Lidia, Flaminia, Rosetta: una notte di passione per il vergine Leandro

Da un canovaccio apocrifo di Isabella Andreini. Durante i tre lunghi anni trascorsi in Oriente per commerci, Leandro, giovanotto di belle speranze, si mantiene fedele a Lidia, la morosa, nonostante la tentazione di ragazze esotiche la cui bellezza tramortirebbe il Santo. Finalmente Leandro torna a Venezia, la nave carica di sete e spezie; ma la notizia che Coviello, il mercante per cui fatica, nel frattempo ha convinto i genitori di Lidia a dargli in sposa la figlia, lo getta nella disperazione più cupa. I due ragazzi si incontrano. “Sono una schiava venduta al mercato!” singhiozza lei. “Mi avevano detto che eri morto. Coviello non mi ama: colleziona donne come colleziona zecchini. E ogni giovedì notte, con la scusa del Maggior Consiglio, va a spassarsela con la bella sposa di Pantalone, Flaminia”. “Chi che se marida vecio sona de corno. Vengo giovedì!”. “Saprò farmi perdonare”. La sera stabilita, Leandro si traveste dunque da mendicante e s’affretta per le calli lucide e buie verso il palazzo di Coviello; ma s’imbatte nel servo di Pantalone, Zanni, che gli dice: “Ti manda il cielo, chiunque tu sia. Un’osella per te se mi aiuti a portar questa cesta di carbone”. Per non destar sospetti, Leandro si presta, e dopo pochi passi s’accorge che nella cesta, in realtà, è nascosto un uomo: Coviello! Caricano la cesta su una gondola: Leandro si trattiene a stento dallo scaraventarla in acqua. Flaminia in persona li accoglie, affacciata a un portone sul canale, il lanternino in mano. “Tu, Zanni, puoi andare” dice “ma questo tuo amico mi serve ancora”. Chiude l’uscio, soffia sulla fiammella, e nel buio si stringe al collo di Leandro: “Coviello adorato! Che grande idea, travestirti da mendicante! Brucio dalla voglia: prendimi qui, presto!”. Leandro ode un frusciare di vesti: stordito dall’astinenza, e incitato dalla vendetta, in tre minuti perde la verginità che da tre anni conservava. Si stanno divertendo quando dalla cesta arriva un gemito di scorno. “Come dici?” domanda Flaminia. Leandro para: “Nulla, sospiravo al pensiero che devo andarmene: Pantalone starà per tornare”. “Ma no, non rammenti? Ogni giovedì va a spassarsela con Rosetta, la moglie di Zanni. Abbiamo tempo. Vieni”. Leandro serra dei giri di corda attorno alla cesta e la segue. Dopo due ore Flaminia s’addormenta contenta, e Leandro se ne va: “Mi ci voleva proprio”. Ma al Campo de la Bragora vede un vecchio che, in equilibrio precario su una botte, sta cercando di raggiungere il balcone di un palazzo. “Tu, dammi una mano!” gli fa quello. È Pantalone! Mentre Leandro lo issa, si socchiude il portonaccio accanto. Una voce femminile sussurra: “Zanni non c’è, gli ho appena fatto la solita scenata. Puoi entrare da qui, caro Pantalone”. Leandro, non ancora sazio dopo tre anni di stenti, entra, lasciando pencolante il vecchio alla balaustra. In camera, i due si spogliano alla luce cilestrina della luna curiosa. Leandro non crede ai suoi occhi: che corpo, Rosetta! Che tette! Che culata! Una vista che consola. “Santo cielo!” esclama lei. “Ma tu non sei Pantalone! Sei un bel toso!”. Si sfebbrano più volte fra le lenzuola, quindi Leandro la saluta con un pizzicotto sul sedere. Pantalone, ancora appeso, sta dando calci all’aria smoccolando. Leandro, sceso in strada, lo aiuta a salire sul balcone: “La signora è pronta”. Poi gira l’angolo e con chi si scontra? Zanni! “Hai un ladro sul balcone!”, gli indica birbante, e quello si precipita, una forcola in mano. Poco dopo, Leandro è con la sua Lidia, ma è troppo stanco: dormono. L’indomani, Zanni è davanti al magistrato per le botte al padrone; Flaminia sogna beata fino a tardi; e Coviello non riesce a uscire dalla cesta che a mezzogiorno; sicché Lidia ha tutta la mattina per farsi perdonare, e Leandro pure.

 

Tutto resta uguale, tutti sono più deboli

È la fotografia di un’Italia immobile. Uno squallido zero a zero dove tutti restano esattamente dove stavano, però molto più deboli.

