“Ovidio e Madame Bovary, i miei compagni di viaggio”

Se chiedi a Eva Cantarella, grecista e professore emerito a Milano, di scegliere cinque libri per la quarantena, ti risponde: “Cinque? Ma sono pochissimi! Dobbiamo selezionare”.

Professoressa, primo consiglio?

Sulla maschera di Alessandro Pizzorno, straordinario saggio giovanile di uno dei più grandi sociologi del Novecento, scritto agli inizi degli anni Cinquanta e ripubblicato dal Mulino nel 2008. È un’opera piccola solo per numero di pagine. Si occupa della maschera come oggetto – il che la rende molto attuale ! – e come metafora. Partendo dalla maschera come oggetto ripercorre la storia del teatro. Perché senza la maschera non ci sarebbe stato il teatro greco: il secondo attore viene introdotto da Eschilo, il terzo da Sofocle. Prima faceva tutto un solo attore, uomo naturalmente perché le donne non potevano recitare. La parte più interessante è quella sulla maschera in senso metaforico. Basta pensare all’espressione “gettare la maschera”: significa svelare se stessi per ciò che si è veramente. Ma Pizzorno si chiede: esiste un’identità unica? Qui si rivela la sua straordinaria originalità intellettuale: ciascuno di noi, scrive, indossa diverse maschere, a seconda delle persone con cui si relaziona, delle occasioni e delle fasi della vita. Ciascuno di noi, insomma, possiede diverse maschere, che sono modi di essere “per gli altri”. E indossarle è un modo per rispettarli.

Un classico greco?

Dovendo scegliere – ma che sofferenza! – direi l’Odissea. Dice Italo Calvino che è un classico è un libro che non smette mai di dirti cose nuove. L’Odissea non so quante volte l’ho riletta eppure ci trovo sempre qualcosa di nuovo. Contiene, in nuce, molti aspetti della società moderna e soprattutto dell’etica moderna. Per esempio quando Ulisse torna a Itaca e deve punire i suoi dipendenti, per la prima volta nella cultura occidentale si afferma il concetto della responsabilità. Cioè che si risponde solo per le azioni volontarie. L’aedo non viene punito perché ha agito anánke, cioè per necessità.

E poi?

L’altro aspetto è che la coppia Penelope Ulisse incarna già l’etica sessuale del matrimonio borghese. Lei resta ad aspettare il marito per vent’anni, fedelissima nonostante la corte di 108 pretendenti belli, giovani e aitanti. Lui ripete in continuazione che non vede l’ora di tornare dalla moglie. Intanto però dei dieci anni di viaggio ne passa sette con altre donne, seminando in giro figli, come ci raccontano i commentatori. La doppia morale del matrimonio borghese è tutta qui.

Uno latino?

Le metamorfosi di Ovidio, un libro meraviglioso: l’idea che tutto si trasforma in tutto esprime la contiguità dell’essere umano con tutte le forme dell’esistenza, antropomorfe o meno, dagli dèi agli animali umani e non umani, ai vegetali, alla materia… Oggi non si fa che parlare del salto di specie del virus, dal pipistrello all’uomo: le metamorfosi avvengono senza distinzioni e gerarchie che attribuiscono alla vita umana uno statuto a sé. Una concezione del tutto estranea a Ovidio: Dafne, per sfuggire alle brame di Apollo, chiede aiuto a Zeus, che la trasforma in un albero; dai sassi che Deucalione e Pirra si gettano alle spalle, dopo il diluvio, nascono gli esseri umani…

Un romanzo c’è?

Sì, uno che ho letto e riletto, nonostante la protagonista non sia proprio tra le mie grazie. Madame Bovary, che ho recentemente ripreso in mano durante un soggiorno a Parigi. Potendo, Flaubert andrebbe letto in francese: la sua lingua è straordinaria e descrive perfettamente la piccola borghesia francese, davvero miserabile. Poi c’è lei, naturalmente, ed è proprio una donnetta. Il capitolo in cui Emma convince il marito Charles, medico di campagna, a operare il piede torto di Hippolyte, garzone dell’albergo, a cui poi si dovrà amputare la gamba, illumina la miseria delle ambizioni borghesi che Emma incarna. I suoi amori sono tutti di uno squallore infinito perché non sono l’amore ma un mezzo di riscatto. Si capisce benissimo perché tutti i suoi amanti la lasciano. L’unico personaggio che si salva, tra il farmacista borioso, l’usuraio, gli amanti avidi, è proprio il povero Charles.

Ultimo?

Un libro recente. Almarina di Valeria Parrella, racconta l’incontro tra una cinquantenne che insegna nel carcere minorile di Nisida, dove sono rinchiusi gli ultimi degli ultimi, e Almarina, una sedicenne che ha alle spalle una tragica storia di violenze. Il libro descrive il loro incontro e le sue conseguenze con una rara capacità introspettiva, affidata a una scrittura straordinaria, poetica e terribile.

Anche con il Covid, l’Italia solidale non va in vacanza né in lockdown

“Signori abbiamo un problema, ci fermiamo”. Il 16 aprile l’associazione La Terra di Piero di Cosenza, nata per ricordare un capo ultrà della squadra di calcio, annunciava che avrebbe bloccato la sua attività di distribuzione di pasti caldi (500 primi e 500 secondi) realizzata insieme a Prendocasa Cosenza e Cosentine in lotta. Quel giorno un “signore della Polizia Stradale” li aveva multati. Per questo siamo costretti, scrivevano, “a fermare la nostra attività e restare a casa”.

L’associazione però è stata convocata dal questore di Cosenza con un’indicazione netta: “Voi dovete andare avanti”.

 

Mutuo soccorso

Un’attività molecolare di solidarietà si è fatta “istituzionale” con un riconoscimento diretto. Nelle pieghe della crisi pandemica e nella evidente smagliatura di uno Stato sociale eroso da decenni, viene fuori un’Italia solidale che mostra il volto di un Paese meno “cattivo” di come si credeva.

