Il centrodestra si ricompatta e firma all’unisono una mozione di sfiducia personale contro il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, usando come pretesto le scarcerazioni di boss mafiosi. Fa finta di non sapere che la circolare del Dap del 21 marzo facilita le richieste dei boss, ma i domiciliari per rischio coronavirus li hanno decisi i giudici di Sorveglianza visto che il decreto “Cura Italia” li esclude proprio. Per non parlare della tempistica della mozione: arriva mentre al ministero si lavora su un altro decreto per chiedere ai tribunali di Sorveglianza di rivalutare, alla luce della fase calante del contagio, i domiciliari concessi a ben 376 mafiosi, su 456 che li hanno chiesti con la scusa del Covid-19. Il nodo tecnico da sciogliere è quello di dare una indicazione senza violare il principio dell’indipendenza della magistratura.
Ma in realtà, dietro la mozione presentata al Senato, c’è ben altro, l’insofferenza per la legge Spazzacorrotti e per quella che blocca la prescrizione dopo il primo grado. Tanto è vero che Silvio Berlusconi ha smesso di essere “responsabile”, come da giorni si era proclamato e ha deciso di far firmare a Forza Italia la mozione di sfiducia individuale contro il Guardasigilli. Insomma, da “responsabile” Berlusconi è tornato a essere “Caimano”. D’altronde, la capogruppo in Senato Annamaria Bernini lo ha detto chiaro e tondo: “Non potevamo tirarci indietro di fronte alla politica giudiziaria di un ministro che in 2 anni ha travolto tutti gli argini costituzionali: dalla “ragionevole durata dei processi” con la “prescrizione infinita”, alla riforma delle intercettazioni “divenute una trappola inquisitoria”.
Ad annunciare la mozione è stato Matteo Salvini “per evidente incapacità e inadeguatezza” del ministro. Le rivolte nelle carceri, i boss ai domiciliari e la mancata nomina di Nino Di Matteo due anni fa, come capo del Dap, di cui Bonafede “non si è assunto responsabilità” , sono i punti della mozione.
Bonafede, ieri in Senato per un question time (dopo essere stato mercoledì alla Camera) proprio sulla vicenda Di Matteo, quei punti li ha smontati: “Invito tutti a fare un’operazione di verità, che nella lotta alla mafia è fondamentale. È totalmente infondato il collegamento” tra i fatti relativi alla mancata nomina di Di Matteo al Dap nel 2018 e “le scarcerazioni, frutto di decisioni di magistrati che hanno applicato leggi che nessuno aveva mai modificato fino al decreto approvato la scorsa settimana da questo governo, con il quale si stabilisce che, rispetto alle istanze di scarcerazione, è obbligatorio il parere della Dna e delle Dda”. Lo stesso Bonafede ha confermato che con l’arrivo del vicecapo al Dap Roberto Tartaglia è stata inviata una circolare ai direttori delle carceri in modo che il Dap sia informato da loro su “qualsiasi istanza” di detenuti mafiosi.
In Senato, la maggioranza ha un margine risicato e in vista del voto sulla mozione, il solito Matteo Renzi sibila di poterla votare, senza volerlo veramente, solo per “potere contrattuale” dentro al governo dato che i senatori di Iv sono 17, fondamentali per il via libera.
Il ministro ha risposto alle accuse alle Camere, ma ha disertato la Commissione parlamentare antimafia. Andrà dopo l’insediamento del nuovo capo del Dap, il Pg di Reggio Calabria, Dino Petralia, che ieri ha avuto il via libera del Csm. Irritata l’opposizione in Commissione, ma anche la maggioranza, pur comprendendo le ore difficili del ministro, sotto accusa e alle prese con il decreto anti-scarcerazioni. Non l’ha presa bene neppure il presidente della Commissione Nicola Morra, M5S ma da tempo non in buoni rapporti con Bonafede. E proprio ieri è stata rilanciata la notizia che Morra, il 22 aprile sollecitò l’ex capo Dap, Francesco Basentini, per ricevere quanto aveva già chiesto: “I riferimenti, e se del caso anche i fascicoli personali, dei detenuti” mafiosi finiti ai domiciliari.