Trump aizza: “Il lockdown scusa per levarvi le armi”

Contestano anche dove l’hanno già avuta vinta: l’economia c’entra fino a un certo punto, vogliono affermare la libertà dell’individuo di fare quel che vuole. Incoraggiati dal magnate presidente, che è uno di loro – e loro lo ricambiano con il voto – sostenuti da predicatori evangelici fondamentalisti e da commentatori libertari, migliaia di americani protestano contro i lockdown imposti in vari Stati da governatori per lo più democratici.

Ma ieri s’è manifestato pure in Texas, ad Austin, malgrado il governatore repubblicano Greg Abbott abbia per primo annunciato l’allentamento delle restrizioni, utilizzando i margini di manovra riconosciuti agli Stati dalla Casa Bianca.

La protesta, con lo slogan ‘You Can’t Close America’, costituisce un’aperta sfida alle norme tuttora in vigore. Un’analoga protesta s’è svolta ad Annapolis, la capitale del Maryland: il governatore, Larry Hogan, è pure repubblicano ma non intende riaprire presto. Le cifre del contagio non fermano i contestatori armi in vista e bandiere confederate al vento, spesso vicini alla Alt-right e ai suprematisti bianchi. E Politico rileva che l’Amministrazione progetta di contestare in giustizia gli eccessi di lockdown; così come ricorda che venerdì il gruppo di pressione Conservative Action Project ha scritto proprio al ministro della Giustizia Barr contestando il lockdown e i provvedimenti della polizia contro chi manifestava contro l’aborto o era in fila a comprare armi. Tutto ciò accade mentre i contagi nell’Unione superano i 710 mila e i decessi vanno verso i 40 mila – 3.856 nella giornata di venerdì, la seconda più letale dall’inizio dell’epidemia –, stando ai dati della Johns Hopkins University. Trump spera che le vittime non superino le 60/70 mila. E il Washington Post scrive che un errore dei test per identificare il virus avrebbe causato ritardi nella risposta americana all’epidemia. Il presidente ha dato il suo ‘placet’ alle manifestazioni anti-lockdown. “Li ho visti: a me sembrano persone responsabili”, risponde a una domanda durante il briefing sulla diffusione del coronavirus nell’Unione. Dalla Casa Bianca, il magnate twitta a raffica: “Liberate il Michigan”, “Liberate la Virginia e salvate il vostro secondo emendamento sotto assedio” con un riferimento alle restrizioni sulle armi imposte dal governatore democratico, Ralph Northam.

 

Regno Unito
I medici sono senza protezioni, il governo: riusate ciò che avete

Venerdì sera tardi, il ministero della Salute ha ammesso di aver esaurito le scorte di PPE, l’equipaggiamento protettivo indispensabile per il personale in prima linea contro il Covid, invitandoli a riutilizzare materiale per uso singolo. Questo fine settimana medici, paramedici e infermieri sono andati al lavoro certi di non avere protezioni di base. Situazione gravissima, ma non si ferma la propaganda del governo che ha annunciato trionfalmente l’arrivo di una consegna di PPE dalla Turchia, la nazione che durante la campagna pro Brexit era uno dei grandi nemici. Sono scorte sufficienti per pochi giorni. Intanto il Financial Times ha rivelato i retroscena della carenza di ventilatori: a metà marzo, quando il governo finalmente realizza la gravità della situazione, chiede la produzione di modelli semplici, non utilizzabili in terapia intensiva ma facili da ottenere in poco tempo, a produttori non specializzati fra cui Dyson, finanziatore dei Tories. Operazione utile a mantenere il consenso, non ai medici né ai pazienti. I morti in ospedale intanto superano i 15.000.
Sabrina Provenzani

 

Russia
I preti disobbedienti: altro che Covid-19, sì al bacio delle icone

La Russia colleziona tristi record: anche ieri la linea che traccia la diffusione del Covid-19 nella Federazione è balzata più in alto del giorno precedente, fino a sfiorare i 40 mila malati, che aumentano con una media di 4.000 nuovi casi al giorno. Mosca, epicentro del virus, “affronterà settimane difficili, il picco è previsto tra due o tre settimane” ha riferito il municipio della Capitale. I morti, secondo le stime ufficiali, non ritenute credibili dagli oppositori, sono 300. Una resurrezione in clausura: oggi suoneranno le campane per la Pasqua ortodossa da Pietroburgo a Vladivostock, ma il patriarca di Mosca, Kiril, e il presidente Putin hanno più volte raccomandato ai russi di restare in casa. Alcuni preti disobbedienti al Cremlino, soprattutto nelle regioni più remote della Federazione, non hanno chiuso le porte delle chiese né hanno vietato il tradizionale bacio delle icone ai devoti. Almeno in 43 cattedrali sparse nelle 85 regioni russe si riuniranno i fedeli perché i governatori hanno paura di perdere consenso impedendo le messe. Si teme anche per i pranzi di festa a cui non tutti sapranno rinunciare.
Michela A.G. Iaccarino

 

