze, gli stop and go e i divieti in apparenza assurdi non dipendono dalla prava volontà di questo o quel governo, ma dai connotati di una pandemia ancora in gran parte sconosciuta, che impone a tutti di andare per gradi, anzi per tentativi, e di navigare a vista. Tutti a scompisciarsi per la regola dei “congiunti”, termine abbastanza generico per includere parenti, fidanzati e partner delle coppie di fatto, ma per escludere amici e conoscenti. E ora si scopre che lo stesso problema se lo son posto dappertutto, ma l’han risolto con soluzioni anche più comiche della nostra.

Il Belgio, per estendere gli incontri consentiti agli amici, ma non a troppi, impone a ogni coppia di indicare nell’autocertificazione al massimo altre due coppie, anche spaiate, cioè formate da single (anche ignoti l’uno all’altro). Il problema si pone quando una coppia ne sceglie altre due e una di queste, o un membro di una delle due, non sceglie la prima o la seconda, allargando il numero massimo di 6 a chissà quanti. Un casino che fa rimpiangere i congiunti. Londra: il ministro degli Esteri Dominic Raab dice in tv che i figli possono incontrare entrambi i genitori, ma a patto di non essere mai più di due. Poi gli fanno notare che, essendo i genitori notoriamente due, il figlio che li incontra porta il totale inequivocabilmente a tre. Quanto agli amici, se ne può vedere uno, ma all’aperto e a due metri di distanza: il governo suggerisce le estremità di una panchina, almeno per chi parla forte. E le scuole? Non avevano riaperto dappertutto fuorché qui? Col cavolo. Il governo francese ha già dato una dozzina di indicazioni diverse. L’ultima è che riaprono su base volontaria, cioè per gli insegnanti e gli studenti che vogliono. Non male. In Belgio riaprono tutte le scuole, ma solo a 10 studenti per aula, gli altri a casa (sarà colpa dell’Azzolina). In Germania le classi iniziali e finali dei vari cicli, ma non le elementari e solo in pochi Land. In Olanda solo le elementari. In Spagna, Irlanda e Romania nessuna.

E il lavoro? Non l’avevano ripreso tutti tranne noi, poveri pirla? Domenica Johnson annuncia che lunedì riaprono fabbriche e cantieri, così l’altroieri mattina i lavoratori escono di casa, ma mentre sono per strada arriva il contrordine: il governo s’è scordato le linee guida per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Che sarà mai. Tutti a casa, ci si riprova oggi, sempreché si abbia tempo di adeguarsi alle regole fatte ieri. E le app? Non sono partite da nessuna parte, salvo qualche sperimentazione locale, con mille problemi tecnici e di privacy. Le mascherine non bastano quasi ovunque, e molte sono irregolari, difettose e supercostose, tant’è che nessuno le ha ancora rese obbligatorie per tutti. Mille problemi anche per tamponi e test. Portogallo a parte, di geni in giro non se ne vedono. E, date le condizioni di partenza dell’Italietta inefficiente e iperburocratica, poteva andarci molto peggio: sarebbe bastato che Conte&C., anziché agli scienziati, avessero dato retta a cazzari, sgovernatori, Confindustria e Partito Preso Divanista. Lo diciamo dal primo giorno: questo è il peggior governo possibile, eccettuati tutti gli altri. Quindi Pd e 5Stelle la piantino di litigare prima che arrivi il peggio del peggio.

