Dentro il Grande Fratello (tra privacy e malattia)

In tutto il mondo molti Paesi usano la tecnologia digitale contro la pandemia da coronavirus attraverso il tracciamento degli smartphone per monitorare gli spostamenti della popolazione e tracciare i contatti (contact tracing) delle persone infette o a rischio. La localizzazione avviene grazie alla collaborazione delle società produttrici dei sistemi operativi dei telefoni mobili e di telecomunicazioni e anche attraverso lo sviluppo di applicazioni (app) da scaricare sui cellulari. Queste mosse però hanno alzato l’allarme sui rischi per i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini da parte del Parlamento europeo, dei garanti per la privacy e di molte associazioni. La Commissione Europea ha dettato linee guida agli Stati membri della Ue per un approccio comune sulle app e dei dati mobili come misure eccezionali e temporanee che devono rispettare le norme internazionali ed europee. Una panoramica della situazione a livello internazionale è contenuta nel rapporto “Il tracciamento dei dispositivi mobili per combattere il coronavirus” redatto da Costica Dumbrava per Eprs, il Servizio di ricerca parlamentare europeo.

La maggior parte degli Stati Ue ha scelto i sistemi di tracciamento a corto raggio basati sulla tecnologia Bluetooth invece di quelli basati sulla posizione usati da alcuni Paesi asiatici, meno rispettosi della privacy. In Italia l’app “Immuni” che sarà realizzata dalla società Bending Spoons userà il protocollo centralizzato di gestione dei dati del consorzio Pepp-Pt. In Austria il 17 marzo l’operatore di tlc A1 ha trasmesso al governo le analisi sui movimenti dei cittadini e l’app Stopp Corona della Croce Rossa austriaca, già scaricata 400mila volte e prima in Europa, sarà aggiornata per appoggiarsi invece che a Pepp-Pt ai concorrenti di DP-3T che usano dati decentralizzati. In Belgio il governo ha istituito una task force per analizzare i dati anonimi delle società telefoniche. La Bulgaria ha approvato una legge che consente alla polizia di richiedere i dati degli operatori telefonici e di internet sulle persone in quarantena obbligatoria. Gli operatori internet sono obbligati a conservare i dati per sei mesi e a trasmetterli alla polizia su richiesta. Ma vi sono stati casi di discriminazione etnica: nella città di Burgas le autorità locali hanno usato un drone dotato di termocamera per misurare la temperatura delle persone in un quartiere abitato soprattutto dalla minoranza Rom. In Croazia i cittadini possono segnalare alla polizia con una app violazioni della quarantena. La Repubblica Ceca chiederà il consenso degli infetti alla condivisione dei dati dei loro cellulari e delle loro carte di pagamento per tracciarne i contatti. A Cipro le persone infette saranno monitorate con i braccialetti elettronici.

La Polonia ha rilasciato un’app chiamata “Quarantena domestica” obbligatoria per i positivi o potenzialmente infetti. Gli utenti devono inviare periodicamente selfie localizzati per provare che sono a casa, altrimenti arriva la polizia. L’account dura 14 giorni dall’attivazione ma i dati saranno conservati per sei anni. In Slovacchia l’Ufficio di sanità pubblica può usare i dati degli operatori di tlc per tracciare su base consensuale le persone infette o in quarantena obbligatoria e la polizia può identificarle dopo il via libera di un giudice. In Spagna i Governi di Madrid e della Catalogna hanno rilasciato app di tracciamento basate sullo standard decentralizzato DP-3T. Nel Regno Unito BT, uno dei maggiori operatori di tlc mobili, sta testando con il Sistema sanitario nazionale un’app di tracciamento in una base dell’aeronautica militare. Anche l’Islanda ha lanciato un’app volontaria. La Svizzera lancerà un’app basata su DP-3T l’11 maggio. Anche l’Estonia studia un’app basata su DP-3T, mentre l’Irlanda ha affidato lo sviluppo di un’app Bluetooth alla società Nearform.

In Francia l’operatore di tlc mobili Orange condivide dati di geolocalizzazione aggregati e anonimizzati con Inserm, un istituto di ricerca pubblico sulla salute, mentre il governo sta sviluppando un’app di tracciamento chiamata StopCovid. Ma venerdì scorso le multinazionali statunitensi Apple e Google hanno respinto le richieste di Francia e Germania di adeguarsi al loro approccio centralizzato sul contact tracing basato sullo standard Pepp-Pt. Apple e Google, i cui sistemi operativi gestiscono il 99% degli smartphone mondiali, hanno dichiarato che entro questa settimana lanceranno invece versioni di prova di app basate sullo standard decentralizzato DP-3T. Un alto funzionario francese ha spiegato all’agenzia Reuters che “gli Stati europei sono stati tenuti in ostaggio da Google e Apple”.

La Germania ha invitato Apple a supportare l’app centralizzata sviluppata dal centro di ricerca Fraunhofer Hhi per il Robert Koch Institute, l’agenzia federale di risposta sanitaria al coronavirus, alla quale Deutsche Telekom trasmette dati anonimi sulla posizione dei suoi utenti. L’Autorità tedesca per la privacy ha ribadito la necessità di rispettare i principi di protezione dei dati e Berlino ha dichiarato che le app saranno solo volontarie. Secondo una portavoce del governo “la Germania si fida del Robert Koch Institute mentre con il sistema decentralizzato devi fidarti di Apple e Google”. Parigi e Berlino vogliono che le loro app di tracciamento funzionino anche se il telefono non è sbloccato e chiedono che il Bluetooth resti sempre acceso. Apple e Google invece rifiutano di consentire il monitoraggio Bluetooth di altri dispositivi in esecuzione in background sui loro sistemi operativi spiegando che così si accetterebbe la sorveglianza statale. Google ha definito il protocollo decentralizzato DP-3T sviluppato da un team svizzero “la migliore soluzione per il rispetto della privacy”. Di norma i Paesi Ue sono attenti alla privacy mentre le società Usa sono “affamate” di dati, mentre in questo caso parrebbe il contrario. Ma la verità è che dove vanno i dati va il loro controllo e il loro possibile sfruttamento, anche a fini economici.

