Mail Box

In corsia o al supermercato, i capelli vanno coperti

Desidererei porre due domande alla dottoressa Gismondo: 1. Nei negozi toccare gli alimenti con i guanti e poi con gli stessi toccare i soldi non è pericoloso? 2. Come si spiega che pur sapendo che i capelli sono ricettacolo di germi vengano tenuti sciolti e scoperti in tutti i reparti (fatto salvo terapia intensiva, rianimazione e sala operatoria): non potrebbero essere imputabili delle infezioni incrociate che toccano pazienti ricoverati per altre patologie?

Rosella Donegaglia

 

Tutti, Covid-19 o no, non dovrebbero toccare i soldi e i prodotti alimentari con le stesse mani. Sarebbe opportuno indossare i guanti toccando gli alimenti. Lo stesso dicasi per i capelli. Chi opera in ambiente alimentare o sanitario, deve tenerli opportunamente raccolti e protetti da apposita cuffia.

MRG

 

Lo scandalo dell’acqua nei Comuni del napoletano

Ho fatto l’abbonamento al Fatto perché è l’unico che ricerca la verità. Proprio per questo, come napoletano, constato che dedicate molte pagine ai problemi del Nord Italia, quasi dimenticando il meridione che avrebbe bisogno di più attenzione per portare alla luce il marciume della classe dirigente. Tempo fa ho inviato alla redazione una relazione sulla distribuzione dell’acqua potabile nei comuni in provincia di Napoli che costa ai cittadini decine di milioni di euro all’anno in più rispetto al capoluogo. Questa relazione l’ho inviata ai vari sindaci, governatori e al ministro Di Maio. Nessuno ha mai risposto. Eppure la distribuzione e il costo dell’acqua dovrebbe essere di primaria importanza nei Paesi civili. Io non desisto e rimando al vostro giornale la relazione.

Giuseppe Totaro

 

Caro Giuseppe, il Coronavirus ha colpito soprattutto al Nord, ma stia sicuro che non dimentichiamo il Sud e ci occuperemo delle sue segnalazioni.

M. Trav.

 

I ricchi del mondo fanno affari anche col Covid-19

È diventato difficile fare acquisti. “Non ti preoccupare, ci penso io con le vendite online”, firmato Jeff Bezos, uomo più ricco del mondo. Non posso andare a scuola. “Non ti preoccupare, c’è la didattica online”. Ma non ho il computer, né i soldi per comprarlo. “Stai senza pensieri, dico io due paroline ai tuoi governanti, vedrai che te lo comprano”, Bill Gates, 2° in classifica. È un problema andare in ufficio. “Non ti preoccupare, fai smart working, ti do una mano con Oracle”, Larry Ellison, 5°. Non riesco più a scambiare due chiacchiere con gli amici. “Non ti preoccupare, provvedo io con i miei social network”, Mark Zuckerberg, 6°… E qualcuno ha il coraggio di sostenere che le misure contro il contagio non sono efficaci!

Giampiero Bonazzi

 

L’ironia del “Fatto” è il modo migliore per far riflettere

Ho iniziato a leggere il vostro giornale solo di recente, causa esaurimento copie del mio solito quotidiano. Grande e bella sorpresa: al di là dei contenuti che spesso condivido, ho scoperto uno stile giornalistico davvero di gran classe. Scusatemi, sono un insegnante di lettere e una qualche distorsione professionale me la sono guadagnata, distorsione che mi aiuta ad apprezzare quello che è scritto bene, che non è retorico, contorto. Apprezzo l’amara ironia cucita a dover nei vostri articoli. Mi capita così di ritrovarmi a sorridere anche durante la lettura di testi che affrontano argomenti preoccupanti… un buon sistema per guidare alla riflessione. Già, riflettere, finalmente un metodo che aiuta, chiarezza, spietatezza e un sorriso… Appena mi sarà possibile porterò il vostro giornale in classe tra i miei studenti, almeno potranno veder cosa significa scrivere. Quindi l’intera redazione de Il Fatto Quotidiano esce promossa a pieni voti.

