S’avanza un altro piccolo premier. C’è mezzo Parlamento che si occupa del “dopo-Conte”, nuovo sport della politica nazionale. Uno (ma in realtà sono tantissimi) sussurra Mario Draghi, l’ex presidente della Bce, un altro si immagina manovre per insediare Vittorio Colao a Palazzo Chigi. C’è chi si è perfino spinto a proporre Fabio Panetta che, una volta in Banca d’Italia, oggi siede nel Comitato esecutivo della Bce. La gente nemmeno sa chi è, ma nelle cronache dei giornali fa capolino anche lui per impossessarsi della guida del Paese. Tanti “piccoli premier” a cui ieri se ne aggiunge uno appena arrivato. Carlo Bonomi è stato “designato” come futuro presidente di Confindustria, e quindi non si è nemmeno insediato, lo farà il 20 maggio, e già c’è chi gli augura miglior fortuna per il futuro. Lo fa sulle pagine del Foglio Roberto Maroni, leghista storico, rimasto nell’ombra, che si spertica in elogi per il neo-leader degli industriali di “stile ambrosiano, concreto e coraggioso”. “I prossimi quattro anni (il suo mandato) – scrive Maroni –, non saranno facili per il mondo del lavoro. E allora forza e coraggio: Bonomi for president (di Confindustria, per ora…). Stay tuned”. Stiamo sintonizzati. In attesa del prossimo.
Il Corona si nasconde nei testicoli?. Cari uomini, è presto per disperarsi
Per la scienza non esiste una notizia giudicabile “brutta”, perché ogni acquisizione è sempre un arricchimento della conoscenza, purché supportata da una solida e documentata indagine.
La “brutta” notizia (dal punto di vista non scientifico) è quanto pubblicato nel recente lavoro preliminare di un “gruppo di ricerca familiare” indio-americano.
I due ricercatori che la firmano sono Aditi Shastri, oncologo del Montefiore Medical Center in the Bronx (NY, USA), e sua madre Jayanthi Shastri, microbiologa presso il Kasturba Hospital for Infectious Diseases
in Mumbai (India).
Il lavoro afferma che il Coronavirus è stato ritrovato nei testicoli dei malati, ovviamente di sesso maschile, fatto che spiegherebbe, a loro parere, perché i maschi siano più colpiti delle donne.
Sappiamo che il virus riesce a penetrare nella cellula tramite il legame della sua proteina S di superficie (spikeprotein) ad alcuni recettori cellulari. Studi hanno dimostrato che la proteina ACE2, angiotensin-converting enzyme 2, agisce come recettore di membrana per il SARS-CoV.
L’ACE2 non solo è presente nei polmoni, ma anche molto significativamente nei testicoli. La spiegazione a supporto della teoria dei ricercatori è che gli uomini siano più aggrediti dal virus perché, rifugiatosi nei testicoli, è poco raggiungibile dal sistema immune.
Lo sforzo scientifico è sicuramente meritevole, ma credo che, prima che la notizia diventi virale, con ricadute comportamentali da non sottovalutare, si debba pretendere una conferma e un ampliamento dei dati.
Fra l’altro, si dà per certa un’attività, tutt’altro che dimostrata, cioè che il virus SarsCoV2 produca anticorpi protettivi.
Un altro dato importante che ci sembra mancare è la carica virale (quanti virus) riscontrata nei testicoli e ancora, in quale momento della storia della malattia. Tutti dati che al momento non sono a disposizione e che potrebbero dare un profilo diverso alla notizia.