Una mappa completa non è semplice a farsi. Almeno il 3% degli italiani è impegnato in attività solidali e secondo lo studio di Giovanni Moro (promotore di Cittadinanzattiva e responsabile scientifico della fondazione Fondaca) ci sono in Italia “103.251 organizzazioni prossime alla definizione di attivismo civico, pari al 34,28% del totale delle organizzazioni non-profit”. I volontari, sulla base dei dati Istat, “sono 2.161.023” ed esiste “un’organizzazione di cittadinanza attiva ogni 578 abitanti”.

La pratica del “mutuo soccorso”, ad esempio, è diventata istituzionale a Milano e a Bergamo con i Comuni che hanno istituito una “cassa”. Ma vive soprattutto nell’attività diretta. Come ad esempio i CoroNauti di Napoli, nati nei “Maestri di Strada” di Cesare Moreno che coinvolgono 250 giovani e loro famiglie nella didattica a distanza. Oppure Casa Pigneto a Roma, organizzato dal circolo Sparwasser che ha attivato il servizio di spesa solidale. O, ancora, la Cassa Nazionale di Solidarietà della rete Fuorimercato.

La Rete dei Numeri Pari nata all’interno di Libera conta 359 realtà territoriali racchiuse nella mappa la Geografia della speranza tutte impegnate in attività concrete di mutuo aiuto.

 

Mappa della speranza

Tra queste il Laboratorio Zen Insieme, a Palermo, sostiene i minori delle scuole media ed è impegnato nella prevenzione alla mentalità mafiosa. Di “mutualismo e contrasto alle mafie” si occupa Libera Marsala, mentre a Roma, Binario95 accoglie persone senza dimora all’interno della Stazione Termini. I Volontari di strada di Crotone gestiscono il “camper della speranza” distribuendo pasti ogni sera.

Le attività si incrociano e si collegano. La Parrocchia San Sabino a Bari si intreccia con le attività della Caritas e altre associazioni di sostegno ai poveri. La Rete dei numeri pari ha un rapporto consolidato con la fabbrica recuperata Rimaflow (che dopo la fuga della proprietà e l’occupazione riesce oggi a dare reddito a 70 lavoratori) che a sua volta anima la rete Fuorimercato che ha dato vita alla Cassa nazionale.

Esiste una galassia di centri sociali che si sono immediatamente riversati nella solidarietà attiva, la Rete del Nord-est, ad esempio, in genere associata a forme di lotta irruente ha reso disponibile sul proprio sito globalproject una “mappa collettiva” dei progetti attuati, “dimostrando che è possibile alimentare la cura, renderla perno centrale dell’azione politica”. A Roma diversi centri si sono uniti nella campagna per il Reddito di quarantena mentre il Forum diseguaglianze e diversità di Fabrizio Barca chiede al governo il reddito di emergenza.

Potere al popolo vanta fin dalla sua fondazione una diffusa attività mutualistica (ed è impegnata nella spesa solidale).

 

Le associazioni forti

Poi esiste il lavoro più struttuarato e diffuso come quello della Caritas o dell’Arci. La struttura sociale della Chiesa (che ha reso noto ieri di aver avuto 10 morti) ha lanciato la Campagna “Emergenza Coronavirus: la concretezza della Carità”, mettendo in moto attività di “ascolto” e di “accoglienza” ai senza dimora, di aiuto per l’alloggio di infermieri e medici, mense e servizi di consegna di generi di prima necessità. E poi “conforto legato alla dimensione del lutto” oppure contrasto alla povertà educativa.

Al 24 aprile sono 48 le Diocesi ad aver comunicato di aver messo a disposizione della Protezione civile e del Sistema Sanitario Nazionale 68 strutture per oltre 1.450 posti, 33 hanno garantito oltre 1.000 posti nell’accoglienza di persone in quarantena e/o dimesse dagli ospedali e 42 1.200 posti per l’accoglienza aggiuntiva di persone senza dimora.

Anche l’Arci si è attivata in “azioni continuative di solidarietà e mutualismo”: dalla consegna della spesa a domicilio alle mense popolari. La campagna Solidarietà virale conta un centinaio di punti attivati per spesa solidale o lotta alla povertà alimentare. Se la maggior parte si trova in Toscana, la distribuzione è diffusa in tutta Italia dalla Puglia al Piemonte.

Qualche giorno fa si è tenuto un forum online tra alcune delle realtà descritte e il ministro Giuseppe Provenzano. A moderare, Fabrizio Barca e Giuseppe De Marzo di Numeri pari. Tra i presenti anche i “Movimenti per l’abitare” con la richiesta di una misura sul reddito. Provenzano ha assicurato l’impegno a “raccogliere il contributo e la conoscenza di queste esperienze”. Per ora nel nuovo decreto “aprile” c’è il Reddito di emergenza. Ma la mappa della solidarietà chiede un altro tipo di attenzione: non si tratta solo di assistenza ma di un’altra idea della cosa pubblica.

Diasorin battuta a Roma cerca la rivincita a Milano

Domani arriveranno nei laboratori pubblici i primi kit Abbott per il test nazionale degli anticorpi su 150 mila italiani selezionati dall’Istat. “Nei prossimi giorni saranno contattati per chiedergli di fare gratuitamente il test nel laboratorio più vicino”, ha detto il Commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Intanto le grandi società scaldano i motori per la vera gara: quella della Lombardia: 8 milioni di euro per 2 milioni di test al costo stimato di 4 euro l’uno. Se si sommano ai 500 mila già comprati, un lombardo su quattro sarà testato.

In Lombardia si prevede un bis del testa a testa tra l’italiana Diasorin, seconda classificata, e l’americana Abbott che ha vinto a Roma donando il suo test. Abbott però lo fa pagare più di Diasorin ai piemontesi e basta leggere l’aggiudicazione della “gara” fatta dalla centrale acquisti della Regione Piemonte per capire quanto vale il dono nazionale: 750 mila euro. Tre aziende sono state ammesse alla gara per comprare un valore di 920 mila euro test del sangue.

