Maschere speciali, diplomi “felini” e un nuovo vocabolario del virus

 

Il virus ci ha costretti al giro del mondo in 35 ore

La mia avventura con il riposo forzato è iniziata il 6 marzo quando io e mia moglie ci siamo imbarcati per Salvador de Bahia in Brasile. Sentendo le notizie che arrivavano dall’Italia, dopo una settimana, abbiamo preferito tornare. Con il primo volo disponibile eravamo a Porto Seguro, da lì abbiamo preso un volo fino a Belo Orizonte, poi fino a Lisbona e quindi siamo arrivati a Monaco di Baviera. In fila per l’aereo per Venezia, ci è stato detto che il volo era completo. Abbiamo deciso di prendere il treno ma arrivava solo fino a Villach. Dopo aver preso un taxi fino alla stazione, ho chiesto al conducente se ci accompagnava al Brennero, lui ha accettato. Ma al Brennero la polizia austriaca non voleva farci proseguire: dopo un quarto d’ora di discussioni e suppliche, alla fine ci concessero di arrivare alla stazione dei treni. Siamo riusciti a prendere l’ultimo per Verona e dopo per Vicenza, finalmente a casa, dopo 35 ore in giro per il mondo. Adesso sono a casa dal 14 marzo e passo le mie giornate leggendo il Fatto al mattino, mentre pedalo sulla cyclette, aiutando mia moglie, sentendo al telefono figli, mamma, amici e parenti. E leggo, leggo molto, ho appena terminato 1Q84, bellissimo, emozionante, ho letto Cecità di Saramago, poi i tre libri di Yuval Noah Harari, e questi mi hanno fatto pensare su dove stiamo andando a finire se non cambiamo un po’ il nostro modo di vivere. Ho 70 anni e porto pazienza, continuo a rimanere in casa, più avanti mi auguro di tornare a quello che facevo prima, magari da dove ero, chissà magari tra poco riuscirò a tornare in Brasile, altrimenti pazienza.

Carlo Pegorotto

 

Una festa di laurea… per quattro gatti

In piena Pandemia Boo (la gatta nella foto, ndr) ha conseguito la Laurea, col benestare dei soliti cani e porci. Certo, non era quello che sognava, laurearsi per via telematica. Lontano da mici e parenti. Ma si sa, la vita dei gatti è come una scatola di croccantini. Ciononostante non si è lasciata abbattere e anche grazie alle sue zie che le hanno fatto recapitare la corona di Laurea ha potuto fare le foto di rito. Ci sarà tempo per festeggiare e sarà bellissimo. “Torneremo a farci le fusa e a bere gin&tonni” cit.

L’umana dispensatrice di scatolette

 

Una mascherina per tutta la redazione

Come vostra lettrice affezionata vi voglio al sicuro per il piacere di leggervi quotidianamente. Quindi ho pensato a questa mascherina (non un bavaglio) che spedirò per posta a Marco Travaglio, la mia penna preferita, ma la MERITATE TUTTI! (la mascherina “del Fatto” è nella foto qui accanto, ndr)

Cristina

Raccontateci le nuove parole del virus

Caro Direttore, in questo periodo di quarantena ho scoperto che sono arrivate nuove parole nell’uso quotidiano (Covid-19, coronavirus, Lockdown…), altre invece hanno cambiato significato o valore. Mi piacerebbe che si chiedesse agli amici lettori del Fatto quali parole sono entrate nel loro quotidiano. Io ne ho contate un centinaio vecchie e nuove.

Enrico 77

 

Caro Enrico, ottima idea! Cari lettori, sotto con le parole!

(m. trav.)

Emorragia a 5Stelle, a Milano se ne vanno in quattro “La democrazia diretta è solo una grande truffa”

Fuori in quattro, tutti assieme. Dopo una settimana in cui il M5S aveva già perso quattro parlamentari, due espulsi per le mancate restituzioni (il senatore Mario Giarrusso e il deputato Nicola Acunzo) e due usciti dal gruppo per dissenso politico (i deputati Antonio Zennaro e Fabiola Bologna), l’emorragia a 5Stelle riparte da Milano, con l’addio di quattro eletti: il consigliere comunale Simone Sollazzo, i consiglieri municipali Giuseppe Ventura e Cristina Russo, e Marco Cardillo, consigliere comunale a Cornaredo. Una scelta che gli ormai ex grilini spiegano così in un comunicato: “Non possiamo più accettare di stare con quelli che, invece di cambiare l’Italia, non hanno cambiato nulla, diventando la stampella delle vecchie forze politiche e rinnegando le ragioni per le quali erano stati eletti”.

E la chiosa è al curaro: “I processi decisionali sono inaccessibili a coloro posti fuori da vari cerchi magici, è la grande truffa della democrazia diretta”. I quattro hanno annunciato il passaggio al gruppo Misto.

