“Devi dir subito ‘è morto’ oppure non capiscono”

“Qualche giorno fa ho dovuto chiamare la moglie di un uomo di 62 anni che è arrivato da noi ed è morto in 10 minuti”. Fabio De Iaco, direttore del Pronto Soccorso Martini di Torino, racconta quella che per molti medici e infermieri è un’esperienza quotidiana: comunicare al telefono il decesso di una persona cara. Senza la mediazione dei gesti, degli sguardi. Senza che chi riceve la notizia sia potuto restare vicino a chi è morto. Esperienza traumatica anche per chi dà la notizia, non solo per chi la riceve.

“Quell’uomo era arrivato da noi 40 minuti prima, con le complicanze di una forma influenzale e ha avuto un attacco cardiaco appena entrato. Non so neanche dire se fosse Covid o no. So solo che il suo cuore ha ceduto in poche ore”. Al medico non è rimasto altro che avvertire la famiglia: “Ho fatto io la telefonata, una giovane collega giustamente non se l’è sentita. La moglie era sconvolta: non se l’aspettava. In questi casi, è importante non voler correggere le reazioni degli altri. Lei è crollata, ha passato il telefono a qualcuno, forse un figlio. Io mi sono sentito malissimo”.

Le quattro società scientifiche maggiormente coinvolte nella prima linea Covid 19, Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva-Siaarti (che coordina il progetto), Associazione nazionali infermieri di area critica-Aniarti, Società italiana cure palliative-Sicp ,e Società italiana medicina emergenza urgenza-Simeu, hanno messo a punto un protocollo su “Come comunicare con i familiari in condizioni di completo isolamento”. Una sorta di decalogo. Si va dalla raccomandazione che a informare i familiari debba essere un medico che ha in cura il paziente a quella di esentare chi non se la sente. Con una serie di regole, come la necessità di informare repentinamente in caso di aggravamenti, usare modalità adeguate all’interlocutore, ricostruire insieme ai familiari le volontà del malato, accogliere le emozioni di chi riceve la notizia. Ma anche tenere conto dell’emotività del medico. Secondo i dati correnti, circa il 50% degli operatori sanitari soffre di qualche forma di disturbo post- traumatico da stress.

A raccontare da quale esperienza arrivi la necessità di trovare un modo di comunicare, soprattutto quando si annuncia un decesso, è ancora De Iaco: “Devi essere professionale, ma non freddo, empatico, pur mantenendo una distanza. Devi essere brutale, utilizzando la parola morte, più volte se necessario: altrimenti non ti capiscono. Devi essere pronto a parlare con più di una persona. Per noi in Pronto soccorso non è un’esperienza sconosciuta, ma con la sola comunicazione telefonica è più difficile: anche perché, al momento in cui metti giù, è finito il momento di scambio. Ma è dopo che le persone avrebbero bisogno di un’altra fase, quando arrivano i sensi di colpa”. Una posizione aggravata da una situazione di perenne emergenza: “Con l’assedio che c’è stato, sono mancati anche i tempi di recupero”.

Come scriveva lo stesso De Iaco su Facebook il 6 aprile: “Non c’è tregua per l’ansia dei congiunti, isolati a casa, e così il call center Covid non concede tregua neppure ai suoi improvvisati operatori, medici e infermieri. Mille le storie al telefono”.

E ognuna “continua a comporre l’affresco orribile del tempo del virus”. Un affresco che si impara lentamente ad affrontare. Anche lavorando sulle parole per dirlo.

L’astro-leghista: alla Camera con la febbre

Alla Camera ieri è di nuovo scattato l’allarme rosso. Perché con buona pace di tutte le precauzioni che finora hanno consentito di scongiurare il peggio, il deputato della Lega Giuseppe Basini è entrato a Montecitorio nonostante ai controlli all’ingresso avesse 37,7 di febbre, qualche decimo oltre il limite consentito secondo le disposizioni in vigore a Montecitorio da quando è deflagrata l’emergenza Coronavirus: invece di girare i tacchi e tornarsene a casa per circa 20 minuti ha vagato per i corridoi e ha fatto in tempo anche a entrare in aula seguito a vista dai commessi che si sono messi subito sulle sue tracce per capire con chi venisse a contatto e dove. Ma il panico, almeno per chi aveva assistito alla scena, si era ormai diffuso prima che si convincesse ad andarsene via. Spontaneamente o quasi dal momento che ai deputati non può essere impedito di esercitare le loro prerogative e quindi in nessun modo può essere impedito l’ingresso alla Camera.

Il fatto è che nel caso di Basini, che in passato è stato tra i fondatori di An, astrofisico di una certa fama noto anche per arguzia e spirito, c’è pure un’aggravante. Pare certo del fatto suo, anche se non sembra pronto a rivendicare il gesto da ribelle: “Ero solo accaldato, avevo fatto giardinaggio”. Ma con i questori della Camera, che lo hanno prima raggiunto e poi redarguito, in realtà l’ha “buttata in caciara”, come si dice nei Palazzi romani: si è giustificato dicendo di non aver ben capito la situazione al momento dei controlli all’ingresso, essendo debole di udito.