La Abbott – dopo il dono a Roma – a Torino ha offerto il test a 5 euro l’uno. Più di Diasorin, 4 euro. Mentre la Medical System ha offerto a 4,95 i test cinesi della Snibe. Ora le Asl sceglieranno quale dei tre test acquistare a seconda del tipo di macchine già installate nei laboratori.

Diasorin ha sede a Saluggia (Vercelli) e in Piemonte farà la parte del leone grazie al prezzo e anche alle sue macchine già nei laboratori. Ora parte favorita in Lombardia. La Regione ha già comprato 500 mila test (più del triplo della gara nazionale) al solito prezzo di 4 euro da Diasorin, per un totale di due milioni di euro, senza gara. L’11 aprile la centrale acquisti regionale Aria firma un ordine urgente con consegne non tutte immediate: 300 mila a maggio e 200 mila a giugno.

Cinque consiglieri regionali del M5S hanno presentato un’interrogazione al presidente Fontana e all’assessore Gallera per chiedere “sulla base di quali argomenti e criteri di natura tecnica e scientifica, Regione Lombardia, per la ricerca di anticorpi anti Covid-19, ha prediletto l’utilizzo del kit di Diasorin, invece che altri”.

Intanto su 17 mila 278 test eseguiti dal 23 aprile si cominciano ad avere i primi dati del contagio, che muta molto a seconda del campione. Su 527 persone in quarantena a Milano il 40% è positivo all’anticorpo IgG, a Pavia su 77 in quarantena si sale al 60. Mentre al Policlinico San Matteo su 1.200 sanitari solo il 7,6 per cento è positivo.

I test Diasorin continuano sotto la guida del professor Fausto Baldanti, il professore del Policlinico San Matteo di Pavia, responsabile scientifico dello studio che ha “validato” il test. Il 20 marzo Policlinico e Diasorin hanno firmato un contratto che prevede royalties decennali dell’uno per cento sulle vendite di quel test sierologico.

Ciononostante Baldanti ha continuato a coordinare il gruppo di lavoro regionale con i laboratori che dovevano confrontare i test concorrenti. Dopo un’intervista con Il Fatto però si è dimesso. Oggi sarà ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Potrebbe ribadire le cose dette già a Porta a Portane Sky sulla distinzione tra anticorpi generici e neutralizzanti. Solo questi ultimi – secondo Baldanti – prometterebbro unapatente di immunità. La Regione Lombardia per la gara che dovrebbe partire domani chiedeva la “ricerca anticorpi neutralizzanti”. Nella gara nazionale del Commissario Arcuri e anche in quella piemontese però non è stato dato peso alla distinzione. Tutti gli anticorpi trovati dai test delle diverse società sono stati considerati neutralizzanti. Non solo quelli del test Diasorin.

Chi è Dino Petralia, nominato nuovo capo del Dap

Nel giorno in cui al Dap (Dipartimento affari penitenziari) si è insediato come vice direttore l’ex pm antimafia di Palermo Roberto Tartaglia, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede fa sapere che il nuovo direttore sarà Dino Petralia, procuratore generale di Reggio Calabria, fino a tre anni fa procuratore aggiunto di Palermo. Magistrato antimafia di lungo corso, appartiene alla corrente di Area (progressisti).

“Ha speso la sua vita per la giustizia e la lotta alla mafia”, ha dichiarato il ministro, che ha già chiesto al Csm il via libera al fuori ruolo del Pg. Il nome di Petralia nel governo ha messo d’accordo Pd e M5s. Soddisfatto anche il senatore Piero Grasso, Leu, ex procuratore antimafia: “Conosco da anni Petralia, la sua serietà e competenza”. Per una volta, concorda con una scelta del ministro anche il presidente dell’Unione camere penali Giandomenico Caiazza: “È un magistrato di grande esperienza, sono sicuro che farà bene”.

A giugno scorso, Petralia ha scritto un’accorata lettera al Csm, rivelata dal Fatto, con la quale ha comunicato il ritiro dalla corsa a procuratore di Torino. Era finito nelle intercettazioni del caso Palamara. A sua insaputa, si è parlato di lui durante l’incontro notturno di maggio 2019. Il pm romano, indagato a Perugia per corruzione, i deputati del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri (toga in aspettativa) e 5 consiglieri Csm, costretti alle dimissioni, pianificavano come pilotare la nomina del procuratore di Roma e non solo. Ferri: “L’altro giorno ho visto Ermini (vicepresidente del Csm, ndr) e mi ha detto che Cascini (togato di Area, ndr) è andato a chiedergli di aiutare Petralia a Torino”. Palamara, sempre ben informato, è scettico: “Io non ho sentito che Ermini andava per aiutare Petralia”. Al Fatto, a giugno, Petralia ha spiegato il suo ritiro dalla corsa per la procura di Torino: “Sono sdegnato. Da vittima, questa scelta mi è costata, ma non voglio passare per altro, ora sono più sereno”.

Trapanese, 67 anni, in magistratura dal 1980, diventa procuratore di Sciacca, nell’agrigentino, nel 1996. Dieci anni dopo fu eletto consigliere del Csm. Nel 2010, come pm, va a Marsala e nel 2013 è procuratore aggiunto a Palermo. Coordina il pool sui reati contro la pubblica amministrazione di cui ha fatto parte anche Tartaglia. È Petralia a coordinare il sequestro della Bcc di Paceco, cassaforte di massoni e mafiosi trapanesi. Dal 2017 è Pg di Reggio Calabria. Sposato con Alessandra Camassa, presidente del Tribunale di Marsala, ex allieva di Paolo Borsellino, hanno un figlio, Paolo, da febbraio assessore allo sport a Palermo.