Prof. Enrico Rettagliata

 

I furbetti dei 600 euro rubano alla collettività

Più che una lettera, questa avrebbe la speranza di essere reagente… Succede che il titolare di un’azienda artigiana inoltri domanda, a nome personale, e riceva dall’Inps il bonus da 600 euro di marzo, (saranno 800 in aprile e maggio?). In quel mese ha però incassato il compenso aziendale con regolare statino paga (poco meno di 4mila euro) e non c’è ragione di cambiamenti futuri. Credo che, non facendosi mai mancare nulla, i 600 euro li spenderà in una delle belle cene tra conoscenti, amici e amici degli amici. Perbacco! È così che si coltivano le buone relazioni. Intanto alcuni dipendenti, dopo aver esaurito le ferie, aspetteranno la Cig in deroga, che sembra non sarà così veloce come i bonus agli artigiani “affamati” (con tutto il rispetto di quelli davvero in difficoltà). Vorrei trovare il coraggio di chiedere a quell’artigiano: “Ma non ti vergogni?”. E intanto mi chiedo: ma qua in Italia qualcuno controlla?

Lettera firmata

 

Ieri il giornale in Sicilia non è uscito: ecco perché

Per uno sciopero della tipografia che stampa il Fatto a Catania, ieri, come altri giornali, non eravamo presenti nelle edicole siciliane e in parte della Calabria.

FQ

 

I NOSTRI ERRORI

Nella rubrica di Alessandro Robecchi di ieri abbiamo scritto che tra i soci azionisti della App Immuni figura anche il finanziere Davide Serra. In realtà Serra è azionista con il 2,7 per cento (da 22 anni, fa sapere) della società Jakala che assisterà Immuni nel marketing. Ce ne scusiamo con l’interessato e i lettori.

FQ

Le donne assenti dai tavoli e dalla task force: le quote rosa forse servono

Sul fatto che le donne siano più resistenti degli uomini al coronavirus c’è più che un fondato sospetto, sicuramente non abbiamo la stessa resistenza ai pregiudizi degli uomini ai posti di comando, almeno nel nostro Paese. Alcune virologhe hanno avanzato l’ipotesi di far tornare le donne per prime al lavoro: è curioso che, sia in momenti di pace che di pandemia, le donne siano destinate a non essere giudicate in base al merito: quote rosa o “quote coronavirus”. Onestamente non si può considerare un merito quello di ammalarsi meno degli uomini. Non sono una tifosa delle quote rosa, perché preferirei che le donne venissero scelte solo in base alle loro capacità: non mi piacerebbe affatto che una donna meno qualificata avesse la meglio su un uomo solo per questione di numeri. Ma, trovando incomprensibile il fatto che nessuna donna sia stata selezionata nella numerosissima task force della Protezione civile per combattere questa emergenza, devo arrendermi al fatto che quelle quote siano diventate ormai una scelta obbligata. E dire che abbiamo dimostrato infinite volte di essere più brave degli uomini nelle emergenze e che ci sono professioniste e scienziate sicuramente all’altezza. Per più di un motivo non c’è da rallegrarsi se dobbiamo aspettare qualche virus compiacente per pareggiare i conti con i maschietti.

Enza Ferro

Cara Enza, grazie per la sua intelligente e ironica lettera. Venendo al nocciolo, cioè all’assenza di donne nella task force, bisogna dire che sono assenti anche dai tavoli del governo. Vediamo in tv sempre premier e i soliti ministri: tutti maschi. Lei ha ragione: non sarebbe giusto che una donna meno qualificata superasse un collega maschio solo per via del suo sesso. Resta però un problema, di natura statistica. Guardando i dati relativi al 2019, elaborati dalla Federazione degli Ordini dei medici, scopriamo che le donne medico in Italia sono 163.336 contro 210.713 maschi. Nella fascia tra i 50 e i 54 anni le donne sono già la maggioranza (14.247 contro 13.970). Scendendo poi con l’età la presenza femminile aumenta (18.425 donne contro 10.873 uomini a 40-44 anni), per arrivare al record nella fascia 35-39 anni: le donne medico sono quasi il doppio degli uomini (19.556 contro 10.953). Ma secondo uno studio della Cgil medici (anno 2018) le donne primario sono solo il 15%. Il nodo è (ancora!) l’accesso alle posizioni apicali (come in molti altri settori). I numeri ci dicono che c’è un problema di rappresentanza di una forza lavoro che come si vede dai numeri è in alcune fasce d’età addirittura maggioritaria. Personalmente concordo: le quote rosa, come misura temporanea, una mano a sanare questo divario ce la darebbero.

