“Se si riapre tutto, le terapie intensive in crisi l’8 giugno”

Il documento proviene dall’Istituto superiore di sanità, da una settimana è nelle mani del governo e del Comitato tecnico scientifico (che lo ha adottato) e spiega la scelta dell’esecutivo di procedere alla “fase 2” con molta cautela e scadenzando le riaperture fino a settembre (le scuole) e oltre (il comparto degli spettacoli dal vivo).

Lo studio propone 92 possibili scenari e il più drammatico è alla lettera A. Se riaprissimo quasi tutto, il tasso di riproduzione del virus Rt (cioè la previsione del numero medio di contagi a partire da una persona che ha contratto il virus, ndr) tornerebbe sopra 2, tra il 2,06 e il 2,44 per una media di 2,25 e le terapie intensive, che pure sono state potenziate, sarebbero di nuovo sature in meno di 40 giorni, l’8 giugno. Questo accadrebbe facendo ripartire industria, edilizia e commercio collegato ma anche hotel e ristoranti senza limiti d’età per i lavoratori, senza telelavoro, con le scuole aperte e il ritorno alla normalità nel tempo libero e nell’uso dei mezzi pubblici. “Riaprire le scuole – si legge nel report – innescherebbe una nuova e rapida crescita dell’epidemia. La sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva”.

Lo scenario 1 – con le scuole aperte ma senza far ripartire i settori produttivi, l’attuale quota di telelavoro e i movimenti nel tempo libero e l’impiego dei mezzi pubblici al 10% – porterebbero il tasso Rt a 1,33 di media (1,22-1,44): le terapie intensive reggerebbero fino al 20 ottobre. Lo scenario C invece delinea l’ipotesi di far ripartire le attività industriali, l’edilizia, il commercio e anche ristoranti e hotel, fermi restando il telelavoro e le scuole chiuse ma senza limiti nel tempo libero e nei trasporti: Rt andrebbe a 1,69 (1,54-1,83) e la saturazione delle terapie intensive avverrebbe il 31 agosto. Sarebbe però peggiore lo scenario B: tutto aperto senza telelavoro, ma con le scuole chiuse. Tasso Rt all’1,86 (1,66-1,97) e terapie intensive piene l’8 agosto.

Fin qui gli scenari senza limitazioni per fasce d’età. Ma anche con una scelta drastica come tenere lontani dal lavoro tutti gli over 50 ed evitare gli spostamenti extralavorativi degli over 60 (scenario 23), Rt salirebbe sopra 1: la stima è 1,01 (tra 0,92 e 1,09) in caso di riapertura generalizzata dei settori produttivi ma non dei ristoranti, senza riaprire le scuole né consentire piena libertà di movimento nel tempo libero. Tutte le combinazioni possibili sono considerate.

Nelle raccomandazioni finali il Comitato tecnico scientifico sottolinea che “persistono nuovi casi di infezione”, avverte che “le stime attuali di R0” sono “comprese tra 0,5 e 0,7” e che “se R0 fosse anche di poco superiore a 1 (ad esempio nel range 1,05-1.25) l’impatto sul sistema sanitario sarebbe notevole”. Di conseguenza “lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto”. Pertanto il Cts suggerisce di riaprire solo “edilizia, manifattura e commercio correlato alle precedenti attività”, evitando “situazioni che generano forme di aggregazione (es. mercati e centri commerciali)” e “assumendo un’efficacia della protezione delle prime vie respiratorie”, cioè le mascherine.

Restano tuttavia “incertezze sul valore dell’efficacia dell’uso di mascherine per la popolazione generale dovute a una limitata evidenza scientifica, sebbene le stesse siano ampiamente consigliate”, si legge ancora nelle raccomandazioni. L’ultima condizione riguarda i “sistemi di monitoraggio della circolazione dell’infezione e sorveglianza attiva”. Vedremo se funzioneranno.