Lucio Leoni, la poesia è pane da cantautore

I suoi album precedenti, Lorem ipsum (2015) e Il lupo cattivo (2017) apparvero come due ufo nel firmamento musicale italico. Era materiale fuori dagli schemi, dalle mode, dalle tendenze, da tutte quelle regole e regolette che definiscono o tentano di definire gli algoritmi del successo, sia esso di massa , di nicchia o modestamente condominiale. Originalità e personalità di scrittura Lucio Leoni, cantautore romano classe 1980, li aveva dunque già ben dimostrati, ma nel suo nuovo album Dove sei pt.1 (una partita grave) arriva all’opera più completa e incisiva. La sua arte affabulatoria, cresciuta e maturata in ambito teatrale e che in passato poteva risultare a tratti preponderante, trova qui, pur mantenendo l’alto livello di intelligenza poetica, una nuova amalgama con la parte musicale. Grazie a questo ulteriore step nell’evoluzione del suo personale linguaggio artistico, Leoni si può permettere di scrivere una canzone d’amore e di intitolarla Il fraintendimento di John Cage, di sparare dritto al bersaglio con un potente anthem come Il sorpasso, insieme al rapper e producer C.U.B.A. Cabbal e di cavalcare le sinuose, dolci onde di Dedica in coppia con Francesco Di Bella, persino di arruolare l’attore e drammaturgo Andrea Cosentino (e la sua sorprendente tromba) in Dammi dei soldi. Il risultato è un disco più compatto e centrato dei precedenti, ma con una tavolozza musicale ampia e ricca di colori diversi. E va considerato che Dove sei pt-1 (una partita grave) è soltanto la prima metà di un album destinato a completarsi il prossimo inverno con la pubblicazione di altri 8 brani dei 16 scritti per l’occasione dal cantautore romano. “Mi sembrava – spiega lui – che le canzoni avessero una densità tale che affollarne troppe nello stesso disco fosse eccessivo, ho preferito dividerle in due capitoli per farle respirare e dare a chi vorrà ascoltarle il tempo di metabolizzarle”. In attesa del secondo capitolo non resta dunque, a chiunque cerchi nelle canzoni qualcosa di più di un piacevole sottofondo, che godersi questo fino in fondo. L’innamoramento è facoltativo, ma il rischio c’è: il materiale può essere contagioso e le mascherine sulle orecchie non hanno alcun effetto.

Dark Polo Gang, essere cattivi è solo un gioco

Il mixtape Dark Boys Club è un ritorno alle origini, a quell’alchimia e alla spontaneità dei primi nastri registrati e ai primi adrenalinici concerti nei club lasciando – per il momento – disconnesso il percorso quasi-pop di Trap Lovers con il suo apice Cambiare Adesso, brano manifesto del talento del collettivo romano. Le tracce crude e grezze sono affiancate da alcuni dai migliori beatmakers sulla piazza, da Charlie Charles a Chris Nolan, Youngotti e Andry The Hitmaker e, soprattutto, Sick Luke, vero asso nella manica della Gang, genio e sregolatezza con una capacità di trovare la base perfetta. Va sottolineato il discorso della produzione poiché la ritmica della Gang è una delle più interessanti di tutto il circuito hip hop italiano. Istantanee e beat senza sosta e una dose infinita di autoironia mixata a una sana strafottenza sui luoghi comuni e gli stereotipi classici della trap sono la cifra stilistica dei tre rapper romani. Tony Effe gioca – moltissimo sui social e nei testi delle canzoni – a ostentare i valori del successo: “cash”, fumo e “bitch” uniti ad auto sportive e appartenenza ai “fratelli della gang”, con un occhio attento alla moda e agli abiti eccentrici. È forse il personaggio più simpatico tra i rapper nostrani, adoratore dei paradossi e coniatore di neologismi (“mi sto maldivando” riferito alla vacanza con fidanzata nell’atollo). Con Dark Pyrex e Wayne Santana – dopo la defezione di Dark Side – la Gang dimostra con questo quinto mixtape di aver trovato uno spazio stabile nella scena e un consolidamento dei loro fan sempre più numerosi. L’album ospita alcuni tra i nomi più interessanti, da Tedua a Mambolosco, Capo Plaza, Anna, Drefgold, Boro Boro, Ketama126, Lazza, Oni one, Samuray Jay, Traffik e Salmo. Nella giornata di domenica 10 maggio le prime dieci posizioni di Spotify erano occupate dalle tracce del mixtape della Gang mentre su iTunes sono entrati direttamente in vetta. Come spiegare un successo a chi li denigra o li considera trash? Salmo ha dichiarato che la Gang rappresenta i Sex Pistols della trap ed è una frase azzeccata. L’immaginario della gang unito allo slang e alle tematiche tipiche della loro età sono un linguaggio condiviso che va prima di tutto capito e accettato senza avere puzza sotto il naso. Dark Love Gang racchiude l’intero universo delle “storie” sentimentali raccontate con sincerità. No Stupid è contro i denigratori, quelli che “pensano che siamo stupidi” mentre in realtà non hanno niente da invidiare ai colleghi americani.