Silvia Truzzi

Sarà la Valle d’Aosta a riaprire le spiagge (ma quelle siciliane)

Gli arresti domiciliari a cui l’ottusa operosità lumbard ha costretto 60 milioni di italiani dureranno almeno fino al 4 maggio, sebbene nei prossimi giorni il governo potrebbe decidere nuove deroghe, come quella di dieci giorni fa per i negozi di monocicli da equilibrista (possono restare aperti, ma vendere solo ai mimi). Nel frattempo, però, le ordinanze regionali non fanno che aumentare la confusione generale. In Sicilia non sono ammesse le grigliate, in Friuli è proibito passeggiare senza cagnolino, in Abruzzo è permesso grigliare il cagnolino. In Lombardia, la regione di gran lunga più colpita da Fontana, a maggio riprenderanno le attività produttive, ma ci sono polemiche per la decisione di trasferire tutte le acciaierie dentro il Pio Albergo Trivulzio. Fontana: “Se la scienza ci dirà che sono un cretino, sono un cretino”. In Veneto, Zaia ha già riaperto tutto, perché è stato praticamente dimostrato che lo spritz tiene lontano il virus: “Ci sono due linee di pensiero: la prima è aprire subito, la seconda è aprire subito. E io tra queste due linee non ho dubbi. I mille morti? Tutti astemi”. In Piemonte restano chiusi i negozi di abbigliamento per l’infanzia, ma restano aperti i neonati. In Campania i morti sono solo 300, ma nessuno vuole uscire di casa finché De Luca non avrà venduto il suo lanciafiamme. De Luca ha detto che, qualora le regioni più colpite del Nord dovessero riaprire, lui sarebbe pronto a chiudere i confini di sua moglie. Quanto ai funerali, non sono ammessi neppure come attività motoria, cioè con l’auto funebre che va ai 70 e il corteo che la insegue in scarpe da jogging e pantaloncini (cosa che invece è permessa in altre regioni dall’ordinanza “René Clair”). In Calabria è obbligatorio lavarsi le mani dopo aver strangolato qualcuno.

Nel Lazio faranno a tutti gli anziani la vaccinazione anti-pneumococco, per evitare che l’influenza venga scambiata per coronavirus, e la vaccinazione anti-Camilleri, per evitare che Zingaretti venga scambiato per Montalbano, sempre che la regione riesca a trovare un’altra azienda offshore cui appaltarle. Al marasma contribuiscono i regolamenti comunali. A Venezia è vietato usare la gondola se non è tua sorella, a Roma si può tranquillamente sparare ai cinghiali che si fanno le canne in piazza Trilussa, a Torino si possono leggere i libri di Gramellini solo indossando la maschera antigas, a Livorno si può girare senza mascherina solo a Pisa. Gli approcci sono così diversi che l’unità d’Italia non è mai stata più barzelletta di così. L’Istituto Superiore di Sanità ripete che la distanza minima fra le persone dev’essere di un metro e mezzo. Ma come calcolarla con esattezza? Non siamo tutti come Rocco Siffredi, che può usare il pisello. (Rocco: “E non è facile, ripiegarlo in tre parti per ridurlo a un metro e mezzo”). Insomma, è un gran casino. In Toscana tutti sperano che la Fase 2 non sia “come chiede’ ai fiorentini della topa”, in Sardegna sassaresi e cagliaritani continuano ad accusarsi reciprocamente di aver diffuso il Coronavirus in Cina, la Valle d’Aosta ha riaperto le spiagge della Sicilia, mentre a Milano Fontana urla a tutti quelli che incontra: “Come sto andando?”.