Conte: “Presto per tornare alla normalità”. Contagi giù

I numeri dell’epidemia, a esclusione di quelli delle vittime, ieri inducevano a qualche ottimismo, ma Giuseppe Conte – che ha lasciato Roma per la prima volta dal 27 febbraio andando in Lombardia, la Regione più colpita – non ha lasciato speranze ai suoi interlocutori, né a chi lo ha accolto a Milano protestando (i commercianti): “Tutti speravano di tornare presto alla normalità, ma non ci sono le condizioni per farlo. Ce lo dobbiamo dire chiaro e forte”, ha detto prima di incontrare il sindaco di Milano Beppe Sala, il governatore Attilio Fontana (con cui ha incrociato spesso le lame in questi due mesi) e, tra gli altri, il prossimo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, capolista di quelli che vogliono riaprire tutto. “Abbiamo fatto tanti sacrifici, non è questo il momento di mollare: è presto per il liberi tutti”. Un incontro con al centro imprese, commercio e “fase 2” in cui, però, il presidente del Consiglio non si è scostato dal canovaccio disegnato col Dpcm emanato ieri sera: alla fine anche un passaggio a Bergamo e Brescia, simboli dei danni del coronavirus.

La cautela del governo, peraltro, si rispecchia nei numeri: non siamo ancora ai contagi zero, anche se il trend è in calo e dagli ospedali arrivano per ora ottime notizie. I morti, intanto, sono ancora moltissimi: altri 333 solo ieri. Calano, invece, le persone attualmente malate di Covid-19 (-290 in un giorno) e cresce molto poco la percentuale dei positivi (+0,9%, 1739 in più, ma con pochi tamponi per via del cosiddetto “effetto weekend”). Si diceva degli ospedali: ieri per la prima volta dal picco del 3 aprile (4.068) i malati in terapia intensiva scendono sotto le duemila unità, un dimezzamento in poche settimane. Un paragone con due mesi fa, all’inizio della crisi, spiega ancor meglio quanto la situazione sia cambiata: il 16 marzo le 1.851 persone ricoverate in terapia intensiva rappresentavano l’8% dei malati, oggi in terapia intensiva finisce meno del 2%. Stesso discorso può essere fatto per i ricoveri “normali”: oggi in ospedale ci sono oltre 20mila persone in tutta Italia, il 20% dei positivi; il 16 marzo erano 13mila, che erano il 50% del totale dei malati. I trattamenti, insomma, sono migliorati e il sistema sanitario s’è adeguato alla natura di questo virus.

Virus, governo ladro

Domenica sera su La7, nel nuovo programma di Massimo Giletti “Non è l’Arena: è Salvini”, è andato in onda il prototipo del nuovo talk show modello governissimo. Dopo tre mesi di teledibattiti luttuosi e pallosi che issavano sul podio il virologo di turno all’insegna del “ricordati che devi morire” e del “noi siamo scienza, non fantascienza”, si è deciso che il virus non esiste più, i contagiati neppure, i morti sono un trascurabile effetto collaterale e il diritto costituzionale alla salute è un optional, anzi la fisima di un premier dittatore che ci dice di tenere le distanze ed evitare assembramenti per loschi scopi di potere. Il dibattito sulla fase 2 al netto del virus funziona così. Il conduttore strilla, tutto sudato come l’ossessa de L’Esorcista, che i negozi devono riaprire, le scuole pure, le fabbriche (quasi tutte aperte) pure (e lui ne sa qualcosa perché “ho un’azienda”), le chiese (mai chiuse) pure (e anche noti mangiapreti, puttanieri e mignottoni anelano a tutti e sette i sacramenti). E gli ospiti, fra cui manca purtroppo Panzironi, rimpiazzato però dalla Chirico che ha il pregio di parlare di tutto senza mai sapere nulla (ora vuole assolutamente “fare la messa”), hanno due opzioni: unirsi agli alti lai e dunque parlare liberamente; oppure, come il rassegnato Pregliasco, obiettare che riaprire tutto mentre si festeggiano “solo” 260 morti (più di quanti se ne piangevano l’11 marzo, giorno del lockdown), coi contagi in aumento in Piemonte e Lombardia, è un filino azzardato, e dunque venire subissati dalle urla belluine del conduttore e dei riaperturisti.

Giletti deve dimostrare che la gente sta organizzando la sommossa e trasmette, per la seconda domenica consecutiva, lo stesso video delinquenziale di un “imprenditore” che minaccia in veneto stretto i “pezzi di merda” al governo: “Veniamo a prendervi a casa, vi buttiamo fuori di lì, pezzi di merda!”. E lo spaccia per l’emblema di milioni di italiani arrabbiati, senza spiegare perché manda in onda sempre quello. Sallusti commenta che Conte non riapre non perché morti e contagi a Nord-Ovest restano altissimi, ma “per evitare che la gente scenda in piazza contro di lui”. La Chirico, che pensa sempre quel che pensano i due Matteo ma un minuto dopo, innesta la modalità indignazione sull’occhio vitreo: “Mica possiamo chiuderci in casa per il virus”. Giletti, per riequilibrare, chiede alla redazione se Salvini non stia per caso parlando: guardacaso Salvini sta parlando e per combinazione – essendo un giorno pari – vuole riaprire tutto con lo stesso cipiglio con cui, nei giorni dispari e con meno morti, voleva chiudere tutto.

