Le Corti costituzionali, absit iniuria verbis, fanno politica e quella tedesca non fa eccezione: fanno politica nel senso che gli effetti delle loro decisioni sono ovviamente politici e la fanno perché tengono conto del contesto. La sentenza di ieri con cui i giudici di Karlsruhe – all’esito di una guerra con la Bce che dura dal 2012 – promuovono con moltissime riserve il Quantitative easing 2015-2018 di Mario Draghi ne è una plastica esemplificazione: la Corte tedesca – mentre formalmente dice sì al Qe e si perita di escludere gli interventi decisi durante l’emergenza Covid – sconfessa la Corte di Giustizia dell’Ue (CgUe), mette in questione l’indipendenza della Banca centrale e stabilisce per un futuro non troppo lontano una serie di paletti all’istituto guidato da Christine Lagarde tali da impedirgli di fare il suo lavoro (tenere in piedi la baracca).
Breve riassunto. Karlsruhe nel 2016 aveva già, con una sentenza assai simile, posto paletti stringenti al programma Omt della Bce (quello scaturito dal whatever it takes di Draghi) dopo un sostanziale via libera della Corte di Giustizia dell’Ue l’anno prima: l’accusa era la stessa di oggi, vale a dire quella di aggirare il divieto di finanziamento monetario degli Stati presente nei Trattati Ue. Come detto, la Corte costituzionale della Germania modificò di fatto l’impianto iniziale delle Omt perché fossero conformi ai Trattati e alla “legge fondamentale” tedesca: gli aiuti, tra le altre cose, non possono essere illimitati e senza vincoli temporali, vanno riservati solo a titoli che abbiano ancora mercato e siano di recente immissione, più altre cosette. Pochi lo hanno ben capito finora per il motivo che le Omt non sono mai state usate…
Nel 2017 la sfida si spostò appunto sul Quantitative easing e anche stavolta (dicembre 2018) la Corte di Giustizia dell’Ue disse che la Bce non aveva valicato i suoi limiti in una sentenza che in Germania venne considerata “un affronto” (Die Welt). E si arriva a oggi. Cosa dice Karlsruhe? Che la sentenza della CgUe dà “un’interpretazione dei Trattati non comprensibile” e quindi “va oggettivamente considerata arbitraria”: “Almeno per quanto riguarda la Germania, queste decisioni mancano del minimo di legittimazione democratica”. Uno schiaffo all’idea stessa di un diritto comunitario preminente rispetto alle leggi nazionali: l’enorme discrezionalità affidata alla Bce e il lassismo nei controlli della CgUe, scrive la Corte in un suo comunicato, “apre la strada a una continua erosione delle competenze degli Stati membri”.
Quanto al Qe – che, giova ricordarlo, è in corso in una versione bis fino a fine 2020 – non è che sia illegale in sé, ma per com’è strutturato rischia di violare i Trattati e la legge fondamentale tedesca, finendo per sostituirsi alla politica economica nella direzione della condivisione dei rischi, esplicitamente vietata e mai sottoposta al Parlamento tedesco.
Perché non sia incostituzionale, insomma, il Quantitative easing dev’essere come le Omt “riformate”: non illimitato, non eterno, eccetera. In particolare per Karslruhe contano il limite del 33% dei titoli di uno Stato in possesso della Banca centrale e il principio della capital key, cioè che gli acquisti vanno fatti in proporzione al peso che ogni Stato ha nel capitale della Bce: questi paletti “impediscono l’adozione di misure selettive a beneficio dei singoli Stati”. Ad aprile, per capirci, il capital key è stato largamente violato a favore di Italia e Francia, bisognose di sostegno, a scapito della Germania, che non ne ha bisogno (e così si è contenuto lo spread, in futuro chissà…).
E ora che succede? “Il governo federale tedesco e il Bundestag hanno il dovere di prendere le dovute iniziative contro il Qe nelle sue forme attuali”, dice la Corte. La Bce, invece, ha tre mesi per convincere i giudici dell’impossibile: che quei limiti sono stati rispettati tra il 2015 e il 2018. Se non lo farà, nessun pezzo delle istituzioni tedesche – ivi compresa la Bundesbank, che è la principale azionista della Bce – potrà “partecipare allo sviluppo, all’attuazione, esecuzione o messa in atto di atti ultra vires”, cioè fuori dai poteri previsti dalle leggi.
E qui entra in scena la politica. La Corte tedesca lascia infatti un po’ di tempo ai governi per trovare una via d’uscita che a livello legale pare impossibile: a Trattati europei vigenti, sta dicendo Karlsruhe, esiste solo il modello Grecia (prestiti dietro condizioni capestro). La Bce, da parte sua, ha risposto ribadendo che la CgUe le ha dato ragione e che resta “pienamente impegnata a fare qualunque cosa necessaria, nel suo mandato”.
Il tempo però è agli sgoccioli: il prossimo ricorso sarà contro il Pepp, il programma di acquisti da 750 miliardi almeno, lanciato contro la crisi finanziaria da Covid-19, che è ancor meno conciliabile del vecchio Quantitative easing coi diktat della Corte tedesca.
Il presidente dell’Ifo, Clemens Fuest, economista organico alla Cdu di Angela Merkel (corrente “falchi”), l’ha messa così: la sentenza, in sostanza, “limita la possibilità di acquistare titoli di Stato italiani”. È una bomba a orologeria sotto il tappeto dell’Eurozona, che in autunno rischia di esplodere. Nelle condizioni date, e visto che è messa peggio di come le piace apparire, è la Francia a dover decidere cosa fare.