Con la nomina di Petralia, dunque, Tartaglia è sollevato dal “commissariamento” di Francesco Basentini per i gravi errori commessi da direttore del Dap. Giovedì in tarda serata, dopo un lungo colloquio con il ministro Bonafede, Basentini non ha avuto altra scelta che dimettersi. Fatali gli ultimi mesi della sua direzione: la pessima gestione delle rivolte carcerarie dietro le quali c’è l’ombra della regia della criminalità organizzata; la circolare del 21 marzo legata all’emergenza coronavirus, che ha spinto gli avvocati dei boss a chiedere gli arresti domiciliari per rischio contagio Covid-19, come dimostrano le intercettazioni in carcere pubblicate dal Fatto; la gestione della pratica di trasferimento del boss dei Casalesi Pasquale Zagaria come se fosse un ladruncolo e non un camorrista al 41 bis.

Anche Autostrade vuole 1,2 miliardi di prestiti garantiti

È una situazione surreale, o meglio grottesca se si tiene conto degli esiti. Fatto sta che nei prossimi giorni il governo si troverà a decidere se concedere la garanzia dello Stato sui debiti anche ad Autostrade per l’Italia (Aspi), la società controllata dalla Atlantia (Benetton) con cui ha in corso il contenzioso per la revoca della concessione dopo il disastro del ponte Morandi di Genova. Insomma, mentre lo Stato minaccia di rescindere quel contratto, potrebbe trovarsi a fare da garante ai suoi debiti bancari che, in caso di revoca, dovrebbe pagare, visto che la società non sopravvivrebbe senza concessione. Il governo potrà fare le sue valutazioni, ma a norma del decreto liquidità Autostrade può chiedere di accedere agli aiuti previsti. La garanzia dovrà erogarla Sace, controllata dalla Cassa depositi e prestiti e vigilata dal Tesoro.

Nel bilancio 2019, appena pubblicato, Atlantia spiega di stare valutando la richiesta a Sace nell’ambito delle iniziative per garantirsi liquidità dopo il crollo del traffico dovuto alle misure di contenimento del Covid-19. Durante la conference call con gli analisti, è emerso che l’ammontare della richiesta può arrivare a 1,25 miliardi. Aspi deve far fronte a rimborsi di debiti per 2,2 miliardi entro il 2022, tra cui 750 milioni di obbligazioni garantite da Atlantia che scadono a febbraio 2021. La mossa metterà il governo in grave imbarazzo. Le norme del decreto non permettono a Sace di effettuare una valutazione, per così dire, di opportunità, ma solo sulla base di parametri tecnici che Aspi rispetta. Avendo un fatturato di oltre 1,5 miliardi, scatterà la procedura “ordinaria”, in cui l’ultima parola spetta a un decreto del ministro dell’Economia. Si rifiuterà di firmarlo?

Al netto del contenzioso sulla revoca, i numeri sono impietosi. Autostrade nel 2017, ultimo bilancio non intaccato dall’effetto Morandi, ha incassato 3,9 miliardi spendendone solo 1,5 per gestione e manutenzione e consegnando ad Atlantia 2,45 miliardi di margine operativo lordo (Ebitda). Grazie a una concessione di assoluto favore, negli ultimi 10 anni ha girato alla holding controllata dai Benetton otto miliardi di dividendi. Con un simile bancomat a disposizione, Atlantia ha lasciato che Aspi si appesantisse di debiti (oggi ne ha per 10 miliardi), dei quali garantisce oltre un terzo. La holding potrebbe assicurare alla sua controllata la liquidità necessaria, e infatti Atlantia ha messo a disposizione 900 milioni, ma da usare solo come “ultima istanza” dopo le altre opzioni considerate. Oltre alla garanzia Sace, Aspi ha chiesto a Cassa depositi e prestiti di poter usare una linea di credito revolving aperta nel 2017. Ci sono a disposizione 700 milioni, e per ora ne ha chiesti 200. Cdp, che detiene già 1,7 miliardi di euro di obbligazioni Aspi, il 24 aprile ha risposto chiedendo un approfondimento tecnico vista la delicata situazione in cui versa il debitore.

La società ha chiuso il 2019 con 4 miliardi di ricavi e una perdita di 291 milioni dovuti agli accantonamenti per il dossier revoca, pari a 1,5 miliardi. Il decreto Milleproroghe di dicembre ha eliminato il maxi indennizzo da oltre 20 miliardi in caso di revoca previsto dalla concessione del 2007. Aspi accusa il governo di aver così causato “il declassamento a livello spazzatura” effettuato dalle agenzie di rating a gennaio “con le conseguenti difficoltà di accesso al credito”. Stima poi una perdita di ricavi per 1 miliardo nel 2020, e sottolinea che “anche grazie” alla linea di 900 milioni messa a disposizione di Atlantia “è riuscita ad approvare in continuità la relazione di bilancio 2019” e che i prestiti garantiti andrebbero al servizio del piano di investimenti al 2023. Autostrade avvisa che la “fortissima incertezza” relativa al dossier concessione “va risolta quanto prima. O si creerà un danno ingentissimo non solo per la Società, ma al Paese”.

Finora, però, ha fatto poco per uscire dall’impasse. Ha promesso 2,9 miliardi per chiudere la ferita aperta dal Morandi, di cui 600 milioni già dovuti per la ricostruzione e 700 di manutenzioni in più in un quinquennio (120 l’anno). Il Piatto forte sono 1,5 miliardi tra nuovi investimenti e riduzioni delle tariffe. Offerta considerata quasi offensiva dal governo.

Tremila vittime a Milano e provincia: superate pure Bergamo e Brescia

Milano e la sua area metropolitana detengono oggi il record di morti a livello nazionale. Qui il virus ha ucciso 3.031 persone. Di queste 1.836 sono uomini e 1.195 donne. I dati contenuti nei report dell’Unità di crisi della Regione Lombardia sono aggiornati alle ore 23 del primo maggio. Il documento contiene anche un grafico di grande rilievo sugli interventi di emergenza delle ambulanze che permette di osservare il reale andamento del virus nelle province di Bergamo, Milano, Como e Pavia. A partire dal 21 febbraio, data di emersione del primo paziente Covid, il capoluogo lombardo ha macinato in oltre due mesi di epidemia ufficiale più morti di tutti. Anche delle province di Bergamo e di Brescia, che fine a poche settimane fa erano le più colpite.

