Bonafede, la trappola del centrodestra

C’è un ministro, Alfonso Bonafede, il cui scontro con il magistrato Nino Di Matteo ha aperto una ferita nei Cinque Stelle: così disorientati dal doversi riunire per decidere come e quando reagire. E c’è un partito, Italia Viva, che fa la guerra al governo di cui fa parte: innanzitutto per ricordare a tutti che esiste, ma con in testa l’obiettivo di ottenere di più, magari anche un rimpasto.

Nodi che si incrociano nel giorno in cui il centrodestra, Forza Italia in testa, chiede che il Guardasigilli venga a riferire in Parlamento sul caso Di Matteo con un’informativa urgente: ma Fdi e Lega già pensano a una mozione di sfiducia. Anche perché lì fuori c’è la variabile Italia Viva, che nell’attesa punge con il deputato Cosimo Ferri: “Sono certo che Bonafede verrà a riferire in Aula, e comunque ha dimostrato di essere inadeguato al ruolo”. Lo pensano tutti, i renziani, anche se il siciliano Davide Faraone precisa: “Da mesi chiediamo le dimissioni del ministro della Giustizia, ma non oggi. E lo facciamo perché in gioco c’è la democrazia”. Tradotto, tra un magistrato e un ministro, comunque meglio il secondo. Ma senza esagerare, quindi a Iv va benissimo che il centrodestra pressi il capodelegazione del M5S. Arrivando a sostenere le ragioni di Di Matteo, sul quale pure in questi anni aveva rovesciato di tutto.

Però ora torna utile anche il magistrato, visto che domenica in diretta tv ha accusato Bonafede di non avergli dato il ruolo di capo del Dap nel 2018. “Avevo deciso di accettare, ma il ministro ci ripensò” ha sostenuto, ricordando che in quei giorni molti boss erano preoccupati dalla sua eventuale nomina. Così oggi la capigruppo alla Camera discuterà di quando fissare l’informativa di Bonafede, di cui anche il Pd predica la necessità pur di attenuare il clamore. Visto che il calendario di questa settimana è già colmo, si cercherà una data per la prossima. Con la maggioranza che spingerà per un’informativa in commissione Antimafia, più gestibile. Il ministro ha già dato la sua disponibilità, ma ai suoi ha ribadito di sentirsi sorpreso e “ferito” dalle parole di Di Matteo. Una vicenda che gli causerà altri giorni difficili, anche perché nel centrodestra si discute di una possibile mozione di sfiducia. “Ci stiamo lavorando, ha senso se il centrodestra è compatto” ha confermato ieri sera Giorgia Meloni a Fuori dal coro. Certo, Forza Italia non vorrebbe scossoni rischiosi per il governo. Ma rimane Iv, che potrebbe alimentare volentieri la paura di un voto parlamentare. “Sulla mozione i renziani oggi erano ambigui” confermano fonti parlamentari. “Tanto giocano a logorare, su tutto”, si sfoga un big dei 5Stelle. Dove hanno ricominciato a sospettare della voglia di rimpasto di Renzi. Con un primo nome pronto, Maria Elena Boschi. “Ma a quel punto noi potremmo contro-proporre Alessandro Di Battista” è la battuta, chissà quanto scherzosa, che circola.

Entrambi i nomi non farebbero la felicità del Pd, che lunedì è corso subito in soccorso di Bonafede, per blindare un governo già sfibrato. Il M5S invece si è palesato solo in serata perché il clima interno era da allarme rosso, dato che Di Matteo è un totem per il Movimento. C’è voluta una riunione in videoconferenza tra i big per concordare la linea. Poi sono arrivate le note in fotocopia, dove il magistrato non era menzionato. Come un lutto da rimuovere.

Salute, migranti e reddito. I nodi del decreto Maggio

Al termine di una lunga trattativa sul decreto Aprile, ormai decreto Maggio (ammontare: 55 miliardi), alcuni dei nodi finali che si stanno sciogliendo, più che economici, sono politici. Ieri il premier Conte ha visto i sindacato, oggi tocca a Confindustria. Ma intanto, i partiti si confrontano. Mentre il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha ottenuto oltre 3 miliardi, i Cinquestelle, in nome delle esigenze del nostro Sistema sanitario nazionale, potrebbero dover dire sì al Mes (a patto che sia senza condizionalità). Sul Reddito di emergenza (Rem) si è consumata una battaglia “culturale”. M5S avrebbe voluto che fosse una misura più strutturale, il Pd non voleva un raddoppio del Reddito di cittadinanza. Si va verso una misura di due mesi. Sulla regolarizzazione dei migranti, Pd, Italia Viva e LeU giocano di sponda con il Viminale. Ma il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, fatica a far accettare il provvedimento a parte del gruppo M5S.

“Stiamo discutendo su un miliardo per la sanità. È assurdo. Ci serve il Mes, che di miliardi ce ne darebbe 37”. Così il viceministro della Salute, Sandra Zampa. Alla fine, nel decreto i miliardi per il Ssn dovrebbero essere più di 3. In una trattativa che li ha visti oscillare tra i 2 e i 4. Andranno a potenziare gli ospedali Covid, le terapie intensive e subintensive. E le pneumologie. E poi, l’assistenza domiciliare, per arrivare a fare i tamponi a domicilio, individuare e monitorare i contagiati, potenziare le Usca (le squadre speciali di medici anti-Covid). Ieri il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in audizione al Senato ribadiva che il Mes sarà sul tavolo dell’Eurogruppo l’8 maggio “per poi essere finalizzato dal board of governors presumibilmente a metà maggio: l’Italia parteciperà vigilando che i documenti finali siano in linea con l’elemento dell’assenza di condizionalità al di fuori dell’uso per spese sanitarie”. Se i documenti finali dimostreranno che si tratta di un fondo con le caratteristiche illustrate da Gualtieri, il sì del M5S appare scontato no, ma esigibile sì.