I Parioli in rivolta: Casini guida i Forconi
Giuseppe Conte lo sa che, reduce giovedì dall’impervio Consiglio Ue, lo attende a piè fermo il Partito Peggiorista, di quelli pronti ad accusarlo in ogni caso di alto tradimento e di aver svenduto il Paese all’odiato tedesco. Del resto, la confraternita del “tanto peggio per l’Italia se è tanto meglio per noi” si arricchisce ogni giorno di nuovi iscritti, anche i più eccentrici. Accanto alle gerenze di Libero, Il Giornale e La Verità (i Qui, Quo, Qua di Forza Sfiga, che almeno ci mettono la faccia), e all’appesantito Salvini (che per la sua intemerata dovrò solo scegliere tra Porro, Giletti, Giordano e Del Debbio), si registra infatti un’assoluta new entry: Pier Ferdinando Casini. Che ricordavamo come scaltro democristiano per tutte le stagioni (da Bisaglia a Berlusconi, per finire con Renzi) ma che oggi compare sul Giornale nella strepitosa veste di Forcone dei Parioli.
Il resoconto di Augusto Minzolini ci mostra l’ex presidente della Camera, sopravvissuto a diverse ere geologiche mentre percorre a ritmo sostenuto i “dodici chilometri quotidiani” per buttare giù “la pancia da pandemia”. Quando a un tratto “dal primo piano di un palazzo signorile un uomo brizzolato e in calzoncini urla: ‘Governo di mmerdaaa!!!’”. Voce dal sen fuggita che induce l’“Oracolo del Parlamento” (testuale) all’accorata predizione: “Il governo Conte è morto anche se la crisi si consumerà tra uno, due mesi. E sarà determinata da un grido di rivolta”. Insomma, il premier abusivo “sarà mandato via con i forconi”. E sostituito da “un governo di unità nazionale con Draghi”. Ci sembra di vederlo Pier, in piazzale delle Muse (angolo Circolo Antico Tiro al volo), giunto ansante al dodicesimo km, eccitare una folla di nobildonne e generali in pensione, in nome e per conto di Draghi e della rivolta sociale. Tutti pronti, in mancanza di forconi, a sfoderare un set completo di forchette da dessert argento 800.
“Allenatevi, ma da soli”: la Serie A senza pallone
Il calcio italiano pretende di tornare a giocare, con un protocollo che prevede migliaia di tamponi ai calciatori e terrorizza persino i medici dei club. Vuole convincere il ministro Spadafora, che dall’inizio dell’emergenza ripete lo stesso sillogismo: lo sport non è solo il calcio, il calcio non è solo la Serie A, le priorità sono altre.
E lo farà anche oggi a Palazzo Chigi, dove è atteso il mondo del pallone al gran completo. Dal 4 maggio arriverà il via libera agli allenamenti, ma solo individuali. E il calcio è lo sport di squadra per eccellenza.
Anche ieri il calcio, italiano e non solo, ha confermato la sua ossessione di concludere la stagione. Lo ha ribadito la Uefa, che elabora calendari sempre diversi e accetterebbe pure i playoff. Lo ha messo per iscritto anche la Lega Serie A. Certo, il concetto di ripresa che ha Lotito, per cui tanto valeva non fermarsi mai (giocatori della Lazio sono già stati avvistati a Formello) è un po’ diverso da quello di Cairo, che direbbe volentieri arrivederci a settembre. Ma l’ultima parola spetta sempre al governo, che ha ancora dubbi: ad esempio sui tamponi richiesti (inaccettabile intasare il lavoro dei laboratori regionali) oppure sul rischio di nuovi contagi e per la salute dei calciatori. Sono le stesse obiezioni avanzate dai medici dei club, che non vogliono addossarsi la responsabilità: chiedono che i calciatori sottoscrivano una liberatoria o di ricevere addirittura una sorta di scudo penale. Altro che giocare.
Intanto dal 4 maggio inizierà la cosiddetta “Fase 2”, e riprenderà gradualmente anche lo sport. “Con le dovute differenze a seconda delle discipline”, ha sottolineato il n.1 del Coni, Giovanni Malagò. Ogni riferimento è puramente casuale. Tutti gli sportivi potranno allenarsi, ma da soli. Sembra coincidere col protocollo Figc, che parla di iniziare con sedute a piccoli gruppi e due metri di distanza. Inevitabilmente, però, i calciatori dovranno riunirsi per preparare le partite, già dalla seconda settimana è previsto “graduale ritorno alla normalità”. Ma qui il governo non offre garanzie: ad oggi non sarà possibile nemmeno passarsi la palla.
