Di Maio ha l’incubo del Papeete. La linea di Conte: “Renzi bluffa”

L’anniversario si avvicina. E Luigi Di Maio non riesce a levarsi dalla testa l’incubo di rivedere un film già visto. Le fibrillazioni che iniziavano a maggio, prima delle Europee. La lunga estate del Papeete e poi l’editto dell’8 agosto che ha chiuso l’esperienza del governo gialloverde. Così adesso – nonostante a tuonare sia un altro Matteo, dai consensi elettorali a una sola cifra – il ministro degli Esteri è spaventato, preoccupato dal precipitare degli eventi e dai retroscena di palazzo che vedono scaldare i motori di un governo di emergenza nazionale per rimettere insieme i cocci che il coronavirus lascerà nell’economia del Paese.

“Sarebbe meglio pensare a come disinnescarlo una volta per tutte”, ha detto venerdì Alessandro Di Battista, tornato a più miti consigli dopo la rivolta interna provocata dalla riconferma di Claudio Descalzi al vertice dell’Eni. E quello che in chiaro chiede Di Battista è quello che nelle riunioni con il premier hanno sostenuto anche i Cinque Stelle di governo, che preferirebbero andare subito alla conta, piuttosto che farsi mollare tra qualche mese, come Matteo Renzi ha minacciato nell’Aula del Senato tre giorni fa.

Però Giuseppe Conte è di un altro avviso. E crede che la strategia migliore sia una: ignorarlo. Sa che le pedine si stanno muovendo, che lo stesso Renzi ha offerto a Nicola Zingaretti e Dario Franceschini la guida di palazzo Chigi. Ma sa anche che i suoi interlocutori considerano il corteggiamento alla stregua di un delirio. E mai si metterebbero nelle mani dell’ex segretario Pd, che pure – va detto – non avrebbe i numeri per decidere un bel niente. Tanto più che dal Quirinale non sono mancati gli avvisi ai naviganti: se cade questo governo, si torna alle elezioni. Non proprio uno scenario comprensibile per gli italiani che dovranno affrontare i difficili mesi della ripartenza.

Per questo Conte ha chiesto a Di Maio e agli altri di avere pazienza, di non farsi spaventare dall’ennesimo bluff. Anche perché è convinto che, se anche un incidente dovesse capitare, troverebbe in Parlamento i numeri per andare avanti. A cominciare da quegli esponenti di Italia Viva che non si farebbero trascinare dall’avventurismo del loro leader perché tutto vogliono tranne che rischiare di ritrovarsi fuori al prossimo giro.

Certo, restano le fibrillazioni interne al Pd: il premier non ha dubbi sulla lealtà del segretario dem o degli esponenti nella squadra di governo. Piuttosto desta qualche perplessità il comportamento che stanno tenendo i due capigruppo di Camera e Senato, entrambi critici sulla gestione dell’emergenza e sull’uso dei decreti da parte di palazzo Chigi: nel caso di Graziano Delrio – presidente dei deputati – i rumors di palazzo parlano di ambizioni personali che, in un eventuale nuovo esecutivo, lo potrebbero far tornare a un ruolo da ministro. Mentre su Andrea Marcucci – e sul suo vice a palazzo Madama, Dario Stefàno – si riaffacciano le accuse di essere quinte colonne renziane rimaste nel Pd per creare scompiglio. Ma al Nazareno sono convinti che nel gruppo siano tutti consapevoli del “delirio” che sarebbe tornare a votare adesso e che le voci sulle prove di “inciucio” siano veleni messi in giro ad arte, tanto più che ieri – in una riunione con i suoi – è stato proprio Silvio Berlusconi a dire che Forza Italia “non sosterrà mai questo governo, un governo delle sinistre”. Nulla è già scritto, insistono quindi dal governo. Bisogna resistere. E, come ci stiamo abituando a fare, convivere col virus.

Jole la Giravolta lasciata sola nella rivolta del cappuccino

Chissà come deve essersi sentita tosta, rivoluzionaria, decisionista la “Emiliano Zapata del Dpcm” Jole Santelli quando, la sera del 29, ha detto “Fuori tutto!” come un qualunque outlet dei divani. Chissà quant’era convinta di strappare consensi, trascinare folle in strada, guidare la rivoluzione del cappuccino, con tutti i bar aperti e il resto del Sud spinto dal suo coraggio a seguirla.

E invece niente. Vincenzo De Luca il giorno dopo ha ribadito la prudenza massima con la sua riconosciuta sobrietà (“Vedo vecchi cinghialoni come me che fanno footing senza mascherina e andrebbero arrestati a vista!”), le altre regioni del Sud non se la sono filata, i cittadini calabresi hanno detto “Questa ha sniffato il reagente per tamponi” e i sindaci della Calabria le hanno risposto “Al bar vacci te”. È a quel punto che la Santelli ha commentato – testuale – “Sono preoccupatissima e ho paura di uscire. Probabilmente non andrò neanche io al bar o al ristorante, però se cominciamo oggi mi auguro che a luglio le imprese ripartiranno”. Insomma, la Santelli non condivide l’ordinanza della Santelli, per cui non mi stupirei se a breve la Santelli chiedesse le dimissioni della Santelli e la Santelli si dimettesse restando fermamente al suo posto.

Del resto, che la Santelli non sia una che in tema di coerenza e scelta della bigiotteria va fortissimo, si evince scorrendo all’indietro le sue dichiarazioni più recenti. Il 20 aprile, dunque 13 giorni fa, non nel Mesozoico, aveva dichiarato al Tg4: “Sono per una linea di estrema, estrema prudenza. Ho avuto una linea molto rigorosa fino ora ed i risultati ci sono stati. La gente ha rispettato le regole e non sono disponibile a mettere a repentaglio i sacrifici fatti dai calabresi. Comprendo che ci debba essere fase 2, ma deve essere preparata con attenzione e prudenza. Il pericolo è sempre lì fuori”. Salvo poi, il 29 aprile, far sapere a ristoratori e baristi, alle 22.00, che la mattina dopo possono riaprire. Manco il tempo di fargli scongelare le brioche, a ‘sti poveri baristi, figuriamoci di sanificare i locali.