Da Calenda fino al gol di Turone: – che risate…

Oggi, cavalcata delle risate (anche amare) per stare un po’ su dopo tanto virus e tanta pioggia. Primo premio, cum laude, per la formidabile auto-battuta di Carlo Calenda, martedì sera da Lilli Gruber: “L’altra volta ha ospitato mia mamma, molti hanno detto che sembro suo padre”. In effetti mentre la “mamma”, Cristina Comencini, si mostra in splendida forma, il rampollo appare leggermente appesantito dall’inattività forzata (qualcuno suggerisce di chiamare il suo partito non più “Azione” ma “Colazione”). Battutacce a parte, Calenda ha competenza e capacità comunicativa che farebbero molto comodo al governo (lui si è offerto di “dare una mano”, con un accordo di riservatezza ma al momento sembra senza riscontro alcuno). Spassoso quando con un pizzico di cattiveria ribalda l’ex ministro propone un governissimo, con dentro presunti leghisti buoni, come Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti lasciando fuori Matteo Salvini e Giorgia Meloni: davvero esilarante. Medaglia d’argento al governatore della Lombardia, Attilio Fontana, per la frase: “Mi contesteranno qualsiasi cosa, ma rifarei tutto”. Un tutto che è meglio non commentare considerato il particolare momento che vive il popolo lombardo ma che ricorda, in un contesto meno tragico, certe interviste a Silvio Berlusconi, regnante tra sfacelo economico, processi e nipotine di Mubarak. Presidente, si rimprovera qualcosa? E lui: sì, di essere stato troppo buono. Menzione d’onore a un genio di nome Riccardo Romano, che spunta nel Facebook di Donald Trump mentre costui chiede di chiudere agli immigrati i confini già chiusi e aizza la destra contro i governatori democratici che mantengono il lockdown. Beffa a bruciapelo: “Mr President, do you think Turone’s goal was good” (secondo lei il goal di Turone era regolare?). Applausi.

Tatuaggi, cucina, un cane corso e un pallone di nome Wilson

Il mio Lucio, la noia e un libro di Murakami

Ciao, mi chiamo Francesco, vivo in un paesino sul mare in Abruzzo. In casa siamo io e il mio cane Lucio, un corso di 40 chili… nei primi tempi della quarantena mi sentivo molto Castaway on the moon, un film coreano che parla di un uomo rimasto intrappolato su un isolotto in mezzo a un fiume. Lui non può andarsene mentre la città continua a vivere intorno a lui, che poteva solo osservarla da fuori. In questa atmosfera goliardica anche io come il buon Tom Hanks ho creato il mio “Wilson” con un vecchio pallone. Ho sfruttato il tempo per aumentare le mia abilità in cucina, con video-sessioni guidate dai vari parenti…

Poi ho riempito le giornate disegnando per il mio lavoro (sono un tatuatore), sono disciplinato e ho una buona routine: gli orari a cui mi siedo al tavolo sono precisi. Vorrei spendere due parole per un libro che è servito a darmi una disciplina mentale: L’arte di correre di Murakami.

La mente si abitua presto a tutto, credo che ormai un po’ ci stiamo anestetizzando, ci accontentiamo di vedere il mondo dai nostri oblò virtuali.

Francesco Leonzi

Nemmeno il Coronavirus ci salva dalla politica

Stare in quarantena è dura: è una verità che tutti conoscono. Come se non bastasse, siamo costretti ad assistere ogni giorno per mezzo dei media, unico (e dunque obbligato) contatto per noi con l’esterno, a uno stillicidio imbarazzante: il comportamento di certa politica, infatti, è da mettersi le mani nei capelli.

Se da una parte abbiamo la Lega intenta a usare ogni ridicolo trucco pur di non ammettere che la selezione salviniana dei propri rappresentanti fa schifo (Zaia c’era da prima, Fontana è una scoperta di Salvini), dall’altra vediamo la riconferma di indagati come Descalzi all’Eni da parte della maggioranza giallorosa. È forse troppo chiedere che, con tanto di Coronavirus in giro, ci venga almeno risparmiata l’infezione da classe dirigente scadente?

G. C.

Una poesia per tutte le Liberazioni

E ovunque voi siate:

baciatevi!

In alto i Cuori!

Non temete!

È il vostro giorno.

Sia festa di liberazione.

Dalla tirannia fascista,

e dalla tirannia del capitale.

Per riprenderci la follia dell’Amore.

E della Libertà!

Simone Cumbo

Borrelli, quella triglia quieta arrivata con la tempesta Covid

Un giorno ci chiederemo quale sia stata la stella polare, la guida ferma, la figura di riferimento in questo periodo storico di paura ed emergenza, e di sicuro non ci verrà in mente il capo della Protezione civile Angelo Borrelli.

Per carità, brava persona, come si dice in questi casi, però diciamo che il suo maglioncino blu col colletto dai bordi tricolore non è esattamente la corazza smaltata del guerriero. Borrelli è il dopo Bertolaso come Monti è stato il dopo Berlusconi, come Gentiloni e Zingaretti sono stati il dopo Renzi, come la triglia boccheggiante sul bagnasciuga è il dopo tsunami. Borrelli è la quiete durante la tempesta. Io lo guardo arrivare con la sua aria bonaria nella sala dove si svolge la conferenza stampa della Protezione civile (a tutti gli effetti l’ultimo programma tv ad avere ancora il pubblico in studio) e quando aprono i microfoni ai giornalisti per le domande vorrei sempre che qualcuno gli domandasse “Tutto bene? A casa come va? Le serve qualcosa dal supermercato accanto?”. Ecco, mi verrebbe da domandare a Borrelli come stia lui, non come sta il Paese. Borrelli è anche quello che quando Bertolaso si è preso il Covid, s’è ammalato pure lui, per empatia. Aveva solo la febbre, tipo quei mariti che ingrassano insieme alle mogli durante la gravidanza.