Poi si volta pagina: Feltri e i meridionali. Sallusti spiega che Littorio non è razzista, anzi adora i meridionali perché “da 50 anni ha la stessa moglie e un solo amico: un prete”. Ah beh. La Chirico, fissando un punto nel vuoto, trova che ’sti meridionali sono “un popolo debole che vive di reddito di cittadinanza e non fa intrapresa”, ergo “moralmente inferiori”. Giletti fa il piromane-pompiere, come quando invita Sgarbi e finge di stupirsi se quello fa Sgarbi: “Inferiori non te lo permetto!”. Telese ricorda alla vitrea che lei è pugliese: quella non l’aveva considerato e ci rimane male. Fin qui però il programma si attesta sugli standard d’ignominia degli ultimi due mesi: per battere il record mondiale di tutti i tempi ci vuole uno scatto di reni. Giletti infatti si collega con un pm napoletano e annuncia con labbro tremante che dopo la pubblicità dirà “cose molto forti sui boss scarcerati”, perché ha “perso tanti amici per mano della mafia”, fra cui “un carabiniere che metteva una cimice tramite una scogliera”. Ce l’ha col capo del Dap Francesco Basentini, a suo dire responsabile della scarcerazione del boss Zagaria perché i giudici di Sassari che l’han messo fuori “scrivono nella sentenza (che poi è un’ordinanza, ndr) che il Dap non ha mai risposto”.

Basentini chiama in diretta per dire che il Dap ha risposto, e comunque la scarcerazione è avvenuta per altri motivi, ma c’è un’ispezione a Sassari e non può fornire dettagli. Senza contare che da un paio di secoli (Tocqueville, la separazione dei poteri, quelle cose lì), arresti e scarcerazioni li decidono i giudici, non i governi. Il Dap ha gestito il caso Zagaria troppo burocraticamente. Ma Giletti e il pm interrompono Basentini senza fargli finire una frase e lo scherniscono perché non ha Skype e non si mostra in video. Come se la legge obbligasse il capo del Dap (che gestisce i 41-bis ed è piuttosto a rischio) a mettere la faccia in tv la domenica a mezzanotte. Giletti, occhi fuori dalle orbite e bava alla bocca, gli legge la lista dei boss scarcerati, compreso Cutolo (mai uscito), come se li avesse scarcerati lui. Il pm, da “uomo delle istituzioni”, deride il funzionario perché “è facile scaricare tutto sui giudici di sorveglianza” (cioè sui responsabili delle scarcerazioni). Giletti conclude che “qualcuno non dice la verità” e (indovinate chi). La Chirico, che fino all’altroieri voleva fuori pure il mostro di Rostov, si associa allo sdegno generale. E Mastella assicura che, quando al posto di Bonafede c’era lui, certe cose non succedevano (a parte l’indulto Mastella che scarcerò 30mila delinquenti). Da TeleSalvini è tutto: a domenica prossima.

Desideria Pasolini, un secolo di lotte per il bello dell’Italia

E così cominciò quella grande avventura culturale che ha preservato dalla distruzione o dalla manomissione tanta parte d’Italia. C’era stato, appena prima, un tentativo di riprendere gli sventramenti fascisti in pieno centro storico: questo, colossale, avrebbe in pratica distrutto Roma antica dal Babuino fino a piazza di Spagna. Un massacro. Insorsero centinaia di intellettuali dalla A di Corrado Alvaro e il ministro dei Lavori Pubblici fermò per sempre la cosa. Ma si sentiva il bisogno di una associazione che in tutta Italia e non soltanto a Roma vigilasse sul Bel Paese e sulle continue minacce a aggressioni che esso stava subendo. “Con Zanotti Bianco e con Bassani furono anni entusiasmanti”.