Ma non è tutto. Due giorni prima, il 18 aprile, aveva dichiarato a Repubblica: “Quanto alle restrizioni sulle libertà personali ci sono i decreti del governo a imporre limiti. Noi non possiamo derogare, al massimo renderli più restrittivi”. Una lieve, accennata, impalpabile schizofrenia che sarebbe preoccupante se non nascondesse un’ evidente necessità di assecondare prima la Fase 1 non del Governo, ma della comunicazione politica della Santelli (cittadini calabresi, se il virus non vi secca tutti come il peperoncino diavolicchio al sole è merito mio che chiudo tutto!) e poi la Fase 2, che invece è quella della serie “Mentre Fontana impara ad allacciarsi una mascherina noi qui in Calabria già serviamo i macchiati caldi al tavolo all’aperto!”. E quando qualcuno le fa notare che a questo punto poteva aspettare qualche giorno e rispettare il decreto nazionale e che la sua ha tutta l’aria di una mossa politica, lei replica serafica: “Io non ritiro la mia ordinanza perchè sono sicura che il governo tra una settimana farà un dpcm che sarà esattamente uguale al mio”.

In pratica, Jole Santelli smentisce la mossa politica confermando la mossa politica di Jole Santelli. Le conseguenze dell’impressionante decisionismo della governatrice della Calabria sono state le seguenti: decine di sindaci le hanno fatto sapere che seguono la linea Conte; la maggior parte dei ristoratori e baristi hanno fiutato il grande affare di riaprire dal giorno alla notte senza precise norme sanitarie e con cinque clienti al giorno e hanno tenuto chiuso; il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo di centrodestra come la Santelli non vuole scontentarla ma è chiaro che pensa – senza dirlo – che questa storia sia un’immane cazzata e allora riapre i bar ma senza tavoli all’aperto quindi uno a Catanzaro ora va al bar, si fa fare un caffè, se lo porta a casa, lo consuma seduto in salotto e poi quando si alza scende di nuovo giù al bar a dare la mancia. Il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto (di cui la Santelli è stata vice) pensa che sia una mezza cazzata anche lui ma anche lui non lo dice e allora prima scrive “Brava Jole”, poi si corregge e “Gli esercenti non sono ancora pronti”.

Intanto il ministro Boccia minaccia di impugnare l’ordinanza della Santelli ma in effetti di fronte a una minaccia di Boccia c’è il serio pericolo che prendano coraggio anche i gestori delle discoteche calabresi e che entro domani apra il Margot Disco Club a Soverato. Una situazione di accennato caos che la Santelli aveva ampiamente previsto a gennaio, quando in campagna elettorale, forte del suo talento visionario dichiarò: “Col gioco di squadra cambierò la Calabria”. Ad ogni modo, diamole fiducia. Del resto con quattro zone rosse in Calabria è tutto sotto controllo. Soprattutto in quella di San Lucido, dove un uomo è tornato a casa dopo essere stato dimesso da guarito. Salvo poi riammalarsi e scoprire, mercoledì, che era tornato ancora positivo in paese. Con i bar ancora chiusi, per fortuna.

Calabria, mille richieste di rientro

L’esodo da Nord a Sud in vista di domani – quando con la fase 2, in base al decreto del premier Conte, sarà possibile anche spostarsi fuori regione per rientrare nel proprio domicilio, abitazione o residenza – è già iniziato. E in prima fila c’è la Calabria. Ieri alle 12 erano già oltre mille le richieste di rientro, presentate tramite il portale della Regione. Oltre mille in appena dodici ore, vale a dire da quando è scattata l’operatività della piattaforma digitale (dalla mezzanotte del 2 maggio) a cui è necessario registrarsi, almeno 48 ore prima, per manifestare la volontà di tornare a casa. Anche nel resto del Meridione si stanno preparando all’ondata, ma i numeri sulle dimensioni dello spostamento si avranno solo nei prossimi giorni. In Sicilia varranno le stesse disposizioni già previste per i rientri precedenti (quelli avvenuti a partire dall’8 marzo), con la registrazione al portale della Regione e poi la quarantena obbligatoria. Mentre in Campania e in Puglia sono necessari la segnalazione all’azienda sanitaria competente e il successivo isolamento. La presidente della Calabria Jole Santelli ha scelto invece un’altra strada, quella della pre-registrazione: così ha stabilito con l’ordinanza 38 del 30 aprile. I calabresi che rientrano – e che dovranno comunque sottostare all’isolamento domiciliare per 14 giorni – riceveranno un documento che, in caso di controlli, dovranno esibire insieme all’autocertificazione. Ma i rientri si presume che saranno molti di più di un migliaio, visto che a metà giornata di ieri erano già state inoltrate oltre 4mila richieste di rilascio del pin per accedere al portale.

Proprio in Calabria sono in tanti a chiedersi che fine abbia fatto la grande task force che Santelli ha voluto insediare a supporto dell’unità di crisi regionale, il 16 marzo scorso. Se Francesco Maria Larussa, segretario regionale del sindacato dei medici Anaao, la definisce “silente in atti e parole”, i membri Paolo Navalesi e Raffaele Bruno riferiscono di essere stati convocati in videoconferenza, da allora, una volta sola. Navalesi è il direttore dell’Istituto di Anestesia e rianimazione dell’azienda Ospedale-Università di Padova, Bruno è il direttore dell’unità operativa Malattie infettive del policlinico San Matteo di Pavia. Insieme a Franco Romeo, ai vertici dell’unità di cardiologia del policlinico universitario Tor Vergata di Roma, sono stati chiamati come specialisti a far parte di una squadra composta da oltre 50 persone e poi integrata da altre sei con una successiva ordinanza. Molto rumore per nulla? “C’è una task force regionale che è fissa in Regione, un’altra parte si riunisce tre volte alla settimana” si difende Santelli. “Con gli esperti che non vivono in Calabria le riunioni sono molto meno. Io li sento quasi giornalmente però”. Circostanza smentita dallo stesso Navalesi, che non sapeva nulla della riapertura dei locali. Proprio come il collega infettivologo Bruno, che nei giorni scorsi ha raccontato di non essere stato interpellato.