Anche perché Borrelli nasce contabile, Borrelli ha lavorato nella Ragioneria di Stato, Borrelli è uno che di numeri dovrebbe intendersi e invece il suo appuntamento con i numeri è un capolavoro di approssimazione in cui lui stesso sa che i morti sono di più, i contagiati sono di più, i guariti sono anche i dimessi non guariti quindi sono di meno, i tamponati sono anche i tamponati la seconda e terza volta quindi sono boh, quelli in terapia intensiva forse sono gli unici numeri veri, sempre che Borrelli non legga la riga sbagliata.

Verrebbe anche da ridere se non fosse triste vederlo quotidianamente sbugiardato da politici, scienziati, giornalisti e perfino da se stesso, che in un moto di onestà è perfino riuscito a darsi torto da solo riconoscendo: “Il rapporto di un malato certificato ogni dieci non censiti è credibile”. E quando gli è stato fatto notare che nel bollettino allora sarebbe meglio dare i numeri da giocare al Superenalotto, ha risposto che magari sono numeri imperfetti ma comunque ha promesso a se stesso di dire sempre la verità. Dunque da domani posso dire “Io sono Sophia Loren” e sostenere che non sia una boiata, ma una dichiarazione imperfetta. Poi uno si stupisce se gli hanno rifilato le mascherine fatte con la carta igienica a un velo dell’Eurospin. Però è una brava persona, dicevamo all’inizio. E questo sicuramente lo tiene al riparo dalle critiche più feroci, perché a mettere in fila le sue risposte scialbe, evasive, grossolane, viene da chiedersi come mai, dai media, sia stato crocifisso in sala mensa o in sala stampa meno di altri. Come dimenticare quando per spiegare la quantità spaventosa dei morti, in Italia, non ha trovato di meglio che dire “ne abbiamo più della Cina perché è a causa della nostra longevità”. O quando quel 3 marzo lesse il numero dei morti aggiungendo “Però voglio precisare che si tratta di ultra-ottantenni e di un ultra settantasettenne”. I famosi ultrasettantasettenni. Memorabile anche la sua risposta a chi gli ha domandato come mai non si sia chiusa la zona di Alzano: “Non si è chiusa solo la zona di Alzano, ma di tutta la Lombardia! Non c’è stata nessuna difficoltà nel gestire la vicenda bergamasca!”. Che è come dire: “Nel momento in cui stava per uscire l’acqua dalla vasca noi non abbiamo chiuso l’acqua, abbiamo impermeabilizzato i muri di casa! Ma c’è di meglio. O forse di peggio. È di fronte a un’altra domanda precisa che Borrelli rivela la sua impalpabilità. La giornalista, qualche giorno fa, gli dice che ha letto quello che era il piano anti-pandemia del governo per la Sars. Domanda a Borrelli che fine abbia fatto quel piano e perché dal 30 gennaio, quando è stata dichiarata l’emergenza, sia stato ignorato. Lui: “Per quello che ne so io era un piano per le pandemie influenzali, quando è venuto fuori che era un’epidemia da Coronavirus il ministero della Salute ha istituito una task force per capire come fronteggiare il virus.

Quindi poi si è arrivati al piano di contrasto con l’incremento della terapia intensiva. Poi io i dettagli non li conosco”. La giornalista non molla. “Ma scusi era un piano per le pandemie tipo Sars. Cosa è stato fatto il mese che ha preceduto lo scoppio dell’epidemia?”. Lui: “È un virus nuovo, come si può immaginare di mettere in piedi un piano per un virus che non si conosce? Sono dettagli che non sono nelle mie competenze, come non lo è la pianificazione di contrasto”. Illuminante. Il capo della Protezione civile che dice, nell’ordine: A) la Protezione civile non ha alcun coinvolgimento nell’organizzazione di un piano di prevenzione per proteggere i civili. Dunque si chiama “protezione civile” ma potrebbe chiamarsi anche “Comodino” o “Johnny Depp”; B) l’aumento dei posti letto in terapia intensiva è IL piano di prevenzione; C) quelli per la Sars erano piani per le pandemie influenzali, quindi non sa che Sars fa parte della famiglia dei Coronavirus; D) i piani di prevenzione esistono solo per malattie già conosciute, quindi secondo Borrelli prima ci facciamo infettare tutti, poi vediamo che si può fare per prevenire. Insomma, una brava persona Borrelli. Una di quelle persone che però se hai bisogno di aiuto, ecco, magari chiami qualcun altro.