Ma il consigliere comunale a Milano Gianluca Corrado già li accusa: “Per coerenza dovrebbero dimettersi, nel 2012 ci siamo impegnati a non passare al Misto o ad altre forze politiche”. Però il nodo principale rimane la costante uscita di eletti dal M5S, quasi un’alluvione a livello locale. “Ma c’è un’aria cupa anche nei gruppi parlamentari, presto se andranno altri” profetizza un big di stanza a Montecitorio. “Magari a uscire saranno alcuni degli altri parlamentari sotto procedura per le mancate restituzioni”, fanno notare dal Movimento. Però a incidere è anche l’incertezza sugli equilibri di potere e sulla rotta politica. Il rinvio a data indefinita dell’elezione del capo politico e soprattutto degli Stati generali, quello che dovrebbe essere il congresso dei Cinque Stelle, ha lasciato sul campo una serie di nodi che alimentano l’esodo.

 

Per arginare Zaia, ora Salvini pensa all’unità nazionale

Nella Lega qualcosa si muove. Dopo anni di dominio incontrastato da parte di Matteo Salvini, il terreno sotto i piedi del Capitano inizia a farsi scivoloso. Con Luca Zaia che sale alla ribalta e ruba la scena al capo e Giancarlo Giorgetti che, per la prima volta, si mette di traverso. Il rischio, per l’ex ministro dell’Interno, alla fine, è quello di trovarsi solo, sul trono ma con l’unica compagnia di consiglieri tanto inaffidabili quanto pittoreschi.

L’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera è impietoso: 25,4%, quasi dieci punti in meno rispetto alle Europee del 2019 (34,3). Per questo motivo l’idea che frulla in questi giorni nella testa di Salvini per tentare di invertire la rotta è quella di tornare in gioco. Sparigliare. Ormai è chiaro, infatti, che si andrà a votare a scadenza naturale, nel 2023, magari dopo un grande election day da celebrare nel 2021. “Salvini non può permettersi una traversata nel deserto così lunga, quasi tre anni all’opposizione a cantare sempre la stessa canzone, che ha stufato e non gli frutta più nulla in termini di consensi. Anche se i sondaggi odierni sono dopati dall’emergenza Covid-19, Matteo rischia di arrivare alle urne spompato”, racconta un autorevole esponente della Lega.

Da qui nasce la consapevolezza, per il leader leghista, di tornare in gioco. Ma in che modo? L’idea è sempre quella di un esecutivo di unità nazionale per il post-emergenza, guidato da Conte oppure da un’altra personalità. Che poi è la stessa idea di Giorgetti (che vorrebbe Draghi). Così il leader leghista sta facendo recapitare ai suoi interlocutori nel Pd e nei 5 Stelle il messaggio di una disponibilità leghista in caso di esecutivo di unità nazionale, con Conte alla guida o, meglio ancora, senza. Messaggi giunti a destinazione che, per ora, vengono soppesati con perplessità. Più nel Pd che nei 5 Stelle. Dove, in fin dei conti, Salvini gode ancora della stima di Luigi Di Maio. E l’asse con cui Lega e 5 Stelle governano ancora insieme in Rai, senza far toccare palla al Pd, è lì a dimostrarlo.

Il disegno di Salvini ha però due ostacoli: lo stesso Conte, che vuole tenerlo il più lontano possibile, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, poco incline all’interventismo, e che invece dovrebbe essere il deus ex machina di una simile operazione.

Tutto ciò servirebbe a Salvini anche a sminare i pericoli interni. Nel Carroccio, infatti, l’emergenza Covid ha “istituzionalizzato” tre correnti. Quella di Salvini, maggioritaria, composta dai fedelissimi che gli devono tutto. Quella di Giorgetti, composta quasi esclusivamente da se stesso ma dal grande peso specifico dacché è l’unico a parlare con i salotti buoni dell’impresa, della finanza e del mondo bancario, a cominciare da Draghi. E quella di Luca Zaia, l’astro nascente, il governatore che tutto il mondo ci invidia per come sta gestendo l’emergenza virus. È lui che Salvini teme moltissimo, perché è con Zaia che inizia a far sponda tutto quel mondo autonomista che non ha mai digerito la svolta “nazionale”. Non è un caso che il leader in queste settimane si sia speso pancia a terra in difesa di Attilio Fontana, prestandogli pure il suo portavoce, e per Zaia nemmeno una parola. “Il governatore veneto avrebbe tutte le carte per lanciare un’Opa sulla Lega. È autonomista ed è amatissimo dal suo popolo. Ha l’identikit perfetto. La domanda è: lo farà?”, si chiede il nostro interlocutore. “Chi vuole spaccare la Lega si ricordi che fine ha fatto Tosi”, risponde Maurizio Belpietro ieri su La Verità, quasi per bocca del Capitano. Che ieri ha presentato una mozione di sfiducia per il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

Nel frattempo, il 12 marzo sul web è sbarcata La (nuova) Padania, giornale online guidato dall’ex direttore della Padania cartacea (chiusa nel 2014), Stefania Piazzo. Tra i collaboratori Luigi Negri e Giancarlo Pagliarini. “Vogliamo riproporre lo spirito dei primordi: dare notizie ed essere irriverenti”, dice Piazzo. Che, con eleganza, bastona un po’ tutti, nessuno escluso: Salvini, Giorgetti, Fontana, Zaia.