Scuola: metà in classe e metà online. In aula solo tre giorni alla settimana

Esclusi i doppi turni, come circolato nei giorni scorsi, ma ipotesi di turni semplici: una parte degli studenti in classe e una parte a casa. Inizia a delinearsi il piano per la scuola di settembre, ci si sta lavorando, ha assicurato ieri la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, durante L’intervista di Maria Latella a Skytg24. “Gli studenti hanno il diritto di tornare” e per questo si stanno valutando diverse opzioni, che variano in base agli scenari epidemiologici”.

Il più ottimistico è che si torni alla normalità, tra i banchi così come prima dell’emergenza coronavirus. Il più realistico è che a settembre ci sia bisogno di riprendere le lezioni convivendo con il rischio del coronavirus e senza aver ancora identificato un vaccino. Ci sarà quindi bisogno di avere regole da rispettare chiare e soluzioni per far sì che il loro rispetto sia fattibile anche considerando i limiti che la scuola italiana si porta dietro, dall’edilizia alla strumentazione.

La ministra Azzolina rispolvera così il suo cavallo di battaglia, la lotta alle classi pollaio che “con il coronavirus abbiamo scoperto esistere – dice – dopo che sono stata a lungo anche derisa”. Ridurre il numero di studenti per classe potrebbe essere il primo step e per farlo una delle ipotesi proposte è che metà della classe sia tra i banchi e metà collegata da casa, a turno (12 e 12, considerando la media delle classi da 24 persone). Quindi nessun rientro pomeridiano né alcun doppio turno per i docenti. In questo modo, si riuscirebbe anche ad assicurare che tutti gli studenti possano utilizzare gli strumenti per la didattica a distanza comprati dalle scuole. “La socialità resta, i programmi vanno avanti, i docenti sono gli stessi e anzi aumentano”: un dato non scontato, spiega l’Azzolina. La sottigliezza fa accendere un campanello d’allarme in chi sa che nelle scorse settimane era arrivata da una parte del governo l’idea di tagliare il numero dei docenti. Viene poi anche considerata la soluzione, almeno per i primi tempi, di tenere i ragazzi il più possibile fuori dalle classi: con lezioni nei giardini, parchi, cortili, musei e così via. “Dovrà essere un anno costituente. Stiamo esplorando tutte le possibilità, in un’ottica di scuola che dovrà necessariamente essere più ‘aperta’ – spiega Patrizio Bianchi, a capo della task force del ministero dell’Istruzione e professore ordinario di economia e politica industriale all’Università di Ferrara. -. Serviranno linee guida precise del Ministero sulla modalità mista e autonomia da parte degli istituti per interpretarle, perché non tutto il Paese è uguale”. Nel giro di dieci giorni, poi, dovrebbe anche arrivare un piano specifico con le indicazioni del Comitato Tecnico Scientifico. Bisognerà stabilire dei punti fermi (dal numero di studenti per classi allo spazio del distanziamento) sui quali poi le scuole dovranno impostare le attività in sicurezza.

Anche perché il terzo scenario, il peggiore, prevede che non si torni in classe e che ci sia didattica esclusivamente online se il contagio non dovesse diminuire. E le prossime due settimane, su questo, saranno decisive.

“Il governo abbia più coraggio: ai sindaci servono pieni poteri”

Invoca fondi e poteri, chiede “coraggio”, al governo che pure difende “perché sta affrontando una situazione mai accaduta prima”. Per la sindaca di Roma Virginia Raggi il punto è quello: “Vanno messi al centro i Comuni, o non si ripartirà”.

Lunedì sarà fase 2, e riapriranno i parchi e diverse attività. Come farete a evitare gli assembramenti nelle aree verdi?

Attiveremo i controlli, tramite la polizia municipale ma soprattutto con i volontari della protezione civile, i guardiaparchi e le guardie zoofile. Useremo anche dei droni, nelle ville più grandi. Ma è evidente che sarà fondamentale la collaborazione dei cittadini.

Per i trasporti sarà anche più arduo. Con meno autobus in strada, per di più con capienza ridotta della metà, Roma sarà invasa dalle auto.

La fase 2 si articolerà in due date, quella di domani, in cui ripartiranno il commercio all’ingrosso e la manifattura, e quella del 18, in cui riaprirà il commercio al dettaglio. La città si muoverà in due tappe e ci stiamo regolando su questa scansione temporale. Abbiamo già previsto tre fasce diverse per l’apertura delle attività la mattina, per decongestionare il traffico. Lavoriamo a nuove piste ciclabili per un totale di 150 chilometri e stiamo convincendo le imprese di car e bike sharing a potenziare il servizio, anche nelle periferie.

Avete chiesto ai ministeri di organizzare delle navette per i dipendenti e state pensando di utilizzare assieme ai bus anche pullman turistici. Che riscontri avete avuto?

Buoni. Alcuni ministeri sono già pronti ad accogliere la nostra proposta. E sui pullman stiamo ragionando. L’idea è di utilizzarli sulle linee più frequentate, ma dobbiamo capire come si comporteranno gli utenti nei primi giorni.