Nell’area di Bergamo dove il virus ha iniziato a circolare prima del 21 febbraio ma è stato diagnosticato solo la notte del 22 febbraio nell’ospedale di Alzano Lombardo, i morti calcolati alla sera del primo maggio sono stati 2.971, di questi 2.095 sono uomini e 876 donne. Cifre più basse per l’area di Brescia con 1.576 decessi tra gli uomini e 855 tra le donne per un totale di 2.431. Nella prima provincia colpita, quella di Lodi, i morti si sono fermati a 421, tutti uomini. In totale oggi la Lombardia ha 14.190 morti (+47 ieri). Il dato record dei decessi di Milano è in linea con la crescita dei contagi. La metropoli ha superato gli 8 mila positivi. La fotografia scattata dalla task force riporta in primo piano il dato di un virus che in Lombardia ha iniziato a circolare prima del 20 febbraio. Come già spiegato dal Fatto circa un mese fa, lo studio dell’Unità di crisi fissa i primi probabili casi già a partire dalla prima metà di gennaio con mini focolai a nord-ovest e a sud-est di Milano, il secondo indicato nel Lodigiano. Lo stesso è avvenuto in Veneto dove, secondo gli studi del professor Andrea Crisanti, al 20 febbraio già il 3% dei cittadini del comune di Vo’ Euganeo era positivo. Lo spartiacque resta però il 26 gennaio, data che, come ha raccontato il Fatto pochi giorni dopo il 21 febbraio, è presa come l’ingresso del virus in Lombardia. Il calcolo non è probabilistico ma oggettivo e derivato dall’analisi del professor Massimo Galli sul genoma del virus. Da quel momento la corsa di SarsCov2 è stata inarrestabile.

L’evoluzione del virus è ben visibile nel grafico sul trend degli interventi del 118 per emergenze respiratorie e infettive. Alla data del primo febbraio a Milano gli interventi specifici sono 160. Dopo una breve discesa, la curva s’impenna al 9 febbraio con circa 100 interventi. In questo momento il virus ufficialmente non sta circolando. Il 22 febbraio gli interventi salgono a 240 per arrivare a 400 il 13 marzo e sfiorano i 560 tra il 21 e il 28 marzo. Dopodiché la linea scende ma in modo minore rispetto a Bergamo che mostra invece una salita molto più ripida. Vediamola: se il 22 febbraio gli interventi delle ambulanze sono stati 80, in meno di tre settimane i casi urgenti per complicanze respiratorie sono saliti a 700 nella giornata del 13 marzo. L’8 marzo erano 480, 560 il 12 marzo e 700 il 13 marzo. Raggiunto il picco la curva di Bergamo scende precipitosamente ai 160 interventi del 13 aprile e ai 100 del primo maggio. Picco più alto e discesa più ripida a Bergamo, picco più basso e discesa più lenta a Milano, tanto che alla data del primo maggio gli interventi nel capoluogo lombardo sono stati 170. La fotografia scattata dal report segna anche alcuni Comuni dell’hinterland milanese che oggi rappresentano focolai da monitorare.

Dalla lettura dei dati colpisce il Comune di Melegnano che si trova sulla direzione verso il Basso Lodigiano. Su una popolazione di circa 18 mila abitanti l’incidenza dei contagi supera il 4% con circa 60 casi per chilometro quadrato. Dato che schizza a oltre 70 contagi per chilometro quadrato nel Comune di Bresso a nord di Milano. In quest’area da sempre si registra il maggior numero di casi. Oltre a Bresso, anche Sesto San Giovanni e Cologno Monzese. Insomma alla vigilia della riapertura, i dati sulla città di Milano e sui Comuni della sua area metropolitana impongono cautela perché al momento il virus non ha perso la sua forza, solo è stato contenuto dalle rigide misure del lockdown.

Calano ancora i morti: 192 Nuovi casi: -28% in 7 giorni

Per la prima volta dal 14 marzo scorso, quando l’epidemia galoppava, i morti “con il Coronavirus” registrati in 24 ore in Italia scendono sotto i 200. Quel giorno erano stati 175, tra venerdì e ieri sono stati 192 e portano il totale, secondo il bollettino diffuso dalla Protezione civile, a 28.710. Ne hanno contati 47 in Lombardia (14.189 in totale), 35 in Emilia-Romagna (3.614), 29 in Piemonte (3.126), 23 in Veneto (1.502). Il bollettino indica in realtà 474 morti in più rispetto al 1° maggio ma, secondo quanto ha spiegato la Regione Lombardia, contiene anche 282 vittime lombarde di aprile che sono state comunicate dai Comuni a fine mese. La circostanza, a quanto si apprende, non era stata specificata dalla Regione nell’inviare i dati al ministero della Salute. Un mese fa, il 2 aprile, i morti nella sola Lombardia erano stati 367; per trovare una giornata con meno di 50 decessi bisogna risalire al 7 marzo quando ne avevano contati 19. Hanno fatto un po’ di confusione anche in Piemonte: mezz’ora dopo la diffusione del bollettino a Roma la Regione ha fatto sapere che i morti sono 33 e il totale è 3.144.