Per rivedere una squadra al completo su un campo potrebbero volerci due settimane, come due mesi. Forse verrà chiesto tempo, un’integrazione al protocollo. Intanto il calcio può riprendere, parzialmente e a suo rischio e pericolo. Se il campionato finisse oggi, sarebbe per “causa di forza maggiore” (il blocco del decreto di marzo), quindi il pallone avrebbe un paracadute normativo per eventuali contenziosi su promozioni, stipendi dei calciatori e diritti tv che ci saranno (a proposito: ieri Sky ha scritto alla Lega per pagare 120-140 milioni in meno, i presidenti sono già nel panico). Ma se la Serie A dovesse invece riprendere e poi interrompersi di nuovo (ad esmpio in caso di nuovi contagi di calciatori), rischia di ritrovarsi sola. Come a dire: volete il pallone, giocate. Anzi no: per il momento allenatevi e basta, da soli.
Le banche usano la garanzia per disfarsi dei fidi ai clienti
Nella corsa disperata di migliaia di imprese e professionisti verso il prestito garantito dallo Stato, soprattutto quello più abbordabile fino a 25mila euro, non è l’infernale macchina organizzativa a rappresentare l’ostacolo maggiore al raggiungimento della liquidità per chi da oltre un mese e mezzo non ha più entrate. È lo stesso sistema bancario a dare una pessima prova provando a lucrare sulle garanzie: molti imprenditori in questi giorni sono stati spinti a credere che sia obbligatorio rientrare da esposizioni in essere, cioè fidi e prestiti in corso, per ottenere il finanziamento statale. Come dire a chi sta affogando che gli si può dare solo una ciambella sgonfia invece di una scialuppa di salvataggio. La vicenda che accomuna i primi due gruppi bancari italiani è già storia.
Sui siti di Intesa SanPaolo (fino a ieri mattina) e Unicredit (fino ieri pomeriggio) campeggiavano due banner molto simili: “Puoi chiedere un nuovo finanziamento con credito aggiuntivo, pari ad almeno il 10%, attraverso la rinegoziazione e il consolidamento del debito. Il finanziamento in essere andrà estinto. In questo caso la garanzia dello Stato sarà dell’80%”. Quindi, oltre al vincolo del 25% dei ricavi, che ad esempio già fa ottenere solo 5mila euro a chi ha 20 mila euro di ricavi, alcuni imprenditori si sono ritrovati con le briciole dopo aver estinto le esposizioni pregresse.
Questa condizione non è contemplata dal decreto Imprese che prevede “che il debitore possa consentire alla banca di non aumentare l’esposizione”. Ma molti imprenditore, che lunedì si sono ritrovati faccia a faccia con il consulente della banca e con urgenza di liquidità, non si sono certo potuti permettere, in una posizione di oggettiva debolezza, di non cedere al gentile invito della banca. Che più o meno sarà stata questo: “Caro cliente, ti conviene rientrare dalla tua esposizione con il prestito garantito che ha tassi d’interesse più bassi di quelli che ti abbiamo applicato noi sul fido”. E il gioco è fatto: la banca si assicura di non avere crediti deteriorati in futuro e sul nuovo prestito c’è la garanzia statale. “È normale domandarsi: quante persone abbiano estinto e sostituito i finanziamenti in essere in questi giorni? Quanti dipendenti hanno ignorato o invece eseguito le disposizioni dei banner pubblicitari?”, si chiede Letizia Giorgianni, presidente del Comitato vittime del Salvabanche. Contattata dal Fatto, Intesa ha spiegato che “il banner è stato modificato per rendere maggiormente chiare le possibili modalità di utilizzo delle somme fino a 25 mila euro, rispetto alle quali non c’è automatismo: la decisione, rispetto a come utilizzare i fondi, è lasciata al cliente. Infatti il personale non condiziona la clientela rispetto alle sue scelte, mentre i tassi applicati che vanno dallo 0,04% al 1,135%”. Unicredit ci ha risposto che “si tratta di una possibilità” e che “in caso di finanziamento in essere rimane possibile richiederne la rinegoziazione anche senza accedere alla garanzia del Fondo”.