Fatto sta che non è stato possibile fargli un nuovo controllo con il termoscanner, a cui peraltro nessuno poteva obbligarlo. E ha preferito andarsene giurando che si sarebbe rimisurato la temperatura, ma a casa sua. Caso chiuso? Non proprio. In realtà il collegio dei questori (che torneranno a contattarlo anche nelle prossime ore per capire come sta) pensano anche di sanzionarlo dato che il suo comportamento non è piaciuto affatto. Anche perché è già noto per essere tra i deputati meno convinti che la mascherina serva a qualcosa senza nascondere affatto la sua allergia a indossarla. Basini e non solo lui potrebbe anche per questo finire dietro la lavagna.

I questori torneranno a sensibilizzare i gruppi parlamentari perché insistano con i loro eletti sulla necessità di mantenere le distanze in Transatlantico e nell’emiciclo. E soprattutto di indossare sempre le mascherine anche quando si parla in aula: perché c’è qualcuno che proprio non la digerisce e appena può se la sfila.

Negli ultimi giorni con la ripresa dei lavori episodi del genere si sono moltiplicati. Per questo, se non dovesse bastare la moral suasion, potrebbero addirittura scattare le segnalazioni all’Ufficio di presidenza con la richiesta di sanzioni (persino giornate di espulsione dall’aula, con annessa perdita della diaria) per chi continuerà a violarle. “Sono un vero liberale, ma chiederò la massima severità perché qui la superficialità mette a rischio la democrazia: se scoppia il contagio, il Parlamento chiude”, spiega al Fatto il questore anziano della Camera Gregorio Fontana, che non sa più come dirlo: “Anche i parlamentari devono rispettare le regole, come tutti gli altri cittadini”

Videochiamate, ma in gruppo. Corsa all’oro di Facebook&C.

Al momento è uno dei progetti a cui Mark Zuckerberg tiene di più. L’emergenza Covid-19, infatti, sta cambiando le abitudini di comunicazione in tutti il mondo e il social network lancia così Messenger Rooms, un servizio di videochiamate di gruppo che, si legge nell’annuncio, “consente di trascorrere tempo con amici, familiari e persone con cui si condividono interessi”.

La novità. In pratica, Messenger Rooms è una stanza virtuale che si potrà creare dal servizio di Messenger o dal social e nella quale, in videochiamata, si potrà invitare chiunque, anche chi non ha un account Facebook. Le stanze non avranno limiti di tempo e l’obiettivo è riuscire a ospitare fino a 50 persone (150 in futuro). Una volta aperta una stanza, basterà condividerla sulla propria bacheca (o i Gruppi o gli Eventi) per permettere alle persone di entrarci. Poi dovrebbero renderle accessibili anche da Instagram Direct, WhatsApp e Portal. Tradotto: è fondamentale che l’utente resti connesso alla galassia Facebook. Il modello è simile ad altri servizi già in circolazione, ma è offerto dal maggior player per pervasività mondiale. Si traduce in un vantaggio per gli utenti per la semplicità con cui si potrà comunicare con quelli che sono già nella cerchia di contatti Facebook (sarà infatti possibile impostare le preferenze per la partecipazione alla stanza) e un vantaggio per Zuckerberg che così recupera quel gap di servizi che finora non lo aveva ancora reso protagonista dello scenario digitale durante l’emergenza Coronavirus.

Il mercato.Il comparto della comunicazione via video è tra quelli che nell’emergenza stanno registrando la crescita maggiore. La app per videoconferenze Zoom, ad esempio, nonostante tutte le criticità di privacy e sicurezza che ha affrontato nelle scorse settimane, il 21 aprile ha superato i 300 milioni di utenti giornalieri, il 50% in più rispetto al 1 aprile (erano circa 10 milioni a dicembre). A fornire i dati è stato il Ceo di Zoom, Eric Yuan che – come spiega Bloomberg – ha generato un rialzo delle azioni del 12,5% giovedì. Lo stesso Youan, da gennaio ai primi di aprile avrebbe guadagnato almeno 2,58 miliardi di dollari secondo un report dell’Institute for Policy Studies (Ips). Il modello di business di Zoom si basa su un servizio a pagamento, la piattaforma può infatti essere utilizzata gratuitamente solo per un tempo limitato ed è una delle soluzioni preferite per il lavoro da remoto perché permette il collegamento contemporaneo di un gran numero di utenti. Le aziende, quindi, lo scelgono e sono ben contente di pagare. Lo stesso vale per altre piattaforme che hanno modelli simili: secondo i dati forniti dall’azienda, Microsoft Teams ha registrato solo in Italia un aumento di utenti mensili pari a +775%.