Per il Rem, le risorse stanziate sono di un miliardo per 2 mesi. Si tratterà di un assegno tra 400 e 800 euro per un milione di famiglie (circa 2 milioni e mezzo di persone). Il capo delegazione dem, Dario Franceschini, si era spinto a parlare di “una tantum”. Alla fine, è stato stanziato per un periodo limitato, ma con la possibilità di rifinanziarlo. Non solo. Chi con il Reddito di cittadinanza riceve meno, potrà chiedere un’integrazione. “Sulla possibilità di ampliare il reddito di cittadinanza siamo aperti a una discussione”, ha detto il vicesegretario Pd, Andrea Orlando.

La trattativa sulla regolarizzazione dei migranti dovrebbe chiudersi stamattina, dopo una serie di riunioni tra i ministri Teresa Bellanova (Agricoltura), Luciana Lamorgese (Interni), Nunzia Catalfo (Lavoro) e Giuseppe Provenzano (Mezzogiorno). Sulla cornice del provvedimento per l’emersione del lavoro nero di braccianti, colf e badanti (che dovrebbe riguardare anche gli italiani), proposta dalla Lamorgese, dopo settimane di confronto, si trovano d’accordo sia la Bellanova (anche se dall’inizio spingeva per una sanatoria di 600mila braccianti), sia Provenzano, che insiste per mettere questa misura nel decreto. Le cifre, spiegano al Viminale, sono relative: dipende da quanti invisibili “emergeranno”. Varie ipotesi in campo per tenere insieme esigenze di datori di lavoro e lavoratori. Dovrebbe riguardare prima di tutto chi otterrà un contratto regolare. Ma a chiedere la regolarizzazione potrà essere anche lo stesso lavoratore, rimasto disoccupato causa Covid, mettendosi a posto con i documenti e cercando poi un lavoro regolare. La Catalfo non riesce ad avere il sì da parte dei suoi. “Il problema è grande ed è politico. Renzi vuole usare anche questo come arma di destabilizzazione”, dice una fonte di governo 5Stelle. Ma una parte del Movimento è contraria per convinzione strutturale.

“Se gli italiani continuano così, il contagio non risale Ma la crisi sarà dolorosa”

Presidente, è appena arrivata la sentenza della Corte costituzionale tedesca sugli acquisti di titoli pubblici da parte della Bce. La preoccupa?

Non commento sentenze della nostra Consulta, figurarsi se entro in quelle degli altri Paesi. Il programma di acquisti era già stato approvato e ritenuto legittimo dalla Corte di Giustizia Europea. Non spetta a nessuna Corte costituzionale decidere cosa può fare o no la Bce. La cui indipendenza è il fulcro dei trattati europei, quindi riconosciuto anche dalla Germania. Giudico un fuor d’opera che una Corte nazionale, pur costituzionale, chieda alla Bce di giustificare la necessità degli acquisti. Non può interferire in queste iniziative.

Ma lo spread è schizzato e rischia di complicare le cose anche per l’Italia.

Abbiamo già attivato molte misure e altrettante ne vareremo. Dopo i decreti Liquidità e Cura Italia, ci sarà il decreto Maggio che conto di chiudere entro la settimana e ammonterà a 55 miliardi.

Il decreto Maggio che poi sarebbe Aprile. Perché è stato così laborioso?

C’è una ragione anche tecnica. La commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager sta aggiornando in questi giorni il Temporary framework, cioè lo strumento con cui si introduce un regime di deroga per gli aiuti alle imprese colpite dall’emergenza. Quindi tutte le misure di sostegno alle imprese a cui abbiamo lavorato dovranno attenersi al nuovo quadro. Ne abbiamo delle anticipazioni, ma fino alla versione definitiva non possiamo essere sicuri di essere conformi.

Cosa conterrà il decreto Maggio?

Una misura molto importante sarà quella che consentirà a tutti i cittadini, attraverso il credito di imposta, di ristrutturare gli immobili per adeguarli alla normativa antisismica e per l’efficientamento energetico, a costo zero: gratis. Il meccanismo è stato suggerito dal ministro Fraccaro e avrà forte impatto: ci aspettiamo maggiore occupazione e la decisa ripresa delle costruzioni. E senza ulteriore consumo del suolo. Un’altra norma distribuirà 3 miliardi ai Comuni per sbloccare lavori di manutenzioni e opere pubbliche con procedure di gara semplificate. Sempre con Comuni e Province, stiamo lavorando a un piano straordinario per l’edilizia scolastica, approfittando delle scuole chiuse, per avere a settembre aule ristrutturate e sicure per i nostri ragazzi.

I ragazzi sono stati un po’ dimenticati dal governo.

Stiamo lavorando – sempre con l’Anci e gli enti territoriali – al “piano estivo” con le ministre Bonetti, Catalfo e Azzolina. L’obiettivo è offrire ai piccoli la possibilità, in condizioni di massima sicurezza, iniziative e attività varie, nei centri estivi e negli oratori. Ci avvarremo di strutture concordate con Comuni, parrocchie e associazioni del terzo settore, anche con voucher per famiglie meno abbienti.

Ieri ha visto parti sociali e sindacati. A che punto siete?

Stiamo spiegando a tutti l’impostazione della manovra e anticipando un po’ di misure. Domani (oggi, ndr) proseguiremo con gli industriali. Dobbiamo lavorare e ripartire insieme. Convocheremo anche il mondo dello sport e del calcio, insieme al ministro Spadafora, per fare il punto: raccoglieremo le istanze della Federcalcio e delle altre federazioni per avere un quadro condiviso della ripresa delle attività sportive.