Mister Fuochi d’Artificio anche stavolta ha fatto flop

E il volenteroso dottor Bertolaso? Lasciatosi alle spalle le sofferenze d’Africa (diceva: “Io in Africa sto benissimo, non torno”) da un mese e mezzo vola da una Regione all’altra, a sovrintendere la sua personale rinascita psico-tecnica. Per farlo si è messo sulle rotte del nuovo Covid-19 e della vecchia politica che lo hanno richiamato in servizio bipartisan, il centrodestra in Lombardia, per fare un dispetto al governo, il centrosinistra nelle Marche, per fare un dispetto a se stessi. Da allora si sposta con staff di ingegneri, luci blu, planimetrie in favore di telecamere, proprio come ai bei tempi. “Sono tornato in punta di piedi” ha detto. Ma anche in punta di piedi è riuscito a inciampare.

Il padiglione in Fiera e lo sponsor di sempre: B.

Alla Fiera di Milano, dove doveva costruire un portentoso padiglione da “600 letti in sei giorni!” ha rimboccato le coperte a una dozzina di pazienti, vuote tutte le altre postazioni. E meno male che il progetto, realizzato nei 25 mila metri quadrati del Padiglione, si sia sgonfiato strada facendo. I 600 letti dei primi punti esclamativi sono diventai 400, poi 200, ora si sono fermati a 157. Un gran bene per la salute pubblica, un po’ meno per le tasche generose dei privati che hanno finanziato l’opera con 21 milioni di euro, i primi 10 offerti dal suo antico sponsor, Silvio Berlusconi, che per una decina d’anni lo ha usato come suo personale dispositivo di potere. Ma niente paura, “i letti serviranno per il ritorno della pandemia in autunno” dicono i beneauguranti funzionari della Regione Lombardia, Attilio Fontana in testa, che prevedono con certezza le prossime ondate, dopo essersi lasciati sorprendere e travolgere dalla prima. “In ogni caso – dice Bertolaso – serviranno a dare ossigeno alle strutture esistenti”. Domandona: non sarebbe bastato evitare di smantellarne così tante in questi ultimi vent’anni? Ma è inutile farla, la risposta è standard: “Facile ragionare col senno di poi”.

Anche nelle Marche, Bertolaso è arrivato come un capo di Stato, a bordo addirittura di un elicottero dei carabinieri. Atterrato sul molo del porto di Ancona, lo aspettavano il presidente della Regione Luca Ceriscioli, una manciata di assessori e i fotografi. Era il 23 marzo. Sembrava l’inizio di un grande film con il vento e le fanfare. Peccato che a forza di strette di mano e abbracci si siano tutti contagiati tra loro, compreso il super medico Bertolaso, che avrebbe almeno dovuto sospettarlo. Risultato: due settimane al San Raffaele di Milano per le cure (“ho sofferto l’angoscia dell’ossigeno che manca”) un mese di ritardo per il cantiere. Che nel frattempo ha cambiato sede. Non più Ancona, ma Civitanova Marche, 12 milioni la spesa prevista, tutti raccolti da donazioni private. Questa volta due moduli da 42 letti ciascuno, disposti su un’area di 5 mila metri quadrati, metà per la terapia intensiva, l’altra per la sub intensiva. “Un’astronave tecnologicamente avanzata” l’ha definita Bertolaso, tornato la scorsa settimana, stavolta con mascherina e guanti, per una breve apparizione che non prevedeva l’interferenza delle domande.

L’astronave e altre scenografie

L’astronave, ha annunciato, sarà la prima di una serie. “Ci dovranno essere ospedali Covid-19 in tutte le Regioni d’Italia per combattere e vincere questa tremenda guerra”. Non importa se anche nelle Marche la linea dell’emergenza sia in declino. Né che tra il 2010 e i 2018 siano stati chiusi 13 ospedali nella regione, tagliati due letti ogni dieci, cioè 1400 posti in meno. Con interi piani di ospedali vuoti, proprio a Civitanova. Né che i reparti di terapia intensiva siano appena cresciuti da 108 a 167 letti. Il governatore Ceriscioli e la giunta non sentono ragioni: “Sarà una garanzia per tutti”. Davvero?

La verità è che l’emergenza, contabilizzata in moneta politica, chiede piani spettacolari. E Bertolaso è specializzato proprio in fuochi d’artificio dai tempi della sua Protezione civile trasformata in una task force con spesa illimitata – una decina di miliardi in nove anni – appalti e assunzioni a chiamata diretta, 800 uomini aviotrasportati e pronti a tutto. Non solo a gestire i terremoti, le inondazioni, le frane, i rifiuti a Napoli. Ma anche i Mondiali di nuoto, il Congresso europeo delle famiglie numerose, le regate Louis Vuitton, le rotonde per i Mondiali di ciclismo, i pellegrinaggi a Loreto, la riesumazione delle sacre spoglie di Padre Pio. Cioè tutti spettacoli pirotecnici con preparatissima copertura mediatica, proprio il contrario delle emergenze.