Dati. Messenger Rooms, tuttavia, dovrebbe essere molto più simile a un altro servizio, gratuito, Houseparty, che permette la partecipazione fino a 100 utenti. Una recentissima analisi effettuata tramite una app (sviluppata da ingegneri di Apple), che permette di scoprire chi stia tracciando cosa quando si utilizza un’applicazione ha registrato 224 tentativi di tracciamento da sei soggetti di terze parti e in 5 minuti. L’obiettivo è sempre lo stesso: profilare gli utenti. Anche il servizio di Facebook sarà gratuito: il social raccoglie informazioni da Rooms sia che ci si colleghi da una delle sue App, sia che l’accesso avvenga senza loggarsi. “Queste informazioni sono raccolte principalmente per migliorare l’esperienza d’uso – spiegano dal social -. Né audio né video vengono usati per annunci pubblicitari”. Il resto, sì: “Potremmo usare i dati raccolti per annunci mirati sulle nostre piattaforme ”. Nel rispetto della privacy, assicurano. L’occasione c’è. Facebook anche.

“Ho già l’ansia del dopo: resterò a casa”

È pronto a uscire? (risposta d’istinto, immediata, dalla pancia) “No!”. Poi Luca Tommassini resta in silenzio, e non è da lui.

Come mai?

Già l’idea mi mette un po’ di ansia. Io resto a casa.

Di cosa?

Un po’ di quello che accadrà rispetto al quotidiano, e un po’ di ammalarmi.

Quindi?

Vabbè, me la faccio passare.

La linea del corpo è mostrabile?

(Ride) Ora sì, mentre i primi tempi ho cucinato e mangiato di tutto; pensavo: tanto non mi vede nessuno.

Mentre, adesso…

La dieta è partita da qualche settimana, e per colpa delle dirette Instagram. Anche lì ti pizzicano se sei ingrassato.

Ultimamente ha lanciato una proposta per il calcio.

L’ho buttata lì su Tuttosport eppure è piaciuta.

Qual è?

Di puntare sulla “realtà aumentata”.

Tradotto?

Grazie alla tecnologia è possibile riempire gli spalti anche se vuoti, mandare in televisione uno spettacolo inedito e affascinante.

In questo periodo cosa ha scoperto di sé?

Più che altro la conferma di quanto ipotizzavo.

Cioè?

Sto bene da solo, non temo la solitudine, in caso contrario avrei litigato con chiunque.

E poi…

Che amo il mio lavoro; il mio lavoro è la mia passione e il tempo fermo non regala idee, le sottrae, le ridimensiona.

Perché?

È necessario il confronto, scorgere la reazione negli occhi di chi hai di fronte, essere presenti in campo.

Pulizie?

Per forza, e ho pure cucinato, compresa la crema pasticcera che mangiavo 40 anni fa.

L’eros?

(Risata lunga, vivace) Ho scoperto il sesso virtuale.

E…

Ho organizzato un weekend virtuale, ma romantico: vestito elegante, profumo, musica in sottofondo.

Danni da quarantena?

Una sera mi sono ubriacato con a colpi di amaro; il mal di testa è durato due giorni, e tutti mi hanno detto: “Ma che sei matto? con l’amaro no!”. Io non lo sapevo…

Buffet, sigarette, selfie, orge ecc. 100 cose che non faremo subito

 

1. Darsi il cinque.

2. Parlare con il vicino di tavolo.

3. Ascoltare i discorsi del tavolo vicino.

4. Togliere una ciglia dall’occhio altrui.

5. Asciugare una lacrima, altrui.

6. Sentire la temperatura corporea con un bacio sulla fronte.

7. Condividere un mojito.

8. Rimorchiare.

9. Scusa, hai una sigaretta?

10. Scusa, hai da accendere?

11. Dare la mancia in contanti.

12. Prendere la mancia in contanti.

13. Chiedere informazioni stradali quando l’udito non è buono.

14. Passarsi uno spinello.

15. Sesso occasionale.

16. Pigiare l’uva, all’antica.

17. Respirazione bocca a bocca.

18. L’elemosina ai semafori.

19. Tavolo sociale in biblioteca.

20. Pausa caffè con i colleghi.

21. L’ansia da stadio durante la fila ai tornelli.

22. Abbracciarsi per il gol.

23. Karaoke.

24. Basta buffet.

25. Feste di matrimonio non distanziate.

26. Lancio del bouquet.

27. Ballare insieme a un concerto.

28. Pogare.

29. Prestarsi gli occhiali da vista.

30. Partita di carte al bar.

31. Faccia a faccia dopo la misura del peso nella boxe.

32. Nessuno sul ring dopo una vittoria.

33. Crisi intestinali e bagni pubblici.

34. Prendere l’ostia dalla mano del prete.

35. Dare un passaggio a chi è rimasto in panne.

36. Scambiarsi il rossetto.

37. Prendere un libro lasciato su una panchina.

38. Foto di gruppo senza grandangolo.

39. Girotondo.

40. Passarsi le cuffiette: “Senti che bella questa canzone!”.

41. I brindisi.

42. Soffiare sulle candeline.

43. Risse.

44. Sesso di gruppo.

45. Guardare il sorriso degli estranei.

46. Le condoglianze ai funerali.

47. La folla del Natale.

48. Sputarsi addosso.

49. Balli di gruppo.

50. Lasciare le impronte.

51. Provare i materassi da Ikea…

52. …però anche i divani.