I processi targati Microsoft: arriva la spia in tribunale?

“L’imputato che rischia la galera diventa un francobollo sul monitor: è umana la condanna via Skype?”. Se lo chiede il giudice della prima sezione penale del tribunale di Roma, Valerio de Gioia. Lui ha già saggiato il processo a distanza: il 30 marzo ha condannato 2 spacciatori colti in flagranza, con rito abbreviato, guardandoli sullo schermo del pc: “La tecnologia può deresponsabilizzare perché manca il contatto – dice la toga –. In aula l’imputato può urlare la sua innocenza, ma col filtro del computer cambia tutto”.

Fino al 30 giugno, infatti, la giustizia (civile, penale) si può celebrare a distanza: l’ha stabilito il Decreto legge “Cura Italia” del 17 marzo, articolo 83, per salvare i diritti limitando i contagi. Il provvedimento detta i principi generali. Ma le procedure sono descritte dai protocolli condivisi da avvocati (Consiglio nazionale forense), magistrati (Consiglio superiore della magistratura) e il ministero della Giustizia. Così, il processo trasloca su Skype e Teams, piattaforme targate Microsoft: a scegliere i software di Bill Gates, per celebrare le udienze, è il ministero della Giustizia (Direzione generale sistemi informativi automatizzati). L’Unione delle camere penali è sulle barricate: senza la presenza in aula, la difesa sarebbe monca e la privacy lesa, con Microsoft. “Temi degni di massima attenzione”, scrive il Garante della riservatezza Antonello Soro, il 17 aprile, in una lettera per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La missiva cita una legge Usa, il “Cloud Act (che come noto attribuisce alle autorità statunitensi di contrasto un ampio potere acquisitivo di dati e informazioni)”. A via Arenula dicono: i software sono sicuri perché certificati dall’Agenzia per l’Italia digitale, il processo online funziona bene. Per capire meglio, torniamo al 30 marzo con il giudice de Gioia.

L’aula virtuale. “Per decidere il destino dei due arrestati, in sala ero col cancelliere e il tecnico del collegamento audio-video”. Le avvocatesse partecipavano dal loro studio, il pm da un ufficio separato, gli arrestati da una stanza della questura: tutti col pc, connessi con Teams. “Ho interrogato l’arrestato, l’avvocato ha fatto le sue domande, a volte il segnale rallentava ma è filato tutto liscio”. Sì, al netto dei problemi tecnici: “La questura, dove c’erano gli spacciatori, s’è collegata alle 12,30, con due ore di ritardo”, dice la toga. Alla prima udienza ha assistito l’avvocatessa del secondo arrestato. “‘Resta collegata’, le abbiamo detto, ‘perché se perdiamo la connessione sono guai’”, racconta de Gioia. I legali si sono confrontati via telefono coi loro assistiti, in privato: “In quel momento il tecnico in aula ha spento l’audio per mantenere il segreto”, dice il giudice. Gli avvocati però hanno sempre il diritto di stare a fianco degli assistiti, ovunque siano, in carcere o negli uffici di Pubblica sicurezza. Ma la distanza (anche dai clienti) li rassicura dal contagio: “Nella saletta della questura c’erano i due detenuti con due agenti, tutti a 2 metri e con mascherina – dice la toga –, però la scelta degli avvocati di partecipare dal loro studio è comprensibile”.

La procedura. Almeno una settimana prima il giudice convoca l’udienza via mail (Pec, posta certificata), indicando il giorno e l’orario. La mattina stessa arriva il link per accedere all’aula virtuale. Se qualcuno diserta, stesse sanzioni del processo tradizionale. In caso di problema tecnico, c’è un numero verde del ministero della Giustizia. Bandita la registrazione dell’udienza. Vietato collegarsi online con altre persone o ospitarle nel luogo del collegamento. Qui sorge un problema: l’avvocato può scegliere di stare vicino al suo assistito oppure, durante le indagini, di partecipare dal suo studio. Ma in tal caso, “il giudice non può verificare che non siano presenti soggetti esterni al procedimento”: è scritto nel protocollo condiviso da avvocati, magistrati e ministero. L’unica tutela è l’autodichiarazione del difensore. Fin qui, le regole valide per l’udienza civile e penale. Nel secondo caso, quando ci sono testimoni il dibattimento torna sempre in aula. Altrimenti, ci sono i detenuti da collegare in video.

In arresto, online. Se l’imputato (o indagato) è in carcere, il collegamento non sarà con Skype o Teams: meglio i sistemi di videoconferenza già collaudati per i condannati al 41 bis o i collaboratori di giustizia (i pentiti) sottoposti a misure speciali di protezione. Sono i 2 casi in cui la procedura da remoto è già consentita dalla legge (il terzo riguarda i detenuti all’estero). Se l’arrestato invece è a casa sua (ai domiciliari) il protocollo consiglia di portarlo in questura, per il collegamento online. In ogni caso, con lui ci sarà un funzionario indicato dal giudice o un agente di Pubblica sicurezza, per garantire i diritti della difesa e offrire assistenza tecnica. La distinzione: nel processo l’avvocato è sempre vicino al suo assistito, nessun obbligo durante le indagini.