Desideria Pasolini aveva avuto in famiglia un nonno Pasolini ispettore onorario delle Belle Arti e soprattutto una nonna, una Borghese, che negli anni ‘30 aveva pubblicato ben due volumi di fotografie su Roma in via di sparizione. “Io ho studiato storia dell’arte con Pietro Toesca”, mi ha raccontato, “ma mi ha folgorato Cesare Brandi coi suoi corsi sulla storia del restauro”. Prima della laurea però si cimenta con la letteratura inglese e con la traduzione. “Fu Eugenio Montale a chiedermi di tradurgli i racconti di Stevenson. Poi, ben più ardua, la Casa degli spiriti di Virginia Woolf…”. “C’entra qualche antenato anglosassone nei tuoi capelli biondo rosa e nei tuoi occhi verdi?” Sorrise allegramente: “Io mi sento romagnola al 100%, ma ho mantenuto rapporti intensi col mondo inglese. Però il mio motto rimane ‘se c’è da combattere, io combatto’”.

Sceglie la sua tesi sulla letteratura estetizzante inglese di fine ‘800 e, siccome è spesso a Casa Croce, l’amica Elena pensa di farla vedere al padre. Che, burbero, la liquida: “Se vuole pubblicarla, le deve dare una struttura storica”. E lei si rimette al lavoro. Don Benedetto prende in giro le due ragazze simpatizzanti per il Partito d’Azione, “quel partitino…” Ma loro tenaci insistono e scoprono una vocazione alla critica. La più intensa, ma pure la più costruttiva, la più propositiva, con documenti generali tuttora validi quali la Carta del Restauro dei centri storici di Gubbio del 1960 (Cederna, Samonà, Manieri Elia, Bottoni e altri). I Pasolini dall’Onda hanno da secoli alcune grandi proprietà agricole fra Romagna e Toscana. A Coccolia, fra Forlì e Ravenna, un giorno le chiesi: “Ma da quanti anni avete queste terre?”, Desideria si schermì arrossendo: “Mi vergogno a dirlo…Dal 1.247”. E proprio al paesaggio agrario durante la sua presidenza ha voluto dedicare ben tre convegni di studio e di proposta per cercare di tutelare il paesaggio italiano più minacciato dal cemento di sempre nuove speculazioni “mentre l’agricoltura “pulita” dovrebbe essere un pilastro della nostra economia, soprattutto per i giovani”. E da presidente già lottava contro Berlusconi, Tremonti, Sgarbi, contro la Patrimonio SpA, la privatizzazione dei musei e dell’arte e il primo Codice Urbani. Con quel suo motto guerriero “Se c’è da combattere, io combatto”.

Insegnanti di sostegno: le forche caudine della specializzazione

Nelle classi di un tempo era una figura impensabile, perché i bambini con problemi gravi, ad esempio ciechi e sordi, venivano separati dagli altri in malinconici istituti speciali e quelli con problemi meno gravi ignorati. Oggi invece – dopo che, lentamente, ha prevalso nella scuola italiana l’idea della coabitazione tra alunni senza e con disabilità – l’insegnante di sostegno è diventata una figura familiare. Anzi, sono tantissimi i genitori che la richiedono perché il numero di bambini con patologie di varia natura è in crescita esponenziale. Tanto è vero che, specie al nord, ogni anno migliaia di posti restano scoperti; oppure coperti da docenti senza alcuna specializzazione sul fronte disabilità. Il buon senso vorrebbe, dunque, che si facilitassero i percorsi formativi per chi decide di intraprendere questa strada. E invece oggi per diventare insegnante di sostegno, oltre alla laurea e ai famigerati “crediti formativi”, bisogna fare tre prove per accedere a un corso di quasi un anno che prevede didattica in presenza e un costo di ben 3.000 euro.

Il Ministero, però, ha previsto che si possa risultare idonei al corso se si supera l’esame ma non si “vince” il posto per la specializzazione e che questi idonei in sovrannumero, ben 7.000, possano accedere direttamente al corso dell’anno successivo – quinto ciclo – senza rifare l’esame. A complicare un quadro già contorto ci si è messo anche il covid-19, a causa del quale l’esame che consente l’avvio del corso è slittato a maggio, ma è probabile che neanche per quella data sarà possibile esaminare migliaia e migliaia di persone (i posti disponibili sono 21.000, i candidati moltissimi in più).