Fino all’apoteosi del G8 alla Maddalena, anno 2009. Quando vennero bruciati quasi 400 milioni di euro per allestire sull’isola il palcoscenico del summit, costruire alberghi, centri congressi, ristrutturare il porto, bonificare malamente qualche fondale. Per poi abbandonare l’isola in meno di un giorno, lasciando alla salsedine di tramontana il compito di demolire tutto in dieci anni di incuria. Compreso il processo seguito allo scandalo – erano i tempi di Balducci, di Anemone del patetico relax al Salaria Sport Village – finito l’anno scorso in prescrizione, bye bye al G8 e ai suoi danni, che vennero prestamente riallestiti a L’Aquila, sempre da Bertolaso con la sovrintendenza di Berlusconi e Gianni Letta, proprio sulle macerie del terremoto, scenografia buona per trasformare la tragedia delle lacrime in una cerimonia. E la cerimonia in propaganda.

Sta accadendo di nuovo sulla coda velenosa del Covid, e sulle macerie che si lascia dietro. Non a caso, da una decina di giorni, corrono voci di una prossima candidatura di Bertolaso a governatore delle Marche, non si capisce se per la sinistra o per la destra. Lui smentisce, anzi si offende “sono qui nell’esclusivo interesse del Paese, non ho fini personali”. Ma aveva smentito anche la sua candidatura a sindaco di Roma, anno 2016, per poi accettarla e un mese dopo ritirarla, abbandonato prima da Giorgia Meloni, poi da Salvini, infine da Berlusconi. Il tutto spazzato via dall’onda anomala di Virginia Raggi.

La onlus battuta anche dagli alpini

Ma il passato è passato. Le sue astronavi ospedaliere “sono un pezzo di futuro. Verranno a studiarle da tutto il mondo”. Chissà se per replicarle o per tenersene alla larga. Visto che sono totalmente separate dagli ospedali, distanti dagli altri reparti necessari a integrare le cure, quando scatta l’emergenza. E che per farle funzionare avranno bisogno di un infermiere ogni tre letti e un medico ogni due, moltiplicati su tre turni, come vuole lo standard sanitario: infermieri e medici che al momento non ci sono.

Ma Bertolaso non si ferma ai dettagli. Per quelli ci sono i tecnici della sua Onlus operativa, il Corpo italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, che raccoglie i soldi e sovrintende i lavori a Milano, a Civitanova e chissà dove altro ancora. Prevedevano di battere i cinesi sul tempo, ma li hanno battuti anche gli alpini a Bergamo. Prevedevano di riempirle in un attimo, ma sono ancora vuote. Cattedrali fuori tempo massimo, per la fortuna di tutti noi. E pazienza per il dottor Bertolaso, arrivato in controtempo.

Un decreto fatto da donne per penalizzare i puttanieri

Riflessioni sparse sulla fase 2. Il decreto è uguale per tutti. La fase 2 ricorda quando a scuola c’era un compagno che lanciava il diario della secchiona fuori dalla finestra e l’insegnante, per punizione, toglieva il diritto alla ricreazione a tutta la classe: “Perché punisce anche noi che non abbiamo fatto niente?”.

Ecco. Molise, Umbria, Basilicata, Sardegna e altre regioni in cui il contagio è ormai sotto controllo, devono rispettare i tempi di regioni come il Piemonte o la Lombardia in cui il contagio è ancora fuori controllo. E se qualcuno prova a protestare, “Eh ma hai presente il prodotto interno lordo della Lombardia?”. Appunto. Hai presente il prodotto interno lordo di un parrucchiere molisano? Perché non permettergli di ricominciare un mese prima rispetto a quello milanese? Diciamoci la verità: se i contagi, al contrario, fossero stati alti in Molise e ormai pari a zero in Lombardia, ci saremmo detti ad alta voce quello che si dice a bassa voce da anni: il Molise non esiste, andiamo avanti.

La questione congiunti. L’ultima volta che avevo sentito la parola “congiunto” è quando morì mio nonno e quello delle pompe funebri domandò a mio padre se il loculo fosse accanto a quello del congiunto. Ora la rispolvera il buon Conte per farci sapere che possiamo spostarci da casa solo per andare a fare visita ai congiunti, a patto che vivano nella stessa regione. Che poi è un modo come un altro per dire: “Esci quando ti pare e se ti fermano ‘vado da zio’”. E visto che giustamente qualcuno ha fatto notare che “congiunti” è un termine limitante e che il decreto non tiene conto dei legami che non sono di sangue, Conte ha specificato che per congiunti si intendono anche “affetti e fidanzamenti stabili”. Insomma, un decreto evidentemente suggerito da un comitato scientifico di sole donne le quali hanno chiesto al premier di penalizzare due precise categorie maschili: a) quelli che “scusa ma non desidero una relazione stabile, ho bisogno dei miei spazi” b) i puttanieri.