L’udienza “via mail”. Nel civile non ci sono persone in arresto e le carte scritte, talvolta, contano come (o più) del confronto orale. Perciò, se è richiesta solo la presenza degli avvocati (senza le parti) il giudice può disporre l’udienza mediante “trattazione scritta”: niente videoconferenza, basta che gli avvocati depositino per via telematica i documenti con istanze e conclusioni. Nell’udienza civile è una possibilità, ma l’abolizione del dibattimento a voce sarà la regola fino al 30 giugno per la giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato). Lo prevede l’art. 84 del Cura Italia: tutte le controversie “passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati”. Il Consiglio di Stato però ha bocciato la soluzione di un contradditorio solo scritto, imposto contro la volontà delle parti: “Non appare compatibile con i canoni dell’interpretazione conforme a Costituzione (…) potrebbe rilevarsi un ostacolo significativo per il ricorrente”, è scritto nell’ordinanza n. 2539 del 21 aprile. Luigi Angeletti, avvocato dello studio torinese Ambrosio & Commodo, è d’accordo: “Nelle cause più complesse solo il confronto diretto tra avvocati e magistrati può far emergere elementi decisivi per la pronuncia, gli scritti difensivi talora non bastano”.

Post-emergenza. I penalisti temono che il processo online diventi la norma. Alcuni magistrati e avvocati, del resto, vorrebbero conservare la via telematica (in casi specifici) anche dopo la pandemia. Il presidente Anm, Luca Poniz, apre: “Il dibattimento penale tornerà in aula, ma la stagione emergenziale potrebbe lasciare in eredità soluzioni, in certi casi, più efficienti. Ad esempio: la possibilità per il Gip di interrogare un arrestato a distanza; fascicoli digitali consultabili da tutti i magistrati; avere depositi di atti online”. Raoul Chiesa, tra i più noti esperti di sicurezza informatica, è perplesso per la scelta delle piattaforme: “Skype e Teams non sono sicure: ci sono state, ci sono e ci saranno vulnerabilità: così regaliamo i nostri dati a multinazionali estere”. Chiesa domanda: “Perché non utilizziamo un software italiano? C’è la piattaforma, libera e gratuita, realizzata dal gruppo informaticoiorestoacasa.work, utilizzata anche del Garr”. È il consorzio che fornisce la dorsale internet al Cnr e alle università italiane. Un’idea anche per la scuola a distanza.

Il treno fermo e un cadavere: dov’è Kim Jong-un?

La foto – divulgata dal sito specializzato 38 North del treno personale di Kim Jong-un parcheggiato davanti al resort sulla costa di Wonsan; l’altra ¬ diffusa dai media di Hong Kong e che ha fatto il giro del mondo – di un uomo molto somigliante al dittatore, morto, steso su un cuscino coperto da un drappo rosso. Non più solo voci: la morte del leader di Pyongyang ormai circola anche per immagini. La prima, in realtà non ne attesterebbe necessariamente la morte, anzi, ne confermerebbe la permanenza in convalescenza a Wonsan, dopo l’intervento a cuore aperto che avrebbe subito il 12 aprile, come riportato da fonti cinesi e ribadito ieri a Fox News da Moon Jae-in, consigliere del presidente sudcoreano. L’altra immagine, quella che lo ritrarrebbe defunto, potrebbe anche essere un falso, o ritrarre un altra persona.

“Restano evidenti strani movimenti”, ha spiegato sul Washington Post Anna Fifield, biografa del despota nordcoreano. “Ci sono stati acquisti da panico nella capitale, con i locali che si sono riforniti di tutto, dal detersivo per il bucato al riso, dall’elettronica ai liquori. Iniziando dall’accaparrarsi prima i prodotti importati, ma negli ultimi giorni c’è stata una corsa anche a prodotti di produzione nazionale, come pesce in scatola e sigarette”. Insomma, è come se nel Paese tirasse un’aria di crisi. In più, riporta Fifield citando fonti accreditate, negli ultimi giorni “elicotteri hanno sorvolato Pyongyang e i treni all’interno della Corea del Nord e oltre il confine, con la Cina sono stati interrotti”. Eppure neanche la biografa si spingerebbe ad affermare con sicurezza che il temerario Kim, la cui salute è sempre stata cagionevole per abuso di cibo, alcol e tabacco, sia deceduto. “Non sarebbe certo la prima volta che diamo per morto un leader nordcoreano”, ha chiarito la studiosa. “I giornali giapponesi e sudcoreani hanno ucciso suo nonno, Kim il Sung, e suo padre, Kim Jong il, più volte negli anni, prima che morissero davvero”. E anche Kim Jong-un già nel 2014 era stato dato per spacciato in seguito alla sua strana sparizione durata ben sei settimane. Per questa ragione la biografa si è detta “cauta su questo tipo di rumors che più volte si sono rivelati del tutto falsi”. “Nessuno di noi saprà la verità fino a quando non lo dirà la Corea del Nord, o tornerà a farsi vedere”, ha concluso Fifield nel suo articolo. “Siamo potenzialmente di fronte a una grave crisi”, ha fatto sapere invece Andrei Lankov, noto storico russo della Corea del Nord, aggiungendo che crede che qualcosa sia “decisamente andato storto” con Kim. La domanda da porsi, secondo Fifield è cosa succederà se il dittatore si rivelerà davvero morto. Oltre alla difficoltà di successione – in mancanza di un erede diretto: suo figlio avrebbe solo 10 anni e la leadership di sua sorella Kim Yo-jong, non è così scontata – in ballo c’è il futuro del Paese. “Kim Jong Un è al potere da otto anni e mezzo, più tempo di qualunque altra sua controparte: dal premier giapponese ai presidenti sudcoreano e cinesi; da più del doppio di quanto lo sia Trump”, spiega Fifield. È lui il “Grande successore della causa rivoluzionaria”.

Salute, misterioso addio di Litzman in piena pandemia

Il ministro della Sanità israeliano Yaakov Litzman ha annunciato ufficialmente al primo ministro Benjamin Netanyahu le sue dimissioni. Dopo oltre un decennio passato nel ministero Litzman è stato pesantemente criticato per la sua gestione della crisi del coronavirus. Nelle sue prime fasi, ha escluso la comunità ultra-ortodossa dalle norme sul distanziamento sociale del paese, consentendo i bagni rituali pubblici e alle sinagoghe di rimanere aperte, promettendo che il messia sarebbe arrivato e avrebbe posto fine all’epidemia.