Il dossier calcio passa in mano a lei? C’è una possibilità di concludere il campionato?

Non ho ancora messo mano al dossier, ma sentiremo e concorderemo. C’è il ministro, che ha fatto un ottimo lavoro, ma è giusto che tutti gli stakeholders del calcio e dello sport abbiano un confronto col governo ai massimi livelli. Ovviamente tenendo presenti le raccomandazioni del Comitato tecnico-scientifico.

Il presidente di Confindustria Bonomi si aspetta “una esplosione sociale a settembre” e attacca il governo che “distribuisce denaro a pioggia”. Cosa risponde?

Il governo sta lavorando proprio per prevenire e limitare gli effetti negativi dell’emergenza sul piano economico e sociale. Se ci sono buone e concrete proposte ben vengano. Può inviarcene anche Bonomi, purché siano specifiche e concrete, sul sostegno alle imprese.

Dice che avete fatto poco.

Dobbiamo assicurare alle imprese polmoni finanziari e sostegni. Ma col decreto Liquidità abbiamo creato le premesse per il rifinanziamento e già lunedì sera, col ministro Gualtieri, abbiamo iniziato a chiamare tutti i vertici delle banche per sollecitare massimo impegno nell’erogazione di denaro e per raccogliere segnalazioni di criticità.

Perché i prestiti sono lenti?

Per le somme basse, fino a 25mila euro, la procedura consente maggiore speditezza. Sopra quella soglia alle banche occorre un’istruttoria. Anche se la garanzia dello Stato copre pressoché integralmente il rischio delle somme erogate. E poi c’è un problema più tecnico. Le banche, dovendo comprimere i tempi d’istruttoria e prestare soldi anche a imprese in tensione finanziaria, temono di essere coinvolte un domani nel concorso in reati collegati alla bancarotta. In pratica di aver contribuito a tenere artificiosamente in vita aziende già decotte.

Vogliono lo scudo penale?

“Scudo penale” crea fraintendimenti, ma il problema è oggettivo e non può essere trascurato. Il governo lavorerà per trovare una soluzione equa, senza concedere un privilegio al sistema bancario.

L’ingresso dello Stato nelle imprese è auspicato dal Pd e da alcuni suoi ministri, come Patuanelli. Che ne pensa?

In un sistema economico che funziona, lo Stato deve assumere una veste più dimessa di quella di uno ‘Stato regolatore’. Ma non escludo, nel contesto che stiamo vivendo, che lo Stato possa assumere, con prudenza e attenzione, un ruolo più attivo. Non penso a un piano di nazionalizzazioni che richiama epoche passate, ma possiamo arricchire il ventaglio dei sostegni alle imprese, in alcuni casi anche attraverso capitale, finanziando direttamente l’impresa per facilitare investimenti produttivi e consentire il consolidamento dell’organismo societario.

Sugli investimenti nella sanità, accontenterete il ministro Speranza?

Accontentare tutti i ministri è complicato. Alcuni miliardi del decreto andranno a rafforzare le strategie sanitarie collegate all’emergenza. Poi predisporremo altri fondi. Lavoreremo per rafforzare la strategia integrata tra ospedali e medicina del territorio, i posti in terapia intensiva e subintensiva, le attività di monitoraggio, contact tracing e tele-assistenza: tutti elementi fondamentali per vincere la sfida al Covid.

Quale scenario epidemiologico ci troveremo di fronte il 18 maggio?

Non mi lascio orientare dalle sensazioni, o dalle immagini tv. Ma vedo che il piano ha funzionato, con un’attuazione ordinata del rientro di 4,5 milioni di lavoratori tra fabbriche e uffici. Anche le nuove regole sui trasporti non hanno bloccato gli spostamenti, anch’essi finora molto ordinati. Si conferma il senso di responsabilità dei cittadini, la grande attenzione al rispetto delle regole. E questo mi fa ben sperare sul fatto che la curva dell’epidemia resti sotto controllo. Detto ciò, questo virus è un male invisibile quindi fare previsioni è azzardato, hanno difficoltà pure gli scienziati.

Quale sarà la soglia R0 con cui autorizzerete lo spostamento tra regioni?

Non c’è una soglia specifica decisiva. Gli indici che segnalano l’allarme e farebbero scattare una chiusura non sono collegati solo a R0, ma a una ventina di parametri: densità abitativa, test fatti, nuovi contagiati, posti disponibili negli ospedali ecc. Per spostarsi tra regioni bisognerà aspettare. Idem per la riapertura del commercio al dettaglio, prevista per il 18 maggio: non si possono fare previsioni. Non mi aspetto un particolare aumento dei contagi, perché ormai si è diffusa fra i cittadini un’educazione generale alla convivenza col virus. Anche se ci sono settori che non possiamo controllare del tutto, come gli ambiti familiari. Lo stesso il ritorno in fabbrica, nonostante i protocolli rigorosi, potrebbe far risalire la curva. Ma stiamo facendo tutto con grande scrupolo e abbiamo un piano che ci consente, se le cose andassero male, di intervenire in modo mirato, geograficamente circoscritto, e non generalizzato.

Consentirete, come chiedono alcune Regioni, riaperture anticipate di altre attività con protocolli di sicurezza?

Ho proposto questo nuovo schema che non deroga al principio di massima precauzione. Ma, siccome ora ci sono soglie definite di allarme, siamo in condizione di studiare un’eventuale anticipazione delle aperture per ulteriori attività con differenziazioni geografiche.

Anche per cinema e teatri?