Spagna
Sánchez: a casa fino al 9 maggio A Siviglia i clienti salvano i bar

“Non mi hanno lasciato” è il nome che gli abitanti del quartiere sivigliano di Calle Feria hanno scelto per la piattaforma digitale di sostegno a bar, ristoranti, enoteche e negozi di pasta fresca. Funziona come una rete di e-commerce qualsiasi, con la differenza che ciò che i cittadini ed ex clienti affezionati comprano sono prodotti che non possono essere consegnati loro subito. Una sorta di “acquista ora e mangi dopo”. Cioè un sostegno ai commercianti della zona che con la crisi del coronavirus stanno rischiando di non riaprire. Sì, perché il governo Sanchez ieri ha esteso fino al 9 maggio il lockdown e ha ribadito che prima della fine dell’anno non potranno rialzare la saracinesca. “Non si possono eliminare tutte le misure di sicurezza in una volta sola”, ha ribadito il comitato scientifico. “Nonostante i numeri siano rassicuranti, per riaprire bisogna avere il contagio sotto controllo”, ha spiegato il premier. Ieri i morti si sono abbassati: 565 (raggiungendo i 20 mila decessi totali) e l’ospedale in Fiera di Madrid ha chiuso un padiglione. Ma la raccolta dei dati è caotica, data la disomogeneità regionale del conteggio, soprattutto in Catalogna.

 

Giappone
Oltre 10mila casi: ospedali pieni, ma gli impiegati vanno in ufficio

Rischio collasso per gli ospedali in Giappone, soprattutto nella Capitale, Tokyo, dove si concentra un terzo dei contagiati per coronavirus. Secondo i dati del ministero della Salute, il Giappone ha registrato ieri 556 nuovi casi vedendo così schizzare a 10mila gli infetti totali. Giovedì il premier Shinzo Abe aveva esteso a tutto il Paese lo stato d’emergenza, dichiarato il 7 aprile solo per la Capitale e sei prefetture urbane, esprimendo preoccupazione per il mancato rispetto delle regole di distanziamento e di lockodown da parte della popolazione. La richiesta di restare in casa di Abe è arrivata anche in vista del fine settimana e della “Settimana d’oro” in cui alla fine di aprile cadono varie festività. Abe ha anche annunciato che saranno dati a tutti i residenti circa 930 dollari come incentivo a rispettare le regole. Tuttavia resta il dato inquietante diffuso da una società di consulenza e di ricerca online, Personal, secondo cui circa il 60% degli impiegati d’ufficio giapponesi a Tokyo e in altre sei prefetture si recano ancora nella propria sede di lavoro, malgrado lo stato di emergenza.

Beffa dei rimborsi aerei: solo a fine pandemia

In questi lunghi giorni di quarantena, a tenere compagnia a migliaia di persone – loro malgrado – c’ha pensato Ryanair costringendole a subire la ricezione di decine di mail e di sms che per settimane hanno avuto il solo scopo di ritardare i tempi del rimborso promesso in seguito alla cancellazione del volo. Fino alle scorse ore, quando la low cost di Michael O’Leary è stata costretta ad ammettere quello che già da oltre un mese hanno spiegato, più o meno chiaramente, gli altri: i soldi non ci sono e nessun cliente otterrà il rimborso per il viaggio saltato. I clienti si dovranno accontentare di un voucher, di pari importo del biglietto aereo, della validità di un anno, anche se ancora non è chiaro quando e come partirà la fase 2 nei cieli. Indennizzare i passeggeri porterebbe al fallimento delle compagnie aeree che nel 2020, stima l’International air transport association (Iata), registreranno un crollo dei ricavi di 314 miliardi di dollari.

La grande beffa della low cost è nata a metà marzo, quando ha comunicato di avere adottato una politica relativa alle cancellazioni del tutto diversa rispetto alle altre compagnie europee: offrire ai passeggeri la possibilità di scegliere tra il voucher e il rimborso cash del biglietto. Una manna per i passeggeri italiani che, invece, si sono ritrovati con il decreto Cura Italia a stabilire che “tutti i servizi di biglietteria non goduti nel periodo di lockdown possono essere convertiti in voucher utilizzabili entro un anno in luogo della restituzione degli importi”. Insomma, l’ennesimo salvataggio per Alitalia. Così migliaia di clienti Ryanair si sono riversati a chiedere i soldi, ma l’operatore ha cominciato a ritardare il pagamento con risposte contraddittorie, trincerandosi dietro “problemi tecnici”, “la richiesta dell’Iban e dei dati bancari” ai clienti che avevano chiesto l’accredito tramite Paypal, “maggiore pazienza a causa dell’elevato numero di richieste ricevute” o perché gli “agenti addetti ai rimborsi contanti sono tenuti a rimanere a casa nella lotta contro la pandemia Covid-19”. Solo da pochi giorni Ryanair ha ammesso di “non potere processare eventuali richieste di rimborso” fino alla fine dell’emergenza sanitaria.