La stragrande maggioranza del pubblico israeliano ritiene Litzman responsabile della dolorosa mancanza di preparazione del ministro per la crisi del coronavirus, un simbolo di tutto ciò che è sbagliato nella politica della coalizione israeliana e un parafulmine per l’avversione dei laici verso i loro compatrioti ultra-ortodossi. Positivo al test, come la moglie, ha costretto alla quarantena metà governo e anche il capo del Mossad.

In Israele il pericolo del contagio è ancora alto. Il bilancio delle vittime ha raggiunto i 200 ieri pomeriggio, i casi sono saliti ieri a 15.398, con un aumento di 250 rispetto alle 24 ore precedenti. Israele ha registrato 23 morti per milione di cittadini, che lo colloca al 40esimo posto nel mondo, leggermente migliore della media mondiale che è di 26 morti per milione. Ieri la maggior parte dei negozi, parrucchieri e saloni di bellezza è stata autorizzata a riprendere le attività, i ristoranti e i negozi di alimentari possono vendere prodotti da asporto se una barriera fisica è posta tra la cassa e i clienti, consentita la consegna a domicilio. Certo alcune direttive del governo di Benjamin Netanyahu sono vagamente formulate, altre si contraddicono. Anche l’applicazione della polizia e degli ispettori non è uniforme. Ieri mentre le code si snodavano attorno all’Ikea di Rishon Lezzyon, la polizia ha condotto un eroico inseguimento a un surfista solitario al largo della spiaggia di Tel Aviv. Il decreto impone la chiusura dei cimiteri militari nel Memorial Day – da stasera a domani sera – e un possibile blocco delle città, cosa che impedirà ai familiari dei caduti nel giorno più difficile dell’anno di ritrovarsi per un ricordo.

Il ministro Litzman pur essendo dimissionario dalla Sanità, ha fatto però trapelare di essere pronto per un altro dicastero – forse l’Edilizia – nel governo che Benjamin Netanyahu e Benny Gantz stanno cercando di mettere insieme dopo la nascita di una inaspettata coalizione, con una rotazione del premier dopo 18 mesi. L’intesa di governo consta di 14 pagine, le prime 8 riguardano salvaguardie per Netanyahu dai processi che deve affrontare (prima o poi). Litzman è leader di uno dei tre partiti religiosi che sostengono questa coalizione, e quindi reclama un posto – e di peso – per sé.

Le cose però per lui stavano andando male ancor prima che il coronavirus fuggisse da Wuhan. La polizia e il procuratore hanno chiesto che sia processato per corruzione, frode e violazione della fiducia per una serie di interventi impropri nel suo lavoro di ministro. Litzman è sospettato di aver spinto gli psichiatri del suo ministero a dichiarare l’ultra-ortodossa Malka Leifer – una ex preside di una scuola per ragazze accusata di reati sessuali a Melbourne – pazza per bloccare così la sua estradizione in Australia. Il cielo è poi caduto quando il coronavirus è apparso all’orizzonte dello Stato ebraico. Gli israeliani hanno scoperto che il loro ministro della Salute non aveva alcuna istruzione o esperienza nel trattare i loro problemi sanitari, non aveva nessun rispetto per la scienza. Come la maggior parte degli ebrei religiosi, Litzman si fida innanzitutto di Dio, del mitzvoth e delle preghiere. Ha fatto pressioni affinché sinagoghe e yeshiva ultraortodosse fossero aperte il più a lungo possibile, anche se il coronavirus stava già devastando le roccaforti degli Haredim a Bnei Brak e Gerusalemme, ignorando le linee guida precauzionali stabilite dal suo ministero. Politicamente è una mina vagante ma Benjamin Netanyahu non può rimuoverlo per paura di sconvolgere la maggioranza nella Knesset faticosamente raggiunta. Resterà ministro, “per grazia di Dio”.

“In Piemonte si rischia di richiudere tutto dopo due settimane”

“Il rischio di dover richiudere tutto dopo due settimane, purtroppo, esiste eccome. Almeno qui in Piemonte”. Il virologo Giovanni Di Perri, direttore del reparto malattie infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, da pochi giorni membro della “task force” della Regione Piemonte per la programmazione della “Fase 2” (dopo essere stato escluso dalla “Fase 1”) lo dice non per allarmismo ma per realismo. I numeri del Piemonte, infatti, continuano ad essere preoccupanti: l’aumento dei casi positivi in Italia, nei giorni 23-25 aprile, si è attestato su un -0,9%, mentre il Piemonte registra ancora un +2,3% e i decessi diminuiscono percentualmente la metà di quanto non si riducano nella vicina Lombardia.

Professor Di Perri, sta dicendo che il Piemonte non può permettersi di riaprire il 4 maggio?

Dico solo che, allo stato attuale, il rischio di dover ricominciare da capo con il lockdown dopo due settimane, ossia il tempo medio di incubazione del virus, è forte. Ripeto, però, allo stato attuale. Che non è quello del 4 maggio. Dieci giorni non sono pochi. E saranno dieci giorni decisivi.

Quindi è troppo presto per dire “liberi tutti” a ovest del Ticino?

Non sappiamo ancora quali dati avremo il 4 maggio, non è impossibile che ci sarà un numero di casi tale da poter ritenere possibile l’inizio della fase 2, ma è troppo presto per dirlo. Il calo dei ricoveri in terapia intensiva c’è, ma per avere un’idea più realistica dello stato del contagio è necessario che i dati si liberino dal peso – ahimè elevatissimo – della voce “Rsa”. Conto che a quella data la situazione nelle residenze sanitarie sia non dico totalmente sotto controllo, ma quasi. L’importante è non limitarsi a una gestione passiva del contagio.