In presenza di un protocollo di sicurezza per spazi, ambienti e attività, si potrà decidere di anticipare le aperture di centri estetici, parrucchieri, ma anche teatri.

Il ministro Boccia non esclude le elezioni regionali aluglio-agosto. E lei?

La palla è al Parlamento. Come Consiglio dei ministri lo avevamo escluso perché ci pareva prematuro, ma se il Parlamento dovesse valutare, alla luce dei dati attuali, la possibilità, io non mi opporrei.

E il referendum?

Concorderemo con le forze politiche il periodo migliore. Ma, visto che si tratta di votazioni su tutto il territorio nazionale, ritengo che la finestra elettorale più adatta rimanga quella autunnale.

È vero che ha litigato col suo portavoce Rocco Casalino per la conferenza stampa sulla Fase 2?

No, assolutamente. Se sono apparso affaticato non è colpa dei miei collaboratori, ma solo mia. E poi non ho l’abitudine di scaricare sugli altri.

Anche lei è insoddisfatto dell’ultima conferenza stampa?

Sì, ero molto stanco. Io non me n’ero accorto, ma me lo han detto tutti. Venivo da 10 ore di maratona di riunioni, mi ero pure scordato di pranzare. Sono stato poco brillante. Del resto non avrei potuto rimandare all’indomani, perché la bozza del Dpcm l’avevano ministri, Regioni, comuni: dovevo evitare fughe di notizie, che poi inevitabilmente sarebbero state imputate a me, così come la confusione e l’incertezza che queste anticipazioni generano.

Sul termine ‘congiunti’, ancora si sta ridendo.

Quella formula ha un fondamento giuridico: è servita per abbracciare una ampia platea di soggetti che spaziano dai parenti agli affini ai coniugi, ai partner delle unioni civili e ai fidanzati, tenendo fuori però conoscenti e amici. Se avessimo optato per una formula più estensiva, avremmo consentito un più ampio scambio di visite e incontri, e sarebbe stato impossibile tenere sotto controllo la curva del contagio nelle relazioni personali.

Lei ha un feeling col presidente veneto Luca Zaia, che ormai la insidia come gradimento e popolarità. Lo rifarebbe un governo con la Lega se a guidarla fosse Zaia e non Salvini?

Abbiamo un buon rapporto, di correttezza istituzionale. Ma mi tengo stretto questo governo. L’esperienza con la Lega l’ho già vissuta. Basta così, grazie.

La Bbc ha posto Salvini sul podio dei leader più inclini a diffondere fake news.

Cosa non si fa per essere citati dalla Bbc…

Recovery fund: a che punto siamo?

Entriamo nel vivo ora. C’è un’istanza più ambiziosa di Italia, Spagna, Francia. E una traduzione più ‘frugale’ dei Paesi del Nord. Continueremo a batterci perché prevalga l’ipotesi più ambiziosa. Ma il Recovery fund difficilmente partirà prima dell’estate.

Conferma che invece il Mes non serve all’Italia?

Sì, resto convinto che il Mes non ci serva.

Ci attende una stagione di lacrime e sangue?

Non possiamo nasconderci. L’ho detto, questa è la prova più dura dal dopoguerra. Con una tale caduta del Pil, gli effetti economici saranno molto dolorosi. È anche per questo che abbiamo varato una manovra da 25 miliardi e ora un’altra da 55: l’intervento più poderoso degli ultimi anni. E, parallelamente, stiamo preparando un decreto Sburocratizzazione per rilanciare gli investimenti, velocizzare le procedure di gara, anche con soluzioni sperimentali e temporanee limitate a questa fase. Non voglio parlare di ‘modello Genova’ perchè nella maggioranza ci sono sensibilità diverse e molte resistenze. Invito tutti, soprattutto chi ha responsabilità istituzionali, a partecipare con proposte e atteggiamenti di condivisione. Questo decreto sarà non meno importante di quelli economici, se vogliamo ricostruire in fretta il Paese.

Tutti parlano di un futuro governo Draghi: le risulta che Draghi sia interessato a un governo di unità nazionale?

Non interpreto il pensiero altrui. Con Draghi abbiamo un buon rapporto personale, di stima, ne ho grande considerazione. Non mi ha mai testimoniato interesse per la Presidenza del Consiglio e non credo, conoscendolo, che si lasci tirare per la giacchetta dalle varie iniziative in atto. Che sono palesemente strumentali.

Quante possibilità dà a se stesso e al suo governo di arrivare a fine legislatura?

Ne sono assolutamente sicuro. Io credo che le forze di maggioranza siano tutte consapevoli della grande responsabilità che abbiamo agli occhi del Paese. Questo vale anche per le forze più ‘vivaci’.

Interverrà per mettere pace fra Bonafede e Di Matteo?

Due anni fa Bonafede mi informò entusiasta della sua intenzione di coinvolgere Di Matteo, lo immaginava accanto a sé come il ‘nuovo Falcone’. Non ho assistito ai colloqui, ma l’idea di Bonafede condizionato o succube di pressioni mafiose è assolutamente irrealistica.

Consiglierebbe agli italiani di prenotare le vacanze?

Confido che l’epidemia sarà sempre più sotto controllo e potremo andare in vacanza. Magari con più cautele di prima, ma al mare, in montagna, in collina ci andremo. Sarebbe bello, per aiutare il settore duramente colpito del turismo, che tutti gli italiani passassero le ferie in Italia.