Eppure non si potrebbe fare, come sancisce il Regolamento Ce 261/2004 che si occupa della compensazione e assistenza in caso di imbarco negato, cancellazione o ritardo prolungato del volo. E come ha spiegato anche il portavoce della Commissione Ue, Stefan de Keersmaecker: “I passeggeri devono essere rimborsati dalle compagnie aeree”. Peccato, però, che nessuno li proteggerà, perché la stessa Commissione Ue ha pubblicato le linee guida sui diritti dei passeggeri aerei ribadendo che ci sono tre opzioni da scegliere: il diritto al rimborso, trasformato in voucher; l’imbarco su un volo alternativo non appena possibile; l’imbarco su un volo alternativo a una data successiva a scelta del passeggero. Le ultime due ora impraticabili. E che nessuno pensi di chiedere un risarcimento: i passeggeri ne avrebbero diritto se il volo venisse cancellato nelle due settimane prima della partenza, ma non nel caso in cui la cancellazione è dovuta a “circostanze eccezionali”. Come la pandemia.

SuperTilli e suo papà: due eroi in maschera contro il Coronavirus

La saga familiare di Matilde e del babbo

Questa foto (al centro, sopra il titolo ndr) racconta molto della nostra quarantena familiare. Iniziamo da una premessa d’obbligo: La Tilli e Papino sono innamoratissimi, ma nonostante ciò devono mantenere le dovute distanze e prendere le precauzioni del caso, senza sconti o revoche, perché Papino è un medico che lavora in terapia intensiva anche con i malati di Covid-19 e La Tilli è una bimba di 3 anni, compiuti in quarantena, con una mamma immunomodulata. Non è difficile immaginare come i contatti tra loro siano diventati esigui, ma non per questo meno anelati. Ed è proprio questa la ragione che ha spinto Matilde a reinterpretare, al meglio per sé, ciò che la quarantena ha reso necessario e ormai perfino familiare. Ha voluto costruissimo una mascherina tutta per lei, ma non una qualsiasi, bensì una davvero speciale, capace di trasformarla in SuperTilli, e in grado di proteggerla e di permetterle finalmente di avvicinare il suo papà senza paura. Si sa, le super eroine fanno cose straordinarie e anche SuperTilli è riuscita in una impresa decisamente extra-ordinaria, rispetto a quella che è diventata normalità di questo momento storico in cui tutto è come sospeso. Ha avvicinato Papino tanto da poter entrare insieme perfino nella stessa inquadratura.

Elena, la mamma di SuperTilli

 

Ho scoperto l’emozione di coltivare un orto

Durante questa quarantena io e mia madre Raffaella ci siamo occupate di fare l’orto, per me è stata la prima volta. Ho scoperto un’emozione primordiale, quella che mi ha dato l’aver visto crescere una piantina da un semplice e piccolo seme. Un’emozione primitiva che mi ha riconciliato con la parte originale e vera della mia personalità e con la mia terra di origine. Ho scoperto anche l’orgoglio legato a questa terra dalla mia famiglia che se la tramanda da generazioni e che forse avevo sempre nascosto dentro di me, ma che ha fatto risentire tutta la sua rinascita proprio in questo momento. È una bella esperienza positiva per questa quarantena, la consiglio a chi ha la fortuna di avere questa possibilita. E una speranza per il futuro: spero in un buon raccolto da condividere con i miei affetti.

Germana Bellocchi

 

Cancellare l’ansia con il cielo stellato

Sono chiusa da più di un mese, sola, nella mia casa di Cagliari, mentre mio marito è rimasto bloccato nella casa di paese. Le mie due figlie per fortuna provvedono al mio fabbisogno. Vi mando questa filastrocca:

È notte fonda, non riesco a dormire/ tutto attorno mi fa rabbrividire/ Alzo lo sguardo verso l’infinito/ mi convinco che tutto ancora non è finito./ La meraviglia del cielo stellato/ annulla l’ansia del mio cuore angosciato/ Vedo Marte, luminoso come sempre/ Sembra sorridere alla addormentata gente.

Lina Congiu

Massimo Galli, il direttore ha ragione a prescindere

Il direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco è la vera rivelazione mediatica di questa triste fase storica. Con quell’aria di vaga insofferenza nei confronti dell’intervistatore, delle domande poste, dei pollini di stagione e del colore della giacca di Floris, con le sue risposte tranchant e il ghigno beffardo di chi piuttosto che darla vinta al virus farebbe da cavia umana pure a un vaccino creato da Red Ronnie, Massimo Galli è la Mara Maionchi degli infettivologi. Autorevole ma irriverente, è diventato un idolo nazionale grazie a una serie di risposte favolose date ai giornalisti. Vado a fare degli esempi. Giornalista 1: “Professore, principali vettori del contagio?”. Galli: “Nel mio caso voi giornalisti”. Giornalista 2: “Professore, se le dovessero chiedere quali misure più stringenti si potrebbero adottare lei cosa direbbe?”.