Ecco perché i settemila hanno preso carta e penna e hanno scritto al Ministro dell’Università e al presidente della Crui per chiedere che il corso di specializzazione partisse subito, per loro, con la didattica a distanza. Visto, anche, che questa modalità è stata sperimentata con successo in tutti gli atenei e che gli stessi specializzandi del ciclo precedente stanno finendo il corso proprio così. “Non abbiamo ancora avuto risposta”, dice Gaetana della Corte, una delle firmatarie della lettera, “ma crediamo che si tratti di una soluzione ideale: entrerebbero subito soldi alle Università e si metterebbe fine al fatto che oggi vanno ad insegnare docenti che non sanno neanche cosa sia la discalculia”. Anche la Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (Flc Cgil) sta chiedendo chiarezza e celerità al Ministero su tutta la partita che riguarda date e soprattutto modalità di svolgimento del quinto ciclo dei corsi di specializzazione per il sostegno.

La didattica online, tra l’altro, potrebbe estendersi anche agli altri specializzandi in arrivo, visto che le lezioni spesso sono svolte in orari scomodi o in mesi caldissimi (anche agosto): in fondo, se le lezioni a distanza funzionano per tutti, perché non per loro? O si deve ipotizzare che l’Università tema che, poi, il costo esorbitante del corso non sia giustificato?

I boss tornano a casa: fermiamo l’impunità e i “giudici di badanza”

Egualitario, non c’è dubbio. In un mondo retto su squilibri vertiginosi il Covid ha ucciso medici eccelsi e pazienti ignari di tutto. Ha ucciso Luis Sepulveda scrittore di fama mondiale e ospiti anonimi di residenze sanitarie. Lo abbiamo pensato in tanti. Ma io, divorato dalle mie allucinazioni domestiche, sono andato oltre. Ho pure pensato che, con l’aiuto della legge e di qualche magistrato, il Covid ha realizzato un altro, supremo, capolavoro di uguaglianza: ha messo agli arresti domiciliari sia gli assassini mafiosi sia le loro vittime. Meglio, i familiari delle vittime; perché le vittime subiscono da tempo un diverso, più ultimativo genere di costrizione. Insomma, in nome del Covid è giunta per tutti la stessa misura coercitiva.

Eri in carcere per reati gravissimi? Arresti domiciliari. Eri in ufficio, per strada, a scuola, libero di lavorare, amare, incontrare? Arresti domiciliari. Tutti insieme. Visti “causa e pretesto”, come direbbe Guccini, può sembrare umorismo grezzo. E invece, al di là delle spiegazioni giuridicamente sempre compite, contiene un nucleo di verità sconvolgente. Perché c’è sempre uno “spirito del tempo” in cui gli uomini vivono. Prima impalpabile, poi forte, sempre più forte. Oggi ne è parte dominante il virus. Non solo il Covid, ma anche gli altri che hanno mietuto vite in Asia o in Africa. Il nostro, dicono gli scienziati, è appunto il tempo del virus che dal mondo animale viene, va e poi ritorna. Ma dello spirito del tempo fanno parte anche altre cose, che cambiano di Paese in Paese.

E nel nostro c’è qualcosa che da anni sale, sale come una marea: la benevolenza verso i boss mafiosi, la fine delle punizioni “troppo dure”, una generale domanda di impunità. Si avvertono i vagiti di un’era nuova, ne cogli i segni con lo stesso istinto con cui nella foresta gli animali sentono l’arrivo di un pericolo. I diritti umani. La Corte europea. Le perizie psichiatriche: pensate, li mandano agli arresti domiciliari (fatto vero!) perché soffrono la reclusione in carcere. E le perizie mediche: “potrebbe succedere” (“potrebbe”), come con i moribondi che poi vivono per anni. L’attacco incessante al 41 bis. E infine il Covid. Intendiamoci, le organizzazioni mafiose hanno sempre vissuto alla grande sulle emergenze. Volete che non approfittino del Covid, per fare usura di massa, entrare nelle opere pubbliche e, anzitutto, per ottenere grazie e indulgenze plenarie? La pioggia di richieste di generosità che arriva dai loro avvocati è il segno che anche i boss, che fessi non sono, hanno capito lo spirito del tempo: adesso si può. Adesso che ogni motivazione è buona. Anche quella del rischio contagio. Perfino per i detenuti al 41 bis. Come se non ci avessero spiegato per anni che il 41 bis è condanna all’isolamento totale, senza contatti umani, neanche con i parenti. E come se la prima ricetta contro il Covid non fosse proprio il “distanziamento sociale”. Cosa c’entra quindi il rischio del contagio?