53. Le giornate di team building.

54. Salvare il vicino mentre scivola per le scale.

55. Aiutare gli anziani ad attraversare la strada.

56. Lo sharing.

57. Assaggiare le olive (greche) dalla mano del pizzicagnolo.

58. Le indicazioni stradali su una cartina.

59. Stringere il nodo della cravatta a un collega.

60. Passarsi la versione di latino o greco con i bigliettini.

61. Affrontare le rapide con il rafting.

62. Fare l’autostop (anche se era già proibito).

63. Chi ha la zeppola o lisca è un potenziale killer.

64. Dirsi un segreto all’orecchio.

65. Giocare allo schiaffo del soldato.

66. Aiutare gli estranei ai self service dei benzinai.

67. Amicizia in ascensore.

68. Fissare un appuntamento senza un tampone.

69. L’acquasantiera.

70. Soffiarsi il naso in pubblico.

71. Offrire al cinema i pop corn al vicino.

72. Vedere e ridere del prezzemolo tra i denti.

73. Chiedere aiuto quando si ha poca voce (chi sente?).

74. Toccare le palle del toro di Wall Street.

75. Dire al bar: “Per favore, mi passa lo zucchero?”.

76. Pacche consolatorie sulla spalla.

77. Sentire l’odore del prossimo.

78. Manifestare gomito a gomito.

79. Aiutare in nave chi ha mal di mare.

80. Niente addii a nubilato…

81.… e neanche al celibato.

82. Volantinaggio.

83. Le riunioni in casa per la meditazione buddista.

84. Parlare al conducente dell’autobus (sì, era già proibito).

85. Passarsi la borraccia tra ciclisti.

86. Bere dalle fontanelle (a Roma detti “Nasoni”).

87. Fingere di svenire per l’emozione.

88. Sussurrare.

89. Prendere al volo le bacchette lanciate da un batterista a un concerto.

90. Lanciare le bacchette a un concerto.

91. Prendere un aperitivo di gruppo.

92.Abbracciare l’avvocato dopo un’assoluzione.

93. Strozzare l’avvocato dopo una condanna.

94.Niente gioco della bottiglia.

95.Niente “ruba bandiera”.

96.Sfogliare e leggere i libri, in libreria.

97.Lasciare il posto in autobus.

98.Abbracciarsi al coro: “Chi non salta…”

99.Aiutare l’anziano a portare la spesa.

100.Basta selfie di gruppo.

A Milano non c’è ancora tregua: restano troppi i nuovi contagi

A pochi giorni dalla fine annunciata del lockdown, la Lombardia e Milano in particolare dimostrano nei numeri di essere ancora in una curva di crescita del contagio. Covid-19 rallenta, ma non frena affatto la sua corsa. Cifre alla mano, nelle ultime due settimane nella regione più colpita d’Europa si sono registrati 18.863 nuovi casi positivi. Ciò che colpisce è però la percentuale quotidiana di incremento (raffronto fra nuovi casi e tamponi effettuati) che in questa finestra temporale sta in una forbice tra il 10 e il 20% con una media di oltre il 12. Questo lo si ricava calcolando i numeri dei nuovi positivi che ogni giorno vengono diffusi dai bollettini della Regione. Ieri gli ingressi nella lunga lista dei positivi sono stati 1.091. Si tratta, viene spiegato da fonti del Pirellone, di casi nuovi di zecca e che corrispondono a loro volta a nuovi codici fiscali che ancora non sono finiti nel grande frullatore dei tamponi. La percentuale di crescita sembra poi calcolata al ribasso. Il motivo è semplice: il numero totale dei tamponi giornalieri che ormai si attesta a più di 10.000 (ieri sono stati 11.000) non corrisponde affatto a cittadini testati per la prima volta. In molti casi quei tamponi rappresentano la stessa persona testata più volte, fino addirittura a sette tamponi.

Se, dunque, la cifra reale di tamponi effettuati su individui nuovi è più bassa e dato per oggettivo il numero dei casi nuovi, inevitabilmente si alzerà il rapporto percentuale. Ma già un incremento quotidiano ben oltre il 10% rende problematica l’idea di una riapertura che permetterà, sulla carta, ai lombardi di spostarsi all’interno della regione e di poter andare a trovare i parenti. Del resto le stime sui 34 laboratori lombardi che oggi processano i tamponi parlano di una media di positivi del 30%. Un tale numero, ci viene spiegato dai tecnici, si ritrova quando si analizzano persone ospedalizzate, pazienti od operatori sanitari e anche ospiti delle Rsa. La cifra tende a scendere quando si esce da questo recinto sociale. I tamponi in Lombardia al momento non restituiscono una precisa ricostruzione epidemiologica come avvenuto per il caso del piccolo comune veneto di Vo’ Euganeo la cui popolazione (2.800 abitanti su un totale di 3.000) è stata testata prima e dopo il lockdown restituendo un dato per gli asintomatici che si aggira attorno al 43%. Una percentuale che dovrà essere tenuta in gran conto rispetto agli oltre 18mila nuovi positivi lombardi. Il numero effettivo potrebbe essere quasi il doppio. Provincia per provincia, stando ai dati dell’Unità di crisi della Regione Lombardia, si conferma una media delle ultime due settimane di circa il 12% dei positivi. Prendendo, ad esempio, il 18 aprile se Milano si attesta al 22% Cremona sfiora l’11%. Il dato dei positivi a partire dal 21 febbraio, giorno in cui ufficialmente in Italia parte l’epidemia, per la provincia di Bergamo segna una media monster del 47%, ovvero uno su due in quell’area è risultato positivo.