Galli: “Normalmente non me lo chiedono!”. Giornalista 2: “Ma glielo chiedo io”. Galli: “Ecco, brava”. Il momento più indimenticabile però è stato quello con la Gruber. Lei lo presenta dicendo: “Ecco il cosiddetto esperto, tecnico, virologo Massimo Galli”. Lui fa finta di nulla, ma il suo sguardo si tinge di rosso. Non la uccide solo perché ha imparato dai virus: quelli intelligenti non ammazzano l’ospite, lo stordiscono. Dunque dice qualcosa fingendo di non aver notato quel “cosiddetto” e poi la infilza: “Lei ha utilizzato un termine divertente, il ‘cosiddetto esperto’, non me ne offendo affatto, ma su una malattia di questo genere, completamente nuova, il termine ‘cosiddetto’ è corretto”. Sottotesto: se ti riazzardi a definirmi esperto ti inoculo il virus dell’ebola durante la scheda di Paolo Pagliaro.

Un’altra caratteristica inconfondibile di Massimo Galli è che come tutte le star ha un accessorio iconico che lo caratterizza: indossa quasi esclusivamente una cravatta blu e quasi sempre a pois, perché lui sa che ogni narrazione ha bisogno di elementi visivi che verranno ricordati. Del resto, perfino il Coronavirus ha scelto l’iconico, spaventoso pipistrello come serbatoio, mica la blatta. Ma le infinite doti di Massimo Galli non si fermano al tangibile. C’è anche il sovrannaturale. La sera del 14 aprile il professore è stato avvistato contemporaneamente da Mario Giordano, da Bianca Berlinguer e all’ospedale Sacco, ma testimoni attendibili giurano di averlo visto anche a Codogno mentre saltava sui tetti con la tuta dell’Uomo Ragno e mentre infilava in un sacco nero, costringendolo a un isolamento forzato in un reattore di Fukushima, il tizio che “in Giappone stanno tutti bene con l’Avigan!”. Il professor Galli è noto poi anche per le sue indagini epidemiologiche. In particolare, sta provando a tracciare la diffusione del Covid-19 in Italia, isolando i genomi virali di tre pazienti appartenenti a un gruppo di casi nella provincia di Lodi. Da lì Galli cerca di risalire all’identità del paziente zero che nella fattispecie mi auguro sia stato asintomatico e inconsapevole di essere il paziente zero perché non so voi, ma io se sapessi che il professor Galli mi sta cercando casa per casa in quanto causa di un’epidemia, vivrei nel bosco bevendo acqua di fonte e radendomi con la pietra aguzza come Rambo.

Comunque, secondo voci interne al Sacco, il professore starebbe conducendo parallelamente un’altra importante indagine epidemiologica: sta sottoponendo a un test accuratissimo gli spettatori di Barbara D’Urso su scala nazionale per capire se nei soggetti colpiti ci sia una qualche speranza di guarigione o la malattia si sia ormai irrimediabilmente cronicizzata.

Galli, poi, è pronto alla guerra, non teme i nemici e forte del suo slogan “Mi chiamo Massimo Decimo Meridio Galli, comandante dell’esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore il professor Massimo Galli”, è stato protagonista di feroci scontri con colleghi e istituzioni. “Sono imbarazzato dal balletto esecutivo-regione sui dati. (…) Si è criticato tanto la Cina perché era riluttante a pubblicare il vero numero dei casi, ora non facciamo ridere il mondo perché il governo vuole controllare i risultati”, ha dichiarato senza giri di parole. Roba da rischiare che Gallera gli radesse al suolo il Sacco in una notte per far vedere che la Regione Lombardia, in sole 12 ore, può convertire un ospedale in un campo di lattuga cappuccina. Ma a L’aria che tira ha dichiarato anche: “Una ridefinizione delle competenze, soprattutto per situazioni di emergenza come questa, sarebbe assolutamente da prendere in considerazione, come una riorganizzazione a fondo della sanità pubblica a livello territoriale”. La conduttrice risponde che per questa affermazione potrebbero fargli un mazzo tanto e lui: “Amica mia, non sono in nessuna stanza dei bottoni e ho abbastanza anni sulle spalle per dire che sarei stato molto felice di avere una minore esposizione e di occuparmi di tante altre cose”. Come a dire: se Fontana o Gallera provano a dirmi qualcosa, a giugno vado a cercarli tutti e due, li chiudo negli scantinati del Sacco e se qualcuno mi chiede come mi spieghi la loro scomparsa, rispondo che certi virus col caldo spariscono. Insomma, mentre voi altri vi chiedete come sarà la fase 2, noi fan del professore lo sappiamo già dal primo giorno: sarà quella in cui c’ha ragione Galli. Come sempre.

