Ventisette miliardi di dollari! A metà aprile, il mondo finanziario ha scoperto i maxi accantonamenti che le sette principali banche americane (JPMorgan, Bank of America, Citi, Wells Fargo, Us Bancorp, Goldman Sachs, Pnb) hanno costituito per coprire i rischi di perdite sui crediti e le inadempienze legate all’epidemia di Covid-19 nel primo trimestre. Neanche durante la crisi del 2008 avevano accantonato tanto denaro. Una prudenza che implica ingenti cali dei loro profitti. Gli utili di JPMorgan sono stati divisi per tre (2,8 miliardi di dollari contro 9,1 nel primo trimestre del 2019). Quelli di Bank of America (3,5 miliardi contro 6,8) e di Goldman Sachs (1,2 miliardi contro 2,3) si sono dimezzati. Questi dati forniscono una misura dello shock economico a cui si sta preparando il sistema bancario e finanziario. Anche se la Federal Reserve è corsa in loro aiuto, accettando di acquistare debiti delle aziende, prestiti ipotecari e prestiti al consumo, le banche stanno anticipando un’ondata senza precedenti di inadempienze con montagne di prestiti non pagati, crediti inesigibili e perdite. I principali responsabili delle banche americane hanno già fatto sapere che saranno obbligati a costituire riserve ancora più importanti nei prossimi mesi.
Gli annunci delle banche americane imbarazzano le banche europee. Cosa dovrebbero fare? Annunciare a loro volta maxi accantonamenti in previsione di un eventuale, temuto, crollo economico o prendere tempo? In questi giorni, mentre le banche europee hanno cominciato a presentare i loro conti trimestrali, si sta disegnando una linea di demarcazione nel vecchio continente: da un lato, le banche della zona euro, dall’altro, tutte le altre banche. La britannica Hsbc ha deciso di allinearsi alla strategia delle banche americane. Nei suoi conti trimestrali ha costituito 3 miliardi di accantonamenti, il 420% in più rispetto allo scorso anno, per coprire i rischi futuri. Temendo tempi ancora più duri, la Hsbc ha inoltre sospeso i dividendi dei suoi dirigenti e previsto un accantonamento ulteriore tra 7 e 11 miliardi di dollari per il 2020. “Prevediamo una recessione profonda nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti nel secondo trimestre”, ha spiegato il direttore finanziario della banca, Ewen Stevenson. Le due mega-banche svizzere, Credit Suisse e Ubs, stanno seguendo la stessa politica precauzionale costituendo miliardi di riserve aggiuntive. In confronto, i 500 milioni di euro di accantonamenti per coprire i rischi di credito, annunciati il 27 aprile da Deutsche Bank, una delle banche più sistemiche al mondo e principale banca tedesca, sembrano irrisori. La principale banca italiana, Unicredit, particolarmente esposta alla crisi a causa del blocco dell’economia italiana, ha fatto la stessa scelta, mettendo da parte solo 900 milioni di accantonamenti, in attesa di vedere come va. Sandanter, il principale istituto bancario spagnolo, ha preso un po’ più di precauzioni, accantonando 1,6 miliardi di euro aggiuntivi. Tutte le banche hanno rinunciato per il momento a distribuire i dividendi, ma solo su richiesta della Bce, che ha chiesto una sospensione fino al primo ottobre.
Le banche europee stanno peccando d’ottimismo? “La visibilità sulla crisi economica attesa nel 2020 è già tale che le banche possono (e devono) iniziare a costituire delle riserve aggiuntive sin dal primo trimestre”, ha sottolineato un analista di Keefe, Bruyette & Woods, dopo la pubblicazione dei primi risultati delle banche spagnole. A difesa delle banche europee, alcuni analisti sottolineano che queste non sono sottoposte alle stesse regole e vincoli delle banche americane. Per queste ultime, gli effetti del collasso economico provocato dal Covid-19 sono già visibili. Negli Stati Uniti, dove l’assicurazione contro la disoccupazione e la protezione sociale sono scarse o assenti, le famiglie vivono da decenni a credito per compensare i redditi bassi e la precarietà del lavoro. In questo contesto, il blocco dell’economia dovuto alla crisi sanitaria e i 22 milioni di disoccupati registrati nelle ultime tre settimane, hanno un effetto immediato. Da un mese all’altro, milioni di famiglie, quasi senza reddito, non sono più state in grado di rimborsare i crediti al consumo, i mutui per la casa e i prestiti per l’acquisto dell’auto. Nei miliardi di accantonamenti effettuati dalle banche americane, i rischi di mancato pagamento dei crediti al consumo e dei prestiti per l’acquisto dell’automobile rappresentano rispettivamente un terzo e la metà del totale. Nei paesi europei esistono invece ancora dispositivi di protezione sociale e dei lavoratori. Le banche sarebbero quindi meno esposte ad un calo improvviso del reddito delle famiglie. Non solo, i crediti al consumo sono molto più regolamentati nel vecchio continente rispetto agli Stati Uniti. Ciò spiegherebbe perché le banche europee si sentono meno obbligate a costituire subito dei maxi accantonamenti. Ma la chiusura dei negozi e di una parte delle aziende non permette al momento di prendere la giusta misura delle devastazioni causate dalla pandemia e dal blocco dell’economia. Nei primi 15 giorni di aprile, dopo la ripresa delle udienze nei tribunali, “649 procedure di liquidazione giudiziaria e 30 procedure di salvaguardia sono state registrate in Francia”, secondo l’istituto Altares, contro 2.738 nello stesso periodo dello scorso anno. I dati reali si conosceranno solo più tardi, alla fine del “confinamento”: nell’ambito del piano d’emergenza stabilito dal governo francese, le aziende in stato di insolvenza possono infatti rinviare fino al 24 giugno la richiesta di apertura della procedura in liquidazione. Malgrado gli aiuti statali, dei negozi non potranno riaprire e le piccole e medie imprese non riusciranno a costituire tesoreria sufficiente per ripartire. Migliaia di aziende rischiano la bancarotta.