Insomma, questione di parole. Come quelle mal scritte del decreto “Cura Italia” che lasciano aperto più di un dubbio a una semplice domanda: cosa succede se un imprenditore non riesce a ripagare puntualmente il prestito garantito? Una possibilità tutt’altro che remota in tempi di lockdown. Dietro la possibilità di ottenere un finanziamento fino a 25 mila c’è infatti l’incubo di finire nella morsa dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (l’ex Equitalia). “In caso di insolvenza di una sola rata, le banche possono escutere la garanzia assicurandosi l’80% del mancato pagamento. Poi, in base al principio di surroga, il Fondo subentra ed è obbligato a rivalersi sul debitore utilizzando le procedure esecutive erariali”, spiega Andrea Augello, ex senatore di Fratelli d’Italia. In pratica, l’imprenditore non farà i conti con la banca, ma col Fisco che invierà una cartella esattoriale senza bisogno di diffide e decreti ingiuntivi. Con l’aggravante che per l’imprenditore potrebbe arrivare anche un Documento di regolarità contributiva (Durc) negativo che gli impedirebbe di chiedere un nuovo prestito: “Fra l’altro le cartelle esattoriali sono crediti privilegiati e vengono liquidati in via prioritaria, in danno a fornitori ed eventuali parenti che hanno prestato denaro”, sottolinea Augello. Non male se vuoi “curare” l’Italia.
Il virus ci ha dato una sberla, non sprechiamola
Gentile presidente del Consiglio, mi rivolgo a Lei (…) alla politica in generale e a ciò che le sta dietro, a cominciare da Confindustria e dalle categorie produttive che sul versante del clima e dell’ambiente sono in primo piano. (…) C’entra qualcosa il Covid-19 con il clima? I dati preliminari sembrano indicare che nei mesi di gennaio e febbraio le emissioni di CO2 da parte della Cina sono calate del 25% rispetto allo stesso periodo del 2019. Col trasferirsi dello tsunami virale in altri Paesi e in particolare in Europa, a partire dall’Italia, e negli Stati Uniti questa contrazione delle emissioni si amplia e generalizza (…).
Ci sono anche problemi di inquinamento con cui il virus ha a che fare (…)La città di Torino da tempo gode di un non invidiabile primato, addirittura europeo, riguardo alla quantità di polveri sottili nell’aria. (…) Ebbene nelle prime due settimane di marzo l’aria di Torino non è mai stata così salubre (…).
Non sarò molto originale visto che molti hanno espresso concetti analoghi, ma mi lasci usare una similitudine: quella di una maestra d’altri tempi che, alle prese con un allievo particolarmente riottoso e testone, decida di por mano agli strumenti di correzione più severi per ottenere che la lezione venga imparata. In un contesto deamicisiano lo scolaro discolo si pentirebbe e diverrebbe diligente e studioso. Nel nostro caso?
Di questi tempi Lei ha ben altre gatte da pelare e non ha certo tempo per meditare su apologhi dolciastri. Non c’è tempo da perdere adesso: c’è l’emergenza da fronteggiare e bisogna pensare alla ripresa. E qui sta il punto. Dal Suo mondo colgo messaggi che mettono le mani avanti e che fanno eco a pressioni in qualche modo già espresse da una parte almeno del mondo imprenditoriale: ci vuole una campagna eccezionale di apertura di cantieri comunque, dovunque e a prescindere.