Cosa significa “gestione passiva”?

Per troppo tempo l’indicazione ministeriale è stata quella di fare i tamponi solo ai sintomatici. Ed è stato un errore, come dimostra l’esempio virtuoso del Veneto. E sappiamo bene che l’infezione al 40% viene trasmessa da asintomatici o presintomatici. Ed esistono anche quelli che, pur essendo stati infetti, non sviluppano alcun sintomo. Molti positivi si sono sorpresi: “Ma io non ho la febbre da quattro anni…”

Professore, lei è consulente della regione Piemonte. La giunta è consapevole del rischio?

Assolutamente sì.

Perché in Piemonte il virus arretra così lentamente?

È ancora un contagio figlio dell’epidemia lombarda.

E anche il Piemonte ha fatto gli stessi errori?

Mi pare che gli stessi errori – tolte forse Germania e Nuova Zelanda – siano stati fatti in tutti i paesi. Quello che la scienza ci ha insegnato è che questa infezione va anticipata. Il contact tracing, di cui tanto si parla oggi, è molto efficace se si fa all’inizio: isolare il soggetto positivo, interrogare e raggiungere i suoi contatti e poi i contatti dei suoi contatti. E chiudere tutto. A Vo’ Euganeo è stato così.

Proviamo a essere ottimisti. C’è qualche elemento per esserlo?

Se fossimo in Basilicata, ma anche in provincia di Trento, per esempio, lo sarei. In Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna è ancora prematuro. Il contagio è rallentato grazie alla domiciliazione, cosa che inevitabilmente in molte regioni si allenterà dopo il 4 maggio. Mi consolano gli italiani, se devo essere sincero. L’altro giorno ascoltavo un bagnino siciliano intervistato sulla prossima stagione estiva. Ebbene, parlava come un virologo.

Dimezzati i morti, ma i contagi ritornano lievemente a salire

Tornano ad aumentare i malati, dopo cinque giorni di discesa. Ma per la prima volta dopo settimane di dati insopportabili e un numero di vittime mai sceso sotto le 400, l’incremento degli italiani morti in un solo giorno per il coronavirus scende sotto l’1% e fa segnare un calo importante: ieri sono decedute 260 persone, il dato più basso da 42 giorni, la metà rispetto a 10 prima. Era infatti il 15 marzo quando il bollettino della Protezione civile indicava 368 morti in tutta Italia, mentre erano stati 175 il giorno precedente.

L’ennesimo numero simbolico di questa emergenza infinita non è certo positivo – lo sarà solo quando sulla casella dei deceduti apparirà lo zero – ma rappresenta un ulteriore segnale che la curva del contagio sta proseguendo la sua discesa verso l’appiattimento. Gli scienziati lo ripetono da settimane: le misure di contenimento hanno prodotto i risultati sperati tanto che diminuiscono i ricoverati nelle terapie intensive, diminuiscono le persone in ospedale, aumentano i guariti (ad oggi sono 64.928, altri 1.808 in più). Ma l’ultimo indicatore a scendere sarà proprio quello dei morti. Se i dati dei prossimi giorni confermeranno quindi questa tendenza registrata ieri, significherà che anche quel numero ha iniziato a scendere.

È presto dunque per dire che i decessi – il numero totale delle vittime è di 26.644 – si avviano alla conclusione. Ed è presto per dire che il contagio è stato fermato. L’aumento del numero totale dei malati dopo quasi una settimana in controtendenza è lì a dimostrarlo: sabato erano 105.847 calati di ben 680 rispetto a venerdì, ieri sono 106.103, significa 256 in più in un giorno. Una differenza complessiva di quasi mille malati che è tutta nei numeri delle due regioni più colpite: la Lombardia e il Piemonte. Nella regione più martoriata dall’emergenza – con il 50% di tutti i morti in Italia e più di un terzo dei malati – l’incremento degli attualmente positivi è di 693 e quello dei contagiati totali, compresi dunque vittime e guariti, è di 920. Sabato si erano registrati solo 105 malati e 713 contagiati. A preoccupare è soprattutto il capoluogo: dei 920 contagiati la metà sono nell’area metropolitana di Milano, che ha 463 nuovi casi di cui 241 in città; sabato ce ne erano stati 219, di cui 80 a Milano città. Quanto al Piemonte, la regione ieri fa registrare lo stesso incremento del numero delle vittime della Lombardia, 56 in più rispetto a ieri, e un totale di 394 contagiati in più rispetto a sabato: da settimane ormai il Piemonte è la seconda regione più in difficoltà.

I numeri dei ricoverati in terapia intensiva e negli altri reparti sono da settimane in calo.

Bonomi riparte dal modello Marchionne

Carlo Bonomi continua a disegnare il profilo della Confindustria che inizierà a presiedere dal 20 maggio e ieri, intervistato a Mezz’ora in più da Lucia Annunziata ne ha dato alcuni assaggi. Autonomia e critica al governo, accusato di non avere ancora il “metodo” con cui riaprirà le attività dal 4 maggio, denuncia del “sentimento anti-industriale” che a suo dire circola nel Paese e una nuova idea delle relazioni sindacali. In cui riemerge il vecchio “modello Marchionne”.