Possono piacere o dispiacere, possono irritare per l’ostentazione dei soldi, delle droghe e delle ragazze “facili” ma la Dark Polo Gang è intrigante, irriverente e divertente. “Metto pellicce come una Pussy, quello che faccio lo fanno gli altri, stasera torno all’incontrario come un manga” cantano in Pussy, ed è il loro gioco più spinto e lo sanno fare meglio degli altri.

C’è chi set e chi no: così si riparte in Europa

C’è chi set e chi no. Chi traccheggia e chi si dà da fare o, almeno, da pensare. Se il fermo riprese è (stato) una costante europea, le ripartenze battono bandiera nazionale: chi prima arriva meglio alloggia. Si tratta non solo di rilanciare le proprie produzioni, ma in un mercato sempre più globale di richiamare quelle altrui. Francesca Cima, presidente dei produttori in seno all’Anica, prende Mission: Impossible 7, slittato sine die ma originariamente previsto sul set a Venezia dal 20 febbraio per tre settimane e poi a Roma, e suona l’allarme: “Non è detto che la nuova avventura di Tom Cruise non risulti una missione possibile oltreconfine. Alla nostra ripartenza mancano i tamponi e difettano le assicurazioni, bisogna fare in fretta”.

Altrove affinano le procedure e affilano le armi: chi batte il primo ciak e chi la ritirata, tertium non datur.

Il “Cura Italia”, varato dal governo lo scorso 17 marzo, ha destinato 130 milioni di euro alle emergenze dello spettacolo, nel mentre le sale rimangono chiuse (luce verde per la prima settimana di giugno?), le arene e i drive-in in gestazione, i protocolli per il set al vaglio dei comitati tecnico-scientifici. All’occhio, però, saltano due cose: i 180 milioni di tax credit di sola produzione messi a disposizione per cinema e tv-web e bruciati in appena un giorno (16 aprile); la deroga, già firmata dal ministro Dario Franceschini, all’obbligo di uscita in sala per i film che hanno avuto aiuti di legge.

La Francia sta poco più avanti, mercoledì scorso il presidente Emmanuel Macron ha disposto un fondo di compensazione per le produzioni cinetelevisive rimandate o interrotte per il Covid-19, cui contribuiranno insieme allo Stato Regioni, compagnie assicurative, banche e tax shelter: “Devono prendersi le loro responsabilità”. Prima della fine di maggio, ha precisato Macron, i set non ripartiranno: le grandi produzioni dovranno oltremodo pazientare. Per il resto, un colpo al cerchio sciovinista – allo studio il divieto di vendere film francesi a buyer extraeuropei – e uno alla botte Ue, con l’implementazione della Direttiva Avms (2018/1808) sui servizi di media audiovisivi: l’assoggettamento dei player globali, redditi generati compresi, alle regole del Paese ospite sarà una mano santa nella crisi post-Coronavirus.

La Spagna punta ad alleviare le sofferenze dell’industria culturale nazionale ingolosendo le produzioni internazionali: parola d’ordine, sgravi fiscali. Il tax credit passa dal 25 al 30% per il primo milione di euro speso localmente dall’audiovisivo straniero, dal 20 al 25% per i successivi, con il tetto spostato da tre a dieci milioni. Tanta roba, e nemmeno bisognerà attendere: da ieri via libera per i set, in testa gli oltre trecento titoli, tra cinema e televisione, sospesi per la pandemia. La capacità attrattiva iberica, testimoniata dalla serie Netflix The Witcher e dal blockbuster Marvel Gli Eterni, non potrà che aumentare. E il 26 maggio riaprono pure le sale.