Dei nuovi casi in Lombardia una percentuale sempre oltre il 20% la si ritrova nell’area metropolitana di Milano. Ieri questo numero è schizzato a oltre il 40% con 412 nuovi casi su un totale regionale di 1.091. I grafici in mano alla Regione dimostrano che il quadrante più densamente popolato della Lombardia, a partire dall’8 marzo, giorno del lockdown, è cresciuto in modo esponenziale, a riprova di come le misure di distanziamento sociale qui non hanno funzionato del tutto. A oggi l’area metropolitana di Milano registra 17.689 casi positivi (7.467 solo a Milano). Gli amministratori dovranno tenerlo in considerazione in vista della riapertura. Se il contagio frena ma non si ferma, alcuni dati sensibili mostrano un allentamento confortante. I codici rossi registrati al pronto soccorso in tutte le province, dopo un picco abnorme rispetto al 2019 registrato attorno alla metà di marzo, sono tornati ai livelli dello scorso anno.

Cifre accettabili mostrano anche i letti delle terapie intensive. Qui però va tenuto conto di un dato emerso dagli ultimi due studi del Policlinico di Milano pubblicato sulla rivista americana Jama. L’equipe coordinata dal professor Antonio Pesenti ha dimostrato che nei casi più gravi dei ricoverati in terapia intensiva, il 48% non sopravvive. E così se da un lato le terapie intensive si svuotano gradualmente, dall’altro chi viene ricoverato ha aspettative di vita piuttosto basse. Altro elemento che va valutato per modulare la riapertura lombarda del prossimo 4 maggio e per trovare un dignitoso compromesso tra necessità economiche e vite a rischio.

Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi

Al Santa Margherita di Pavia, istituto di riabilitazione e di cura geriatrica, nelle settimane scorse sono arrivati a contare fino a 20 contagiati, tra i circa 200 anziani ricoverati. La situazione ora sta piano piano rientrando, ma il telefono dell’istituto continua a squillare. “È l’Ats che chiama tutti i giorni”, racconta Maurizio Niutta, direttore amministrativo del Santa Margherita. “Monitorano le strutture del territorio per verificare se le nostre condizioni, essendo migliorate, sono idonee a ricevere pazienti Covid sulla base della delibera dell’8 marzo. Ma qui noi, voglio chiarirlo subito, non abbiamo avuto né ordini né pressioni…”. È Priamo, la piattaforma digitale della Regione che collega ospedali a territorio, che “smista” il traffico dei pazienti.

“Online è visibile tutto il percorso di un paziente, anche di quelli Covid: da quando è dimissionabile dall’ospedale a quando può tornare a casa”, spiega, a qualche centinaio di chilometri di distanza, nel Bresciano, Luca Magli, presidente della casa di riposo di Orzinuovi, Orzivecchi e Barbariga (tre sedi e 190 anziani). “I malati Covid noi non li abbiamo presi: mi sono sempre opposto. Ma – racconta – abbiamo dato piena disponibilità ad accogliere i pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali, che non possono ancora rientrare a casa. Due giorni fa i militari russi hanno sanificato tutte le Rsa della zona, e così li abbiamo presi: sono già arrivati 4-5 pazienti”. I pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali e che non possono ancora rientrare nelle proprie abitazioni continuano quindi a essere trasferiti nelle Rsa. Sono i cosiddetti “clinicamente guariti”, come indicati da delibera regionale del 23 marzo. “Per noi la condizione ovviamente – precisa Magli – è che tali pazienti abbiano il doppio tampone negativo, ma per noi è un dovere etico e morale accoglierli. Li ‘segregheremo’ in una struttura apposita, ma non possiamo girarci dall’altra parte…”.

Per la Regione restano sempre 147. Ma – come abbiamo raccontato ieri nella nostra inchiesta – i conti non tornano. Tanto più se, per quello che riguarda i pazienti ex Covid, i trasferimenti dagli ospedali alle Rsa stanno proseguendo. Dalla Regione non vogliono commentare. Anche se sono in molti a far notare, ultimamente, una certa ritrosia da parte dell’assessore al Welfare e Sanità, Giulio Gallera, attorniato da un cerchio ristretto di collaboratori che un po’ velenosamente qualcuno definisce “il giglio tragico”, e pressoché sparito dalle scene. Gallera stesso, due giorni fa, si era fatto sfuggire in un’intervista a 7Gold che “le Rsa sono enti gestiti da soggetti privati o da fondazioni, quindi che non avevano capacità di affrontare la gestione dei pazienti Covid”. Eppure, passano i giorni, ma la confusione – nel rimpallo generale di responsabilità, e tra le polemiche (e le indagini della magistratura) – aumenta. Ecco perché, visto quanto raccontato dal Fatto sulle Rsa dall’inizio dell’emergenza, abbiamo posto a Regione Lombardia 10 domande sul tema dei trasferimenti e della nostra inchiesta. Aspettiamo fiduciose.