Il parco. Si potrà andare nei parchi pubblici ma dei vigili regoleranno il flusso all’ingresso quindi, in previsione delle file, alcuni cittadini milanesi si stanno organizzando per utilizzare la rete di tunnel scavate dalle talpe per partire da Lambrate e sbucare direttamente nei pressi del laghetto di parco Portello, saltando i cancelli. Nel decreto si specifica che le passeggiate insieme al parco sono riservate ai componenti della famiglia, quindi se all’altalena si incontrerà un conoscente bisognerà far finta di non conoscerlo, come con gli ex fidanzati. Sarà invece consentito abbracciare gli alberi, ma solo se appartengono al proprio nucleo familiare.

La corsa. Considerato che si potrà correre ma andrà tenuta la distanza di un metro dagli altri runner, non si potranno superare i corridori più lenti senza incorrere in una severa sanzione. Dunque, il culone primo della fila si avvia a diventare una sorta di tir autoarticolato con tre rimorchi sulla A 1 il 15 agosto: tutti dietro di lui, imprecando sudati.

No party privati. Conte ha scomodato termine gggiovane “party” convinto che i trasgressori saranno i gggiovani. Conte sottovaluta i vecchi. Tu dai la possibilità a tre sorelle ottantenni di vedersi a casa con i rispettivi mariti e ne viene fuori un torneo di burraco con un tale livello di agonismo, turpiloquio, inquinamento acustico e alcolismo che chiamarlo party è perfino riduttivo.

Parrucchieri e centri estetici. Tra gli ultimi ad aprire, il primo di giugno, ci sono i parrucchieri e i centri estetici. Alla notizia, ieri, c’è stato un picco di ricoveri per crisi respiratoria: non erano casi di Covid, ma di donne che non sapendo più come rimuoverlo avevano rosicchiato il gel per le unghie in metacrilato e trietilene. I cm medi della ricrescita femminile, per quella data, dovrebbero superare quelli della lunghezza dei capelli, per cui per uniformare il colore basterà tagliare le punte. Riguardo la prova costume, il mondo femminile, dopo due mesi di inattività e abbuffate consolatorie da quarantena, approva l’idea dei divisori in plexiglas in spiaggia ma solo se fumè. Si è calcolato che i centri estetici, con i soli incassi dei primi quindici giorni di giugno, saranno in grado di prestare dei soldi al Mes.

Le biblioteche. È con grande giubilo che gli italiani hanno accolto la notizia della riapertura delle biblioteche: tutti fremeranno dalla voglia di andarsi a rifugiare da qualche parte, al chiuso, per leggere un libro e scappare dalla frenesia dell’era moderna, il 18 maggio.

Il 4 maggio. Considerato che a maggio potremo andare a trovare parenti che ci stanno sui coglioni, dovremo fare la fila al sole fuori dal parco, far sanificare la maglietta di quello che l’ha provata prima di noi e, come se i sacrifici non fossero già sufficienti, fare pure sport, scusate ma credo che io ignorerò l’episodio 2 della fase decreti, confidando nel tre. Come per Star Wars.

Distanze e divieti, i bar riaprono a giugno

L’Italia prova a ripartire anche se tra mille cautele. Dopo l’annuncio di domenica del presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha illustrato le misure previste nella Fase 2 dell’emergenza Coronavirus, sono state autorizzate a riprendere le attività già nella giornata di ieri le aziende che operano nel settore dell’edilizia carceraria e scolastica o per i lavori contro il dissesto idrogeologico. Ovviamente laddove sia possibile garantire la massima sicurezza per i lavoratori. L’allentamento del lockdown sarà progressivo e in qualche modo sperimentale perché nel caso in cui i dati sul contagio dovessero tornare a peggiorare sarà possibile rivedere le norme contenute nel Dpcm da ieri in vigore. Ecco il calendario.

Dal 4 maggio. Oltre agli spostamenti per lavoro e motivi di salute, dal 4 maggio sono consentiti anche quelli all’interno dello stesso comune o della stessa regione per incontrare i congiunti (non solo parenti, ma anche fidanzati e affini come ha specificato Palazzo Chigi) ma con indosso le mascherine e con in tasca il nuovo modulo di autocertificazione. Non dovrebbe invece cadere il divieto di spostamento nelle seconde case ancorché il nuovo decreto non lo preveda. Sarà possibile andare a correre, anche distanti da casa purché da soli e comunque in modo da mantenere le distanze di sicurezza. L’accesso del pubblico ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici torna consentito ma è condizionato al divieto di assembramenti su cui vigilano i comuni. Gli atleti anche non professionisti delle discipline individuali, riconosciuti di interesse nazionale potranno riprendere ad allenarsi a porte chiuse. Riprende la ristorazione d’asporto ma con il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. Sono consentite le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, munite di mascherine e a distanza di sicurezza. Riaprono i battenti una serie di imprese, dalla manifattura alle costruzioni fino al commercio all’ingrosso e i cantieri privati.