Ad ogni modo il calo c’è sul fronte dei decessi ma anche su quello dei nuovi casi notificati. Nelle ultime 24 ore ne hanno registrati 1.900, per il terzo giorno consecutivo meno di duemila, l’incremento è sempre dello 0,9 per cento per un totale di 209.328 contagi rilevati nel nostro Paese dall’inizio dell’epidemia, compresi i quasi 29 mila morti e i 79.914 dichiarati guariti (1.665 ieri). I tamponi registrati sono 55.412, meno di quelli di venerdì 1° maggio (74.208) e di giovedì 30 aprile (68.456). L’aumento dei contagi rilevati è più alto della media in Piemonte (+495 pari all’1,9 per cento, venerdì erano stati 395), in Liguria (+186 ovvero il 2,3 per cento contro i 133 di venerdì), nel Lazio (+84, 1,3 per cento, venerdì erano stati +56). Nel complesso, in tutta Italia, abbiamo avuto 13.977 casi notificati negli ultimi sette giorni e 19.420 nei precedenti sette: il 28 per cento in meno con un numero paragonabile di tamponi (400 mila circa, in leggero calo). Naturalmente è sempre bene ricordare che contagi veri sono, a seconda delle stime che si fanno a partire da un tasso di letalità ritenuto inferiore al 3 per cento, da quattro a dieci volte quelli rilevati.

Continuano a diminuire gli “attualmente positivi”, al netto cioè di morti e guariti: ieri erano 100.704, cioè 239 in meno rispetto a venerdì. Il 18 aprile, picco massimo, erano 108.257. Continua soprattutto il calo dei malati più gravi, a riprova di come il sistema funzioni un po’ meglio di prima nell’intercettarli prima che arrivino nei Pronto soccorso. I pazienti ricoverati sono scesi ieri a 17.357 (212 in meno da venerdì), avevano segnato il picco massimo il 4 aprile a quota 29.010. Quelli in terapia intensiva sono 1.539 ieri (39 in meno da venerdì), erano 4.068 il 3 aprile. I ricoverati nei reparti ordinari però sono aumentati di 47 unità in Piemonte, dai 2.503 di venerdì ai 2.550 di ieri.

Il Rem arriverà solo a giugno Regalo alle imprese agricole

La difficile gestazione del fu “decreto aprile”, ora diventato “decreto maggio” fa un passo in avanti. Dovrebbe essere approvato la prossima settimana e da ieri ha iniziato a circolare anche un straccio di articolato. Si tratta di bozza, “in parte già superata”, avvertono dal Tesoro, ma almeno sul lato del lavoro lo schema è più chiaro. Due le novità particolarmente problematiche.

Arriva finalmente il Reddito di emergenza (Rem) per la vasta platea di persone non coperte da altre forme di sussidio: 3 milioni secondo il ministero del Lavoro, verosimilmente 6 milioni (stima del Forum Disuguaglianze) considerati i lavoratori in nero. Le domande possono essere presentate entro la fine di luglio per il beneficio che va da 400 euro base fino a 800 euro mensili (in base ai figli a carico). Verrà erogato per tre mensilità. È riservato ai nuclei familiari con un Isee fino a 15 mila euro e può integrare il Reddito di cittadinanza (Rdc). Per quest’ultimo, invece, viene alzata la soglia dell’Isee a 10 mila euro (da 9.360 euro) e del patrimonio immobiliare a 50 mila euro (da 30 mila), allargando di fatto la platea.

Il Rem è atteso da marzo e quindi per velocizzare i tempi si era pensato a un’auto-certificazione per i beneficiari. Il ministero del Lavoro ha invece scelto di usare l’Indicatore della situazione economica equivalente (l’Isee, con controlli ex post) che, anche nella versione semplificata, secondo i tecnici del Tesoro richiederà almeno un mese per arrivare all’effettiva erogazione dei soldi. Significa che, senza intoppi, il beneficio arriverà a giugno inoltrato.

L’altra novità riguarda tutti i percettori di sussidi, che potranno, se vorranno, lavorare nei campi a stipendio calmierato, per la gioia delle imprese agricole. I beneficiari di ammortizzatori sociali, limitatamente al periodo di sospensione a zero ore della prestazione lavorativa, di Naspi e Dis-coll nonché del Reddito di cittadinanza, potranno infatti stipulare con i datori di lavoro del settore agricolo contratti a termine non superiori a 30 giorni, rinnovabili per altri 30, senza perdere il beneficio, nel limite di 2000 euro per il 2020. Insomma, mille euro lordi al mese. Il governo ha deciso di venire in aiuto delle richieste delle associazioni di settore, come Coldiretti, sposate peraltro da pezzi di politica filo-padronale, dalla Lega al governatore dem dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini a Italia Viva, che esprime anche il ministro Teresa Bellanova, vera pasdaran dell’invio dei beneficiari del Reddito di cittadinanza nei campi (nella formula, però, “gratuita”). Le imprese potranno avere a disposizione lavoratori con stipendio bloccato per legge (e non molto generoso).

Tra le altre misure contenute nella bozza è confermato lo stop per altri 3 mesi ai licenziamenti. Vengono rifinanziate le Cassa integrazioni di ogni genere per altre 9 settimane (18 in tutto) che si possono richiedere fino al 31 ottobre.

 

Partite iva e colf
Indennità fino a mille euro per i liberi professionisti

Prorogata, e modificata, l’indennità per i liberi professionisti. Secondo i testi circolati ieri, l’indennità di 600 euro assegnata a marzo sarà erogata anche per il mese di aprile 2020 con diverse specifiche: ai liberi professionisti titolari di partita iva, iscritti alla Gestione separata e che abbiano subito una riduzione di almeno il 33% del reddito del secondo bimestre 2020 (rispetto al 2019) a maggio andrà un’indennità di 1.000 euro. Stessa cifra ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che hanno interrotto il rapporto di lavoro. Parallelamente, la stessa cifrà andrà anche agli autonomi iscritti alle Gestioni speciali dell’Ago (Assicurazione generale obbligatoria) e che per Covid-19 hanno cessato l’attività o hanno subito un taglio di almeno il 33% del fatturato nel secondo bimestre 2020.
Seicento euro, invece, previsti anche ad aprile per i lavoratori in somministrazione, impiegati presso imprese utilizzatrici che operano nel settore del turismo e degli stabilimenti termali. Prevista una indennità ad hoc anche per colf e badanti che abbiano ridotto le ore di lavoro almeno del 25%. In pratica, c’è un bonus da 400 euro per chi è impegnato (anche con più contratti) fino a 20 ore a settimana e da 600 euro per chi fa più ore. L’indennità non è cumulabile con altri benefici, salvo l’assegno di invalidità e il Reddito di cittadinanza ma fino a raggiungere massimo 600 euro. Sarà l’Inps a erogare in una unica soluzione il beneficio, per il quale bisognerà presentare apposita domanda. Anche ai lavoratori domestici va garantito l’uso delle mascherine chirurgiche.