Taglio vitalizi: Montecitorio annulla parte della delibera

Per il presidente della Camera Roberto Fico il taglio dei vitalizi è salvo e pure i risparmi di 44 milioni di euro all’anno messi in preventivo. Ma la decisione con cui ieri l’organo di giustizia interna di Montecitorio ha annullato una parte della delibera che dal primo gennaio 2019 ha ridotto gli assegni mensili, per gli ex parlamentari è la certificazione che si è trattato di un’ingiustizia. E che si può ben sperare di riavere indietro tutto, arretrati compresi.

L’avvocato Maurizio Paniz che rappresenta una buona fetta dei circa 2mila ex inquilini di Camera e Senato che hanno fatto ricorso per riavere il trattamento precedente, la mette così: “È palese che questa sentenza evidenzia l’illegittimità originaria della delibera”. Ma cosa è stato deciso ieri? Che chi ha subìto un pregiudizio potrà fare domanda per riavere il vitalizio, anche tutto intero, senza dover per forza dimostrare il doppio requisito fino a oggi previsto, ossia non percepire altri redditi di importo superiore all’assegno sociale e essere affetto di patologie di una certa gravità. “Se chi farà richiesta alla Camera non avrà risposta entro 30 giorni ma anche nel caso in cui l’istanza venisse respinta, potrà appellarsi a noi” spiega Alberto Losacco che presiede il Consiglio di giurisdizione che ieri ha emesso la sentenza e da cui si attende la decisione più importante, quella sui ricorsi che puntano al ripristino degli assegni per tutti, a prescindere da condizioni di salute o tenore di vita. “È stato fatto un primo passo per rimediare alle situazioni più aberranti determinate dalla misura, penso agli ex deputati malandati e indigenti” spiega ancora Paniz, che ora spera nella possibilità di veder annullata la delibera nel suo complesso “ora che è stato accertato che i tagli, che sono stati anche pari anche all’80 per cento, violano il parametro della ragionevolezza fissato dalla Costituzione”.

Trotsky & Lenin: rissa web tra comunisti

Proletari di tutta Italia, scannatevi. Di nuovo. Non bastano 103 anni e una quarantena per emergenza sanitaria – quella che, come il Natale, dovrebbe renderci migliori… – a metter pace tra le diverse declinazioni del comunismo. E così in queste ore, vuoi per la noia vuoi per amor della storia, l’anniversario delle tesi di aprile del 1917 sta facendo litigare il Partito Comunista di Marco Rizzo e il Partito Comunista dei Lavoratori, guidato da Marco Ferrando.

Sì, perché non deve ingannare la somiglianza dei nomi, soprattutto se si parla di Unione Sovietica. I primi si rifanno al marxismo-leninismo e più volte Rizzo non ha disdegnato elogi pubblici a Stalin; i secondi si richiamano invece a Lev Trotsky, da Stalin costretto all’esilio dopo la morte di Lenin, e alla sua rivoluzione permanente, teoria in contrasto con la dottrina del “socialismo in un solo Paese” perseguita allo storico leader sovietico.

Tra la nostalgia e la farsa, l’ultimo scontro è via social. La pagina del Partito Comunista di Rizzo ha infatti pubblicato una foto per celebrare l’anniversario delle tesi di aprile con cui Lenin, di lì a poco, avrebbe accelerato la presa del potere dei bolscevichi. Problema: nella foto, accanto a Lenin, compare Trotsky. Che c’è di strano? Per anni quell’immagine è stata oggetto della propaganda stalinista, che per veicolare la propria concezione di Pravda aveva cancellato con abile stratagemma artistico volto e corpo del nemico Trotsky eliminandolo dal palco. Vederla pubblicata nella sua versione originale ha così sciolto il cuore dei compagni del Pcl, che sono accorsi sulla pagina dell’altro partito celebrando con ironia la “conversione trotskista” di Rizzo.