Bonomi ha esplicitato l’insoddisfazione verso il governo al quale, ha detto, “è da cinque settimane che chiedo qual è il metodo” per la riapertura delle attività mentre “ad oggi non ho ancora avuto una risposta”. Eppure Confindustria ha ottenuto dal governo un’ampia gamma di imprese libere di produrre con il Dpcm del 23 marzo e, soprattutto, una infinita quantità di deroghe dalle prefetture che hanno riguardato almeno 110 mila aziende. A Bonomi, evidentemente, non basta. Forse anche perché vede nelle critiche e nelle opposizioni, a cominciare da quelle comprensibili di operai e sindacati – la trasmissione di Annunziata gli aveva appena mostrato le proteste della Fiom a Bergamo e in particolare all’Abb che è già aperta – un “sentimento anti-industriale”: “Questo voler contrapporre salute e lavoro non è mai stato nelle nostre corde: credo che bisogna avere tutti l’onestà intellettuale e la correttezza di affrontare questo tema con la voglia di stare uniti e coesi”. Si tratta sostanzialmente di un “lasciateci lavorare” in cambio della garanzia che le misure di sicurezza saranno rispettate ma, a prima vista, ignari di quanto pochi giorni fa ha reso noto l’Inps: dove le attività produttive sono continuate il contagio da Coronavirus è stato superiore del 25%.

Bonomi porta poi avanti un discorso di “orgoglio padronal-industriale” che sicuramente piacerà a gran parte della categoria che lo ha sostenuto con oltre il 60% dei consensi e che chiede misure nette. Ad esempio i finanziamenti a fondo perduto dal governo ma anche una contrarietà preventiva a un possibile ruolo dello Stato in economia. Da segnalare, poi, nello scontro tra poteri imprenditoriali, la netta presa di distanza dalle propste dell’Ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, su bond sociali e “scudo” penale per il rientro dei capitali dall’estero: “Non sono per premiare chi non paga le tasse” ha detto lapidario. Messina ha immediatamente replicato, ma lo scontro è destinato a durare.

Infine, tra le righe, la nuova idea di relazioni sindacali: “Abbiamo bisogno di cambiare impresa per impresa e gli attuali contratti non ce lo consentono: le novità verranno dal basso” lasciando intendere (e nel suo entourage lo confermano) che l’idea è aggirare i contratti nazionali per concentrarsi su aziende e territori. Gli stipendi di Palermo non possono essere come quelli di Milano in una riedizione delle antiche “gabbie salariali” anche se Bonomi non accetta l’accostamento.

Il riferimento resta comunque Marchionne che inventò il “modello Pomigliano” poi esteso a tutto il gruppo. Rompendo con Confindustria, e con i contratti nazionali di categoria, in nome della specificità del contratto della propria azienda. Bonomi intende ricominciare da qui.

Salvini ha il virus nei sondaggi: balzo dei 5Stelle e Pd a 3 punti

A Matteo Salvini non basta più nemmeno evocare la ruspa per scaldare i cuori dei suoi fedelissimi. Perchè dopo aver dato un’occhiata ai sondaggi che certificano un calo drastico nei consensi della Lega e della sua leadership, ha cercato la controprova su Facebook, salvo accorgersi che pure quel termometro si è scassato: per usare un eufemismo non è stata un successone l’idea di postare un video in cui assiste la sua principessa, la figlia Mirta, mentre assembla un modellino di ruspa. “Un regalo che ci hanno fatto e che non è ovviamente a caso”, ha specificato il Capitano per essere certo che i suoi fan avessero colto l’allusione: il richiamo della ruspa, macchina più da guerra che da lavoro nel suo lessico politico. Utile per avvertire la “zingaraccia” (suo il copyright) di un campo nomadi di Milano da cui si era sentito minacciare ad agosto scorso. E oggi usato come monito al governo che il leader del Carroccio promette un giorno sì e l’altro pure di spianare, senza mai nemmeno andarci vicino.

Ora il fatto è che già il sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera gli aveva mandato di traverso il caffè: l’indice di gradimento del governo è in crescita (a quota 58, da 56 a marzo) e pure quello del presidente Giuseppe Conte (66, era 61 a marzo) attestandosi ai massimi, nonostante il Coronavirus, dall’esordio dell’esecutivo giallo-rosso: in soldoni si registra un aumento della maggioranza (al 45%) mentre scendono le quotazioni dell’opposizione (al 47%, per la prima volta nell’anno sotto il 50). Soprattutto a causa della Lega che in un solo mese perde il 5,7% dei consensi, passando dal 31,1 di marzo al 25,4% di oggi. Sempre primo partito, ma con il Pd alle calcagna al 21,3% e il Movimento 5 Stelle in risalita di tre punti al 18,6%. Ma non è tutto. Perchè con buona pace di Salvini Fratelli d’Italia raggiunge il 14,1% e persino Forza Italia segna una lieve ripresa che la colloca al 7,5%. Ma a guastare definitivamente il dì di festa di casa Salvini è il dato sul gradimento dei leader: dei cinque punti in più accreditati a Conte si è già detto, ma poi c’è l’exploit pure del ministro della Salute Roberto Speranza (che supera Giorgia Meloni in calo di 6 punti) e del capo delegazione dem Dario Fraceschini. E lui? Perde 8 punti e ora è avanti di un niente rispetto al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, con Luigi Di Maio a un incollatura e per di più con Silvio Berlusconi (che gli fa ciaone sul Mes) se non in spolvero, certo più in salute di Matteo Renzi che chiude la classifica che vede penalizzata pure la sua creatura Italia Viva che nel sondaggio in questione non va oltre il 3,1%.

Salvini insomma mastica amaro. Ma anche il tentativo di consolarsi su Fb, finisce con un mezzo autogol. Perché accanto ai molti commenti positivi per la piccola Mirta, il giochetto della ruspa alla fine gli va di traverso. Più d’uno l’accusa di strumentalizzare la figlia, qualcun altro lo prende apertamente in giro: “Ti dà una mano perché da solo non ce la facevi?”. E ancora: “Adesso ti sei ridotto a comunicare per simboli? Poi passerai all’alfabeto morse?”. “In un secondo video metterai il citofono da costruire”, lo punge un utente che gli ricorda la gaffe di Bologna quando per raggranellare qualche voto alle regionali si era messo a scampanellare alla porta di un presunto spacciatore. Poi ci sono quelli che applaudono e che lo incitano a passare al trattore vero “per spazzare via il governo”. Ma c’è pure chi gli ricorda i sondaggi impietosi. Ma è niente rispetto alla coltellata che gli arriva poco più sotto nei commenti. “Sono un tuo elettore deluso: da quando hai fatto quella frittata ad agosto (la sfiducia a Conte che ha determinato la fine dell’esperienza della Lega al governo, ndr), non ti sei più ripreso: per il bene della destra dovresti dimetterti. Il tuo posto dovrebbe prenderlo Zaia (o Giorgetti). Lo dico con dispiacere. Hai fatto la fine di Renzi: sarà che in politica corre il virus di chi si chiama Matteo?”.