Ma gli esempi da seguire più che mediterranei, sono scandinavi: Svezia, dove le riprese non sono mai state vietate, e Danimarca, che decide sui singoli progetti, hanno messo a punto la Nordic Film Guide, che prevede distanziamento sociale, dipartimenti al lavoro in modalità sequenziale, impiego di mascherine, location limitate, e via discorrendo. Licenziato dalla casa di produzione Hobby Film, il vademecum è compulsato con interesse a Hollywood, ma ancor più definitivo pare quello britannico, svelato dal sito americano Deadline.

Se nelle vittime del Covid-19 il Regno Unito di Boris Johnson ci supera, nei protocolli ci straccia: la bozza del piano della British Film Commission, redatto raccogliendo i pareri di big quali Netflix, HBO e Disney, vuole offrire al governo una “visione totale e realistica” per tornare a girare in sicurezza. Trenta pagine, ventisette sezioni, si va dalla quarantena per cast & crew stranieri al catering, dalle scene di massa alla salute mentale, dal trucco e parrucco alle condizioni igieniche. E lì i cinema dovrebbero riaprire il 4 luglio.

C’è da imparare, ma non ogni patria speranza è perduta: Jonas Carpignano, candidato italiano per l’Oscar con A Ciambra (2017), sta per girare A Chiara a Gioia Tauro; Gabriele Salvatores lancia la Fase 2 del collettaneo Viaggio in Italia, per cui sono stati visionati 16 mila video – letteralmente – virali; Daniele Vicari dirige da remoto Il Giorno e la Notte. Uno smartfilm per rispondere alla domanda: “Cosa accade alle coppie se costrette dentro le pareti domestiche, senza possibilità di fuga?”, affidata a interpreti domestici quali Milena Mancini, Vinicio Marchioni e Isabella Ragonese: produce Andrea Porporati, scrive Vicari con Andrea Cedrola e si fa di necessità virtù, “non un instant movie, ma una storia vera e propria”.

 

Narcos, l’epidemia danneggia gli affari I “chapitos” a guardia del lockdown

Doppiamente colpito dalla crisi del Covid-19 il mondo dei narcos: da un lato la mancanza di materie prime provenienti dalla Cina per la lavorazione delle metanfetamineha alzato il prezzo sul mercato statunitense da 2.500 a 15.000 pesos; dall’altro gli Zetas, uno dei cartelli di Sinaloa è stato azzoppato dalla morte in carcere di uno dei suoi leader, Moisés Escamilla May, detto “El Gordo May”. Per questo i trafficanti di droga messicani stanno pensando a strategie anti-Covid.

La più nota per ora è quella dei “chapitos”, i figli di Joaquin “El Chapo” Guzmán, il boss in carcere a New York a scontare l’ergastolo. In mancanza dei controlli da parte delle autorità messicane, a far rispettare le misure del lockdown sono loro. I “chapitos” infatti, si sono ripresi in video mentre pattugliano con tanto di fucili le strade di Culiacan, la loro città, per assicurarsi che il resto degli abitanti resti in casa dopo le 22, orario in cui scatta il coprifuoco anti-contagio. I video – postati sul social network Tik Tok e condivisi da centinaia di messicani – mostrano Iván Archivaldo Guzmán e Jesús Alfredo e decine di scagnozzi dei signori del cartello aggirarsi per la città minacciando le persone di essere sottoposte anche a torture nel caso non rispettino le regole. “Non è un gioco, non stiamo giocando”, avvisa la voce dall’auto. A quanto pare, a dare l’ordine del pattugliamento sarebbe stato “El Chapo” in persona dalla prigione, sicuro che le sue minacce ancora incutano più timore delle sanzioni governative nella sua città natale.