(Ha collaborato Lorenzo Giarelli)

Malafede

Le persone perbene, che a certi livelli si contano sulle dita di un monco, sono naturalmente portate al battibecco: l’antimafia, anche la migliore, è piena di casi del genere (Sciascia-Borsellino, Orlando-Falcone…). Invece i manigoldi, che a certi livelli si contano sulle dita della Dea Kalì, sono molto più flessibili grazie ai loro stomaci moquettati. Quindi oggi in Parlamento assisteremo alla scena più comica della storia dopo la mozione “Ruby nipote di Mubarak”: Bonafede trascinato a render conto di presunti cedimenti alla mafia indovinate da chi? Da Forza Italia, partito ideato da un mafioso e fondato da un finanziatore di Cosa Nostra, che sventola senza pudore la bandiera di Nino Di Matteo, il pm che ha fatto condannare Dell’Utri per la trattativa Stato-mafia durante i governi Amato, Ciampi e B. e che, se dipendesse da FI, sarebbe stato spazzato via dalla magistratura prima che ci pensasse la mafia. La fiera del tartufo, e della malafede.

Dopo i trii comici Troisi-Arena-De Caro, Aldo-Giovanni-Giacomo e Lopez-Marchesini-Solenghi, ora abbiamo FI-Lega-Iv. Salvini – appena eletto dalla Bbc cazzaro dell’anno insieme a Trump e Bolsonaro, con gran scorno dell’Innominabile – parla di “sospetti preoccupanti avanzati da un pm antimafia. Pensate se fosse accaduto a un ministro della Lega o a Berlusconi: sarebbe stata la rivoluzione della sinistra”. Veramente Di Matteo non ha mai detto che Bonafede abbia ceduto a pressioni mafiose. Quanto a cosa sarebbe accaduto alla Lega o a B., non c’è bisogno di immaginare: durante i loro governi si tennero trattative fra Stato e mafia sul 41-bis, sul decreto Biondi, sulla dissociazione ecc, un ministro mai cacciato disse che “bisogna convivere con la mafia”, si approvarono leggi svuotacarceri à go go e si propose di abrogare il 41-bis, il 416-bis, l’ergastolo e i pentiti, come da papello di Riina. Quanto alla “nuova” Lega, che da Nord a Sud ha imbarcato il peggio del forzismo, chi fu ad arruolare e sponsorizzare Paolo Arata (socio occulto del fiancheggiatore di Messina Denaro e compare del pregiudicato Siri)? Naturalmente Salvini. Ultimo del trio in ordine di voti è l’Innominabile che riesce a definire, restando serio, la polemica Di Matteo-Bonafede “il più grande scandalo della giustizia degli ultimi anni”. Modesto, il ragazzo: e dove lo mette lo scandalo del Csm, coi suoi amichetti Ferri e Lotti impegnati in notturni conversari a pilotare le nomine dei procuratori? Cosimino Ferri, anziché darle lui, ha chiesto le dimissioni di Bonafede. Una zampata da capocomico che stermina in un sol colpo il trio FI-Cazzaro-Innominabile e fa di lui il nuovo Principe della Risata.

Due passi di danza contro il lockdown

“Piede destro su, piede sinistro in scivolata; piede sinistro su, piede destro in scivolata”. È racchiuso in questa frase il successo del rapper canadese Aubrey Drake Graham, in uscita – a sorpresa – con il nuovo mixtape Dark Lane Demo Tapes. La frase si riferisce a un passo di danza creato dal ballerino (e influencer) Tootsie e diventato virale sulla piattaforma Tik Tok (oltre un miliardo di visualizzazioni). In tempi di lockdown cosa unisce di più della danza a casa? – deve essersi chiesto Drake – e qualche giorno dopo il video postato da Tootsie ha fatto uscire il singolo, intitolato proprio Toosie Slide, con un videoclip incentrato su questi semplici passi di danza. Il risultato è stato di entrare direttamente al numero uno in classifica negli Stati Uniti e, a cascata, negli altri paesi del globo. I passetti di danza hanno poi generato una vera e propria challenge tra le star, con i contributi di Justin Bieber, Jason Derulo, Khaled, Marshmello e Chanche The Rapper. Dark Lane Demo Tapes raccoglie inediti, collaborazioni e rarità per i fan ed è l’aperitivo di un nuovo album di studio al quale l’artista sta lavorando, in uscita prevista per la prossima estate. Tra gli ospiti troviamo Chris Brown, Young Thug e Future, con il quale firma l’episodio meglio riuscito, Desires. Imprenditore di se stesso e grande innovatore nell’hip hop, Drake è diventato nell’arco di pochi anni un Re Mida della sua generazione, trovando il giusto equilibrio tra hit globali – con collaborazioni con Rihanna e ritmi dancehall – e la sua filosofia di vita, quella di un ragazzo completamente diverso dallo stereotipo del gangsta rap, intento principalmente a discettare delle sue relazioni sentimentali.

Tanto successo – il precedente album Scorpions è stato il secondo album più venduto del 2018 – genera inevitabilmente anche tante critiche: la pubblicazione di un mixtape è anche un facile gancio per chi non lo sopporta, dichiarando che è un concentrato di roba scadente e tenuta in vari cassetti, o perlomeno così la pensa il The Guardian e il New Musical Express.

