Ha 84 anni, è “affetto da plurime patologie specie tumorali” e non può essere trasferito in una cella singola – “condizione che permetterebbe una sua maggiore tutela” – per il “numero di ristretti nella sezione di appartenenza”. È con queste motivazioni che il magistrato di sorveglianza di Milano ha scarcerato Cataldo Franco, condannato all’ergastolo per concorso nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo.
“Ritenuto affiliato di Cosa Nostra”, per sei mesi sarà ai domiciliari a Geraci Siculo, un paesino di meno di duemila abitanti in provincia di Palermo, dividendo la casa con la moglie. Franco è infatti uno dei 376 mafiosi che, con l’emergenza Covid-19, hanno ottenuto la scarcerazione per motivi di salute connessi al rischio contagio. Notizia questa nota. Era finora inedito invece il dispositivo del magistrato di sorveglianza che ne ha deciso i domiciliari.
Franco è stato condannato per concorso nel sequestro di Giuseppe Di Matteo, che fu rapito e poi sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca per punire il padre diventato collaboratore di giustizia. Fu un crimine agghiacciante, quello del ragazzino, ucciso a 15 anni nel 1996 dopo oltre due anni di prigionia.
Secondo l’accusa, uno dei covi utilizzati per nascondere il bambino sarebbe stata una masseria di proprietà di Franco in contrada Menta di Ganci. La condanna in Appello arriva nel 1999. Tre anni dopo, la sentenza definitiva. Fino a pochi giorni fa, quindi, Cataldo Franco era detenuto nel carcere di Opera (Milano). Poi è arrivata la richiesta di scarcerazione, accolta dal giudice di sorveglianza il 20 aprile.
In tre pagine si spiegano le motivazioni di questa decisione. Scrive il giudice: “Dalla relazione di sintesi emerge che il Franco era stato trasferito nell’Istituto di Opera per motivi sanitari ed esigenze di cura. (…) É stato ritenuto affiliato all’organizzazione mafiosa denominata ‘Cosa Nostra’”. “Dall’atto del suo ingresso ad oggi – si aggiunge – ha sempre mantenuto una condotta regolare, ma non ha mai prestato attività lavorativa a causa delle sue condizioni di salute”. Inoltre “ha beneficiato di ben 2115 giorni di liberazione anticipata”, ossia circa cinque anni e mezzo.
Nel dispositivo si fa quindi riferimento alla relazione sanitaria dei medici: “L’équipe – scrive il giudice – ritiene, alla luce dell’emergenza sanitaria in atto, e valutata la situazione complessiva del Franco, con particolare riferimento alla situazione clinica che impone particolari cautele (…), al fine di preservare la sua salute e che l’eventuale contagio possa raggiungere altri detenuti allocati nella stessa sezione, che nei confronti dello stesso la pena sia differita nelle forme della detenzione domiciliare”.
Insomma, per una “sua maggiore tutela”, bisognerebbe trasferirlo in una cella singola, ma ciò non è possibile “in relazione al numero di ristretti nella sezione di appartenenza”.
Franco, si sottolinea nel dispositivo, “è affetto da plurime patologie specie tumorali, seppur trattate, ma sempre in follow up e necessita di continui contatti con le strutture sanitarie del territorio dell’urgenza-emergenza”. Ma per il giudice non può continuare a curarsi in carcere come avvenuto finora.
“Si ritiene – è scritto – che tale infermità fisica in soggetto di 84 anni con plurime patologie possa considerarsi grave, (…) con specifico riguardo al correlato rischio di contagio attualmente in corso per Covid-19, che facoltizza questo magistrato a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione della pena (…), considerate le circostanze, la situazione sanitaria eccezionale e comunque in attesa del provvedimento del Tribunale di sorveglianza, che consentirà di rivalutare nell’attualità la posizione del condannato”.
Cataldo Franco, quindi, per sei mesi sarà a casa, con la moglie. E come lui altri 375, che finora hanno ottenuto i domiciliari.