Covid e crisi, la speranza è il turismo

Nonostante il numero limitato di contagiati, 2.716, e deceduti, 151, la Grecia ha continuato a seguire l’esempio dell’Italia imponendo e mantenendo il lockdown in tutte le regioni. Da ieri però è iniziata la seconda fase. Il premier greco conservatore Kyriakos Mitszotakis, sostenuto per il bene della nazione dal suo predecessore, oggi all’opposizione, Alexis Tsipras, ha tentato di prevenire il collasso degli ospedali attraverso il blocco di persone e attività.

Mentre gli studenti stanno tornando a scuola, il governo si sta concentrando sul rafforzamento dell’economia, con particolare attenzione a una delle voci cruciali, il turismo. Dal ministero del Turismo e dall’Organizzazione nazionale della sanità pubblica (EODY) prevedono un riavvio molto cauto del settore con regole stringenti per quanto riguarda il pernottamento negli hotel, l’ingresso nei ristoranti, l’uso delle altre strutture ricettive e spiagge, così come per gli spostamenti via terra e via mare a bordo di mezzi pubblici. L’uso della mascherina sarà obbligatorio per tutti coloro che utilizzano i mezzi di trasporto e per tutto il personale dei locali e delle strutture ricettive, almeno fino al 15 giugno. L’obiettivo è che tutti gli hotel abbiano personale addestrato su come mantenere le distanze di sicurezza e su come rispondere in caso di sospetta infezione da Covid-19, oltre alla presenza di nuovi medici locali per effettuare test diagnostici. Secondo le anticipazioni, il governo potrebbe decidere di accogliere solo i turisti che si sono sottoposti a tampone e test sierologico ottenendo risultati negativi.

L’intento di Mitsotakis è riuscire ad aprire ufficialmente la stagione turistica il 1º luglio, ma a deciderlo sarà di fatto l’andamento della curva dei contagi durante le prossime due settimane. Il piano del governo prevede di sicuro che ai turisti venga rilevata la temperatura al loro arrivo e, nel caso in cui durante le vacanze mostrino sintomi o si ammalino, trasferirli in strutture allestite per la quarantena e in hotel convenzionati con il sistema sanitario. La Grecia però si aspetta, come ha affermato Mitsotakis, una posizione europea comune sulla gestione del vitale comparto turistico. Se ciò non dovesse essere possibile, sono già stati messi a punto piani di cooperazione bilaterale con vari paesi. Per ora i bar possono vendere caffè da asporto, mentre dall’1 giugno riapriranno, solo all’aperto, i locali e i ristoranti, mantenendo sempre almeno due metri di distanziamento, impresa assai complicata. Ieri intanto sono tornati al lavoro 155.962 dipendenti, e 66.010 aziende stanno riaprendo. Solo i centri commerciali rimangono serrati mentre gli altri negozi hanno rialzato le saracinesche. La terza fase della rimozione delle misure avverrà, se tutto procede regolarmente, il 18 maggio quando verranno spalancati anche i cancelli dei parchi e siti archeologici . È raccomandato in queste aree l’uso della mascherina ed è obbligatorio osservare la distanza di 2 metri. Qualsiasi esibizione rimane invece proibita.

A causa della pandemia, anche se con numeri sideralmente lontani dal resto dell’Europa, le previsioni per il Pil della Grecia, uscita solo due anni fa dal memorandum, sono di nuovo catastrofiche: è il fanalino di coda dell’Unione europea dopo l’Italia. E anche la disoccupazione, negli ultimi dieci anni uno dei problemi più gravi del Paese, è data in forte crescita. Se la stagione turistica estiva fallirà, per Atene si aprirà l’ennesima stagione di lacrime e sangue.

BoJo lancia “Stay Alert”, ma Londra è confusa e infelice

Il giorno dopo il monologo del primo ministro Boris Johnson, che doveva chiarire alla nazione la nuova fase del lockdown, c’è grande confusione sotto i cieli britannici. O meglio, sotto quelli inglesi: Scozia, Galles e Irlanda del Nord vanno per conto loro, convinti che allentare il confinamento ora metterebbe a repentaglio altre vite e non lo mandano a dire, con dichiarazioni al vetriolo al governo inglese da parte soprattutto della leader scozzese, Nicola Sturgeon. Questo ridimensiona di fatto Boris Johnson a leader della sola Inghilterra. Che ora si chiede come interpretare il cambio di slogan scelto dal governo per guidare la popolazione nella nuova fase della risposta al Covid-19. Da “Stai a casa” (Stay Home)a “stai all’erta” (Stay Alert) e da “proteggi l’NHS” a un ambizioso “Controlla il virus”.