Come Tony Allen e Fela Kuti hanno ideato l’Afrobeat

Ventisette mogli? Anche per quel poligamo di Fela Kuti la situazione era andata fuori controllo. E Tony Allen, il batterista prodigio che con Fela aveva inventato il suono lussurioso, funky-chic e incazzato dell’“Afrobeat”, non ne poteva più. Il legame tra i due era benedetto dai numi dei ritmi ancestrali, ma dopo quindici anni i loro caratteri erano oramai incompatibili. Si erano annusati a metà dei Sessanta: da tecnico nella radio nigeriana, Tony aveva ascoltato i maestri del drumming jazz – Max Roach, Art Blakey – e studiato idee per superarli, perché il be bop era una magia, ma “non puoi rischiare di diventare stagnante”. Così imparò a “lasciare andare le bacchette in modo leggero e controllato, come sulla corrente di un fiume”. Fu allora che Fela lo avvicinò: “Tu saresti il miglior batterista nigeriano?”. Tony ci rise su. I due, insieme, avrebbero fatto la storia. Uno era l’ideologo del pensiero Afrobeat, l’altro il motore. Andarono in America alla fine di quel decennio, si accostarono alle Black Panthers, tornarono in Nigeria e fondarono il collettivo Africa ‘70. Con un problema: ad Allen interessava solo scendere verso la foce di una musica inesplorata, il cuore di tenebra della tribalità che faceva presagire qualcosa di mai ascoltato prima, la tradizione Yoruba mutata in fantascienza; Fela voleva fosse la colonna sonora di un’opposizione frontale al regime corrotto di Lagos e dei suoi leccapiedi. E né Tony né Fela erano tra questi. Ma Allen preferiva estenuarsi in set lunghi tutta la notte, piuttosto che fare il masaniello. “Ti uccideranno”, disse Allen a Kuti. Il generale Obasanjo, il dittatore, decise che la misura fosse colma quando i due re dell’Afrobeat boicottarono Festac, la rassegna delle star terzomondiste invitate nella capitale. Caetano Veloso, Gilberto Gil, Stevie Wonder confluirono allo Shrine, il club di Fela, per memorabili jam con Tony. E c’era quell’album, Zombie, che ridicolizzava i militari. La rappresaglia non tardò, con un sanguinoso raid al Kalakuta, il compound dipinto da Kuti come sua “repubblica indipendente”. Nell’assalto morì la madre di Fela. L’ossessione politica e la megalomania avevano preso il sopravvento: e la pagliacciata delle 27 mogli-“regine” sposate da Kuti coincisero con il divorzio da Allen. “Troppa gente inutile in tournée”, spiegò Tony. Allen si trasferì in Europa, incantando la scena rock da batterista-guest dei The Good, The Bad and The Queen, la superband con Damon Albarn (divenuto suo figlioccio artistico, gli ha ora dedicato un tributo con i Gorillaz in How far?), Paul Simonon dei Clash e Simon Tong dei Verve. Prima a Londra, poi a Parigi, dove aveva sconfitto pure la scimmia dell’eroina senza mai mandare in panne il sound. Peter Gabriel, Brian Eno, Flea l’hanno celebrato come “un gigante”. Era appena uscito un album “perduto” con Hugh Masekela, progettava un altro tour. Il suo motore si è fermato di colpo a 79 anni. È morto in povertà, Tony Allen, ma continuando l’avventura sul fiume, avvistando tesori all’orizzonte.

Opere digitali da collezione: arriva la nuova piattaforma per i francobolli

Tutto è partito da Penny Black: ideato dal funzionario britannico Rowland Hill per conto del Regno Unito, era illustrato con l’effigie della Regina Vittoria e fu venduto al pubblico dal primo maggio 1840, nonostante la data ufficiale di emissione fosse il 6 maggio. Stiamo parlando, naturalmente, del primo francobollo della storia. Oggi, a 180 anni esatti da quella data, l’occasione di tornare a parlare di filatelia la dà una nuova piattaforma digitale, “Bitstamps”, che crea francobolli da collezione. Se è vero che i raccoglitori impolverati hanno mantenuto il loro fascino, è altrettanto vero che, nell’era digitale, poter ammirare un francobollo su qualunque device è una comodità non da poco. Non solo: proprio come quelli “tradizionali”, anche i digitali sono opere d’arte e possono ritrarre personalità, luoghi, passioni o commemorare eventi. In tutta sicurezza: i pagamenti infatti avvengono esclusivamente tramite la piattaforma con carte di credito e altro sistemi autorizzati dal sistema bancario (non in bitcoin, per intenderci). Ogni emissione avrà una tiratura limitata: una volta acquistato, il francobollo si potrà rivendere e potrà aumentare il suo valore nel tempo. Numerosi i vantaggi: l’“oggetto digitale certificato” non è falsificabile, è sempre tracciabile e non subisce deterioramenti o danneggiamenti. E, proprio come quello tradizionale, può essere inserito in un album da collezione. Se, infine, siete nostalgici del timbro postale, niente paura: anche il francobollo digitale può essere utilizzato per spedire delle e-cards. Non sentirete la puzza della carta, ma almeno starete sicuri che la cartolina arriverà a destinazione.

Da Chicago alla Casa Bianca, la storia di un “divenire”

Ovvietà: “Essere la First Lady è stato il più grande onore della mia vita”. Identità: “Vengo dal South Side di Chicago, non serve sapere altro”. Consapevolezza: “Per molti io e Barack eravamo una provocazione”. Concomitanza: “Io sono la ex First Lady degli Stati Uniti e anche la discendente degli schiavi”. Sorpresa: “Capisco chi ha votato Trump e chi non ha votato”. Futuro: “C’è un altro capitolo che mi aspetta là fuori”. Tutte le religioni monoteiste hanno un libro, e quella di Michelle Obama non fa eccezione: Becoming, il memoir best-seller del 2018. Oltre ai dieci milioni di copie vendute c’è di più: un tour di presentazione di enorme successo, con 34 date – partenza da Chicago nel novembre 2018 fino a toccare l’Europa – ed eco duratura. Occasione troppo ghiotta per non sfociare in un documentario: diretto da Nadia Hallgren, l’omonimo Becoming arriva domani 6 maggio sulla piattaforma Netflix, con cui gli Obama nel maggio 2018 hanno firmato un contratto pluriennale per la realizzazione di serie, doc e reportage tramite la loro Higher Ground Productions.