Mattarella. Lo avevamo lasciato al Quirinale con gli scatoloni pronti per il trasloco e l’anticipo versato per il nuovo appartamento. Lo ritroviamo al Quirinale come Mattarella Bis, ma è sempre lo stesso. Negli scatoloni vanno ora riposti e sigillati i pacchi delle sue smentite alla ricandidatura, e pazienza per la caparra. Forse un salvatore della Patria ma sicuramente non è il Vangelo.

Draghi. Intendeva volare verso il Colle, ha rischiato il tracollo e adesso gli va benone Palazzo Chigi. Anche se Salvini dopo la disfatta vuole altro spazio nel governo (“serve nuova fase”). Attenderà le elezioni della primavera 2023 per giocarsi il secondo tempo della partita. Con il nuovo Parlamento sottoposto a drastici tagli, Mattarella andrà avanti come se niente fosse? Oppure Sergio Bis si porrà il problema del mutato quadro istituzionale, lasciandogli libera la poltrona? Troppi se. Di sicuro, con un nuovo governo dovrà trovarsi un nuovo lavoro.

I cosiddetti leader. Escono complessivamente delegittimati, travolti dalla base dei Grandi elettori che hanno fatto di testa loro imponendo il Bis. Enrico Letta promette vendetta e invoca nuove regole per vincolare gli eletti alla disciplina di partito, e così imparano. Ovvio che le candidature alle prossime Politiche saranno una carneficina. Con le astensioni alle stelle e la sottomissione al Bis il sistema dei partiti appare un bunker bombardato. Ma pur sempre un bunker.

Destra. Mentre Salvini si sfracellava e Berlusconi s’incazzava, Giorgia Meloni si rafforzava restando immobile. Per la guida della coalizione si prevede una lunga notte dei lunghi coltelli al termine della quale ne resterà uno soltanto. Anzi una.

5Stelle. La mancata candidatura di Elisabetta Belloni ha reso evidente il conflitto Conte-Di Maio. Quanto a Grillo, non è sembrato lucidissimo con quel “benvenuta signora Italia”, mentre la signora dell’Intelligence veniva silurata da Renzi e dai centristi per fare posto a Casini. Un movimento diviso in partes tres. O quattro.

Le donne sprecate. Di una Belloni al Quirinale avrebbe parlato il mondo intero. Una novità straordinaria che avrebbe funzionato da volano per promuovere un Paese finalmente avviato sulla strada dello svecchiamento e dell’innovazione. Per una classe politica logora e polverosa, le donne in politica sono figurine di riserva nell’album del potere. Una prece.

Joni Mitchell sta con Neil Young, Spotify addio: “Podcast no vax”

Un gesto di solidarietà con il “grande vecchio” del rock, uscito da Spotify per protestare contro un podcast “che fa disinformazione sul Covid”. Joni Mitchell segue Neil Young e abbandona Spotify. La leggendaria cantautrice ha chiesto di rimuovere dalla piattaforma tutte le sue canzoni. Spotify ha cominciato a dare seguito alla richiesta di Joni. La protesta che accomuna i due artisti canadesi nasce perché Joe Rogan, il titolare del podcast incriminato, ha recentemente diffuso “disinformazione” sul Covid dando spazio a epidemiologi no-vax.

La Asl ai pm: “Vlahovic ha violato isolamento”

Il nuovo centravanti della Juventus, Dusan Vlahovic, segnalato dalla Asl alla Procura di Firenze per aver rotto il regime di isolamento a cui era sottoposto dopo essere stato trovato positivo sabato 22 gennaio, alla vigilia della sfida tra la Fiorentina e il Cagliari. A confermarlo è stato il dipartimento di igiene pubblica dell’Asl Toscana Centro che ieri ha fatto arrivare ai magistrati la segnalazione per violazione delle norme anti Covid. Il calciatore serbo avrebbe dovuto effettuare il tampone necessario per uscire dalla quarantena. Venerdì mattina, 28 gennaio, invece si è presentato all’ambulatorio della Juventus per le visite mediche, salutando i tifosi e firmando autografi.

Del Turco, Cassazione: “No alla revisione del processo, attendibili le testimonianze”

Niente da fare. La Corte di Cassazione ha detto no alla revisione della revisione del processo chiesta da Ottaviano del Turco e a gran voce reclamata dal suo legale, il presidente dell’Unione della camere penali Giandomenico Caiazza: per gli Ermellini “a fronte di deposizioni testimoniali giudicate attendibili, non è stata allegata nessuna prova dimostrativa di un fatto capace di demolire la capacità rappresentativa dei fatti oggetto delle deposizioni”. La difesa dell’ex governatore condannato in via definitiva nel 2018 per le mazzette ricevute nell’ambito della Sanitopoli abruzzese non ha prodotto infatti alcun nuovo elemento capace di “smontare” quanto accertato oltre ogni ragionevole dubbio in tutti i gradi di giudizio.