È una ricetta antica, da ricostruzione postbellica, da “piano Marshall”, da grandi, grandissime, stragrandissime opere, e per quanto riguarda la CO2: pazienza ci ripenseremo quando potremo permettercelo… Per adesso vediamo di recuperare in fretta quell’anidride carbonica che quest’anno la “maestra” ci ha fatto risparmiare.
Lo scolaro pentito credo si renda conto che sarà necessario uno sforzo senza precedenti in termini di investimenti per attrezzare il Paese in vista di possibili nuove crisi future ad esempio potenziando i servizi sanitari precedentemente ridimensionati in quanto “improduttivi”; per aumentare la resilienza di territori resi estremamente fragili da un’irragionevole proliferazione dell’edificato e di strutture a servizio di quest’ultimo; per bonificare aree compromesse da politiche ambientali inesistenti, e così via. Tra l’altro un piano straordinario di investimenti di questo tipo darebbe anche rilevantissime occasioni per rilanciare l’occupazione e redistribuire il reddito complessivo. Lo scolaro zuccone e impenitente non ne vuole invece sapere (…).
Tra le cose che non vanno proprio giù c’è l’idea che la terra sia un sistema complesso il cui comportamento non segue le nostre aspettative. I sistemi complessi sono appunto caratterizzati da condizioni critiche nelle quali, quando ci si avvicina troppo, segue un tracollo rapido e globale. (…) Il virus ha di fatto messo a nudo l’insensatezza di una quantità di comportamenti e di meccanismi dati per intoccabili. La “maestra” ci ha dato una bacchettata e ci ha in modo abbastanza chiaro indicato una strada. Dobbiamo imboccarla, ma ci serve il concorso di tutti e certamente anche il Suo, viste le Sue prerogative: preferisce far parte della soluzione oppure del problema?
Oggi è la Giornata della Terra, l’ecologismo è scienza sprecata
Cinquant’anni di Giornata della Terra. A ricordo di una delle più grandi manifestazioni popolari di sempre, quando il 22 aprile 1970 venti milioni di Americani – il dieci per cento della popolazione statunitense di allora – si riversò in strada per protesta contro i danni ambientali da perdite di oleodotti, smog, inquinamento fluviale e pesticidi. Fu un’iniziativa vincente, che portò in Nord America alle prime leggi di difesa dell’aria e dell’acqua. Ma poi l’ambientalismo invece di evolvere come garanzia di salute e bene comune è stato via via considerato un ostacolo alla crescita economica, un fastidio per caccia, pesca, agricoltura, allevamento, deforestazione, motocross…
Perfino il sindacato quando ha visto negli anni Ottanta che le norme ambientali potevano minacciare lavoro e salario, ha spesso privilegiato questi ultimi rispetto alla salute dei lavoratori e dell’ambiente. Il resto, in Italia, è storia nota, dall’Eternit di Casale all’Ilva di Taranto alle colate di cemento su coste e pianure, tutta roba venduta come ottima crescita economica che oggi rivela danni irreversibili. Gli ecologisti sono spesso disprezzati come snob lontani dalle esigenze di chi produce (e inquina). È vero, talora hanno fatto sbagli, ma il problema è che oltre agli ecologisti, si dovrebbero ascoltare gli ecologi, insieme a climatologi, zoologi, biologi, oceanografi, glaciologi, idrologi, geomorfologi, il complesso disciplinare delle Scienze del Sistema Terra (ESS, Earth System Sciences). Non sono però figure di riferimento della politica, che sceglie invece gli economisti. Chi avverte del rischio ambientale è un guastafeste, al limite gli si lascia un ruolo decorativo, che non disturbi troppo le attività urbane e industriali.