Perché “stai a casa” è un messaggio che può non piacere, ma è inequivocabile. Da ieri la domanda che imperversa in programmi radiotelevisivi e sui social è: cosa diavolo vuol dire “stai all’erta?” Seguire le regole e il “solido buonsenso britannico”, ha precisato infastidito lo stesso Boris Johnson durante in dibattito pomeridiano in Parlamento. Sarà, ma insospettisce che solo su “stay alert” Downing street abbia dovuto diffondere un chiarimento di 137 parole.

Ma quali sono le nuove regole? Il governo lo chiarisce in un documento in 60 pagine reso noto ieri pomeriggio. Fra le principali: si può uscire anche più volte al giorno, andare a prendere il sole al mare, al parco, anche lontano da casa; vedere, purché a distanza di sicurezza, una sola persona: amico, familiare, congiunto, fidanzato non convivente, insomma uno che fino a ieri non si poteva incontrare. Allora, ha chiesto ieri la compassata presentatrice di Today, popolarissimo programma del mattino di BBC4, al ministro degli Esteri Dominic Raab: “Non posso vedere contemporaneamente mamma e papà al parco?” Sì, ha risposto lui, purché a due metri di distanza. Che non è quello che si ricava dalle linee guida. E infatti c’è l’immediata rivolta di amministrazioni e forze di polizia locali, che temono di dover tenere a bada folle di persone con l’unico scudo dello ‘stai all’erta’. Per esempio il capo della federazione della polizia del West Yorshire che su twitter ha scritto: “Da oggi è diventato impossibile per noi poliziotti gestire il Covid. Con indicazioni così confuse la gente dovrà disciplinarsi da sola. Vi prego, evitiamo una seconda ondata”. Poi c’è il nodo occupazione. Chi può è incoraggiato a tornare al lavoro, ma se possibile senza usare i trasporti pubblici. Può funzionare nelle aree non urbane, ma a Londra è irrealistico: ieri la metro era già presa d’assalto, con viaggiatori assiepati senza mascherine su binari e dentro i vagoni. Qui a ribellarsi sono sindacati e commercianti: i primi ricordano che i lavoratori possono rifiutarsi di operare in condizioni non di sicurezza, i secondi che adattare i luoghi di lavoro agli obblighi del distanziamento è una sfida a parte.

Altra incognita: i tanti lavoratori senza protezioni sindacali, che non possono dire no a datori di lavoro poco scrupolosi. E ancora: l’indicazione ufficiale da ieri è coprirsi il viso in luoghi affollati, misura considerata efficace dagli scienziati per evitare di diffondere il contagio: ma ci sono mascherine per tutti quelli che ne avranno bisogno? Anche i giornalisti finora più neutrali cominciano a porre il dubbio: ma non è che con questo vago ‘stai all’erta’ il governo cerca di dare l’illusione di avere di nuovo il controllo per poi dare alla gente la colpa di una recrudescenza del virus?

Cina, a Wuhan torna il virus- A Seul paura nei locali gay

Il mappamondo sembra un grande Gioco dell’oca, o del virus, e non c’è granché da ridere. A sei mesi dall’inizio del contagio e a uno dall’ultimo morto di Covid-19 in Cina, Wuhan – epicentro della pandemia che conta a oggi 3.976.043 di infezioni nel mondo – torna a essere un cluster del virus. Cinque nuovi casi in un complesso residenziale, a cui si sommano gli 11 contagi di Shulan, cittadina al confine con Russia e Corea del Nord, e un caso a Liaoning di un ragazzo proveniente dalla stessa provincia. Diciassette nuovi malati di Covid-19, dato più alto dal 28 aprile, a una settimana dall’ultima riapertura dopo l’allentamento delle restrizioni, quella di Wuhan, dove sono riprese le attività scolastiche. Lunedì Shanghai aveva riaperto le porte anche di Disneyland, dopo tre mesi e mezzo di chiusura.