La costruzione del consenso, se non l’agiografia, detta ogni inquadratura, ma i motivi di interesse non latitano. Per esempio, la musica: se già il libro poteva vantare una soundtrack ad hoc, The Michelle Obama Musiaqualogy, creata da Questlove, qui Barack raggiunge la consorte on stage paragonandosi a Jay-Z con Beyoncé, mentre Michelle ascolta Drake, The Weeknd e Kendrick Lamar (Pray for me), Frank Ocean (Godspeed). L’avvenire da dj è assicurato, la metafora musicale rivendicata: “Sono totalmente io, unplugged per la prima volta”. Tra palco e realtà, intervistatori illustri (Oprah Winfrey, Stephen Colbert) e platee estatiche, staff (in netta prevalenza bianco) e pubblico (a stragrande maggioranza nero), Becoming inquadra un gigantesco book tour nato “per riflettere su cosa mi è accaduto”, con una certezza: “Non si tratta di tornare alla strada precedente, ma di crearne una nuova”. S’intende, senza eludere roots e famiglia: la madre e il padre adorato morto troppo presto di sclerosi multipla, il fratello che le faceva ombra, almeno nel cuore di mammà. Tenendo fede al titolo, ecco il divenire, e il diventare: dal South Side a Princeton, che a detta di un’insegnante sarebbe stato troppo, e lo fu in un certo senso, giacché una madre inorridita dalla presenza di Michelle fece cambiare stanza alla figlia, bianca. Poi, Barack: lei pensava all’amore, lui “alla disparità di reddito o al destino delle persone di colore”. Michelle dovette farsi forza, “era uno tsunami, sarei stata spazzata via, se non avessi percorso la mia strada”, e trovare una “voce in grado di pareggiare quest’uomo supponente”. La nascita delle figlie, Malia (1998) e Natasha (2001), cambiò molte cose: “Non ero pronta”, confessa, e “dovetti calmierare le mie aspirazioni”. Fecero ricorso a un consulente matrimoniale: Michelle vi barattò la certezza di essere “perfetta, è lui il problema” con quella “che la mia felicità non dipende da lui che mi rende felice”. Una consapevolezza costruita in sala fitness: “Lui andava in palestra, e io: ‘Come fai a trovare il tempo per allenarti?’. Ebbene, ho smesso di chiedermelo, e ho iniziato ad andarci anch’io”. Sarebbero arrivati i comizi elettorali, gli attacchi a mezzo stampa, gli otto anni alla Casa Bianca, ed è Storia.

Oggi il credo politico di Michelle Obama è la vulnerabilità: “Be vulnerable. Dare to be vulnerable”, nel lockdown rimpiange gli abbracci e invita a preservare “l’empatia, è la nostra linfa vitale. È ciò che ci porterà dall’altra parte”. Ma il suo Become lascia un dubbio: e se il prossimo libro dell’ex First Lady fosse la Bibbia su cui giurare da primo presidente donna degli Stati Uniti?

 

Il pm si interessò anche della nomina di Petralia, il nuovo direttore del Dap

Gli atti depositati dalla procura di Perugia dimostrano che Luca Palamara aveva le porte aperte anche al Quirinale. E che nelle intercettazioni con altri magistrati si parlava anche dell’attuale capo del Dap Dino Petralia. Partiamo da quest’ultimo. Palamara ne parla con il gip di Reggio Calabria Tommasina Cotroneo che, si legge negli atti, “dice di aver ricevuto una telefonata da Petralia”.

Palamara le dice di tenere la sua linea e di dirgli: “Caro Dino, ti stimiamo, anche Luca ti stima e vedrai che cercheremo di fare tutto il possibile che tutto vada bene”. “Queste sono le tue parole” dice Palamara a Cotroneo, “che non ti sbilanci, che è la verità, poi come va… la verità è un’altra”. Ovvero che ci sono problemi all’interno della corrente di Unicost. Ma a Petralia, continua Palamara, bisogna dire che “il suo nome è nella rosa dei papabili, che c’è molta attenzione, che so anche di alcune problematiche interne” e “per quanto mi riguarda faremo in modo che vengano superate”. In quel momento secondo gli atti, Petralia era in corsa per la procura di Torino. Abbiamo chiesto a Petralia se della sua nomina avesse discusso con Palamara o Cotroneo ma non abbiamo avuto risposta.

Nessuna rilevanza penale, in questa conversazione, come anche nelle chat trascritte tra Palamara e i consiglieri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Parliamo di Gianfranco Astori, Simone Guerrini e Stefano Erbani, direttore dell’ufficio per gli affari dell’amministrazione della giustizia. I tre non parlano con Palamara di argomenti relativi alla presunta corruzione contestata dai pm di Perugia a Palamara. Ad esempio i consiglieri non parlano neanche dei viaggi offerti, secondo l’accusa, da Centofanti a Palamara, che è costata ai due l’accusa di corruzione anche se, la stessa procura di Perugia, specifica che non è stato trovato il do ut des e quindi lo scambio dell’esercizio della funzione di Palamara. Resta però che intercettando Palamara sono stati intercettati anche i consiglieri di Mattarella che lo invitavano per un caffè al Quirinale. Il 25 settembre Palamara scrive ad Astori: “Se per te va bene anche domani in mattinata mi farebbe piacere prendere un caffè”. “Alle 10,30?” gli risponde Astori. “Ok” conferma Palamara. “Dove?” chiede Astori, “vogliamo fare da me al Q?”. Dove per Q, evidentemente, s’intende Quirinale. Palamara ha un’altra preferenza: “Se non ti crea problemi possiamo fare palazzo Montemartini?”. Non sappiamo di cosa abbiano parlato. Sarà una semplice coincidenza, ma 48 ore dopo David Ermini diventa vice presidente del Csm. E proprio il 27 nella chat si commenta: “Oggi è una gran bella giornata”. In un’altra chat si parla della richiesta di impeachment avanzata da Luigi Di Maio quando Mattarella pone il suo veto sulla nomina di Savona al ministero dell’economia per il futuro governo giallo verde. “Presidente grandissimo” scrive Palamara a Guerrini che risponde: “Grazie Luca. Una pagina incredibile”. E Palamara: “Si veramente stiamo assitendo ad una pagina incredibile, ti prego di portare al presidente il mio affetto e la mia vicinanza. A mio avviso vi sono estremi penali art. 278 offesa all’onore e al prestigio del capo dello stato”.

