Occhio agli anniversari. Lo spettacolo di generale disfatta della nostra classe politica che va in scena da sei giorni, 24 ore al giorno, assomiglia a quello dei drammatici mesi di Tangentopoli, giusto trent’anni fa. Ma stavolta voltato in farsa. In pochade. In commedia degli equivoci. In un clamoroso X-Factor in versione miserrima, senza effetti speciali. Senza pathos. Senza gli applausi del pubblico. E purtroppo senza ancora il sipario.
Stiamo assistendo, a questo giro di giostra, non al dramma epocale dei furfanti in doppio petto appena presi, magari in lacrime per l’onore smarrito, per la famiglia e la carriera rovinate. Ma alla recita estemporanea di dilettanti allo sbaraglio, appena cascati dal letto con briciole di croissant sulla mascherina, inquadrati davanti allo sfondo di Montecitorio, che non sanno cosa diavolo dire ai microfoni protesi. E lo dicono.
Non alla caduta rovinosa di partiti al potere da quarant’anni, pieni di storia, pieni di biografie e di avventurose navigazioni politiche, che si dissolvevano in quaranta giorni con tutti gli abissi a seguire. Ma alla lieta impermanenza di nuove, nuovissime aggregazioni che hanno la consistenza delle alghe nella risacca, schiuma compresa. Tutte, o quasi, aggrappate allo scoglio del presente, ma inconsapevoli del prossimo futuro. Formate da truppe deambulanti tra i Palazzi del potere fino al tramonto, quando viene l’ora dell’assalto all’abbacchio in trattoria. E poi a notte fonda, se toccherà sorbirsi l’ennesimo conclave inconcludente. Prima di una notte senza sogni.
In forme magari incidentali, i politologi si preoccupano dei riverberi sulla pubblica opinione giacché “non è stata eradicata l’antipolitica”. Davvero? E come mai? Non sarà che i massimi fabbricanti di antipolitica – proprio dai tempi che produssero Tangentopoli – siano i politici in proprio? Magari a cominciare dalla sintassi. E dallo spettacolo dei loro cavallini a dondolo.
Fa finta di nulla l’informazione. Che corre inconsapevole dentro la ridondanza quotidiana a caccia di benemerenze, offrendo il vassoio delle interviste ai capitavola e persino ai camerieri di cambusa. Svelando il vuoto invece di colmarlo. Finendo per trasformare la ricorrente, persino banale, elezione del Capo dello Stato, in una dissimulata guerra di trincea, che raccontata istante per istante, dispetto per dispetto, finisce per trasformare in un gioco puerile a somma zero. Purtroppo interpretato da adulti in conto spese. E proprio mentre il Paese fronteggia la trincea vera dell’emergenza sanitaria, delle diseguaglianze crescenti, della crisi energetica che soffoca, del debito pubblico che si moltiplica. E persino dei venti di guerra che soffiano ai bordi del Mediterraneo e del Mar Nero.
Ma niente: riecco i pupazzi in scena. “Stasera faremo tre nomi. Tre!”. “Anzi uno solo”. “Oggi scheda bianca”. “Abbiamo la figura istituzionale”. “Basta veti! Votiamo!”. “C’è l’accordo”. “Non c’è l’accordo”. “Siamo in alto mare”. “Stanotte riunione decisiva”. “Ancora no, domani”. “Dopodomani”. “Vedremo”. “Pepperepè”
I giornali nuotano nel nulla, prigionieri anche loro della marea, insensibili all’eterogenesi dei fini: nove pagine al giorno il Corriere della Sera, nove Repubblica, undici La Stampa.
Più o meno le stesse che raccontavano Mani Pulite, quando l’intera Repubblica cambiava stagione, mentre oggi (anzi domani, dopodomani, eccetera) cambierà solo il centro tavola, come ogni sette anni da 77 anni. Divampavano, in quel mirabile anno 1992, gli interrogatori, i pentimenti, i clamorosi addii, i processi, i suicidi. Mentre oggi – nel perenne intervallo dell’attesa – si infiamma l’aria fritta, e ai bordi di via del Corso, ciondolano gli improbabili addetti a scavare la buca di giornata da riempire l’indomani: “Stiamo lavorando per il bene del Paese”.
Qualunque evento rischia di diventare ossessione, se raccontato senza sosta, in modo millimetrico, analizzato in infinite ripetizioni quotidiane. Lo sperimentiamo da due anni di pandemia, migliaia di pagine, migliaia di virologi, milioni di parole, servizi, inchieste, rivelazioni, finzioni, fazioni. Fino al limite sopportabile della paranoia collettiva e della collettiva insofferenza Tuttavia consapevoli di fronteggiare la più clamorosa notizia planetaria. Una epidemia che fino a oggi ha contaminato 360 milioni di persone nel mondo, 5,5 milioni di morti, quasi 150 mila in Italia. Ma anche l’infodemia fa vittime. Specie se dalle bare di Bergamo si passa ai pupazzi di questo anticipo di Carnevale romano.
Corrono in sneakers e microfono i poveri cronisti delle televisioni: “Si preannunciano trattative serrate sino all’alba”. Strillavano un tempo: “Craxi è fuggito in Tunisia!”. Oggi chiedono con urgenza la linea per la sola notizia del giorno: “Arriva Casini! Indossa la sciarpa del Bologna!”.