Le autorità sanitarie avevano avvertito che il ritorno alla libera circolazione avrebbe aumentato le probabilità di nuove infezioni. E c’è anche da dire che Pechino stava già tenendo d’occhio centinaia di asintomatici non inclusi nel conteggio dei casi. Se a Wuhan si torna indietro sulle scuole e i locali, a Shulan le autorità richiudono tutto – pena la legge marziale – e designano la città “ad alto rischio”, unica nel Paese in questo momento. I residenti tornano in casa, i trasporti pubblici sono fermi e c’è il divieto di prendere il taxi per lasciare la città. La vicina Jilin invece passa da rischio basso a medio, tenendo in allerta il resto della provincia che mette in quarantena chi rientra dalle due città. La situazione non è del tutto sotto controllo. Se si sa che le infezioni sono partite da una lavoratrice 45enne di un ufficio di pubblica sicurezza di Shulan, che a sua volta ha infettato suo marito, tre sorelle e altri membri della famiglia, non è chiaro come si sia infettata. La donna non sarebbe mai uscita dalla provincia recentemente e non avrebbe avuto alcun contatto con altre persone esposte al virus. Ora altri 276 tra i suoi contatti sono stati messi in quarantena e la pista delle autorità per risalire alla catena dei contagi arriva fino nella confinante Russia, dove i malati di Covid sono 200mila; se non addirittura all’altra frontiera, quella della Corea del Nord, seppure ufficialmente Paese Covid-free secondo il dittatore Kim Jong-un. La prima ipotesi pare la più credibile visto che nelle ultime settimane, la vicina provincia di Heilongjiang ha visto un picco di contagi importati da cittadini cinesi di ritorno da Mosca e altre 300 persone a Shulan tra l’8 e il 23 aprile erano state isolate per la stessa ragione.

A preoccupare per il ritorno del contagio non è solo la Cina. La Corea del Sud, che un mese fa aveva annunciato il raggiungimento dei casi 0 anche grazie ai tamponi a tappeto e un’app di tracciamento in grado di individuare precocemente i cluster per poi comunicarli ai cittadini via sms, negli ultimi giorni sta lottando per contenere un focolaio partito da una discoteca. A rendere tutto più complesso è la reazione omofobica che la cittadinanza sta avendo contro la comunità gay, dal momento che pare che il contagio sia partito dai locali Lgbt della città. Questo rende difficile per le autorità sanitarie testare le persone che hanno frequentato le discoteche di Seul interessate dai contagi, per paura che inizi una caccia alle streghe. Di fatto, dei 35 nuovi casi che preoccupano la Corea del Sud, 29 sono riconducibili a Itaewon, distretto gay della capitale: portando a 86 i nuovi contagi. Tanto è bastato per rimandare la riapertura delle scuole, prevista per mercoledì di una settimana. Un ritardo “necessario” per garantire la sicurezza degli studenti, secondo Park Baeg-beom, viceministro dell’Istruzione sudcoreano. Intanto la guerra del Covid-19 tra Cina, Usa e Europa continua: l’Fbi accusa la Cina di hackerare informazioni e ricerche americane per lo sviluppo del vaccino, secondo il quotidiano New York Times, che parla di un “public warning” contro l’attacco cinese. Dall’altro lato, il settimanale tedesco Der Spiegel rivela pressioni del leader cinese Xi Jinping all’Organizzazione mondiale della Sanità, il 21 gennaio scorso, per ritardare le informazioni sulla trasmissione del Covid da uomo a uomo e la dichiarazione di pandemia. Trump ritwitta. Ma per l’Oms la notizia è “infondata”, e la Cina attacca: “Basta disinformazione”.