Gli scienziati dell’ambiente hanno anche scelto la via della militanza e dell’impegno civile, ma in questi cinquant’anni non hanno ottenuto granché. Penso alla capostipite – la biologa americana Rachel Carson – con il libro denuncia contro i pesticidi Primavera silenziosa del 1962, al grande matematico naturalizzato francese Alexander Grothendieck che rifiutò premi e medaglie accademiche e già nel 1970 si ritirò dalla ricerca di punta per protestare contro l’uso militare che se ne faceva e la distruzione ambientale che emergeva da una scienza priva di etica. E più recentemente a Jim Hansen, climatologo che si è fatto arrestare nelle proteste americane contro il carbone.
Nel frattempo le evidenze scientifiche della crisi ambientale sono diventate inequivocabili, le Nazioni Unite hanno costituito organi e commissioni, indetto conferenze internazionali che ancora non portano a provvedimenti concreti di riduzione dell’impatto ambientale globale. E se la maggior parte degli scienziati fino a qualche anno fa ha presentato dati terribili nello stile sterile e asettico per addetti ai lavori, noto ora che – sia per l’avvento di nuove generazioni di ricercatori, sia per la frustrazione di perdere tempo prezioso di fronte alla catastrofe incombente – le pubblicazioni scientifiche si sono fatte più preoccupate, più drammatiche, più urgenti.
Ma è scienza sprecata. Abbiamo sempre più dati che confermano la malattia della Terra, e non li consideriamo, rifiutando di applicare una cura. Ovviamente non riusciamo a cogliere l’aspetto più importante: chi ci rimette è prima di tutto la specie umana, non si tratta di salvare a priori la natura terrestre, ma di garantire il mantenimento delle condizioni ottimali per la nostra vita. Quest’anno il tema della Giornata della Terra è l’azione per il clima. La lotta al riscaldamento globale, la più grande sfida per il futuro dell’Umanità e della biosfera, richiede l’impegno di politica e cittadini. Non si può scendere in piazza a manifestare, ma possiamo riflettere sull’intelligenza ecologica del dopo-virus.
La Cardinale in tv e una storia d’amore nata in isolamento
Visto che dobbiamo “restare a casa”, chi vuole condividere la sua vita in quarantena può farlo sulle pagine del Fatto. Mai come oggi sentiamo l’esigenza di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio,0 si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze. Inviateci foto e raccontateci cosa fate, come riempite le giornate;quali film, libri e serie tv consigliate all’indirizzo lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.
Ci siamo scritti a fine marzo. Non vediamo l’ora di viverci
Io e Marta, ennesi di nascita e di residenza, sapevamo dell’esistenza l’uno dell’altro in quanto figli di amici (di amici) di famiglia, però negli ultimi 5 anni non c’eravamo mai visti né tantomeno sentiti, finché il 23 marzo, in piena epidemia, lei non mi contatta su Instagram chiedendomi come stavo e come passavo le mie giornate, pensando che vivessi ancora a Torino. In realtà abitiamo entrambi nella stessa cittadina di 25.000 anime da ben sei anni.
Da quel giorno non abbiamo mai smesso di sentirci; purtroppo a causa del lockdown ci siamo visti solo due volte, la prima attraverso la vetrata del suo balcone, la seconda tenendoci per mano rivestite di guanti e guardandoci negli occhi con mascherina protettiva. In quell’occasione si è trovato davanti a noi un ramarro con la testa azzurra, simbolo di affezione, amore costante e fedele custodia.
Non vediamo l’ora di poterci vivere.
Salvo
Una bandiera per dirsi sempre antifascisti
Dall’inizio della quarantena ho appeso il fazzoletto dell’Anpi alla ringhiera del balcone perché “non si è antifascisti in silenzio”. Saluti da San Marino, il Paese con più contagi e vittime in rapporto al numero di abitanti.
Daniele Baldisserri
“Fuori il malloppo“: passo il tempo con un film
In tempo di Covid-19 mi diverto coi vecchi film: Fuori il malloppo con Claudia Cardinale.
