Si è fatto una domanda, si è risposto “on demand”: Andrea Rivera – attore, autore, cantautore – è pronto per lanciare il suo originale progetto di “teatro 2.0, The Best(ia) of Rivera, un grido di gioia e di dolore, uno spettacolo live a pagamento”, che debutterà su Vimeo il prossimo 7 maggio e sarà scaricabile dalla piattaforma a 8,50 euro.
Come le è venuta questa idea?
Ho pensato che il web fosse l’unica possibilità di sopravvivenza: non solo mia, ma anche delle maestranze e degli altri lavoratori coinvolti nel mio spettacolo, oltre che degli spettatori, ovvio. La risata rafforza il loro sistema immunitario.
Come si sente, lei che è un artista, in questo momento? Trascurato dalle istituzioni?
Trascurato dalle istituzioni? Mi viene da ridere: quelle mi hanno sempre messo gli occhi addosso, perciò vado poco in televisione. Se fossi invisibile, non mi censurerebbero. D’altronde l’hanno sempre fatto, anche con i più grandi, penso ad esempio a Dario Fo e Franca Rame, miei maestri: questi sono i miei veri premi, il loro riconoscimento e la loro stima. Se fossi depresso non andrei avanti nel mio lavoro: ci sono altre sfide, nuovi progetti; con Cristicchi voglio imbastire un Aspettando Godot, dal titolo Beckett a pezzi.
Perché è importante ora continuare a fare arte, e dal vivo?
Gli spettacoli intelligenti sono l’unico vaccino contro il vero virus, che è il non sapere, il non conoscere, il non leggere.
Morirà lo spettacolo dal vivo, dopo questa pandemia?
Le piccole realtà creative, come i piccoli artigiani, soffriranno di più. Ma io, come ho scritto in uno spettacolo, “ho risorto”, così come risorgerà il teatro.
La bellezza salverà il mondo, o lo faranno piuttosto i vaccini e i prestiti di denaro alle aziende?
Le favole cominciano tutte con “c’era una volta”: il problema è quello che hanno fatto, o non fatto, prima; i tagli alla Sanità, ad esempio. Ora, come antivirale, non ci resta che la letteratura; perciò io non “M’allarmé”.
Qual è la trama del suo show?
La trama è sempre la stessa: c’è sempre chi trama per non farlo uscire… Poi, i miei cavalli di battaglia, come il monologo delle medicine, canzoni, giochi di parole, improvvisazioni… I miei punti di riferimento, geniali, sono Bergonzoni e Rezza.
È ancora tempo di ridere? O la risata oggi suona irrispettosa?
La satira è sempre rispettosa perché dice ciò che non si deve dire, svela la realtà censurata: il successo vero è essere geni incompresi perché se si conosce bene il potere si rischia di non lavorare più.
Perché un cittadino, angosciato dal virus e impoverito dalla crisi, dovrebbe aver voglia e modo di pagare un biglietto, seppur forfettario, per il teatro?
Perché siamo il pane; il teatro, la cultura sono il pane quotidiano.
Ma in video e online il teatro non rischia di essere snaturato?
C’è questo rischio, ma bisogna correrlo… E poi mi stanno già chiedendo lo spettacolo tanti italiani all’estero: spero che diventi virale, in senso positivo.
Lei ha lavorato ovunque, dalla tv al palco, vincendo premi…
Più che la fama mi interessa la fame: sono stato spesso ostracizzato, ma ho sempre tirato dritto, come mi hanno insegnato. L’unica raccomandazione che mi ha dato mio padre è di non avere mai raccomandazioni. Il nostro ambiente è un bel “fotton club, in cui siamo troppi per pochi padroni”. Ecco perché ci vuole molta autoironia.
Lo spettacolo era già in crisi…
Certo; pensi che i grandi circuiti teatrali non vanno neppure a vedere gli spettacoli, li acquistano a scatola chiusa in base al nome… Mi ribattezzerò Andrea Fo, così qualcuno comprerà almeno le mie cover.
In questo momento storico vorrebbe non essere un artista?
No, no, vorrei solo cambiare molti teatri restando me stesso.