I maturandi: “Dateci certezze sull’esame”

I problemi sono molti, le soluzioni, per ammissione di tutti, ancora poche. C’è un esame di maturità opaco per ora, una didattica a distanza che amplifica il divario sociale e un impatto psicologico sugli studenti per cui non esistono strumenti collettivi efficaci. Di questo ha parlato ieri il sottosegretario all’Istruzione Peppe De Cristofaro, connesso via web con diversi studenti di tutta Italia, dall’Unione degli studenti (coordinata da Giulia Biazzo) ai rappresentanti d’istituto e delle consulte. Il tema più controverso è l’esame di maturità. Da La Spezia Gianmarco confessa i suoi dubbi: “Non avere un’idea su quello che succederà ci crea problemi. Cosa dovremo portare a un ipotetico orale? Una tesina su tutte le materie? E ci baseremo sul programma fino alla chiusura o anche su quello svolto a distanza?”. Elisa, che studia a Roma, ha le stesse paure: “Abbiamo l’angoscia di dover preparare un esame in due mesi senza neanche sapere come”.

Le risposte, giura il sottosegretario in quota Sinistra Italia, arriveranno il prima possibile e cercheranno di mettere ordine alla Babele di possibilità e ipotesi finora in campo: “Nei prossimi giorni dovremo dare certezze sulla maturità e su come valutare la didattica a distanza. C’è senz’altro l’esigenza di una cornice normativa che dia omogeneità a tutto il Paese”.

Senza prescindere dal parere degli esperti: “Sugli esami e su quel che accadrà a settembre ascolteremo il Comitato tecnico scientifico. Io spero si possa rientrare in classe, sempre che le condizioni le consentano”.

Anche perché la distanza ha già messo in evidenza i suoi limiti. De Cristofaro allarga le braccia e, pur riconoscendone le falle, ammette che per queste settimane non esisteva alternativa. Ma gli studenti mettono in fila quel che non va. Stefano parla dalla Basilicata: “Nella mia Regione ci sono enormi problemi non solo nell’accesso alla rete, ma anche nel possesso degli strumenti informatici. Diversi miei compagni vivono in condizioni per cui non possono permettersi la didattica a distanza”. Arianna vive la stessa realtà a Siracusa: “Abbiamo fatto un’inchiesta nella mia città e abbiamo visto che il 33% degli studenti ha problemi di connessione e un 18% dichiara che questi problemi risultano essere escludenti rispetto ai percorsi di didattica online”.

E pure De Cristofaro conferma che esiste un tema sociale non secondario: “La didattica a distanza ha reso più percepibili disuguaglianze che già c’erano, ma che evidentemente erano oggetto di una rimozione collettiva”.

Quando si ripartirà, poi, non si potrà non tener conto dell’aspetto psicologico dell’emergenza. Antonia chiede di valutare la possibilità di sportelli psicologici; Luca, che parla dalla provincia di Bergamo, riporta le parole di una dirigente scolastica della zona: “Qui la didattica non sta funzionando perché ogni docente e ogni studente ha un lutto in famiglia”. Motivo per riflettere, più in generale, sul ruolo della scuola: “Pretendiamo che dopo questa fase ci sia un’inversione di rotta – chiede Giulia Biazzo – e si rimetta al centro la funzione pubblica della scuola”.

Concorsi scuola, si accelera però si litiga sui prof precari

Rassicurazioni sui concorsi per la scuola: ci saranno, lo ha deciso la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e lo ha annunciato nei giorni scorsi ai sindacati. Tutto bene, dunque? Non proprio. Non manca la maretta che unisce sindacati, Pd, Lega e il sottosegretatrio di SI, De Cristofaro, che vorrebbero i concorsi, ma anche una sanatoria per i precari che hanno 36 mesi di servizio e per i quali è già prevista una selezione semplificata. La richiesta, che non è certo nuova, è che (sono circa 50mila) siano assunti solo per titoli e anzianità mentre la ministra pentastellata insiste sulla necessità che affrontino una selezione e che questa, con le altre, avvenga il prima possibile per metter “in sicurezza” le assunzioni di fronte all’incognita degli scenari post-emergenza.

I posti. Saranno 48.500 i posti messi a concorso. Circa la metà andranno al concorso straordinario per chi ha almeno 36 mesi di precariato sulle scuole secondarie (si stimano tra i 50mila e gli 80mila partecipanti). Per loro è prevista una selezione con una sola prova semplificata. Ci sarà poi un concorso ordinario per tutti gli altri, anche i neolaureati (con una scrematura iniziale tramite preselettiva). Atteso infine un concorso ordinario per la scuola dell’infanzia e per la primaria. I bandi sono stati consegnati ai sindacati venerdì mattina e ci sono anche le date per la presentazione delle domande: dal 15 giugno al 31 luglio per i concorsi ordinari e dal 28 maggio al 3 luglio per il concorso straordinario (o per la procedura abilitante): in questo modo i docenti “straordinari” dovrebbero riuscire a essere in cattedra entro ottobre, con assunzione retrodatata a settembre.