Peserà anche il fatto che sui bus sarà impossibile garantire che l’afflusso non superi il 50 per cento della capienza: gli autisti non possono fare più di tanto…

È un problema che è stato sollevato anche a Milano e in altre città. L’Atac (l’azienda dei trasporti, ndr) ha richiamato 800 persone dalla cassa integrazione per i controlli. Ma assicurare questo limite è di fatto impossibile.

Non andava posto?

Al tavolo con la Regione Lazio avevamo chiesto quanto meno di alzare la soglia. Ma l’ordinanza regionale sui trasporti mi procura dispiacere, anche perché prevede che potremmo tornare fino a un massimo dell’80 per cento dei bus attivi. Ora circola meno della metà dei nostri 1400 mezzi, e noi avremmo voluto rimetterli tutti in strada.

Lei è nella cabina di regia sulla crisi, dove l’Anci ha chiesto 5 miliardi: ma il governo ne ha promessi tre.

Sì, e questo perché i due miliardi mancanti sono destinati alle Regioni. Ma quelle risorse vanno tutte destinate ai Comuni, perché ci servono per riavere almeno le entrate fiscali che perderemo per la crisi. Solo Roma rischia di perdere 800 milioni.

La coperta è corta…

Bisogna avere coraggio e mettere al centro i Comuni. E non parlo solo di risorse, ma anche della capacità di spesa. Lo ha provato il decreto Genova per il ponte Morandi: con le norme ordinarie non l’avrebbero mai ricostruito in due anni. L’iperproduzione normativa e il codice degli appalti hanno paralizzato tutto. Non arriviamo sempre dopo, adoperiamo quel modello.

Aprendo a tutti si rischia il dilagare delle mafie, no?

Il dl Genova era scritto molto bene: il sindaco e il prefetto potevano effettuare tutti i controlli, e infatti hanno cambiato rotta cammin facendo. Si può fare. Per Roma significherebbe mettere in campo subito investimenti per miliardi in strade e infrastrutture e in edilizia popolare e scolastica.

Cosa si aspetta dal governo?

Chiediamo un decreto Comuni, che ci dia risorse e poteri e che raggruppi le norme ora spezzettate nei vari dpcm.

Vi potranno davvero concedere lo sbloccantieri?

Il governo sarebbe anche disposto, ma c’è molta resistenza in Parlamento.

Anche dal M5S.

No, da altre forze.

Regioni e governo litigano, sempre. Il sistema delle autonomie va ripensato?

Assolutamente sì. Le decisioni su cosa fare nelle città devono spettare solo ai sindaci: basta sovrapposizioni con altri enti, altrimenti si crea confusione.

Lei pretende, ma del governo Conte cosa pensa, è a rischio?

Io chiedo, ma è la normale dialettica. Il presidente del Consiglio Conte sta facendo il massimo in uno scenario imprevedibile. Purtroppo due soggetti gli riversano contro le loro frustrazioni. Uno ha fatto cadere un governo a Ferragosto (Matteo Salvini, ndr), l’altro aveva giurato di non fare più politica (Matteo Renzi, ndr). Hanno avuto la loro occasione in passato, e hanno fatto male. E ora si comportano in modo vergognoso.

Rezza è in pole per il ministero

L’ultima cosa che ha fatto è stato firmare il decreto del 30 aprile che contiene le linee guida del monitoraggio necessario a tenere sotto controllo dell’epidemia di Covid-19 nella Fase 2. Da quel giorno Claudio D’Amario non è più direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute. A fine dicembre, infatti, la Regione Abruzzo lo aveva nominato a capo del suo Dipartimento di sanità e da allora a Lungotevere Ripa si sapeva che sarebbe andato via. Oral’ufficio, centrale in vista della riapertura del Paese dopo la fase acuta della diffusione del morbo venuto da Wuhan, è vacante ma non lo resterà a lungo: il ministero, che a febbraio aveva chiesto a D’Amario di restare al suo posto, ha riattivato l’interpello per la sua sostituzione. E tra le candidature presentate, secondo fonti ben informate, c’è quella di Gianni Rezza, direttore delle Malattie Infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

La selezione ha preso, o meglio ripreso, il via il 24 aprile quando il direttore del personale del ministero Giuseppe Celotto ha firmato un documento in cui si legge che il giorno prima l’ufficio di Gabinetto del ministro Roberto Speranza aveva chiesto di riavviare il procedimento indetto tre mesi fa per scegliere il sostituto di D’Amario. “Fermo restando le candidature già presentate”, si legge, “si dispone la riapertura dei termini di presentazione delle candidature di cui all’interpello del 4 febbraio 2020”, scaduto il 14 febbraio. Il quale diceva: “Saranno valutate in via prioritaria le istanze dei dirigenti di I fascia e II fascia del Ministero e ove non fosse possibile individuare una figura interna pienamente rispondente alle caratteristiche richieste (…) si fa riserva di procedere ai sensi dell’art. 19, comma 5 bis” del decreto legislativo 165/2001, cioè alle norme che estendono questi incarichi aidipendenti di altre amministrazioni, tra cui “tutti gli enti pubblici non economici”. Categoria a cui appartiene l’Iss. E secondo fonti qualificate consultate dal Fatto Gianni Rezza è in corsa.

“Non so chi glielo abbia detto – risponde il professore, tra i volti più noti del comitato tecnico-scientifico, noto per la cautela con cui dispensa indicazioni e giudizio sui giornali o in tv – e anche se mi fossi presentato non lo direi in pubblico. Sono questioni private”. Non esattamente una smentita.Rezza, 65 anni, è all’Iss dal lontano 1991. E al ministero sarebbe una figura di notevole peso.