Peccato che, accortosi della magagna, il Partito Comunista abbia poi spennellato di un goffo nero artigianale la parte della foto incriminata, coprendo Trotsky e perpetuando in versione maccheronica la censura che fu. Per completare l’opera, qualche ora più tardi la pagina ha rimosso la foto sostituendola con una scattata di lato che raffigura soltanto Lenin. Quel che allora era sembrato un segnale d’avvicinamento alla rivoluzione permanente s’è trasformato in battaglia politica.

Il partito di Ferrando ha così rilanciato sui suoi canali la gaffe dei rivali, prendendosela poi con il segretario: “Aprile, che poteva essere il mese della verità, resta invece il mese delle Tesi di Lenin per i partiti comunisti che le celebrano e dei partiti stalinisti più strampalati che le scimmiottano, come quello di Rizzo: uno scherzo di partito!”.

Anche se poi, silenziosa e quasi inosservata, si alza un’obiezione tra i commenti in pagina: “Questo odio tra i partiti comunisti non lo capisco. Mentre noi stiamo a litigare e a offenderci tra compagni la borghesia se la ride”. Come in un eterno ritorno.

Espulso Giarrusso, manettaro ma solo con i polsi degli altri

Mario Michele Giarrusso è stato cacciato dal Movimento 5 Stelle: questione di soldi. Proprio lui, il senatore siciliano. Grillino integralista più di tutti, “manettaro” confesso e compiaciuto, sensibile alle parole d’ordine di polizia e magistratura. Un uomo disciplinato e inflessibile, ma solo con le regole degli altri. È da oltre un anno infatti che il grillino Giarrusso non restituisce più un euro del suo stipendio, come i Cinque Stelle pretendono dai loro eletti. A differenza di altri, Giarrusso è sincero, non solo non rimborsa ma nemmeno dice che lo farà: i soldi se li vuole proprio tenere. Con una giustificazione che gli pare inattaccabile: “Ho accantonato, da gennaio 2019, le somme che avrei dovuto restituire, per costituire una riserva per far fronte alle spese legali per alcuni processi pendenti a mio carico, scaturiti dalla mia attività di parlamentare”. Insomma, li sta mettendo da parte per difendersi dalle numerose cause che lo riguardano.

In effetti Giarrusso è un uomo molto facile da querelare: è del tutto incontinente, la sua lingua è autonoma dal controllo della regione cerebrale. Ecco alcune pietre miliari della retorica giarrussiana: “Matteo Renzi sarebbe da impiccare. Insomma, avete presente la cosa che si fa su un albero attaccando la corda?”; “Il patto tra Renzi e Berlusconi è come il patto Molotov-Ribbentrop. Bisogna metterli in guardia… Mussolini, si è trovato a testa in giù a piazzale Loreto”, “Buttati al mare con una pietra al collo” (al giornalista della Rai, Davide Camarrone), “Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato (dedicato agli amici del Movimento)”; “Adesso il cretino dirà che la colpa è degli elettori, ovvero sempre di qualche altro. E continuerà col suo giornaletto a sparare cazzate stupide senza voler vedere la realtà” (dedicato a Marco Travaglio e al Fatto).

Insomma, sarà per questo talento vagamente diffamatorio, ma Giarrusso si becca un sacco di denunce. Una medaglia, per uomo tanto coraggioso. Il problema è che Giarrusso è molto meno prode quando deve affrontare le conseguenze delle sue parole. Nel 2016 pretese di usare lo scudo dell’immunità parlamentare per sbarazzarsi della querela (guarda un po’, per diffamazione) della deputata del Pd Maria Greco, alla quale aveva attribuito affiliazioni mafiose. Giarrusso prima chiese lo scudo, poi fu costretto a rinunciare dai colleghi grillini, che nel dubbio gli votarono contro anche in Senato.

Di recente però c’è ricascato: ha invocato l’immunità da senatore per evitare un’altra denuncia di una ex attivista M5S, Debora Borgese, che il senatore aveva elegantemente appellato “Madame De Pompadour”, con un sottilissimo riferimento sessuale. Lei l’ha querelato per diffamazione, lui ora riprova a nascondersi dietro l’immunità, uno strumento storico della tanto odiata Casta. Ora forse non ne avrà più bisogno: potrà usare il “tesoretto” messo da parte con le mancate restituzioni per difendersi in tribunale.