Gli scontri. È su questo punto che ci sono polemiche (anche nella maggioranza) con un fronte che in pratica unisce parte del Pd, la Lega, SI e sindacati. Come già prima dell’emergenza, si torna a chiedere che i precari a 36 mesi siano assunti solo per titoli e anzianità, senza sottoporli a una prova selettiva. La posizione del ministero resta la stessa: il concorso riservato a questi precari è già semplificato e di fatto non dovrebbe mettere in difficoltà chi ha già esperienza e, quindi, la capacità di lavorare nella scuola, mentre i precari di lunga data sono spesso già in graduatorie da cui possono essere assunti o hanno avuto diverse occasioni di concorsi (e questa sarà un’altra ancora).

Graduatorie. C’è poi il nodo delle graduatorie d’istituto, quelle di terza fascia a cui hanno accesso i non abilitati. La Buona Scuola le aveva chiuse, un emendamento in commissione Istruzione e Lavoro le ha riaperte a novembre. Ora la Lega (con il senatore Pittoni) chiede di aggiornarle: significa che possono accedervi anche i neolaureati per le supplenze. “Alle condizioni attuali non è possibile – ha detto la ministra Azzolina –. L’unica strada per evitare di riversare centinaia di migliaia di lavoratori nelle scuole per presentare ed elaborare le domande, in piena emergenza coronavirus, sarebbe accelerare sulla provincializzazione delle graduatorie, digitalizzando il sistema”.

Per farlo serve un regolamento che richieda, per legge, una serie di pareri a vari organi di controllo. “Il rischio è di non poter garantire un regolare avvio del prossimo anno. Anche perché parliamo potenzialmente di un milione di domande. Ho a cuore i precari, lo sono stata anche io. Serve una norma che ci autorizzi a velocizzare la provincializzazione e un decreto ministeriale con natura non regolamentare potrebbe abbreviare i tempi”. Una ipotesi su cui può confrontarsi solo il Parlamento, in fase di conversione del decreto Scuola e che ha avuto l’appoggio anche della viceminsitra del Pd, Anna Ascani. “Con i doverosi investimenti in termini di risorse e di impegno si deve lavorare per riaprire le graduatorie di istituto. È chiaro che per riuscire nell’intento sarà necessaria la più ampia condivisione parlamentare in sede di conversione del decreto Scuola e sono certa che non mancherà”.

Il virus è poca cosa rispetto al disastro ambientale futuro

In Italia – A rompere la calda quiete del periodo pasquale, con temperature di 26-28 °C al Nord (10 °C sopra media), ha pensato la bora di martedì 14 aprile. L’improvvisa sventagliata (raffiche a 90 km/h a Bologna) ha abbassato le temperature anche di 12 °C in mezzora, spezzato alberi e sollevato dai campi riarsi dalla siccità un’inconsueta nube di polvere che ha viaggiato da Est a Ovest giungendo pure su Milano attorno alle 18, uno scenario da deserto australiano più che da Valpadana. Non si è trattato però di tornado, come riferito da alcuni mezzi di informazione per colpa di un fotomontaggio creato con un’immagine scattata nel 1999 in Oklahoma e circolato in rete. Qualche gelata tardiva con danni alle colture nelle notti serene di mercoledì e giovedì (-1 °C nel Ravennate), poi l’aria è tornata calda (punte di 24 °C venerdì al Nord). Il cerchio luminoso avvistato giovedì 16 intorno al Sole, dal Piemonte alla Toscana, è un “alone solare”, fenomeno ottico naturale generato dalla rifrazione della luce da parte dei cristalli di ghiaccio che compongono i cirrostrati, sottili veli nuvolosi a 8-10 km di altezza.

Nel mondo – Pasqua tempestosa nel Sud degli Stati Uniti, dove aria fredda dal Canada ha incontrato quella calda dai Caraibi scatenando – qui sì! – circa 120 tornado dal Texas alla costa atlantica. Nel Mississippi due vortici sono stati classificati EF4 (venti fino a 310 km/h), uno dei quali il più ampio mai documentato nello Stato, con base larga 3,6 km. Bilancio di 38 vittime, il peggiore in una singola ondata di tornado negli Usa dal 2011, e 1,3 milioni di utenze senza elettricità. Intanto domenica 12 si misuravano 39,7 °C di massima a Veguitas, nuovo record assoluto di caldo per l’isola di Cuba, e lunedì 13 (Pasquetta) minima notturna di 26,7 °C a Miami, primato per aprile. Neve copiosa invece a Boulder (1650 m, Colorado), sede dei prestigiosi National Center for Atmospheric Research e National Snow and Ice Data Center: i 27 cm di giovedì hanno portato il totale dell’inverno 2019-20 a 368 cm, massimo nella serie dal 1897, a causa di frequenti venti umidi da Nord-Est. Ma Nasa e Noaa segnalano che nel mondo marzo 2020 è stato il secondo più caldo (+1,16 °C dalla media del Ventesimo secolo) anche senza l’effetto riscaldante di “El Niño” che contribuì al record del 2016. La siccità interessa gran parte d’Europa, con tempeste di polvere in Polonia e un grande incendio boschivo presso Chernobyl che ha emesso nell’aria particolato contaminato da Cesio-137 (per ora il nostro Snpa esclude che in Italia ne sia giunto in quantità pericolose). Ancora alluvioni in Medioriente, almeno 13 vittime in Yemen, Iran, Pakistan e Afghanistan. Covid-19 ha portato via all’età di 88 anni John Houghton, climatologo britannico, già direttore del MetOffice e curatore editoriale dei primi tre report Ipcc (1990, 1995 e 2001). Il virus ci sta mettendo a dura prova, ma potrebbe essere poca cosa di fronte a certi disastri ambientali all’orizzonte: se non rallentiamo subito i cambiamenti climatici, già entro il 2030 avverranno improvvise e irreparabili estinzioni di specie a iniziare dai mari tropicali, secondo lo studio “The projected timing of abrupt ecological disruption from climate change”, pubblicato su Nature e coordinato da Christopher Trisos dell’Università di Città del Capo. Sono tante le voci, scientifiche e non, che chiedono un mondo post-virus più rispettoso dei limiti ambientali, e meno succube dei diktat dell’economia, ormai incompatibili con la sopravvivenza della natura e dell’umanità. Una di queste è del fisico Angelo Tartaglia, già docente al Politecnico di Torino, che per le Edizioni Gruppo Abele propone il pamphlet Clima – Lettera di un fisico alla politica. Speriamo lo ascoltino…