 

Figli a casa e senza scuola
Raddoppiano bonus baby sitter (pure per centri estivi) e congedi

Nelle bozze circolate ieri si conferma quanto annunciato nei giorni scorsi per trovare una soluzione alle difficoltà che dovranno affrontare i genitori che riprenderanno a lavorare con la chiusura delle scuole, ormai confermata in via definitiva. C’è la proroga dei congedi straordinari dal lavoro per chi ha figli mentre sembra verrà potenziato il bonus per la baby sitter. Il contributo, infatti, potrebbe passare da 600 a 1.200 euro ed essere utilizzato sia per l’iscrizione ai servizi integrativi per l’infanzia sia per i “servizi socio educativi territoriali, ai centri con funzione educativa e ricreativa e ai servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia”, integrandosi dunque con le iniziative che si stanno delineando nel piano per la famiglia. Per i medici, gli infermieri e gli operatori socio sanitari “del servizio pubblico e privato accreditato” il bonus passa da mille a 2 mila euro. Dal 5 marzo e al 30 settembre 2020 e “per un periodo continuativo o frazionato comunque non superiore a trenta giorni” i genitori lavoratori dipendenti del settore privato “hanno diritto a fruire di uno specifico congedo per i figli di età non superiore ai 12 anni per il quale è riconosciuta una indennità pari al 50 per cento della retribuzione”. Si tratta di 15 giorni in più rispetto ai 15 che erano già stati previsti dal decreto Cura italia, che porta quindi il totale a trenta giorni. I genitori di ragazzi under 16 potranno detrarre le spese per i centri estivi per un importo non superiore a 300 euro “sostenute da contribuenti con reddito complessivo non superiore a 36 mila euro”.

 

Le categorie a rischio
C’è la “sorveglianza rafforzata” per i lavoratori anziani o deboli

Archiviata la boutade sugli over 60 da tenere chiusi in casa per chissà quanti mesi, sta per arrivare però una sorta di sorveglianza sanitaria rafforzata per i lavoratori più a rischio, vale a dire quelli più anziani e/o affetti da altre patologie che li rendono un bersaglio facile per il Covid-19. Il meccanismo era di fatto già stato proposto dall’Inail e incorporato – non senza resistenze di Confindustria – nell’ultimo protocollo sulla sicurezza firmato da sindacati e aziende: ora arriva una legge che lo disciplina e lo rende obbligatorio per il periodo dell’emergenza coronavirus. Funziona così: “I datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio”, vale a dire – lo desumiamo da un documento Inail allegato ai verbali del Comitato tecnico scientifico – quelli over 55 o che presentano “rischio derivante da immunodepressione” o da altre malattie “che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”. Nella pratica sarà il cosiddetto “medico competente” nella singola azienda a seguire questi lavoratori e, se non c’è quella figura, ci penseranno i medici delle Asl o dell’Inail (che potrà anche assumere a questo fine) presenti sul territorio. La tutela rafforzata potrà andare da disposizioni organizzative (ad esempio un momentaneo cambio di mansioni in un settore meno esposto) fino alla scelta di tenere a casa le persone più a rischio: “Per i lavoratori che risultino temporaneamente inidonei alla mansione, è riconosciuta, per l’intero periodo di durata dell’inidoneità, un’indennità pari all’80% della retribuzione, erogata dall’Inps”.

Europa all’asciutto: l’Onu chiede una ripresa “verde”

In Italia – A fine aprile correnti atlantiche hanno concesso piogge specie a Nord del Po, in Liguria e Toscana, finalmente anche sul Nord-Est che finora era rimasto a secco. A Trieste una prima bagnatina è arrivata domenica 26 (3 mm), qualcosa in più da mercoledì 29 a venerdì 1° maggio (24 mm), ancora poco di fronte al grave deficit dei mesi precedenti, ma almeno si è interrotta la sequenza di 50 giorni asciutti che durava dal 7 marzo, mai vista in questa stagione dall’inizio delle misure nel 1894 secondo Renato R. Colucci del Cnr-Ismar. La perturbazione di mercoledì sul resto del Friuli-Venezia Giulia ha scaricato fino a 80 mm di pioggia in poche ore, e giovedì sera nuovi generosi scrosci hanno chiuso aprile sulle Prealpi lombardo-venete. Piovaschi più rari verso il Sud e il medio-basso Adriatico, dove scirocco e libeccio (o il vento di caduta dall’Appennino) hanno portato temperature quasi estive, 27 °C martedì 28 a Termoli e Noto (Siracusa). Un primo bilancio di aprile rivela un mese 1-2 °C più caldo del normale al Centro-Nord, nella norma al Meridione; ancora troppo asciutto dal Triveneto, alla Toscana, alla Sicilia, con 16 mm a Venezia e 34 a Pontremoli, circa un quarto del normale, e appena 4 mm a Catania, un decimo.