Ne dubitiamo. Giarrusso è fatto così: è giustizialista a corrente alternata. È quello che mostra le manette ai colleghi del Pd fuori dalla Giunta (ironizzando sull’arresto dei genitori di Renzi), ma poi usa il suo status di parlamentare per non farsi giudicare. È quello che si riempie la bocca di rigore e certezza del diritto, ma poi (nella suddetta Giunta) lavora per garantire a Matteo Salvini l’immunità sul caso Diciotti, una delle pagine più imbarazzanti della storia politica dei Cinque Stelle. È quello che attacca e insulta i compagni di partito su base praticamente quotidiana – perché tanto al Senato la maggioranza è fragile e ogni voto conta, persino il suo – ma poi mica se ne va dal Movimento: ha solo aspettato di farsi cacciare.

“La Germania sia solidale con l’Italia”

Sostenere l’Italia per uscire insieme dalla crisi: è per questo che alcuni deputati tedeschi ieri a Berlino hanno manifestato davanti all’ambasciata italiana. Tra gli organizzatori dell’iniziativa la deputata verde al Bundestag, Franziska Brantner.

Quali sono le attese per il Consiglio europeo di oggi?

Spero che si arrivi a un accordo sui criteri e sul modo in cui la Commissione Ue può lavorare a un Fondo di ricostruzione degno di questo nome. Serve chiarire che sono necessari finanziamenti extra di natura macroeconomica e che siano soldi in più, non la redistribuzione di finanziamenti esistenti. In più il Green deal deve far parte della ricostruzione. Come minimo mi auguro che venga dato mandato alla Commissione per stabilire il giusto livello di ambizione finanziaria e che il peso va portato tutti insieme.

Che pensa dei coronabond?

Noi siamo favorevoli ad obbligazioni comuni europee: in questa situazione sono necessari e alla fine è uguale che si chiamino recovery bond o coronabond. Quello che è importante è che tutti gli Stati escano il più possibile bene da questa crisi e che nessun paese venga sovraccaricato o debba rivivere quanto è successo nella crisi dell’euro. Non è possibile che da questa crisi si esca con paesi economicamente in salute e altri a terra e sovra-indebitati, quindi non ci sono altre strade oltre quella di titoli comuni europei. Nella scorsa crisi finanziaria abbiamo fatto molti errori e si è chiesto molto ai paesi del Sud. Ora non possiamo permetterci questa divisione.

Cosa rende la parola coronabond così difficile da accettare per i tedeschi?

È legata agli eurobond e al vecchio riflesso, nato nella crisi finanziaria del 2008, che fa pensare in modo automatico che i tedeschi devono farsi carico dei debiti dell’Italia. È un atteggiamento tragico perché non ha niente a che vedere con la situazione attuale e con le proposte in discussione oggi. È un rifiuto di affrontare il vero dibattito.

Qual è la posizione del Partito socialdemocratico in questo dibattito?

Ah, se lo sapessi! Ognuno pensa una cosa diversa. Per esempio da una parte ci sono Martin Schulz o Walter-Borjans (co-leader dell’Spd) e dall’altra Olaf Scholz (ministro delle Finanze). Quale sia quella dell’Spd non saprei dirlo.

Qual è il ruolo della Bce?

In questi anni abbiamo sempre cercato di trovare una strada nelle crisi e alla fine la Banca centrale ha fatto tutto il lavoro, ma questo sistema non può continuare. In parte c’è già una sorta di mutualizzazione dei debiti attraverso la Bce e per questo la Germania dovrebbe decidere prima o poi quale tabù vuole rompere. Se la Bce non deve essere più indipendente, allora deve agire de facto politicamente, cosa che nessuno voleva e vuole in Germania. L’alternativa è che si decida la politica finanziaria comune con una legittimazione democratica.

L’Italia dice di aver fatto “i compiti a casa”, perché non viene presa sul serio?

L’Italia ha un alto debito pubblico e problemi con le banche, ma al tempo stesso è un Paese ricco, dove c’è un ricco patrimonio privato mentre lo Stato è povero. Questo è il momento del sostegno per uscire dalla crisi, ma nel momento in cui si parlerà di come finanziare tutto allora bisognerà porsi la domanda dell’equità fiscale, cioè se chi ha grandi patrimoni paga abbastanza alle finanze pubbliche e affrontare il tema delle oasi fiscali in Olanda e Austria.