Resta da capire per quale motivo, nonostante un certo numero di candidature fosse arrivato, il gabinetto del ministro abbia riaperto i termini. “L’indicazione è arrivata per avere, come prevede la Costituzione, il maggior numero di partecipanti possibile in modo da avere una scelta più ampia per individuare il profilo migliore”, spiega il direttore del personale Celotto. Qualcuno dei candidati della prima ora potrebbe risentirsi. “Quello della prevenzione è il settore più sollecitato dall’emergenza – prosegue Celotto –, i primi candidati sono tutti in corsa e la selezione avverà in maniera comparativa e motivata, cosicché nessuno possa eccepire nulla. In questa fase emergenziale l’interesse pubblico viene prima di quello del singolo”. Il termine ultimo è la mezzanotte di lunedì 4 maggio. Poi, “tempo probabilmente una settimana” il ministro farà la sua scelta.

Il decalogo per le Regioni: così si apre, così si chiude

Ora la griglia delle norme per gestire il “rilascio” dei cittadini dagli arresti domiciliari c’è, se le Regioni sono pronte ad applicarla invece è tutt’altro paio di maniche: chi non sarà in grado, però, rischia di dover richiudere in tutto o in parte il suo territorio. È questa la cosa più rilevante che emerge dalle 13 pagine di circolare delle direzioni Prevenzione e Programmazione sanitaria del ministero della Salute su come, d’ora in poi, dovrà essere monitorato il rischio sanitario per procedere con la famigerata “fase 2” dell’emergenza Covid-19.

Dice il testo, assorbito in un decreto ministeriale firmato da Roberto Speranza giovedì sera: non è esclusa “una rapida ripresa di trasmissione” del virus e dunque bisognerà, oltre a tutto il resto, tenere sotto controllo la situazione con un “solido sistema di accertamento diagnostico, monitoraggio e sorveglianza” dei casi positivi. Una serie di indicatori – li vedremo – dirà a Regioni e governo chi si trova in una situazione di rischio in una scala che va da “molto basso” a “molto alto” passando per “moderato”: da quest’ultimo grado in su, il governo e la Regione interessata vedranno come muoversi, cioè se chiudere – e cosa – o meno e persino se creare “zone rosse” locali sul tipo di quelle di Codogno (Lodi) o Vo (Padova).

Se le Regioni non saranno in grado di fornire le informazioni richieste, però, questo “costituirà di per sé una valutazione di rischio elevata, in quanto descrittiva di una situazione non valutabile e di conseguenza potenzialmente non controllata e non gestibile”.

Nel dettaglio si tratta di comunicare giornalmente 21 tipologie di dati raggruppati in tre macro-aree: 1) la capacità di monitoraggio dei contagi; 2) la capacità di trovare i positivi e tracciarli; 3) la stabilità della trasmissione del virus e la tenuta dei servizi sanitari. Non li elencheremo tutti, ma ecco qualche esempio. Nel primo gruppo ci sono i dati che tracciano la storia locale dell’epidemia: numero di casi con l’inizio della data dei sintomi o l’eventuale ingresso in ospedale (e poi in terapia intensiva); numero dei casi in cui è riportata la residenza o il domicilio, numero dei controlli (e numero di risposte) effettuate sulle residenze per anziani. La Regione deve avere questi dati almeno per il 60 per cento dei casi totali.

Nel secondo gruppo vanno comunicati, ad esempio, i numeri dei tamponi positivi escludendo il rumore di fondo tipo “le attività di screening e il ‘re-testing’ degli stessi soggetti”; il tempo che passa tra i sintomi e le diagnosi o tra i sintomi e l’isolamento; qual è la capacità di processare i tamponi, quale il numero dei casi confermati su cui si è fatta “una regolare indagine epidemiologica” cercando e testando i contatti, quante persone nelle singole aziende sanitarie sono dedicate a questa attività (l’obiettivo è almeno 1 ogni 10 mila abitanti: ne servono, ad esempio, mille in Lombardia e oltre 580 nel Lazio).

Nel terzo gruppo ci sono i numeri comunicati alla Protezione civile attraverso cui si calcola l’indice di trasmissione teorico del contagio (l’ormai famigerato Rt), il tasso di occupazione Covid dei posti letto totali (sotto il 40%) e in terapia intensiva (sotto il 30%). L’insieme di questi indicatori partorirà la valutazione del rischio zona per zona: per tutte le categorie di dati però, per dare tempo alle Regioni di adeguarsi a metodologie in parte nuove, le performance richieste saranno un po’ meno stringenti fino al 24 maggio.

L’obiettivo, com’è noto, è convivere col Covid mantenendo stabili i livelli dell’infezione e proteggendo in particolare “le strutture che ospitano popolazioni vulnerabili (cluster in ospedali, RSA, altre strutture assistenziali, case di riposo ecc.)”. Chi ce la fa, può avviarsi più spedito verso il ritorno alla normalità, gli altri dovranno aspettare: non una buona notizia, in particolare, per Lombardia, Piemonte e la provincia di Piacenza.

Fase 2: ecco le regole Da domani visite e passeggiate Ma bisogna tenere le distanze

Oggi a mezzanotte scatta la cosiddetta fase 2. E ieri sono finalmente arrivati alcuni chiarimenti sul decreto del presidente del Consiglio firmato una settimana fa, che resta in vigore fino al 18 maggio. Non è il “liberi tutti” che molti aspettavano, come noto. Ma, fermo restando “il divieto di assembramento, il distanziamento interpersonale di almeno un metro e l’obbligo di usare le mascherine”, molte delle traduzioni pratiche della fase 2 restano affidate alla buona fede dei singoli e alla discrezionalità di chi farà i controlli. Che tra l’altro ora saranno più difficili, considerata la mole di persone in circolazione. Il dipartimento di Pubblica sicurezza ieri ha raccomandato alle forze di polizia di esercitare la “massima severità” su chi fa assembramenti e pure “scrupolosità” su strade a lunga percorrenza e ferrovie, ma li invita a essere altrettanto “comprensivi” ed “elastici” quando hanno a che fare con le primarie esigenze della vita dei cittadini. Anche perché da domani ai motivi di spostamento finora consentiti (lavoro, spesa e salute) si aggiunge la possibilità di visitare i “congiunti”. Ieri è arrivata l’annosa definizione di chi siano: “Partner conviventi, partner delle unioni civili, persone legate da uno stabile legame affettivo, parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)”. Resta da chiarire cosa si intenda per “persone legate da uno stabile legame affettivo”. I fidanzati di sicuro. Secondo alcune interpretazioni, sembrava che un anziano rimasto solo potesse incontrare un amico. Ieri sera palazzo Chigi, però, ha chiarito di no: gli affetti stabili non sono gli amici.