1. È stata Regione Lombardia, con la delibera dell’8 marzo, a chiedere la facoltà a Rsa con determinate condizioni (strutture separate e personale dedicato) di accogliere i pazienti Covid “a bassa intensità”. A oggi di quanti pazienti si tratta?

2. È da inizio aprile che Regione Lombardia parla di “147 pazienti accolti in 15 strutture”. Abbiamo chiesto quotidianamente aggiornamenti alla Regione su questo numero. La risposta è sempre stata 147. Come è possibile che, a distanza di giorni, questo numero sia invariato?

3. Dei 147 pazienti che per Regione Lombardia sono stati trasferiti nelle Rsa, ve ne sono alcuni deceduti? Quanti?

4. Quanti pazienti ex Covid “clinicamente guariti”, ossia che non hanno più i sintomi ma che potrebbero continuare ad avere una carica virale, sono stati trasferiti negli hospice, in seguito alla delibera del 23 marzo?

5. I pazienti ex Covid sono sottoposti a doppio tampone prima di essere trasferiti? Se sì, quando è iniziata questa procedura?

6. Da quando i tamponi vengono effettuati, Ats per Ats, nelle Rsa a degenti e a operatori?

7. Regione Lombardia ha assicurato che il trasferimento dei pazienti nelle Rsa non è mai avvenuto in presenza di “contaminazioni”. Si è detto anche che “sono le Ats ad avere il compito di sorvegliare sulle condizioni delle strutture che hanno accolto pazienti”. C’è stata una verifica da parte della Regione sulle Ats per capire se questo è avvenuto?

8. Come hanno fatto le Ats a verificare che nelle Rsa ci fossero o meno già casi positivi al Covid, se i tamponi in molte Rsa ancora oggi non sono stati eseguiti?

9. Diverse Rsa denunciano di aver subito “pressioni”, “fino a venti telefonate al giorno dalle Ats” per accettare pazienti Covid o ex Covid dimessi. Regione Lombardia ne è a conoscenza? Come risponde?

10. Alla luce di quanto sta emergendo, Regione Lombardia ha intenzione di continuare a inviare pazienti alle Rsa?

“Corruzione sanitaria, come evitarla”

Porre molta attenzione ai fenomeni corruttivi che possono verificarsi nell’emergenza Covid-19. Perché è proprio nei momenti emergenziali, con i poteri straordinari affidati ai commissari, e gli appalti pubblici assegnati con procedure accelerate, magari basandosi sull’autocertificazione dei requisiti, che la corruzione può trovare terreno facile.

L’allarme arriva da Transparency International Italia, organizzazione che a livello globale si occupa di prevenire e contrastare la corruzione. Gli esperti di Transparency hanno elaborato uno studio che mette a fuoco quattro settori più a rischio in questa fase, ma pure nel momento della post-emergenza: gli appalti e i contratti pubblici; la gestione e la distribuzione di materiali e dispositivi clinici di protezione, come le mascherine, con scandali che già stanno riempiendo le cronache; i processi farmaceutici che riguardano sia la cura degli attuali pazienti Covid che la ricerca del vaccino; il traffico dei dati clinici di pazienti e non, che sono gestiti da aziende sanitarie pubbliche e private, ma su cui non è escluso un monitoraggio da parte di esterni. Su quest’ultimo punto, per esempio, il personale medico che ha accesso a tali dati deve gestire il proprio ruolo evitando conflitti d’interessi, visto che i dati interessano molto ad aziende farmaceutiche, assicurazioni e giganti del web. Per diminuire i rischi, Transparency consiglia un aumento nella sicurezza informatica e l’approvazione di un codice di comportamento ad hoc.

Sul fronte appalti, già prima, secondo i dati del 2017, il 28% dei casi di corruzione nella salute era legato all’approvvigionamento di attrezzature medico-sanitarie. Qui la strada suggerita è quella di affidarsi a processi contrattuali il più possibile trasparenti e alle denunce dall’interno (whistleblowing). “L’analisi vuole mettere in guardia sui rischi cui il sistema va incontro e, al contempo, offrire idee pratiche per mettere in atto efficaci strategie di difesa dai corruttori”, spiega Davide Del Monte di Transparency Italia.