Tommaso è un uomo che fa domande, eppure Cristo lo accoglie

“Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò” (Giovanni 20,25). L’apostolo Tommaso reagisce così all’annuncio degli altri discepoli di aver visto e ascoltato poco prima il Signore risorto. Lui, Tommaso, “non era con loro quando venne Gesù” (v.24) e quindi non aveva potuto vedere “le mani e il costato” (v.20) che il Risorto aveva mostrato. Nonostante questa giustificazione, Tommaso viene presentato spesso come un esempio negativo: credente, sì, ma dalla fede debole, uno che non sa credere se non tocca e non vede. Mentre la fede dovrebbe essere “certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Ebrei 11,1). E se invece Tommaso rappresentasse il credente veramente autentico perché dice ciò che molti pensano ma non osano riconoscere? E cioè la fragilità e la provvisorietà della propria fede?

Il brano evangelico indicato per questa prima domenica dopo Pasqua ci informa del soprannome dell’apostolo: “Tommaso detto Didimo” (Giovanni 20,24). “Didimo” vuol dire gemello, e forse Tommaso è anche gemello nel senso del segno zodiacale: segno di una personalità duale, di un’identità incerta e carica di dubbi. Ma è proprio così? Non abbiamo elementi per dirlo. Il Vangelo ce lo presenta come un uomo che non riesce a credere alla risurrezione perché gli sembra una scappatoia fantasiosa, che contrasta con la realtà. E qual è la realtà? È che Gesù – l’amico, il maestro, il riferimento che aveva cambiato la sua vita – è morto, finito, sepolto! Che consolazione ci può essere nel contrabbandarlo per vivo quando invece è morto? Tommaso è un uomo normale, concreto, che dubita, ma è anche un uomo saggio, non sciocco. Un uomo che fa domande e si pone domande, come la fede cristiana consente, anzi richiede. Credere non significa smettere di pensare, di dubitare, di interrogarsi.

E infatti il Vangelo ci dice che, nonostante i dubbi, otto giorni dopo egli è ancora lì, insieme agli altri (v.26). Lo ritroviamo al suo posto di sempre, insieme alla sua comunità. Non rompe con essa, non se ne inventa una nuova, fatta a sua immagine. Egli è lì, insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle che gli dicono “Abbiamo visto il Signore!” (v.25) e con loro affronta la crisi che lo travaglia. Tommaso è lì e, nonostante i suoi dubbi, è ancora chiamato apostolo: “uno dei dodici” (v.24). E con questa precisazione il Vangelo ci dice che, fin dall’inizio, la chiesa del Risorto include Tommaso perché è una comunità accogliente, calorosa, che include (non esclude). Una comunità che ha sempre bisogno della presenza del suo Signore che continuamente le dice (alla chiesa, non solo a Tommaso): “sii credente e non incredulo” (v.27).

Il racconto termina con la confessione di fede di Tommaso (“Signore mio e Dio mio!”, v.28) – che forse è più un grido o una preghiera – e con quello che sembra essere un rimprovero del Risorto: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v.29). In realtà quest’ultima parola è più un incoraggiamento per la comunità che successivamente leggerà il Vangelo che un rimprovero verso Tommaso: chi ha vissuto fisicamente con Gesù, chi lo ha visto e ascoltato direttamente, non dovrà essere considerato un privilegiato rispetto a chi, per credere, si dovrà basare soltanto sull’annuncio evangelico. La confessione “Signore mio e Dio mio!” (che era anche il modo in cui l’imperatore romano Domiziano esigeva di essere proclamato) diventerà ben presto, per dirla alla Dietrich Bonhoeffer (il teologo protestante martire della resistenza al nazismo), il grido di resistenza e resa dei cristiani: resa al Signore che con la sua risurrezione ha sconfitto il male e la morte e resistenza contro tutto ciò e tutti coloro che di male e di morte si nutrono.