Autocertificazione. Resta l’obbligo di motivare le uscite, perché rimane “fortemente raccomandato limitare al massimo gli incontri con persone non conviventi, poiché questo aumenta il rischio di contagio”. Vietata qualsiasi uscita per chi ha sintomi influenzali.

Passeggiate e sport. Finisce l’epoca delle corsette intorno a casa: da domani sarà consentito svolgere attività sportiva anche più lontano ma solo se “individualmente, a meno che non si tratti di persone conviventi”. Resta obbligatorio “rispettare la distanza interpersonale di almeno due metri, se si tratta di attività sportiva, e di un metro, se si tratta di semplice attività motoria” e restano vietati, anche nei parchi, gli assembramenti. Chiuse invece le aree gioco per bambini (scivoli, altalene, etc). Sarà possibile “spostarsi con mezzi pubblici o privati per raggiungere il luogo individuato per svolgere tali attività”. Inoltre mentre non sarà “consentito svolgere attività sportiva fuori Regione”, sarà possibile farlo in un altro comune, come per esempio può accadere ai ciclisti che percorrono parecchi chilometri, passando da un Comune all’altro. Per le passeggiate serve comunque una giustificazione, che sia anche solo recarsi in un negozio.

Fuori regione. Restano vietati gli spostamenti fuori Regione, con mezzi pubblici o privati, tranne per “comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”. Tuttavia il decreto del 24 aprile prevede che sia in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, anche se comporta uno spostamento tra Regioni diverse. Il governo però chiarisce: “una volta che si sia fatto rientro presso il proprio domicilio/abitazione/residenza anche provenendo da un’altra Regione, non saranno più consentiti spostamenti al di fuori dei confini della Regione in cui ci si trova, qualora non ricorra uno dei motivi legittimi di spostamento”. Se vai, insomma, non puoi tornare. Vietato lo spostamento nelle seconde case, anche se nella stessa Regione.

Cimiteri. Da domani saranno consentite le cerimonie funebri, a cui potranno partecipare al massimo 15 persone. Saranno permesse le visite ai defunti, solo se nella stessa Regione e “sempre nel rispetto della distanza di sicurezza di almeno un metro e del divieto di assembramento”: “ove non fosse possibile, il sindaco può disporne la chiusura”.

Consegne e asporto. C’è poi il capitolo dei negozi di prodotti diversi da quelli alimentari o di prima necessità. Potranno effettuare consegne a domicilio “nel rispetto dei requisiti igienico sanitari sia per il confezionamento che per il trasporto”. Ripartono – ma solo per asporto – bar e ristoranti: vietato comunque consumare per strada i prodotti acquistati e pure l’assembramento nell’attesa di ritirarli.

Auto e moda. Da domani riprendono a lavorare 4,5 milioni di persone: il settore manifatturiero e dell’edilizia, compreso il relativo commercio all’ingrosso, ma anche il settore del tessile, dell’auto (comprese le concessionarie), la moda e la fabbricazione di mobili.

 

 

Lombardia
Bus e metro a capienza ridotta Si punta su bici e aree pedonali

La Lombardia è la regione più colpita dal Covid. E dunque la Fase 2 sarà un test fondamentale. Da domani riapriranno i mercati all’aperto, studi professionali, cartolerie, librerie, fiorai. I milanesi potranno tornare a fare attività fisica oltre 200 metri da casa. Riapriranno i parchi ma con limitazioni agli ingressi. Sul fronte trasporti, invece, i mezzi Atm saranno potenziati e resi a numero chiuso con una capienza limitata al 25%. Qui come anche sulla metropolitana la distanza da tenere tra un passeggero e l’altro sarà disegnata sul pavimento. Anche Trenord ha limitato del 50% la presenza dei passeggeri nei vari convogli. Inoltre il comune di Milano sta pianificando la costruzione a breve di 23 nuovi chilometri di pista ciclabile. Il Comune ha varato anche il concetto di città lenta con limiti di velocità di 30 chilometri all’ora e incremento di dieci nuove piazze pedonali. Il 18 maggio riprenderanno le vendite al dettaglio e il primo giugno, se i contagi non tornano a salire, i bar e i ristoranti.

 

Veneto
Già permessi asporto e sport Oggi arriva la nuova ordinanza

Già dal 27 aprile il Veneto ha allentato le restrizioni, consentendo l’attività sportiva e le passeggiate senza limitazioni con l’uso di mascherina, oltre all’acquisto di cibo da asporto nelle pasticcerie, nei take away e nelle altre rivendite alimentari. È permesso anche lo spostamento verso le seconde case per ragioni di manutenzione. Luca Zaia si era detto disposto a riaprire da domani anche gli asili nido e le scuole d’infanzia parificate, visto il ritorno di molte persone al lavoro. Su questo punto, però, il governo e i tecnici hanno dato parere contrario e Zaia così ha fatto marcia indietro. Oggi però la Regione dovrebbe emettere una nuova ordinanza – in linea con il dpcm governativo, assicura Zaia – con “alcuni accorgimenti”. Tra questi, possibili novità riguardano per esempio i tipi di sport che potranno ripartire. Ma la corsa di Zaia si basa sulla strategia dei tamponi di massa: il governatore vorrebbe passare dagli 11-12 mila giornalieri di oggi ad almeno 30 mila entro settembre.