Mascherine a 50 cent, ma i divieti restano. Conte: “Via la rabbia”

Rinviare ancora, non era possibile: anche solo 24 ore, ormai, sono un’altra goccia di incertezza che nessuno si può più permettere. Né le imprese, né gli amministratori locali che – questa fase 2 – la dovranno governare dal basso. Così, Giuseppe Conte, ieri pomeriggio ha deciso di tornare sulla scelta di attendere ancora prima di annunciare la tabella di marcia della ripartenza. E alle 20.20 ha provato a spiegare agli italiani cosa li aspetta dal prossimo lunedì. Poco, va detto. Perché, per usare le parole di Franco Locatelli, membro del comitato tecnico scientifico, “non siamo fuori da questa tempesta epidemica”. Dunque, servono passi graduali, che consentano immediate chiusure se qualche nuovo focolaio dovesse riaccendersi: ogni regione dovrà quotidianamente comunicare i posti liberi in terapia intensiva e l’indice dei contagi per poter valutare dove ristabilire il lockdown: sarà il ministro Speranza, venerdì, a comunicare le “soglie sentinella” da non superare. Una “cautela” che lascia strascichi anche nella maggioranza, con Italia Viva “insoddisfatta” dell’intesa raggiunta. Ma Conte è netto. E se possibile alza il livello di guardia: anche in casa, avverte, bisogna stare attenti perché un quarto dei contagi arriva dai familiari. “Se ami l’Italia, mantieni le distanze”, è lo slogan coniato dal premier che invita gli italiani a “scacciare via la rabbia”. E, per aiutare la serenità collettiva, impone per le mascherine chirurgiche un prezzo fisso di 50 centesimi.

 

Uscite e spostamenti: resta autocertificazione

Il vero nocciolo del lockdown resta intatto – “restate a casa” – così come l’obbligo di autocertificazione: chi esce deve avere un motivo valido per farlo. Non più solo il lavoro, la spesa e le visite mediche: ora si potrà uscire anche per “far visita ai congiunti”. A patto che siano nella stessa regione di residenza: fino al 18 maggio, da lì non si potrà ancora uscire. La mobilità, quindi, resta “individuale” e “tra famigliari”. Si dà un po’ di agio per le corsette: da soli (o comunque a distanza) ci si può allontanare da casa.

 

Riaprono le imprese (ma non i negozi)

Il commercio dovrà attendere fino al 18 maggio, così come i musei, ma già oggi ripartono diverse attività: quelle che si sono messe in sicurezza, chi ha comunicato la deroga in prefettura, ma pure i cantieri che lavorano per l’idrogeologico e per l’edilizia scolastica, carceraria e residenziale pubblica. Dal 4 maggio, invece, riapre il settore manifatturiero, il resto dell’edilizia e il commercio all’ingrosso legato a questi due comparti. Come al solito restano le iniziative regionali: la Toscana, per dire, oggi riapre – seppur solo per attività di manutenzione – anche tutta l’industria tessile.

Ieri, su Raitre, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ha sbottato: “È dal 5 aprile che chiedo qual è il metodo per arrivare alla riapertura e non ho avuto risposta”. Ieri Conte gli ha ricordato che, che nella notte tra giovedì e venerdì scorso, ha sottoscritto insieme alle parti sociali, un nuovo protocollo per la sicurezza sul lavoro che di fatto disciplina tutte le principali questioni della ripresa: dai dispositivi di protezione alla possibilità per il “medico competente” di prescrivere tamponi e test. Resta da definire il tema dei nuovi contagi e la loro classificazione “amministrativa”: malattie o infortuni sul lavoro?

 

Metro, bus e treni: il fronte trasporti

È l’altro grande capitolo ancora da scrivere. Perché le associazioni che rappresentano le aziende del trasporto pubblico locale hanno fatto sapere che rispettare il metro di distanza a bordo dei mezzi sarà impossibile, pena il tracollo economico delle stesse: non reggerebbero il calo dei biglietti conseguenti alle limitazioni alla capienza. Una richiesta che Conte non sembra aver accolto. L’Anci, che associa i sindaci italiani, ha chiesto subito “misure certe” sui trasporti, oltre che sull’uso delle mascherine e sulle alternative per le famiglie che non possono o non vogliono usufruire del congedo parentale (che, comunque, è rinnovato di soli 15 giorni).

 

Scuole, parchi e il nodo baby-mascherine

I bambini restano i grandi assenti della fase 2. Se le scuole riapriranno ormai a settembre, gli scienziati hanno già bocciato alcune indicazioni di sindaci che pensano di organizzare centri estivi per giugno e luglio. Arriva la riapertura dei parchi, ma saranno i sindaci a valutare se possono essere mantenute le distanze e contingentati gli ingressi. Resta aperta anche la questione dell’uso delle mascherine per i minori (il dpcm le cita dai sei anni in poi). Ieri, all’Huffington Post, il pediatra Alberto Villani – che fa parte del comitato tecnico scientifico – ha detto che dovranno “entrare a far parte della vita dei nostri bambini”: sicuramente a scuola, forse al parco no, a patto che i bambini restino lontani tra loro (sic).