Così, almanaccando su queste “storie italiane” durante la mia giusta reclusione, mi è sovvenuto un bisogno di igiene mentale: che le parole abbiano un’effettiva rispondenza ai fatti. Ho pensato cioè che il bambino che sente “magistrato di sorveglianza” immagina un tipo burbero che con una pila in mano cammina di notte in un carcere per accertarsi che tutto funzioni a dovere, che le condanne inflitte vengano effettivamente eseguite. Poi il bambino cresce, abbandona la pila e inizia a pensare che magari il famoso magistrato di sorveglianza deve anche garantire i diritti dei detenuti.

Quindi si fa adulto e gli sembra che questa figura non sia poi così burbera. Ma sia invece estremamente premurosa verso il detenuto, forse ancor più se dotato di prestigio criminale, e che gli conceda a volte con attento studio delle leggi altre con garrula superficialità benefici insensati e quasi amorevoli, fino a potere essere giocosamente ribattezzato, con parole più appropriate, “magistrato di badanza”. Ah, lo spirito del tempo. Per fortuna non riesce a espellere da sé il senso stupendo del 25 aprile, festeggiato collettivamente anche stando a casa, con gioia di tutti. Con film, musiche e piazze virtuali. A conferma che anche agli arresti domiciliari, si può fare praticamente tutto quel che si vuole. Bello, no? E se, festeggiato il 25 aprile, ci ribellassimo a questa marea impunitaria e facessimo dai nostri arresti domiciliari una nuova, più modesta ma sacrosanta, “resistenza”?

Così precipiterà il Pil, ma la realtà potrebbe essere ancora peggiore

Mentre monta la lockdown fatigue (come si dice nei migliori pub di Oxford), si valutano i danni del coma indotto dal flagello pandemico. Le previsioni sullo schianto del Pil americano nel secondo trimestre oscillano tra il -30% di Pimco e il -38% di Morgan Stanley. Il Fondo Monetario Internazionale invece si ispira all’ottimismo sfrenato: per l’Italia prevede un tracollo del Pil di appena il -9,1% nel 2020 e un rimbalzo zoppo del +4,8% nel 2021. Banche e centri privati (consiglio l’ottimo studio del Cerved) per quest’anno si aspettano un tonfo a doppia cifra.

Ma al di là delle previsioni, l’interpretazione dei dati sul Pil richiederà estrema raffinatezza di analisi. Il Pil è una stima (non una misurazione esatta) frutto di rilevazioni statistiche e criteri contabili sofisticati. Ma tale metodologia al tempo del Coronavirus potrebbe non cogliere appieno la realtà sottostante. Ad esempio il valore aggiunto della Pubblica Amministrazione viene stimato dai salari dei dipendenti pubblici e da indicatori come il numero di studenti che frequentano la scuola pubblica o di pazienti curati in ospedale. Anche durante la chiusura di scuole e uffici pubblici, gli stipendi vengono pagati. Ma i servizi di istruzione attraverso le lezioni on line non sono paragonabili a quelli tradizionali. Viceversa, l’impegno aggiuntivo di medici e personale sanitario per curare i contagiati probabilmente non verrà rilevato nei dati. Inoltre al valore aggiunto prodotto delle attività legali, gli statistici aggiungono una stima dell’economia “non osservata”: lavoro nero, prostituzione, droga eccetera. L’Istat stima che nel 2017 queste attività ammontavano a 211 miliardi di euro, il 12,1% del Pil (192 miliardi di economia sommersa e 19 di traffici illegali). Il sommerso si concentra proprio nelle attività martoriate dalle chiusure: turismo, piccolo commercio, ristorazione, costruzioni. Durante il lockdown quel 12,1% di Pil è in buona parte evaporato, ma i modelli statistici elaborati per valutare il sommerso (quello dell’Istat è all’avanguardia) computeranno l’entità del danno? Infine le scorte delle imprese. Il loro valore viene iscritto in contabilità nazionale con il segno positivo. Però se i magazzini si riempiono perché i negozi sono ermeticamente chiusi, suona come una beffa.