Dal 18 maggio. Per questa data è prevista la riapertura dei negozi per la vendita al dettaglio con precauzioni stringenti sul contingentamento degli ingressi e sulla sanificazione dei locali. Riaprono anche mostre, musei, biblioteche e luoghi culturali che però diventano fruibili rispettando le misure di distanziamento sociali. Riprende l’attività di ricerca e di laboratorio nelle Università e negli enti di ricerca dove possono tornare a svolgersi attività di studio, tirocini e esami. Riprendono anche gli allenamenti per gli sport di squadra, con l’incognita maggiore legata all’eventuale ripresa del campionato di calcio di Serie A.

dal 1° giugno. Prevista la riapertura di bar e ristoranti, ma con regole rigide sulle distanze che dovranno osservare i clienti e con l’obbligo di guanti e mascherine per il personale. Riaprono inoltre i centri estetici, i parrucchieri e i barbieri e i centri massaggi dove saranno imposti guanti e mascherine per clienti e personale.

‘Congiunti’ vuol dire anche fidanzati: il rebus dei controlli

Uno dei punti più discussi dell’ultimo decreto del governo è quello che riguarda i “congiunti”. Dal 4 maggio, infatti, sono consentiti “gli spostamenti per incontrare congiunti” all’interno della stessa Regione “purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie”. Ma chi fa parte di questa categoria? A chi si può fare visita? È la domanda che si sono posti tantissimi italiani: dalle 21 di domenica sera infatti sono schizzate le ricerche su Google. Così negli uffici di Palazzo Chigi e del Viminale si sta lavorando per dare risposte precise, necessarie soprattutto per i controlli delle forze dell’ordine che continueranno a esserci.

Intanto fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che per “congiunti” si intendono parenti, affini, coniugi, conviventi, ma anche fidanzati e affetti stabili. È stata poi la ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, a ribadire, sull’Huffington Post, che sono comprese anche le coppie di fatto. “Lavoreremo nei prossimi giorni per un chiarimento”, ha aggiunto la ministra. E nei prossimi giorni, nella sezione domande frequenti sul sito del governo, saranno pubblicate risposte a ulteriori dubbi interpretativi sul provvedimento.

In linea generale, le visite consentite non comprenderanno gli amici. Ma in realtà se ne sta ancora discutendo. È in questa settimana che le cose saranno chiarite definitivamente anche perché bisogna fornire indicazioni precise alle forze dell’ordine, impegnate nei controlli e che dal 4 maggio si ritroveranno a dover eseguire verifiche su molte più persone, essendoci meno limiti nella circolazione.

In settimana quindi il Viminale – che sta approfondendo norme e sentenze – preparerà un nuovo decreto e una circolare da diramare ai prefetti per chiarire quando è consentito fare le multe.

La giurisprudenza. La nozione di parentela viene definita nell’articolo 74 del codice civile in cui si chiarisce che “la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”. Ma nel decreto di Conte si parla di congiunti, non di parenti. In questo caso, è l’articolo 307 del codice penale – che riguarda l’“assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata” – che fornisce una definizione di “prossimi congiunti”, ossia “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. Un riferimento c’è poi anche nella sentenza della IV sezione penale della corte di Cassazione del 2014, la numero 46351, in cui – nel caso in esame – è stato riconosciuto il risarcimento del danno alla fidanzata di un uomo morto in un incidente stradale. Ma si tratta di sentenze penali.

Le autocertificazioni. Alla luce delle nuove regole quindi bisognerà ripensare anche ai controlli che saranno molto più complessi. Non è pensabile infatti continuare a fermare i singoli automobilisti anche perché questo comporterebbe code di auto infinite, soprattutto nelle grandi città dove il traffico – anche alla luce degli ingressi contingentati sui mezzi pubblici – aumenterà inesorabilmente. L’autocertificazione però resta, anche se il modulo cambierà, seppur di poco. Proprio sulle autocertificazioni consegnate dai cittadini verranno poi eseguite verifiche a campione, in un secondo momento, per capire se le dichiarazioni rilasciate sono veritiere: per esempio si accerterà che all’indirizzo fornito davvero abita la zia così come detto.

Parchi. Forze dell’ordine saranno posizionate di certo all’ingresso e all’interno dei parchi, dove dal 4 maggio è consentito l’accesso restando il divieto di assembramenti e la necessità di mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro. Saranno però i sindaci a stabilire se e quali aree riaprire. Per ora sia Milano che Roma non hanno preso una decisione. Sono già partiti i confronti tra primi cittadini. Per quanto riguarda la Capitale una decisione potrebbe arrivare dopo una riunione programmata per giovedì.

 

I fumetti degli eroi antimafia con il Fatto

Chiedi chi erano gli eroi è la collana di fumetti dedicata alle figure più importanti che hanno dedicato la vita alla lotta alla mafia e sul fronte della legalità. Ogni settimana da oggi, per dodici uscite, in edicola con Il Fatto, ci sarà un libro che racconterà con la tecnica del fumetto i protagonisti e le vittime della Resistenza civile alle mafie.