Alessandro Colombera
Come diceva la Fallaci: “Non guardare e passa”
Ho capito quanto è importante il tempo: una delle cose abbiamo a disposizione, che ci è stata donata gratuitamente e che spesso sprechiamo, come se ne avessimo in abbondanza! Tutte le volte che ci lamentiamo, tutte che indugiamo in pettegolezzi che non portano a niente, che ci focalizziamo su pensieri negativi, che ce ne stiamo seduti con le mani in mano. Impariamo a dare importanza a cosa e a chi è davvero importante, di tutto il resto “non ti curar, ma guarda e passa”. Anzi, come scriveva Oriana Fallaci, “non guardar nemmeno, passa e basta”.
Adele Zavadlav
Rispettiamo le regole in onore di chi fa sacrifici
Grazie a coloro che hanno continuato a lavorare, dalla filiera alimentare a quella farmaceutica, dal settore delle pulizie a quello della distribuzione. Grazie allo strepitoso contributo del mondo del volontariato. Grazie agli insegnanti, che hanno tenuto la schiena dritta anche questa volta. Grazie a chi lavora nel mondo della comunicazione. Grazie alla Protezione civile e al governo, chiamati a un compito durissimo. Grazie a chi studia, a chi fa ricerca non a parole.
Infine, grazie a chi ha salvato vite, fisicamente e spiritualmente: medici in corsia, infermieri, sacerdoti, psicologi, suore. Ne sono caduti a centinaia, come accade nelle battaglie più dure. Continuare a rispettare le regole significa onorare il loro sacrificio.
Andrea De Angelis
“Ora si rischia l’effetto domino su Bagarella”
Alfonso Sabella oggi è al Riesame di Napoli, lei a Palermo negli anni 90 è stato il “Cacciatore di mafiosi” raccontato anche dalla serie tv col volto dell’attore Francesco Montanari. Ha arrestato molti di quei boss che grazie all’emergenza Covid vedono aprirsi uno spiraglio per lasciare il 41-bis e ritornare a casa. Un nome su tutti: Leoluca Bagarella. Cosa proverebbe a saperlo a casa?
Ecco anche io avrei diciamo qualche problema, giro in motorino e sono da anni senza scorta… e sapere che un boss di quel livello che ho fatto arrestare… sul piano personale valuterò in quell’eventualità che precauzioni prendere. Ma non penso che dopo tanti anni l’attenzione di don Luchino possa essere ancora rivolta a me. Penso piuttosto che la cosa grave è un’altra: stiamo creando dei bersagli. Queste decisioni, anche per urgenze, andrebbero prese in modo collegiale, come avevo segnalato subito dopo le ultime sentenze delle Cedu e della Corte costituzionale. E non da organo monocratico, il singolo giudice di sorveglianza in attesa della ratifica del tribunale, come nel caso del boss Bonura.
Crede che un giudice di sorveglianza a Sassari possa essere condizionato dalla decisione del collega di Milano su Bonura qualora dovesse decidere su Bagarella?
Esattamente, condizionato. E in caso si rifiutasse di far uscire Bagarella, dopo il precedente, il giudice di Sassari diventerebbe un bersaglio mobile esposto a rischi enormi. Lo Stato italiano sta creando bersagli mobili.
Quindi la circolare del Dap ha innescato un meccanismo molto pericoloso?
Certo, il problema non è la decisione su Bonura, che non discuto. Il problema è globale perché quella circolare rende possibile di fatto il ritorno a casa dei detenuti al 41-bis, che sarebbero esclusi dai benefici penitenziari. Crea una situazione di pericolo generale molto grave rischiando di non tutelare neppure la salute del boss mafioso scarcerato.
Che intende dire?
Che paradossalmente l’emergenza sanitaria per il coronavirus dovrebbe essere limitata quasi a zero in una situazione di detenzione come quella del 41-bis. Dovrebbe essere evitato qualsiasi tipo di rischio sanitario. Chi viene spedito a casa è posto in una situazione dove il rischio di contagio è molto superiore, come per tutti noi.