Spunto per la richiesta di revisione, l’episodio relativo alla consegna direttamente a casa di Del Turco di 200 mila euro cash da parte di Vincenzo Angelini, già ras delle cliniche private della regione. Indotto illecitamente a pagare, per non dire spremuto, pur di non inimicarsi chi aveva allora in mano le redini della sanità. La consegna era avvenuta nel 2007 a Collelongo nell’Aquilano, come documentato dallo stesso Angelini che dal suo autista aveva fatto fotografare le banconote, la busta dove queste furono poste, e persino il momento in cui era entrato nella residenza privata di Del Turco. L’avvocato Caiazza ha provato a sostenere senza successo che quelle foto erano state manipolate producendo all’uopo una consulenza affidata tra gli altri all’ex Generale dei Ris Luciano Garofano e già stroncata dai giudici di Perugia prima, poi da quelli di Firenze in sede di prima richiesta di revisione. Intanto perché la consulenza non era stata compiuta affatto con una tecnica innovativa e tale da ottenere risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili, come invece era stato sostenuto dalla difesa. Ma soprattutto perché gravida non di prove ma semmai di congetture insufficienti per suffragare la tesi della manipolazione attraverso cui si puntava a impallinare l’attendibilità dei testimoni. La Cassazione ora ha scritto la parola fine sulla vicenda che ha visto Del Turco condannato a 3 anni e 11 mesi oltre che a rifondere la regione Abruzzo: larga parte dei 700 mila euro riconosciuti a titolo di danno all’immagine per la condotta del suo più autorevole rappresentante. Che non risulta aver ancora pagato alcunché. In compenso il Senato gli ha ridato anche il vitalizio.

Ingegnere italiano morto in Olanda: “È stato ucciso”

Il movente ancora non c’è. Ci sta lavorando la polizia olandese. La Farnesina sta raccogliendo i particolari, al momento ancora top secret. Si sa solo che, molto probabilmente, Paolo Moroni è stato assassinato. L’ingegnere di 42 anni, originario di Allumiere (Roma) è stato trovato morto il 27 gennaio ad Amsterdam, dove lavorava da qualche anno. L’uomo era ripartito pochi giorni fa per i Paesi Bassi, dopo un periodo di smart working in famiglia. I genitori e i fratelli, titolari di un noto ristorante sulla strada tra Allumiere e Civitavecchia, non riuscivano a contattarlo. Poi la tragica notizia. “Tutta la comunità è distrutta, è stato un fulmine a ciel sereno, una vera tragedia. Ora tutti vogliamo che si faccia chiarezza, vogliamo sapere cosa è accaduto al nostro concittadino”, ha detto il sindaco di Allumiere, Antonio Pasquini. Per il momento, la Farnesina è in contatto con le autorità olandesi, nel tentativo di tenere informata la famiglia. Nelle prossime ore verrà inviata un’informativa alla Procura di Roma, che valuterà l’apertura di un’eventuale inchiesta.

Soldi, oro e rolex: trovata cassaforte del latitante Raso

Una cassaforte rudimentale sistemata in un’intercapedine in cemento, all’interno di un garage di Nichelino, in provincia di Torino. All’interno c’erano denaro, oro e costosissimi orologi per oltre 600 mila euro. Era nascosto in questo anfratto il tesoro del boss della ’ndrangheta Vittorio Raso, pericoloso narcotrafficante latitante da più di un anno. Gli investigatori della Squadra Mobile ci sono arrivati dopo l’arresto di due trafficanti, la droga sequestrata recante il marchio dell’“Esaurito”, il soprannome di Raso, il malvivente uscito di carcere per un cavillo due giorni dopo essere stato arrestato in Spagna, nell’ottobre 2020, e da allora sparito nel nulla. L’arresto dei due trafficanti è scattato dopo settimane di pedinamenti e servizi di osservazione finalizzati al contrasto della criminalità organizzata. Fermati a Moncalieri, alle porte di Torino, nascondevano in un appartamento 10 chili e mezzo di marijuana e quasi un chilo e mezzo di hashish. La Questura di Torino ha poi ritrovato una pista revolver calibro 38, altri 28.790 euro e un jammer antifrequenze.