Si inizia oggi con Giovanni Falcone, per proseguire il 5 maggio con Paolo Borsellino, entrambe le storie sono disegnate da Giacomo Bendotti. La collana si inserisce nella campagna #NonFermareilPensiero lanciata sui social da Paper First, la casa editrice del Fatto Quotidiano, in occasione del lockdown. Il blocco delle uscite non deve significare blocco delle menti. Né per gli adulti, che il 4 maggio in parte ricominceranno a uscire per andare al lavoro, né per i ragazzi, costretti a stare lontani dalle scuole fino a settembre. Perché non approfittare di queste giornate preziose in cui giovani e meno giovani condividono più ore del solito per leggere insieme la storia di Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani o Pippo Fava? Perché non tentare di portare i ragazzi, ora che hanno più tempo libero per pensare, dentro queste storie per loro così lontane, eppure scritte nella carne del Paese e indelebili nella mente di chi c’era?

L’idea di Chiedi chi erano gli eroi è ‘rubata’ come il titolo della collana alla poesia di Roberto Roversi e alla bellissima canzone degli Stadio del 1984. “Chiedilo a una ragazza di quindici anni di età”, diceva la canzone. Ci siamo chiesti cosa direbbe oggi la ‘ragazza bellina’ quella con ‘gli occhiali e la vocina’ se invece che dei Beatles le si chiedesse ‘Ma chi era mai questo Borsellino?” o Lea Garofalo, magari.

Per rispondere a quella domanda, abbiamo immaginato una collana che mettesse insieme i migliori libri delle due case editrici più impegnate: Round Robin e Becco Giallo. Così per quella ragazza e per i suoi genitori, ma anche per i tanti amanti del fumetto di qualità, è venuta fuori questa collana sotto il coordinamento di Luigi Politano. Finalmente i fumetti tornano nella loro sede naturale: l’edicola, abbandonata da quando le graphic novel si sono trasferite negli scaffali delle librerie. Le migliori pubblicazioni italiane degli ultimi anni disegneranno con i fumetti la storia dell’antimafia. Falcone e Borsellino poi Pippo Fava, di Luca Ferrara e Luigi Politano, e Don Gallo di Roberto “Lau” Lauciello (disegni) e lo scrittore genovese Angelo Calvisi. Poi Don Peppe Diana, Lea Garofalo, Giancarlo Siani, Antonino Caponnetto, Libero Grassi, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Giornalismo e illustrazioni insieme in un mix di graphic journalism perfetto per avvicinare i più giovani a storie troppo spesso raccontate con linguaggio polveroso da iniziati. Ogni volume avrà dopo il fumetto una parte di testo con la cronologia della vita e del periodo narrato e in aggiunta contributi e prefazioni autorevoli come quella scritta da Maria Falcone per il volume in uscita oggi.

La collana sarà presentata oggi alle 18 con una diretta Facebook insieme all’autore Giacomo Bendotti, Vito Foderà di Accademia Popolare Antimafia e lo storico delle mafie Enzo Ciconte. Domani diretta Facebook alle 18:30 con Gaetano Curreri degli Stadio, che dopo il titolo ci regalerà un contributo in diretta, il magistrato antimafia che ha guidato il Pool Trattativa, Vittorio Teresi, e l’ex collaboratore di Falcone e Borsellino, Giovanni Paparcuri.

Balzo della spesa militare. Offensiva 5Stelle sugli F35

Quattrocento milioni di euro in più di spese militari. L’equivalente di 800 milioni di mascherine chirurgiche o di 40 mila ventilatori polmonari. Mentre il nostro Paese paga il prezzo dei tagli lineari alla spesa sanitaria degli ultimi dieci anni (37 miliardi, secondo la Fondazione Gimbe), dall’Istituto Sipri di Stoccolma arrivano dati che creano qualche malumore nella maggioranza: nel 2019 l’Italia ha continuato ad aumentare la spesa militare (+0,8%) e lo farà anche nel 2020. Mentre il centro di ricerca svedese rileva l’aumento più alto a livello globale dell’ultimo decennio (+3,6%, fino a 1,9 trilioni di dollari), lo Stato italiano si avvicina all’obiettivo del 2% di spese militari rispetto al Pil chiesto dalla Nato: tra il 2018 e il 2019 l’aumento è stato di 400 milioni, da 23,5 ai 23,9 miliardi (1,3-1,4% del Pil). L’Osservatorio ieri ha calcolato al rialzo le spese militari italiane prevedendo un ulteriore balzo in avanti nel 2020 a 26,3 miliardi, pari all’1,6% del Pil (ma di fatto si arriverà al 2% visto il tonfo del Prodotto interno lordo causa crisi).

Sebbene dal 2010 ad oggi la spesa militare italiana sia diminuita dell’11%, un dato inequivocabile resta: dopo la stagione del rigore, tutti i governi dal 2015 in poi hanno aumentato il budget della Difesa per accontentare in primis gli Stati Uniti. E era proprio in questa chiave che a inizio ottobre, prima il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e poi il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sono stati ricevuti da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Obiettivo: chiedere all’Italia un maggior impegno nelle spese militari. L’esempio lampante è quello dei cacciabombardieri F35. Dopo il bilaterale con Pompeo, sui giornali erano usciti retroscena secondo cui Conte aveva accettato l’acquisto di nuovi aerei e a quel punto era esplosa la polemica in Parlamento, con i grillini da sempre contrari all’acquisto dei caccia. Da Palazzo Chigi era arrivato il dietrofront ma a novembre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha fatto partire la cosiddetta “fase due”, ordinando altri 27 aerei da caccia per avvicinarsi alla flotta dei 90 previsti. Costo? 14 miliardi totali (di cui 4 iniziali, già spesi) con una media di 135 milioni ad aereo. Dopo i 28 ordinati dal ministro Roberta Pinotti, Elisabetta Trenta (governo gialloverde) aveva congelato i nuovi acquisti fino all’insediamento di Guerini: la “fase tre” prevede l’acquisto degli ultimi 35 velivoli.