Nel mondo – Alle porte dell’estate, la siccità preoccupa anche su gran parte d’Europa. A causa di anticicloni persistenti tra le isole britanniche e le Alpi, aprile 2020 è stato il più soleggiato nella serie dal 1929 nel Regno Unito, e dal 1951 in Germania, dove è stato pure il terzo aprile più secco dal 1881 (peggio di così solo nel 1893 e 2007); in Repubblica Ceca sono in corso razionamenti dell’acqua potabile. Inoltre, terzo aprile più caldo in Francia e Svizzera con 3 °C sopra media, dopo i casi del 2007 e 2011, e una precoce ondata di calore è attesa nei prossimi giorni in Europa occidentale con 35 °C in Spagna. Ma ancora una volta è stato l’Artico a registrare le anomalie calde più stupefacenti, fino a 10 °C sopra media il mese scorso nell’estremo Nord della Siberia. Freddo solo in Tibet e tra Canada e Midwest. In Alaska la rottura del ghiaccio del fiume Tanana (protagonista dal 1917 della curiosa lotteria www.nenanaakiceclassic.com) è avvenuta il 27 aprile, con un anticipo rispetto al normale non da record come nel 2019 (14 aprile), ma pur sempre rilevante, pari a circa una settimana. Drammatica situazione umanitaria dopo le alluvioni nello Yemen, e inondazioni hanno colpito anche Etiopia, Somalia e Laos. Anziché spingere sull’acceleratore dell’economia business-as-usual per riprendersi dalla batosta del Covid-19, sarà importante cogliere questa inedita occasione di rinnovamento puntando a percorsi di sostenibilità a lungo termine, resilienza e lotta ai cambiamenti climatici. Lo ha ricordato António Guterres all’undicesimo Petersberg Climate Dialogue del 27-28 aprile (incontro, quest’anno in modalità virtuale, tra una trentina di ministri dell’Ambiente da tutto il mondo tra cui il nostro Sergio Costa): il segretario Onu ha esortato a non sprecare risorse in salvataggi di aziende obsolete e inquinanti come quelle del settore petrolifero, dirottandole su creazione di posti di lavoro “verdi”, innovazione e decarbonizzazione per affrontare al tempo stesso la crisi economica e quella ambientale. A proposito di siccità, l’acqua è una chiave di lettura dei cambiamenti climatici, che – insieme con inquinamento, sprechi e speculazioni – sempre più ne alterano la disponibilità. Nel libro Oro blu (Laterza) l’idrologo Edoardo Borgomeo, appena trentenne ma con un già eccellente curriculum internazionale, narra l’intimo intreccio tra acqua, clima, territori e vicende umane in nove storie attuali e vivaci, dal Bangladesh all’Olanda, dall’Iraq alla Sicilia.

Torneremo a essere “chiesa”, ma bisogna ancora fare attenzione

In questi giorni si è aperta una discussione pubblica piuttosto vivace sui tempi e i modi della ripresa delle “funzioni religiose”, soprattutto per la vibrata protesta della Conferenza episcopale italiana per la continuazione dei divieti. Anche le altre confessioni religiose e comunità di fede si stanno ponendo, e non da oggi, molte domande sulla riapertura e sulle modalità di presenza e distanza.

Infatti la questione non coinvolge solo la “messa” – che riguarda la confessione religiosa più numerosa in Italia ma non più di maggioranza, secondo quanto affermano da tempo tutte le ricerche sociologiche sulla religione degli italiani – ma anche tutte quelle forme di partecipazione collettiva di culto presenti in Italia: da quelle cristiane evangeliche, protestanti e ortodosse, a quelle delle grandi religioni ormai presenti in Italia. Penso per esempio all’importante festa dell’ultimo giorno del Ramadan del prossimo 23 maggio, celebrata con l’Eid al-Fitr (Eid in arabo significa “festa” e Fitr, “fine del digiuno”) che raduna moltissimi islamici in diverse città italiane. Dunque, come il divieto delle “funzioni religiose” ha coinvolto tutte le fedi praticate, così la ripresa di tali funzione coinvolgerà tutti. Ma non tutti hanno gli stessi spazi fisici a disposizione, e non tutti hanno le stesse modalità di incontro. Quindi si tratta di prendere una decisione niente affatto semplice, anche se un accordo tra governo e confessioni religiose sembra vicino.

Anche in Europa ci si pone problemi simili, con la consapevolezza che la volontà di riprendere al più presto possibile le funzioni religiose deve andare di pari passo con la responsabilità di prendersi cura della salute pubblica, cioè di quella collettiva e individuale, che in tempi di pandemia non domata significa comunque continuare ad avere delle restrizioni e delle prescrizioni.

Come già scrivevo il 23 marzo scorso in questa rubrica, i cristiani, come gli appartenenti ad altre fedi, hanno sempre sottolineato l’importanza della fede personale, che va coltivata direttamente, che non può essere fatta per interposta persona. Una specie di palestra dello Spirito che, come quella fisica, richiede allenamenti personali e quotidiani (o almeno settimanali) per rimanere in forma e che si può svolgere, almeno in parte, anche a casa propria. Ma la dimensione comunitaria resta fondamentale. Gesù, prima di cominciare a predicare, costituisce intorno a sé la comunità dei discepoli e delle discepole a cui dà subito un compito, un mandato, una vocazione: “Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Giovanni 15,16). Il significato della parola “chiesa” indica coloro che sono convocati (dallo Spirito) in assemblea. Insomma non un fatto sociologico ma spirituale, come dice Gesù: “Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18,20).

Chiudere i luoghi di culto, o almeno non svolgervi più i consueti incontri, come si è dovuto fare ovunque si è diffuso il Covid-19 – in Italia, in Europa e nel mondo – mette dunque a dura prova la missione spirituale delle fedi viventi, cristiani compresi. E richiede la ricerca di modi nuovi per continuare a essere vicini alle persone, accompagnarle, assisterle con la parola e la preghiera, confortarle e incoraggiarle. Lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie comunicative è di grandissimo aiuto, ma la testimonianza che si può dare di persona, con la propria fisicità, è un’altra cosa. Speriamo perciò di potere tornare presto a rivederci di persona, possibilmente rafforzati da questa difficile esperienza, ma senza leggerezze, mettendo cioè al primo posto la responsabilità verso la salute collettiva e individuale.