Nei bilanci delle banche, questa situazione drammatica si tradurrà in prestiti non pagati, crediti inesigibili, fallimenti e pignoramenti. “Temiamo un’ondata di fallimenti. Data la probabilità di una recessione molto forte, era necessario costituire delle riserve di credito”, ha dichiarato Jamie Dimon, ceo di JPMorgan. Anche se in Europa i timori sono gli stessi che negli Usa, le banche europee avanzano numeri diversi. E, secondo l’agenzia Bloomberg, lo fanno con il beneplacito dei regolatori: “Le banche stanno negoziando per concordare delle previsioni economiche che giustifichino la decisione di non accantonare somme di denaro troppo importanti. Basarsi su delle previsioni economiche meno critiche permette di ridurre l’ammontare degli accantonamenti”, ha spiegato un regolatore anonimo. Di fatto, si sta facendo il necessario per semplificare la vita delle banche europee.
Il 27 aprile la Commissione europea ha presentato un piano in cui vengono illustrati i danni causati dalla pandemia. Esso propone di allentare la normativa introdotta durante la crisi del 2008, rinviando l’applicazione delle regole contabili previste per le banche e allentando quelle per i crediti garantiti dagli Stati. Secondo la Commissione Ue, sarà possibile in questo modo aumentare la capacità di prestito del sistema bancario europeo di 450 miliardi di euro. Tuttavia, questa mossa della Commissione europea, che agisce come sempre in nome del finanziamento dell’economia, appare marginale, dal momento che sono ormai diversi anni che la Bce garantisce il rifinanziamento delle banche e dell’economia, permettendo agli istituti bancari di ottenere denaro a tassi negativi. Quanto pesano questi 450 miliardi di euro rispetto alle migliaia di miliardi che la Bce è pronta a anticipare nell’ambito del dispositivo Ltro (Piano di rifinanziamento a lungo termine)? Il reale motivo di questo improvviso alleggerimento dei vincoli proposto dalla Commissione Ue va probabilmente cercato altrove, ovvero nelle scelte che le banche europee hanno fatto dopo la crisi del 2008 e che non intendono mettere in discussione. Invece di accettare di ricapitalizzare in modo importante come negli Stati Uniti – le banche americane vi sono state costrette dai regolatori -, le banche europee hanno spinto per un allentamento dei vincoli in modo da non deteriorare i loro profitti e poter continuare a distribuire dividendi elevati, nella convinzione che, in caso di crisi, gli azionisti riconoscenti non avrebbero esitato a correre in loro soccorso fornendo il capitale necessario.
Ora si attengono allo stesso principio: in primo luogo bisogna rassicurare gli azionisti. In questo contesto, costituire accantonamenti importanti per far fronte a rischi futuri metterebbe a repentaglio i loro profitti e la loro redditività. Rinunciare a versare dividendi potrebbe far raffreddare gli azionisti. Oggi le banche europee stanno affrontando il sisma che si prepara in situazione di fragilità. In Grecia, Italia e Spagna, gli istituti bancari, affossati dalla crisi dell’euro e da anni di recessione o stagnazione economica, hanno ancora miliardi di debiti non pagati o inesigibili. Secondo la Bce, questi crediti inesigibili nei bilanci di 121 banche della zona euro, sebbene si siano dimezzati in quattro anni, rappresentavano ancora 500 miliardi di euro alla fine del 2019. Preoccupata per le conseguenze catastrofiche della pandemia, la Bce ha proposto a inizio aprile di costituire una bad bank a livello europeo o nazionale, in cui confluirebbero tutti gli asset “tossici” o deteriorati delle banche.
I paesi dell’Europa meridionale, a cominciare dalla Grecia, il cui sistema bancario è vacillante, con più del 30% di crediti inesigibili e che rischia di essere duramente colpito dal crollo del turismo, motore principale della sua economia, hanno appoggiato la proposta. Ma la Germania l’ha respinta, ricordando la promessa fatta, cioè che le famiglie non sarebbero più state implicate nel salvataggio delle banche. Non è detto che questa promessa potrà essere mantenuta. È probabile che la pandemia metterà a dura prova il sistema bancario europeo, tanto più che quest’ultimo esita a costituire le riserve necessarie. In caso di crisi, è possibile che, a dispetto di quanto affermano i banchieri, saranno ancora una volta gli Stati, e non gli azionisti, a dover intervenire.
(traduzione Luana De Micco)