Così, in piena emergenza economica e sanitaria, il Movimento 5 Stelle prova a incalzare Guerini con un’interrogazione depositata ieri al Senato e firmata da 49 senatori grillini, tra cui il capogruppo Gianluca Perilli e il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra. Nella mozione, primo firmatario Gianluca Ferrara, si chiede a Guerini una moratoria per 12 mesi delle spese per gli F35 reindirizzando le spese dello scorso anno (759 milioni) e del prossimo (747) per i corpi sanitari di Esercito, Marina, Carabinieri e Croce Rossa. Non solo: i senatori M5S chiedono anche di “valutare l’opportunità di rinegoziare e ridimensionare il programma”. “Se smettiamo di comprare gli F35 non c’è nessuna penale – spiega al Fatto Ferrara – è tutta questione di volontà politica. Con 30 mila morti e 200 mila contagi, dobbiamo rimettere al centro altre priorità, non certo i cacciabombardieri che sono anche difettosi. Oggi le guerre contro cui dobbiamo combattere provengono dai virus e dal cambiamento climatico, non certo dalle bombe atomiche”. Poi Ferrara va all’attacco del ministro della Difesa: “Abbiamo fiducia in Conte ma se Guerini andrà avanti con gli F35, se ne assumerà le responsabilità: significa che il Pd vuole spendere per la guerra”.

Mose, trenta funzionari non pagheranno mai

Tre anni e mezzo fa si erano visti recapitare un atto di costituzione in mora da capogiro. A una trentina fra funzionari del Magistrato alle Acque di Venezia, professionisti, manager del Consorzio Venezia Nuova, perfino un ministro, era stata notificata l’intimazione a pagare entro 90 giorni una somma imprecisata, comunque tale da compensare i 42 milioni di euro per sassi da diga che avevano gonfiato le fatture, per mascherare le tangenti del Mose. Il documento, firmato dal viceprocuratore generale della Corte dei Conti di Venezia, Alberto Mingarelli, era la ricostruzione dettagliata del sistema di supposte collusioni che nel 2005 aveva portato a fissare il “prezzo chiuso” del Mose a 3 miliardi 709 milioni di euro. Un modo per rendere certa la spesa, sostenne allora Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio e “gran tangentiere”. Un modo, ha replicato la Procura contabile, per coprire i soldi della tangenti, visto che i sassi furono pagati a peso d’oro e il surplus (12,5 per cento) costituì la provvista del malaffare.

Adesso si scopre che l’atto di costituzione in mora del giugno 2016 è stato annullato. Nessuno ha pagato, la Corte dei Conti non vi ha dato seguito e lo ha assorbito nel procedimento che a dicembre si è concluso con la condanna a risarcire 7 milioni di euro inflitta a Mazzacurati (deceduto), all’imprenditore Alessandro Mazzi e al Consorzio Venezia Nuova. E quindi una trentina di persone, alcune delle quali ancora in posizione di vertice, sono uscite di scena. A confermare che lo Stato finanziò le tangenti del Mose, grazie al “prezzo chiuso” di un’opera da 6 miliardi di euro non ancora conclusa, è stato il procuratore regionale veneto della Corte dei Conti, Paolo Evangelista. Nella relazione per l’anno giudiziario, depositata solo ora causa pandemia, scrive che si è arrivati all’“epilogo delle azioni risarcitorie” nei confronti della cricca che provocò “un maggior costo dell’opera e influito sulla formazione del cosiddetto ‘prezzo chiuso’, oltre che sul sistema dei controlli, con possibili riflessi sulla qualità dell’opera e aggravio dei costi sull’Amministrazione”.

Ai funzionari pubblici (e a Mazzacurati) era contestato di aver avallato l’incremento del prezzo chiesto, senza verificare il costo effettivo dei sassi da diga, che lo avevano formalmente giustificato. Nell’elenco c’erano anche il ministro Pietro Lunardi e l’ex capo del Magistrato alle acqua Patrizio Cuccioletta (arrestato nel 2014). Ma soprattutto venivano citati dipendenti del Magistrato che, come collaudatori di parti del Mose, erano pagati dal Consorzio. I controllori retribuiti dai controllati. Attorno al Mose hanno campato in tanti, non solo in modo illecito (tangenti), ma anche inopportuno (collaudi retribuiti da parte di dipendenti del Magistrato alle Acque). Il viceprocuratore Mingarelli aveva contestato cifre importanti percepite fino al 2014 da componenti del Comitato Tecnico di Magistratura, che poi avevano contribuito ad approvare le richieste del Consorzio sul “prezzo chiuso”.