Pignatone ammette: “Forti richieste da Centofanti”

Che l’imprenditore Fabrizio Centofanti, indagato a Perugia con il pm romano Luca Palamara per corruzione dell’esercizio della funzione, fosse stato in contatto con l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, è un fatto ormai noto. Quel che non si sapeva, ma si ricava dai documenti depositati nell’inchiesta perugina su Palamara, è che i rapporti di Centofanti con Pignatone erano tali da consentirgli di fare richieste pressanti per il trasferimento di suo fratello Andrea, che nel 2016 fu arrestato a Genova per tentata concussione. Al Fatto risulta che le vicissitudini di Andrea Centofanti erano piuttosto delicate sotto il profilo personale. E che, proprio per questo, suo fratello Fabrizio se ne occupò. Pignatone spiegherà al pm Stefano Fava (anche questi indagato a Perugia, ma per rivelazione di segreto), in un carteggio del 19 marzo 2019, che non si adoperò per il trasferimento anche se, come vedremo, in qualche modo affrontò l’argomento con alti generali della Guardia di Finanza. A segnalare l’argomento al pm Fava – titolare dell’indagine prima che fosse trasferita a Perugia – era stato il capitano della Gdf, Silvia di Giamberardino.

Scrive Pignatone: “Quanto alle notizie riferite dalla Di Giamberardino (…) Ho partecipato a una unica cena con il Centofanti Fabrizio e il gen. Minervini (Domenico, ndr) Comandante Interregionale della GdF e altre persone. Non sono andato, né sono stato invitato al matrimonio di Centofanti Andrea, non ho segnalato il Centofanti Andrea Ufficiale della GdF in servizio a Milano per il trasferimento al Nucleo PT di Genova, ma mi limitai su pressante richiesta del fratello, a informarmi se il predetto poteva restare in Lombardia per, così mi fu detto, una difficile situazione familiare”. Pignatone ne parlò con Saverio Capolupo, comandante generale della Gdf dal 2012 al 2016. “Chiesi notizie al gen. Capolupo, mio buon amico, che senza darmi particolari mi disse che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatami, per cui era difficile che l’aspirazione dell’ufficiale potesse essere soddisfatta. Mi limitai a riferire la risposta in termini ancora più generici a Fabrizio Centofanti e, in effetti, il fratello fu poi trasferito a Genova sede a lui non gradita”. Nessun reato, com’è ovvio, ma un segnale d’interessamento, dopo la pressante richiesta di Centofanti, c’è stato.

Oltre ai rapporti con Centofanti – ed è anche questo il motivo del carteggio con il pm Fava – c’erano poi le consulenze del fratello di Pignatone, Roberto. In particolare quelle su Piero Amara del quale, come vedremo, Fava aveva chiesto inutilmente l’arresto. Piero Amara è un ex legale esterno dell’Eni. Era stato imputato in due procedimenti a Siracusa e aveva nominato consulente Roberto Pignatone che appare nella sua lista testi. Anche in questo caso, nessun reato. Ma Fava si chiede – e il 27 febbraio depositerà la sua richiesta al Csm – se Pignatone non avrebbe dovuto astenersi dai fascicoli che riguardavano Amara. Il 18 marzo, Fava si vede revocare l’inchiesta perché non è in linea con il pool di magistrati che segue il fascicolo, sull’esigenza dell’arresto di Amara. Accusato di rivelazione del segreto d’ufficio con Palamara, proprio perché, secondo la Procura di Perugia, gli ha rivelato il contenuto dell’esposto al Csm, Fava spiega ai pm perugini il senso del suo esposto: “Ribadisco che volevo solo rendere edotto il Csm di una situazione per me di incompatibilità, perché noi avevamo incontrato Amara molto prima del luglio 2017 che è il periodo al quale risulterebbe la richiesta di astensione del dr. Pignatone”.

Il 19 marzo, nella stessa lettera in cui parla di Centofanti, Pignatone spiega: “Ribadisco quanto affermato durante la riunione con i colleghi Prestipino, Sabelli, Ielo, Palazzi e Tucci e cioè di essere sicuro di aver informato la Signoria Vostra a suo tempo, e cioè nella seconda metà del 2016 ,quando divennero oggetto di indagini l’Amara Pietro e il Bigotti Ezio dell’esistenza di rapporti professionali peraltro già cessati tra il Bigotti e mio fratello avv. Roberto Pignatone”. In effetti, oltreché da Amara, Roberto Pignatone riceve consulenze anche da Ezio Bigotti, arrestato con lo stesso Amara e Centofanti.

Pignatone sottolinea che tutti i colleghi citati “hanno confermato di essere stati a suo tempo informati e che era stato concordemente ritenuto che non ci fosse motivo di astensione da parte mia”. Aggiunge infine di aver informato anche il procuratore generale “che aveva, con provvedimento formale, escluso che vi fossero ragioni di astensione”.