Con la scusa del virus, il giudice scarcera l’uomo di Provenzano
L’emergenza coronavirus, una circolare del Dap e la decisione di un giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, ieri hanno mandato ai domiciliari Francesco Bonura, 78 anni, capo della famiglia di Uditore, come ha rivelato il sito de l’Espresso. E, adesso, a sperare c’è anche Leoluca Bagarella, l’uomo che ereditò il potere di Totò Riina.
L’istanza per uscire dal 41 bis e dal penitenziario di Milano-Opera è stata presentata dopo la circolare del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, datata 21 marzo 2020, con cui è stato chiesto ai direttori delle carceri di indicare all’autorità giudiziaria i nominativi dei detenuti con “malattie croniche dell’apparato respiratorio, malattie dell’apparato cardio-circolatorio, diabete, insufficienza renale cronica, malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie, neoplasie, carente produzione di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci, hiv, persone di età superiore a 70 anni”. È l’ultimo punto dell’elenco, soprattutto, a preoccupare: sono altri 74 i mammasantissima ultrasettantenni attualmente detenuti al 41bis. Nino Di Matteo, ex pm di Palermo oggi consigliere del Consiglio superiore della magistratura, ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it: “Lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte. E sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della Trattativa Stato-mafia”.
Bonura, un tempo indicato dai pentiti Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno come il vice di quel Salvatore Inzerillo che finì a terra sotto i colpi dei Corleonesi, capì l’antifona e traghettò la famiglia dell’Uditore nell’area vincente di Cosa nostra, quella dei sanguinari Corleonesi, sotto l’ala di Bernardo Provenzano. Nel 2006, mentre l’impero di Provenzano cominciava a sgretolarsi, Bonura fu arrestato nel blitz “Gotha” e due anni più tardi gli furono sequestrati beni per il valore di 25 milioni di euro. Bonura è stato spedito a casa a Palermo e avrà come unica limitazione quella di non poter incontrare pregiudicati, potrà uscire per motivi di salute, suoi o di suoi familiari, ogni volta che vorrà. La decisione è di un giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano presieduto da Giovanna Di Rosa. Proprio Di Rosa il 9 aprile in un’intervista al Dubbio, il giornale degli avvocati, dichiarò: “Nessun boss potrà uscire”.
Invece. E ai legali degli altri 74 super boss ultrasettantenni delle mafie italiane cominciano, appunto, a prudere le mani desiderose di scrivere istanze, con qualche eccezione. Pippo Calò, 88 anni, detenuto dal 1985, sepolto dagli ergastoli. Durante la detenzione negli anni passati è stato anche operato per un impianto di by-pass. Eppure il suo legale Fabio Federico, rispetto alla possibilità di procedere sulla strada indicata dal caso Bonura, è scettico: “Dovrei parlare col cliente, ma mi pare improbabile che lo possano mandare fuori dal carcere. Poi per andare dove? Calò non ha più nessun familiare e non ha alcuna proprietà. Sarebbe un problema anzi”. Il colmo per chi un tempo era riconosciuto come il “cassiere di Cosa Nostra”.
Ma l’elenco è lungo e potrebbero rientrare nei requisiti altri “pezzi da novanta”: su tutti Leoluca Bagarella, 78 anni, il capo dell’ala più sanguinaria dei Corleonesi e, conseguentemente di tutta Cosa Nostra, dopo l’arresto di Riina (15 gennaio 1993) fino alla sua cattura il 24 giugno 1995. E Nitto Santapaola, 81 anni, il re incontrastato della mafia catanese. Sarebbe clamorosa anche la scarcerazione di Raffaele Cutolo, 78 anni, già capo della Nuova camorra organizzata, detenuto dal 1979. Sul fronte calabrese sono addirittura già stati scarcerati Rocco Filippone, imputato con Giuseppe Graviano nel processo ’ndrangheta stragista, e Vincenzino Iannazzo, boss di Lamezia.