Questo non esaustivo elenco di potenziali dicotomie tra dati economici e complessità dei fenomeni investe anche i conti pubblici. Per valutare la sostenibilità del debito si guarda al suo rapporto col Pil in quanto esprime la capacità impositiva del governo. Ma ovviamente è il settore privato (non sommerso) a generare risorse per l’Erario. Quindi se franano le attività economiche private, si prosciugano le risorse per i servizi pubblici, le pensioni e pure gli interessi. E il Recovery Fund, se mai vedrà la luce, non risulta avere proprietà taumaturgiche.

Mutui, sospensione delle rate: tra ritardi e (brutte) sorprese

Al momento la partita dei mutui sulla prima casa resta ancora poco chiara ai più. Anche se la sospensione delle rate per 18 mesi è stata una delle prime misure a essere inserite nel “Cura Italia”, è solo in questi giorni che i mutuatari, se soddisfano specifiche condizioni, stanno cominciando a ricevere dalle banche la conferma dell’accettazione della domanda che gli consentirà di non pagare le rate: il rimborso del 50% degli interessi maturati sarà infatti corrisposto alla banca dal Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (il cosiddetto fondo Gasparrini) istituito presso il ministero dell’Economia. Ma, come sta accadendo anche con gli altri aiuti stanziati per arginare la crisi economica scaturita dal Covid-19, anche la sospensione dei mutui accusa notevoli ritardi a causa del tortuoso meccanismo che la contraddistingue.

È solo una questione di tempo: ce n’è voluto troppo per avviare le procedure burocratiche e dare l’avvio concreto alla misura. Il nuovo modello per richiedere la sospensione è stato, infatti, pubblicato il 30 marzo. Ma da quando è stata presentata la domanda a quando si ottiene la risposta potrebbero passare fino a 30 giorni. Questo significa che a tutti i mutuatari, il cui prelievo automatico della rata avviene nelle prime settimane del mese, si sono visti addebitare la rata di aprile. Solo da maggio, forse, il prelievo dal conto corrente verrà bloccato. La buona notizia è che il sistema bancario starebbe valutando la possibilità di stornare il pagamento di aprile a tutti quelli che otterranno l’esito positivo alla domanda. Si tratta comunque di un beneficio dalle maglie molto strette, mentre gli esperti del settore mettono perfino in guardia sugli svantaggi della sospensione che, secondo la relazione tecnica al “Cura Italia”, potrebbe riguardare almeno 300mila beneficiari. Facciamo chiarezza.

Con il potenziamento del Fondo Gasparrini è stata estesa la sospensione del mutuo non solo alle famiglie e ai lavoratori subordinati e parasubordinati che hanno perso il lavoro, ma anche ai lavoratori che hanno subito una sospensione o una riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di almeno 30 giorni (compresi Cassa integrazione o altri ammortizzatori sociali) e agli autonomi e ai liberi professionisti che autocertifichino di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020, un calo del proprio fatturato superiore al 33%. L’adesione al fondo è però limitata ai titolari di un mutuo prima casa fino a 250.000 euro. Non va, invece, presentato il modello Isee.

Dopo che nelle scorse settimane sono state sollevate diverse critiche, è stata anche accolta la richiesta di possibilità di sospensione del pagamento delle rate per chi lo ha stipulato da meno di un anno. Ma accedere al fondo potrebbe significare, per alcuni, precludersi la possibilità di surrogare il mutuo non solo durante il periodo di sospensione, ma anche in futuro. “Sebbene ci si trovi in una situazione senza precedenti, in passato ci sono stati istituti di credito che hanno negato la surroga a mutuatari che anni prima avevano fatto ricorso al Fondo di solidarietà per la sospensione delle rate. Prima di congelare il mutuo è, quindi, opportuno valutare con attenzione e scegliere questa opzione solo se veramente necessaria”, spiega Umberto Stivala, esperto di mutui di Facile.it.

“Oltre a questo, bisogna considerare che, se si decide di sospendere il mutuo, al termine di questo stop, il finanziamento ripartirà da dove è stato bloccato”, mette in guardia Luigi Gabriele di Consumerismo.it. Il piano di ammortamento verrà allungato di un periodo pari alla durata della sospensione. Ma è bene ricordare che il 50% degli interessi devono comunque essere pagati, anche se Consap ha chiesto alle banche di rimandare anche questo pagamento al termine della sospensione. Procedura che viene ribadita anche sul sito del gestore del Fondo: “Le banche non possono richiedere al mutuatario il pagamento relativo alla quota interessi rimasta a suo carico”.