Secondo il report, in Italia, dal 1° gennaio 2019 al 30 marzo 2020, sono stati denunciati 126 casi di corruzione nella sanità, di cui 104 nel 2019 e 22 dall’inizio del 2020. Trentanove casi su 126, il 30,9%, riguardano gli appalti. A guidare la classifica negativa sono Puglia e Campania con 16 casi, seguite da Lombardia e Lazio con 13, e Sicilia e Calabria con 11. La maggior parte delle inchieste sono ancora in corso, ma ci sono state anche 16 condanne e 3 assoluzioni.

Gare per le mascherine: ecco la nuova inchiesta

Non c’è solo l’indagine su Antonello Ieffi, l’imprenditore accusato di inadempimento di contratti di pubbliche forniture e turbativa d’asta di una gara Consip per la fornitura di 24 milioni di mascherine e arrestato il 9 aprile. La Procura di Roma sta svolgendo accertamenti anche su un’ulteriore società che ha partecipato a un altro appalto indetto della stazione appaltante. Si tratta della cooperativa Indaco di Salvatore Micelli, che si è aggiudicata un lotto da 4 milioni e mezzo di euro per la fornitura di 7 milioni di mascherine.

Affidamento sospeso dalla Consip, che ha effettuato i controlli – come sta facendo su tutte le aziende che partecipano alle gare – e che poi ha inviato una segnalazione in Procura. Della Indaco nei giorni scorsi si era occupata Piazzapulita (La7), svelando che Micelli è sotto inchiesta per truffa aggravata ai danni dello stato dalla Procura di Taranto con una condanna definitiva per calunnia. La cooperativa aveva partecipato alla gara indetta il 19 marzo per la “fornitura di mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione destinati all’emergenza Covid-19”.

Il primo arresto durante l’epidemia Coronavirus

Diverso il caso Biocrea di cui, dal 2010 al febbraio 2020, è stato amministratore unico Antonello Ieffi. I suoi legali hanno fatto ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere la scarcerazione. La Biocrea si era aggiudicata il lotto 6 di una gara Consip per la fornitura di oltre 24 milioni di mascherine (importo complessivo di 15,8 milioni di euro). La prima tranche di 3 milioni di mascherine doveva essere consegnata entro tre giorni dall’ordinativo. Mai arrivate. La Biocrea viene sospesa: la Consip, come spiegato nei giorni scorsi dai legali di Ieffi, “non recede dal contratto per un inadempimento ma perché in sede di partecipazione al bando il legale rappresentante della società aveva dichiarato che non aveva debito nei confronti dello Stato. Dalle verifiche effettuate è emerso che c’erano delle cartelle esattoriali per 150 mila”. L’esclusione quindi riguarda una vecchia cartella esattoriale.

L’imprenditore con l’obbligo di dimora revocato da poco

Biocrea e Indaco non sono le uniche società sospese da Consip. C’è un’altra azienda che però non è oggetto di indagini e che ha partecipato alla gara indetta il 19 marzo, quella alla quale ha partecipato la Indaco. Consip ha revocato la società Italian Properties di Marco Melega: l’esclusione riguarda un debito di 600 euro con l’Inps.

Fino al 10 marzo, a pochi giorni dalla gara Consip, Melega era sottoposto all’obbligo di dimora (misura revocata) in una inchiesta per truffa della Procura di Cremona che lo aveva portato in carcere nel luglio 2019 per truffa e riciclaggio. “I truffati – spiega Cesare Maragoni, comandante provinciale della Guardia di finanza di Cremona – sono diverse migliaia che compravano prodotti, a prezzi strabilianti, che poi non ricevevano. Melega ha precedenti, due condanne per omesso versamento dei contributi assistenziali e previdenziali”. Accuse che Melega respinge.

Gli esportatori di vini: “Pronti a fornire tutto”

Alla fine, della gara del 19 marzo per la fornitura di mascherine, chi è rimasto? A vincere molti lotti è la società Holding Aleda Group. Si tratta di una società costituita a febbraio, inizio attività il 16 marzo. La famiglia ha una storica azienda di vini a due civici dalla sede di Aleda. “Aleda si occupa di importazioni. Abbiamo partecipato alla gara – spiega la proprietatia Alessia Consoli – perché facendo da anni export di vini ci siamo resi conti dell’esigenza enorme di mascherine, abbiamo esperienze e conoscenze in Cina dove abbiamo il nostro mercato principale”. Ma avete fornito una mascherina? “No, ma siamo pronti, al momento non abbiamo ancora ricevuto da Consip l’ordine di acquisto”.

Altri lotti sono stati aggiudicati da Winner Italia, società che si occupa di abbigliamento da lavoro e prodotti per premiazioni: le forniture di questa azienda sono già regolarmente iniziate. A fine marzo un supermercato romano ha ricevuto la visita dei carabinieri dei Nas che hanno sequestrato 33 mila dispositivi che per come “vengono presentati risultano irregolari”. A fornirle era stata proprio Winner che però non risulta coinvolta in alcuna indagine. “Siamo totalmente estranei. I prodotti che noi distribuiamo – assicura l’Ad Alessandro Di Vincenzo – sono tutti regolari”.