’Ndrangheta, indagato Saporito: in passato era in affari col padre dell’ex ministra Boschi

Investivano nella campagna toscana con i soldi della ’ndrangheta. Con questa ipotesi, due giorni fa, la Direzione distrettuale antimafia e la Dia di Firenze hanno sequestrato una proprietà da 5 milioni di euro all’azienda agricola San Galgano, nel Comune di Chiusdino, in provincia di Siena. Un complesso di terreni e fabbricati che per gli inquirenti era stato acquistato con i soldi dei clan Grandi Aracri di Cutro e Manfreda di Petilia Policastro (Crotone). Per questo sono indagati due imprenditori: Edo Commisso, 57 anni, intermediario incaricato della compravendita dalle cosche; e Francesco Saporito, 79 anni, il proprietario. Il nome di Saporito era già emerso in un’altra inchiesta sulla compravendita milionaria di una fattoria a Dorna, in provincia di Arezzo.

Un affare in cui l’impresario calabrese era socio in affari con Pierluigi Boschi, padre della ex ministra e deputata di Italia Viva, Maria Elena Boschi. La vecchia indagine, coordinata dalla Procura di Arezzo, si era conclusa alcuni anni fa con un proscioglimento per tutte le persone coinvolte. Il nuovo fascicolo fiorentino (Pierluigi Boschi è estraneo all’inchiesta) si basa sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Uno di essi, Salvatore Muto, ex autista del boss dell’Emilia-Romagna Nicolino Grande Aracri, indirizza gli inquirenti sulla compravendita senese, avvenuta nel 2007: “L’affare era nato perché c’era questo denaro delle cosche da investire (…) Saporito aveva acquistato l’azienda agricola di San Galgano almeno in parte con denaro delle cosche Grande Aracri e Manfreda di Petilia Policastro e non aveva ancora restituito i soldi”. Saporito, originario di Crotone e trapiantato in Toscana da molti anni, aveva acquistato la proprietà da una coppia di imprenditori locali, a un prezzo sulla carta di 4 milioni di euro, molto inferiore a quello di mercato. Per i pm una provvista di almeno 1,5 milioni di euro fu versata in nero, in una filiale del Monte dei Paschi di Siena. Che il vero prezzo fosse un altro (più di 6 milioni di euro) emerge anche da un’intercettazione tra Commisso e il giornalista Giacomo Amadori, impegnato in un’inchiesta per La Verità. In un’altra intercettazione, tra Muto e Commisso, emerge uno spaccato delle infiltrazioni in Toscana: “Sì, piglia tutto… chiama, noi veniamo. Abbiamo architetti che ci seguono, ingegneri, commercialisti, tutto abbiamo”.

L’unicum italiano: restrizioni di dubbia utilità senza Parlamento

Caro direttore, a quasi due anni dalla proclamazione dello stato di emergenza, l’Italia si appresta da martedì prossimo 1° febbraio ad adottare ulteriori misure restrittive. Questo accade mentre la Danimarca ha dichiarato che Sars-Cov2 non è più una minaccia: verranno tolte tutte le restrizioni dal 1º febbraio. Il titolo del Financial Times del 26 novembre è illuminante: “La Danimarca diventa l’ultimo Paese europeo a rimuovere quasi tutti i vincoli del Covid”. Infatti, mentre altri Paesi come la Spagna, UK e Irlanda escono dall’orizzonte della pandemia tornando alla “normalità”, l’Italia addirittura rinforza le restrizioni.

A due anni dall’inizio della pandemia gli italiani si ritrovano in un eterno presente in cui uno Stato autoritario e paternalista si limita ad accumulare divieti e restrizioni. Le misure italiane sono le più estese e le più severe, malgrado non ci siano evidenze che le misure adottate abbiano contribuito significativamente al calo dell’indice di trasmissione Rt. Inoltre il nostro Parlamento continua a non essere previamente coinvolto nella decisione di tali misure. Ciò fa dell’Italia un caso pressoché unico in Europa. Basta considerare che in Germania, dove pure l’obbligo vaccinale è stato imposto (per il solo personale sanitario), hanno votato in dicembre entrambi i rami del Parlamento; che in Austria il 3 febbraio prossimo il Bundesrat è chiamato a pronunciarsi sull’imposizione di un obbligo generalizzato; che in Francia il “super green pass” (più ristretto di quello italiano in generale, e in particolare in tema di trasporti pubblici, dal momento che esso copre solo quelli interregionali) è entrato in vigore dopo una decisione del Consiglio costituzionale essendo stato deliberato definitivamente a seguito di due settimane di animato dibattito parlamentare.