La nota dolente è certamente il divieto di sospendere un mutuo contratto con la garanzia del Fondo prima casa, perché vige il divieto di usufruire di più agevolazioni pubbliche. Così come restano esclusi dalla sospensione i mutuatari che presentano rate scadute e non pagate superiori a novanta giorni consecutivi. Entro i tre mesi, invece, il richiedente può fare richiesta con le rate che saranno incluse nel periodo di sospensione. Da questo momento non potranno maturare gli interessi di mora.
Venerdì scorso, intanto, è stato firmato un nuovo accordo dell’Abi che consente di estendere la sospensione delle rate dei mutui non solo per l’acquisto della prima casa, ma anche per altre tipologie di investimenti. Al momento questo tipo di mutui erano rimasti fuori da qualsiasi richiesta di sospensione dei pagamenti.

Incentivi ecologici? Dateli anche alle Euro 6d

Non v’è dubbio che la domanda continentale di auto, frustrata dalla stagnazione prima e dalla pandemia di Covid 19 poi, vada sostenuta. I numeri di marzo sono impietosi, con un sostanziale dimezzamento delle immatricolazioni, e quelli dei mesi a venire non promettono bene. I costruttori hanno lanciato l’allarme chiedendo aiuto all’Europa, che di solito in questi casi temporeggia. Stavolta, tuttavia, qualche apertura da Bruxelles è arrivata. Il commissario per il clima, l’olandese Frans Timmermans, ha ipotizzato per la prima volta il ricorso ad uno schema di incentivi alla rottamazione legato a criteri ecologici. La parola d’ordine è svecchiare il parco auto, sostituendo vetture vecchie e inquinanti con modelli nuovi e più puliti. Proposta non certo inedita e potenzialmente utile per l’Italia, dal momento che l’età media delle auto in circolazione da noi è di oltre 11 anni. Nondimeno l’intento di Tiemmermans va oltre, perché parlando di “auto ecologiche” si riferisce certo a ibride, ibride plug-in ed elettriche, ma non esclude quelle equipaggiate con i più moderni motori a combustione Euro 6d. Efficaci, come da evidenze scientifiche, nel contrastare l’inquinamento ambientale ma bistrattate, soprattutto quelle a gasolio, dopo lo scandalo dieselgate. Se alle intenzioni seguissero i fatti lo stimolo sul mercato ne risulterebbe amplificato, perché spalmato anche su auto dai costi più accessibili (e dunque alla portata della gente) rispetto a quelle elettrificate.

Opel vede “green”: Mokka, 100 per 100 elettrica

Quello fra la Yaris Cross e la nuova Opel Mokka sarà un vero derby: una sfida fra un’esordiente che punta tutto sulla tecnologia ibrida, la Toyota, e una best-seller da oltre un milione di unità vendute, che arriverà all’appuntamento con la sua seconda generazione forte anche di una meccanica 100% elettrica. Approcci tecnici e industriali diversi a un medesimo tema, quello dell’auto a basso impatto ambientale. La nuova Mokka utilizzerà la medesima piattaforma costruttiva di Peugeot 2008 e Opel Corsa. Il che dovrebbe coincidere con una riduzione delle dimensioni esterne, contenute attorno ai 4,1 metri di lunghezza, circa 18 cm in meno rispetto alla vecchia Mokka, che raggiungeva i 4,28 metri. Nel suo mirino finiranno, oltre alla Yaris Cross, Renault Captur, Ford Puma e Nissan Juke, tutte nuove. L’adozione del pianale francese, come detto, significa che la nuova Mokka potrà essere motorizzata da propulsori termici o elettrici: la versione a zero emissioni avrà 136 Cv di potenza massima (come la Corsa-e, prima variante elettrificata nella storia della celebra compatta) e sarà alimentata da un accumulatore da almeno 50 kWh, buoni per un’autonomia omologata Wltp superiore ai 310 km. Sul fronte dei motori termici ci saranno il tre cilindri benzina da 1.2 litri, aspirato o turbo, con potenza di 75, 100 e 130 Cv (anche con cambio automatico a 8 marce). E il 4 cilindri turbodiesel 1.5 da 100 Cv. Niente trasmissione a 4 ruote motrici, però. La produzione del veicolo inizierà nel trimestre di quest’anno: le prime versioni ad essere assemblate saranno quelle a batteria, in consegna ai primi clienti all’inizio del 2021.