Crisi di astinenza da calcetto o da spaghetto alle vongole

Nel periodo di reclusione forzata ci avete raccontato le vostre giornate, tra nuove abitudini, prove di resistenza e sforzi di fantasia. Vi ringraziamo: le vostre parole sono la conferma che il Fatto non è solo un giornale, ma una comunità viva. Adesso però ci piacerebbe che condivideste con noi anche questi giorni di parziale rientro alla normalità, tra persone che tornano al lavoro e piccole libertà che ci si può finalmente concedere. Qual è stata la prima cosa che avete fatto dopo il 4 maggio? Siete riusciti a incontrarvi con una persona cara? Vi aspettiamo sempre all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it

Quanto ci manca la vita di classe

I bambini in quinta elementare stavano passando il periodo più bello della loro vita: i preparativi per il Campo scuola, la recita di giugno, la cena di fine anno. Era una gioia stare in classe. Ogni giorno le amicizie diventavano più solide, più mature, più vere. Non era solo una classe dove si studiava e si interrogava: era una classe dove si parlava, si parlava tanto e si imparavano tante cose che non stavano in nessun libro! Quanto “ci manchiamo”! E lo schermo, che ci fa illudere di stare in classe, quando si spegne ci mette ancora più tristezza!

Belinda Oricchio

 

Anche mia figlia sta scoprendo il giornale

Sono abbonato al vostro giornale dal 2009, non potevo non mandarvi la foto di mia figlia Daria, che quotidianamente mi osserva mentre leggo il giornale durante questa pandemia, e oggi mi ha voluto imitare. Spero che questo gesto, ancor di più delle favole e i racconti, le possa far crescere l’amore per la lettura e l’importanza di informarsi.

Michele Sassano

 

Ridateci le partite di pallone con gli amici

Con le dovute cautele cominciamo a riprenderci alcuni pezzetti di normalità… qualche bar aperto, qualche giro in bicicletta, una corsa al parco senza l’ansia di essere nel torto… Cosa mi manca di più? Le partite di calcetto con gli amici! Mi manca tutto: il percorso da casa ai campi, le chiacchiere nello spogliatoio, i giri di campo pigri per scaldarsi prima di iniziare a giocare. La partita paradossalmente è ormai quella che mi manca di meno: siamo sempre gli stessi, ormai tutti grossomodo tra i 30 e i 40 anni… il meglio è alle nostre spalle, ogni anno andiamo più piano, i movimenti si fanno più lenti e goffi. Ma tutto il resto è un rituale a cui non avrei voluto rinunciare per nulla al mondo: dal primo saluto agli amici di sempre alla birra insieme dopo la partita. Speriamo di poter tornare presto a fare tutto quello che amavamo con le persone che amiamo.

Filippo Presidente

 

L’edicola tappezzata con i disegni dei bimbi

A Roma c’è un’edicola in via Tiburtina, subito dopo Villa Mercede, praticamente il centro di San Lorenzo, che è amata da tutti i bambini del quartiere. Da quando è iniziato il lockdown a marzo tutti i bimbi per far sentire l’edicolante Alessandro meno solo hanno iniziato a portargli disegni e pensierini. Lui li ha attaccati al vetro dell’edicola, che ora è un piccolo museo con le opere dei bambini della zona (nelle foto qui accanto). Un ringraziamento ad Alessandro e a tutti gli edicolanti che in questo periodo così complicato ci aiutano a tenere vivi i legami di quartiere.

Lettera Firmata

 

Il mio regno per un pranzo al mare

La prima cosa che farò quando torneremo alla normalità? Non importa se sarà quest’estate o dovrò aspettare un po’ di più, ma appena posso prendo la macchina, corro al mare, mi siedo in un tavolino all’aperto nel mio ristorante di fiducia e ordino uno spaghetto alle vongole. Sto provando a cucinarli a casa, ma pure con tutto l’impegno… senza il mare davanti per quanto vengano buoni restano solo una pallida imitazione.

Federica