Contagi: il 55% in Rsa e ospedali. E uno su 4 si infetta in famiglia

Le cronache lo raccontano da settimane, le immagini delle bare portate fuori a braccio dalle strutture ne mostrano gli effetti con estrema crudezza. Ora l’evidenza emerge anche dai dati dell’Istituto Superiore di Sanità: oltre la metà dei contagi di Sars-cov-2 si sono verificati tra le corsie e i reparti delle Rsa e degli ospedali. Da uno studio illustrato ieri all’Iss condotto su 4.508 contagi notificati tra il 1° e il 23 aprile (l’8% di un totale di 58.803) è emerso che 1.990 persone (il 44%) hanno contratto la malattia in una casa di riposo o in una comunità per disabili, strutture che soprattutto nella Lombardia falcidiata dal virus sono finite sotto la lente della magistratura a causa dell’alto numero di decessi tra i loro ospiti e delle opacità nella gestione dei pazienti dimessi dagli ospedali. Non è un caso che in molti dei 106 Comuni, distribuiti in 9 Regioni, in cui è stata dichiarata una “zona rossa”, l’Iss ha rilevato la “presenza di strutture socio-sanitarie”.

Un’altra parte rilevante dei contagi rimane in ambito sanitario: l’11% del campione, piuttosto ridotto perché il luogo del contagio per lo più non viene annotato o non arriva all’Iss, si è ammalato in una struttura ospedaliera o ambulatoriale. Dalla somma tra le due percentuali, quindi, traspare una realtà inquietante: il 55% degli infetti ha contratto la malattia in luoghi che per natura sono deputati a combatterla. Ma neanche le mura domestiche sono sicure. Anzi: 1.113 dei pazienti considerati nello studio (ben il 25%) sono stati contagiati in famiglia, l’ambiente in cui si trascorre più tempo tra lockdown e quarantena. Un altro 4,2%, infine, ha contratto il morbo sul luogo di lavoro.

La ricerca accende una luce anche sui contagi tra gli operatori sanitari. I casi diagnosticati nella categoria sono 19.665, l’11,1% del totale, per un’età mediana di 48 anni e con il 31,3% degli infettati di sesso maschile. Nella popolazione, poi, gli uomini infetti sono la maggioranza nelle fasce di età 0-9, 60-69 e 70-79 anni. E anche la letalità vede i maschi sfavoriti, essendo la loro più elevata in tutte le fasce di età (14.668 gli uomini deceduti contro 8.496 decedute) tranne che in quella 0-9 anni.

Mentre il 4 maggio si avvicina, governo, Comitato tecnico-scientifico e task force affidata a Vittorio Colao lavorano alle regole necessarie per la Fase 2. Tra gli indici osservati con maggiore attenzione c’è l’“Rt”, il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun infetto dopo l’applicazione delle misure di contenimento, importante in vista della ripartenza perché utilizzato per misurare la potenziale trasmissibilità del Covid-19: secondo i modelli elaborati dall’Iss e dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento su 15 Regioni (le altre “non hanno un dato di sufficiente qualità per il calcolo”, si legge), già dal 6 aprile l’indice si attestava su valori che oscillavano tra lo 0,34 della Sicilia e lo 0,71 dell’Emilia-Romagna. Un dato, “calcolato dalla serie temporale dei casi per data di inizio sintomi e per data di ospedalizzazione”, che resta ben al di sotto di quell’1 indicato dagli epidemiologi come soglia di allarme. Attenzione, però: “Se non osserviamo le cautele del caso, in Fase 2 si rischia di tornare con l’indice di contagio sopra l’1 in due settimane o anche meno”, ha avvertito Gianni Rezza, direttore delle Malattie infettive dell’Iss.

Se l’indice dell’Istituto crea margini per un certo cauto ottimismo, gli analisti indipendenti stimano valori diversi: secondo Covstat.it, diretto da Giuseppe Arbia, ordinario di Statistica Economica all’università Cattolica del Sacro Cuore, il dato nazionale si attesta sullo 0.96, con 8 Regioni ancora oltre quota 1: Puglia (1,16) Piemonte (1,14) e Abruzzo (1,13) in testa alle altre, compresa la Lombardia a quota 1,01. Valori ancora diversi, ma sempre più elevati di quello dell’Iss, sono quelli ottenuti da Fabrizio Nicastro, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, secondo il quale Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna sono ancora leggermente sopra 1 mentre la media delle altre regioni è 0,88.

L’epidemia, intanto, continua a rallentare ma non si arresta: il numero dei contagiati totali – compresi morti e guariti – è arrivato a quota 192.994, con un incremento rispetto a giovedì di 3.021 unità (1,59%): mercoledì erano state 2.646. Le vittime sono 25.969 (+420 in 24 ore), mentre per il 5° giorno consecutivo diminuiscono i malati: sono 106.527 gli attualmente positivi, 321 in meno. Sono undici le Regioni che registrano il segno meno: Emilia, Veneto, Toscana, Liguria, Campania, Puglia, Abruzzo, Umbria, Sardegna, Calabria e Val d’Aosta. In controtendenza la Lombardia, con 495 nuovi malati, e il Piemonte (239).