 

Messe no, funerali solo per i familiari

Le chiese per ora non riaprono (è stato motivo di frizione con la ministra renziana Teresa Bellanova, e ieri Conte ha dedicato un lungo ringraziamento alla Cei, promettendo novità), però saranno di nuovo autorizzati i funerali, con il limite massimo di 15 partecipanti.

 

Bar, ristoranti: riparte il take-away

Così come parrucchieri e centri estetici, anche per i bar e i ristoranti la riapertura è rinviata: non prima del 1 giugno. Da lunedì, però, le cucine potranno preparare cibi da asporto: non solo per le consegne a domicilio – già autorizzate ora – ma anche per l’acquisto diretto da parte dei clienti, che potranno andarle a ritirare (ma non consumarle all’esterno del locale).

Ma mi faccia il piacere

Vieni avanti, Attilio. “Sulle Rsa credo proprio che non abbiamo assolutamente sbagliato niente, abbiamo portato avanti il provvedimento sulla base delle risultanze tecniche. Se lo rifaremmo? Certamente” (Attilio Fontana, Lega, presidente Regione Lombardia, 17.4). Come governatore non è un granchè, ma come serial killer non è male.

Il moderato. “Profezia di Casini su Conte: ‘Sarà mandato via coi forconi’” (il Giornale, 21.4). E questi sono i moderati. Poi ci sono gli estremisti.

Sempre lucido. “Lui è l’unico che mi lecca gratis” (Vittorio Feltri su una foto col suo cagnolino, Twitter, 21.4). Mi sa che ce l’ha con Senaldi.

Buono a sapersi. “Il governo ascolti il nostro piano. O basta con la concordia nazionale” (Matteo Salvini, segretario Lega, Corriere della sera, 25.4). Ah, perchè quella vista finora era concordia nazionale?

Troppa grazia. “Conte: ‘Le scuole aperte già a settembre’” (Repubblica, 26.4). Digià?

Ci chiamavano Trinità. “Travaglio, Caselli, Di Matteo: è la trinità delle manette” (il Riformista sui nostri no alle scarcerazioni di boss mafiosi, 24.4). Non dite così, ci fate arrossire!

Diritto di cronaca. “Da domani, cravatta, tutti i giorni diversa, anche in questa clausura. E sarà richiesta anche per il working, impropriamente chiamato smart” (Franco Debenedetti, Corriere della sera, 24.4). Buono a sapersi: mo’ me lo segno.

Misianderstanding. “Il Mes porterà solo vantaggi” (Antonio Misiani, Pd, viceministro Economia, Agi, 30.11.2019). “Non utilizzeremo i fondi del Mes” (Misiani, Canale5, 13.4.2020). “No a veti ideologici sul Mes” (Misiani, La Stampa, 24.4). Lo chiamavano Mes-iani.

Ride il telefono. “Le Sardine: ci ha chiamati il Papa. Ma la ‘Zanzara’: è uno scherzo” (Corriere della sera, 25.4). Era il solito Benetton.

Mani impunite. “Tornano i processi di piazza. Riedizione tardiva di Mani Pulite” (Renato Farina, Libero, 23.4). Paura eh?

Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare. “Il processo civile non resti vittima del coronavirus” (Antonio de Notaristefani di Vastogirardi, Presidente Unione Nazionale delle Camere Civili, il Messaggero, 23.4). Prova ad accorciarti un po’ il cognome e vedi che i processi durano già molto meno.

Vogliamo i generali. “Spostano Repubblica a destra. Va fatto un altro giornale con le firme storiche” (Carlo De Benedetti, il Foglio, 25.4). “Nella Francia della Quarta Repubblica, il conflitto in Algeria, divenuto insostenibile, produsse nel ’58 il ritorno al potere del generale De Gaulle e l’avvio di una radicale riforma istituzionale. Nell’Italia di oggi non è assurdo pensare – benchè nessuno se lo auguri – che il crollo della produzione industriale e la disoccupazione di massa possano trasformarsi nella nostra Algeria. Vale a dire l’esplodere di una crisi profonda… L’ovvia differenza è che non esiste l’equivalente di un De Gaulle in grado di incarnare lo spirito nazionale per dar luogo in tempi rapidi alla ricostruzione del Paese” (Stefano Folli, Repubblica, 23.4). Non siamo pratici della materia, ma sarebbe questo il “giornale della sinistra” che, col cambio di direzione dal 24 aprile, rischia di perdere la sua identità progressista?

Alta cultura. “Solo oggi mi rendo conto che ho fatto bene a non studiare da ragazzo. Almeno mi sono divertito e ho girato un po’ il mondo, tanto mi par di capire che sarei stato in ogni caso un morto di fame…” (Emanuele Dessì, senatore M5S, sui professionisti in difficoltà che chiedono il bonus da 600 euro, Facebook, 13.4). Non studiare, figliolo, sennò diventi senatore 5Stelle.

I governi della settimana. “E nel Pd scoppia la rivolta anti-Conte”, “Decreti inefficaci, svolta o a casa’. Pd e Italia Viva processano Conte” (Claudia Fusani, Il Riformista, 22.4). “Pd in subbuglio, Franceschini a Conte: ‘La maggioranza così non regge’” (Il Foglio, 23.4). “Nel Pd crescono i malumori: ‘La fiducia verso il premier viene meno’. Di Battista prepara la sua Fase2: licenziare Conte e guidare i 5 Stelle” (Il Dubbio, 23.4). “Conte ter, nuovo premier o Draghi. Oltre la crisi M5S, c’è Forza Italia” (Fusani, Riformista, 23.4). “Europa e Pd vincono in zona Cesarini. Finisce la golden share 5Stelle” (Fusani, ibidem, 24.4). “Berlusconi, altro strappo dai sovranisti. Prove di nuova maggioranza in Aula” (La Stampa, 25.5). Praticamente è fatta.