Si conferma la netta impressione che, più che svolgere le funzioni loro proprie, le istituzioni italiane di garanzia facciano sostanzialmente corpo con l’esecutivo e la sua discutibilissima azione, sanitaria, politica ed economica.

Di fronte a queste evidenze, la Commissione DuPre invita a rivedere urgentemente le politiche restrittive, soprattutto in considerazione degli effetti devastanti che esse hanno sulla società, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, relazionale e di salute psico-fisica.

Super pass forzato dal 15.2: a casa un milione di over 50

Il 1° febbraio è una data da ricordare. Non solo perché dovrebbero scattare le prime multe per gli over 50 che non avranno rispettato l’obbligo vaccinale (dal 15 l’obbligo varrà anche per lavorare), ma anche perché cambierà (di nuovo) la validità del green pass, che da nove mesi scende a sei. Fin qui è tutto più o meno chiaro. Molto meno lo è invece rispetto a cosa potrà accadere dopo questa data, alle conseguenze che avrà sulla vita delle persone, a quali scenari si potranno aprire dopo le tante restrizioni e limitazioni che a forza di decreti, a causa dell’emergenza sanitaria, hanno cambiato la vita degli italiani. Di certo sappiamo che si incrociano due disposizioni. Per il resto la confusione non manca.

Partiamo dai nuovi termini di validità del green pass. Prendendo in considerazione solo la popolazione over 12, 53,3 milioni di italiani, quasi 21, completato il ciclo vaccinale primario, non hanno ancora fatto la terza dose. Tra questi è realistico pensare che siano tanti quelli che hanno il certificato in scadenza. O perché hanno ricevuto la seconda dose prima dell’agosto 2021 oppure perché, avendo completato il ciclo ancora prima, adesso hanno tra le mani un pass che è già nel settimo od ottavo mese di validità. Tra 48 ore sarà carta straccia.

Non a caso da giorni il ministero della Salute sta inviando mail o sms a tutti coloro che si trovano in queste condizioni, per esortarli a fare il richiamo. Solo che tutte queste persone dovrebbero provvedere entro domani per ottenere la nuova certificazione. È assai probabile che molti rimarranno indietro.

Certo, va tenuto in considerazione il fatto che tanti potrebbero nel frattempo aver contratto il virus e quindi hanno diritto a ottenere comunque il certificato per avvenuta guarigione. Senza contare le migliaia di esentati, di cui ancora non si conosce il numero esatto.

Ma chi non si trova in questa condizione come deve comportarsi? E non bisogna dimenticare chi ha avuto problemi di salute per altre patologie non Covid e proprio per questo motivo non ha potuto ricevere il booster ma che di fatto viene equiparato a un no vax e dovrà fare un tampone per entrare in un negozio o per andare a lavorare se under 50.

L’obbligo vaccinale per gli over 50 previsto dal decreto del 7 gennaio è entrato in vigore il giorno successivo, quando all’appello mancavano oltre 2,1 milioni di persone. La somministrazione delle prime dosi da allora, a parte le fiammate dei primi giorni, procede a rilento. Secondo l’ultimo report del governo sono ancora più di 1,6 milioni quelli che ancora resistono. Tra questi, oltre 1,2 nella fascia compresa tra i 50 e i 69 anni e negli ultimi giorni, sempre in base al report, sono poco più di 178 mila quelli che alla fine hanno deciso di vaccinarsi.

Potrebbero essere circa un milione, quindi, coloro che dal 15 febbraio non potranno esibire il green pass per recarsi al lavoro, pena la sospensione anche della retribuzione. “Si tratta di vedere quanti alla fine si convinceranno – dice Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil con deleghe alla contrattazione e al mercato del lavoro –. Certamente da parte del governo e delle istituzioni non c’è stata una efficace campagna di comunicazione. Poi va detto che laddove l’obbligo era già stato previsto, come nel mondo della scuola, la risposta c’è stata”. Solo lo 0,9 % del personale scolastico, infatti, ha rifiutato la vaccinazione e per questo è stato sospeso. “Resta il fatto – aggiunge Scacchetti – che soprattutto tra le piccole e medie imprese c’è una certa preoccupazione per la continuità lavorativa. E che da martedì dovremo anche verificare se funziona il sistema sanzionatorio (per gli over 50 che non si vaccinano è prevista una multa di 100 euro una tantum, ndr)”.

Domani, infine, n Consiglio dei ministri potrebbe arrivare la proroga dell’obbligo di mascherine all’aperto in scadenza. E sarebbe in corso una valutazione anche sulla questione delle regole sulla quarantena nelle scuole.