 

Liguria
I sindaci chiedono prudenza Possibili nuovi attriti col governo

La decisione arriverà oggi. Finora la Regione Liguria ha deciso di rifarsi alle linee del governo per quanto riguarda le attività consentite dopo il 4 maggio, ma in zona Cesarini potrebbero arrivare novità. Del resto la Regione guidata da Giovanni Toti, come le altre governate dal centrodestra, si è sempre smarcata da Roma. Con ripetute frecciate al governo. Da lunedì scorso infatti le porte delle case dei liguri erano già state socchiuse, se non spalancate. Erano stati allentati i vincoli per corsa e bici (nel Comune di residenza). Più libertà per le passeggiate, purché compiute con persone conviventi. Sono autorizzate le passeggiate a cavallo, la pesca sportiva nelle acque interne e in mare, purché ci si mantenga lungo i moli. Consentiti allenamento e addestramento di cavalli e cani. Un via libera che ha destato critiche: venerdì la Liguria ha contato 17 morti, prima in Italia per mortalità su centomila abitanti. Tanto che 81 sindaci hanno scritto a Toti invocando “cautela sul fronte sanitario”.

 

Piemonte
Cirio riapre, ma qui i contagi sono tornati ad aumentare

Rebound è una parola con cui i piemontesi dovranno familiarizzare nei prossimi giorni. Il pericolo rebound, meglio detta ricaduta, dopo la progressiva riapertura è infatti probabilmente più alto qui che altrove. Solo una settimana fa il virologo e consulente della Giunta Giovanni Di Perri e l’assessore alla Sanità Luigi Icardi sostenevano che – in presenza dei numeri del contagio di allora – una riapertura non era affatto consigliabile. Ebbene, anche in Piemonte la corsa del contagio è in discesa, ma il calo continua ad essere il più lento: anche ieri il tasso di incremento è stato, fatta eccezione per la Liguria, il più alto d’Italia (+1,9%) e sono tornati a salire i contagi: 495 contro i 395 di giovedì. Apriranno comunque domani le grandi fabbriche, con 80 mila metalmeccanici attesi al lavoro, e si rimettono in moto il 50% i trasporti. Obbligo di mascherina in tutti i luoghi chiusi, si torna a passeggiare all’aria aperta, via libera alla ristorazione da asporto, ma Torino dovrà aspettare il 9 maggio.

 

Lazio
Zinga avvia la “concertazione” Si valuterà giorno per giorno

Al ristorante su prenotazione e con tavoli distanti un metro, ma dal 1 giugno: per ora solo take away. Dal barbiere si andrà con la mascherina, sempre da giugno. E poi uffici pubblici in smart working il più a lungo possibile. La riapertura del Lazio non si discosta dalle indicazioni del governo. Ma Zingaretti ha deciso di aprire la “concertazione”, incontrando ogni giorno le categorie interessate. Lo stress-test per Roma riguarderà i trasporti. Non sarà possibile riempire le vetture oltre il 50% della capienza: 600 persone ogni treno della metro e 25 persone ogni bus, ma Atac ha fatto sapere che non è in grado di verificare il rispetto delle indicazioni. Il Comune ha approvato una delibera per dotare la città di 3 km al giorno di bike lane e di un servizio di monopattini elettrici. E le ztl resteranno libere. Da domani ripartono le produzioni di cinema e tv: obbligo di mascherine fuori scena, ma non è chiaro come si rispetterà la distanza sul set.
V. Bisb.

 

Emilia Romagna e Marche
Spiagge chiuse in Romagna, ma aperte oltre il confine

Adividere l’Emilia-Romagna e le Marche, oltre al confine sul litorale, è l’approccio dei governatori alla Fase 2. Da Bologna Stefano Bonaccini ha infatti emesso un’ordinanza che consente, in linea con quanto stabilito dal governo, di passeggiare anche lontani da casa, purché non in spiaggia. Troppo alto il rischio che le persone si assembrino in riva al mare, e così le spiagge della Romagna resteranno chiuse. Diversamente, nelle Marche Luca Ceriscioli ha invece firmato un’ordinanza che consente passeggiate individuali sulle spiagge della Regione, pur senza “soste sull’arenile”, anche se ad Ancona la sindaca Valeria Mancinelli si è invece allineata a Bonaccini. Per il resto, in Emilia-Romagna ecco anche l’obbligo di mascherina qualora ci si trovi in locali aperti al pubblico o in luoghi all’aperto che non consentano il distanziamento sociale.

 

Campania
Ora De Luca si allinea a Roma Ma chi viene da fuori si isolerà

Vietato correre, anzi no. Vietato l’asporto del cibo, anzi no. La repentina retromarcia del governatore della Campania Vincenzo De Luca avviene ieri mattina, al termine di una videocall con i presidenti provinciali delle Camere di Commercio. Ed è successiva di poche ore all’emanazione di un’ordinanza piuttosto restrittiva sull’avvio della fase 2, che comprendeva i divieti poi revocati (“si può solo passeggiare”), preceduta dalla consueta pittoresca diretta Facebook del venerdì pomeriggio. Durante la quale De Luca ha dileggiato i runners non giovanissimi dipinti come “vecchi cinghialoni da arrestare subito per oltraggio al pudore” ai quali preferire le belle ragazze “toniche e coi fuseaux”.
Con i ritocchi di ieri, la Campania si avvicina agli standard del Dpcm di Conte. Ma è prevista la quarantena per chi proviene dalle altre Regioni.
Vin. Iur.

 

Calabria e Sicilia
La Santelli corre, i Comuni no In Sicilia misure per chi rientra

Tra il dpcm di Conte, che punta a una graduale apertura delle attività commerciali, e l’ordinanza della governatrice Jole Santelli, una sorta di “tana libera tutti” con l’apertura di bar, pizzerie, rosticcerie e pure i mercati all’aperto, in Calabria c’è ancora confusione sulla Fase 2. In attesa di capire se il provvedimento della Santelli sarà impugnato, come ha lasciato intendere il ministro Boccia, ci hanno pensato i sindaci a mettere una pezza alle polemiche, chiarendo che, nei loro Comuni, resta in vigore quanto stabilito a livello nazionale. Al momento, quindi, dal 4 maggio bar e pizzerie possono somministrare alimenti da asporto. Il dubbio resta il servizio con tavoli all’aperto mantenendo le giuste distanze. Per la Regione questo è possibile. In realtà, saranno i Comuni a vietare che ciò avvenga. Intanto, in Sicilia Nello Musumeci ha dato il via libera alle seconde case e al rientro dalle altre Regioni, a patto che chi arrivi resti isolato per 15 giorni.
Lu. Mu.

2,7 morto che parla

Grande successo, soprattutto fra Bergamo e Brescia, per il simpatico giochino dell’Innominabile sui morti che “se potessero parlare” direbbero di riaprire tutto subito. I cabalisti stanno seriamente pensando di cambiare numero al “morto che parla” (47 nella Smorfia romana e 48 nella napoletana) in base agli ultimi sondaggi di Italia Morta (2,7 Morto che Parla). Inebriato dalle migliaia di insulti che han trasformato la sua pagina Facebook in una mattanza di tonni, l’Innominabile persegue un’astuta strategia di marketing a base di slogan di sicuro effetto sfollagente. Il Fatto è in grado di anticipare i prossimi.

“Se Abele potesse parlare, direbbe: ‘Caino, averne di fratelli come te!’”.

“Se Sansone potesse parlare, direbbe: ‘Muoia Sansone e lunga vita a tutti i Filistei!’”.

“Se Achille potesse parlare, direbbe: ‘Ahò, Paride, ammazza che mira che c’hai!’”.

“Se Cleopatra potesse parlare, direbbe: ‘Ma quali gatti, cani e canarini! Aspidi tutta la vita!’”.

“Se Giulio Cesare potesse parlare, direbbe: ‘Bruto, figlio mio, non ti facevo così bravo col coltello! Papi è fiero di te!’”.

“Se Gesù potesse parlare, direbbe sulla croce: ‘Dio mio, Dio mio, abbandonami subito!’”.

“Se il generale Custer potesse parlare, direbbe: ‘Quel manzo abbronzato di Toro Seduto mi arrapa da bestia!’”.

“Se Maria Antonietta potesse parlare, direbbe: ‘Oh, sì, Robespierre, decapitami ancora ché son tutta bagnata!’”.

“Se Marat potesse parlare, direbbe: ‘Eddài, Carlotta, dacci dentro, una coltellata alla schiena è poco, puoi fare di meglio!’”.

“Se Mussolini potesse parlare, direbbe: ‘Compagni, geniale l’idea di appendermi da morto a quel distributore per i piedi!’”.

“Se JFK potesse parlare, direbbe: ‘Quell’Oswald se non ci fosse bisognerebbe inventarlo’”.

“Se Martin Luther King potesse parlare, direbbe: ‘A me ‘sti negri son sempre stati sul culo’”.

“Se Che Guevara potesse parlare, si iscriverebbe alla Cia”.

“Se Salvador Allende potesse parlare, direbbe: ‘Ho sempre avuto un debole per quello scavezzacollo di Pinochet e quel monellaccio di Kissinger’”.

“Se Aldo Moro potesse parlare, direbbe: ‘Guai se trattate coi Br per salvarmi, tanto un giorno mi succederà Matteo Renzi’”.

“Se Falcone e Borsellino potessero parlare, direbbero che in fondo un po’ di mafia non ha mai fatto male a nessuno”.

“Se papa Wojtyla potesse parlare, direbbe: ‘Ehi, Alì Agca, un po’ più su!’”.

“Se Saddam Hussein e Bin Laden potessero parlare, direbbero: ‘Forza Yankeeees!’”.

“Se l’Innominabile fosse vivo, direbbe: ‘O bischero, ma che cazzo dici?’”.

Test, cosa non torna

In questi giorni siamo a corto di notizie fresche su SarsCov2. L’abbiamo trovato nell’aria, nell’acqua, nelle lacrime, nelle feci, insomma quasi dappertutto.
Per le terapie, sebbene si registrino alcuni successi, siamo ancora nella fase di valutare i risultati dei trial clinici in corso.
Il vaccino americano ha superato la fase 1, che vuol dire che non è tossico, ma questo non ha niente a che vedere con l’efficacia che è ancora tutta da provare.
Dopo i primi comunicati che ce lo davano pronto addirittura da lì a “una settimana”, sappiamo che ci vorrà almeno un anno, se tutto andrà bene.
Insomma, calma piatta. Allora di un lavoro che conferma un dato già conosciuto si fa una notizia. Mi riferisco a quanto pubblicato su “Nature Medicine” da un gruppo cinese: “Risposta anticorpale a SarsCov2 dei pazienti Covid-19”, che riferisce appunto la presenza di anticorpi IgG (quelli che sono la nostra memoria di un’infezione avvenuta in precedenza) nel 100% dei pazienti esaminati.
I test sierologici che si stanno usando nel mondo, malgrado le perplessità espresse ufficialmente il 24 aprile dall’Oms, sono in gran parte prodotti dai cinesi che da circa un mese ci assicurano che sono in grado di rilevare gli anticorpi IgM (quelli che vengono prodotti durante l’infezione) e le IgG. Perciò è già tutto noto (forse): sapevamo che il virus producesse gli anticorpi IgG, se no non ci avrebbero venduto i test.
Le ipotesi sono due: o quella pubblicata su “Nature” è una non notizia, o ci hanno venduto i test con informazioni senza la sicurezza che le IgG fossero presenti.