 

Politica e contagio: la grande guerra

Il vero pericolo è che nessuna delle sue parti se ne rende conto. Se un giorno un archivista deciderà di tenere separati i documenti e le dichiarazioni rovinose della lotta politica in corso nell’anno 2020, dal materiale sulla feroce e distruttiva tempesta ospedaliera detta “coronavirus”, che ha sfoltito milioni e milioni di vite nello stesso anno, negli stessi giorni, questo archivista sbadato persuaderà i posteri che qualcosa è sbagliato nelle date o nelle narrazioni o nei documenti. Nessuno si abbandonerebbe al tipo di lotta politica in corso (vedi votazioni al Parlamento europeo) mentre continua a infuriare una strage di contagi e infezioni, come quella detta “coronavirus”, valutata in momenti sbagliati e numeri sbagliati, su scala a quanto pare non misurabile. Nessuno affronterebbe con dichiarazioni sparse, grande fatica, grande disordine, grande sacrificio, errori paurosi, la più grave infezione nella storia del nostro tempo. È comprensibile che medici e malati non si occupino della politica, semmai aspettano aiuto. Però prendono o accettano decisioni politiche come se fossero normali e dovute, tipo il progetto di eliminazione dei vecchi. D’altra parte la politica presta una sorta di attenzione amministrativa alla pandemia, formando e sciogliendo commissioni, cercando incaricati che portino il problema insolubile via dalla scena, e disputandosi ruoli e nomine come in un normale giorno di politica, in cui anche le mascalzonate sono ammesse pur di segnare un punto alla tua parte. Ecco la storia un po’ assurda che stiamo vivendo. Due campi, contagio e politica, totalmente separati e nettamente incompatibili si fanno guerra mentre il contagio continua.

C’è qualcosa di antico e quasi mitologico in questa guerra, che non assomiglia all’ultima, crudele ma logica, guerra mondiale, piuttosto a un caparbio confronto fra poteri che non vogliono riconoscersi. Un segnale grave di questa reciproca indifferenza è la strage dei vecchi. Per difendersi dalle accuse della politica gli amministratori di ospedali e di medicina hanno avuto l’idea di diminuirne drasticamente il numero dei vecchi, facendo in modo di non contare i morti. Per non apparire impopolari sui non (o non ancora) contagiati, i politici hanno spinto alla strage, non per complicità ma per segnare i punti (in apparenza meno morti e più guariti) nella tabella della politica. Una frase che sembra preludere a un possibile armistizio è “il ritorno alla normalità”, detta anche “riapertura” o “ripartenza”. La tre frasi non hanno senso. L’Italia proviene (tutta la sua politica, ma anche la sua economia) da un lungo periodo di anormalità fondata sul danno che si può fare al nemico del momento, e sul danno che si può fare (e fatalmente ricevere) dall’Europa di cui siamo membri fondatori. Veniamo da anni di caccia esclusiva al migrante, che non era e non è malato e che oggi ci mancherà per il raccolto della vasta produzione di frutta, e ci è servito nei servizi d’emergenza (trasporti, consegne) del Paese malato. Noterete che mentre esistono dettagliate strategie sul come far fallire, in Italia o in Europa, il progetto, qualunque sia, del nostro avversario politico, non esiste e non è stata pensata alcuna strategia di presunto ritorno alla normalità. Molti treni e tram semi vuoti? Misurazione visiva delle distanze fra esseri umani nelle strade e nei luoghi di lavoro? Squadre di controllo dotate di preparazione e modalità di controllo per servizi religiosi lieti o tristi? Espedienti di controllo o nuovi prodotti di disinfezione, per bar e ristoranti? Regole per la vita nelle scuole e i giochi di gruppo? Nulla di tutto ciò sembra avere occupato l’attenzione della politica, che sembra incline a non notare quanto avviene nel campo del contagio.

E nel campo del contagio, notiamo irritazione, protesta e denuncia per la mancanza persistente, prolungatissima, di strumenti minimi di protezione (a cominciare dalle mascherine) ma nessuna iniziativa di rapporto diverso sia con i pazienti sia con coloro che aspettano di sapere se sono “pazienti” e cercano istruzioni sul che fare. Il numero di medici morti è una tragica notizia sulla sanità italiana, il caos delle quarantene mostra un curioso e preoccupante fenomeno. Da un lato è un ordine e una necessità, dall’altro un fai da te, ti conti i giorni da solo e decidi a buon senso. Il caos dei controlli moltiplicati, tipo il prelievo del sangue e il tampone in macchina, pongono paurosi problemi di legittimità (chi mi può prelevare il sangue?) e di fattibilità (dove va a finire il mio tampone fatto in strada? Chi mi ritroverà per comunicarmelo?). Le due guerre, contagio pericoloso e politica distruttiva, sono impetuosamente in corso su strade separate e non comunicanti, Così avviate non portano a ragionevoli vie d’uscita. Che sia questa la “normalità” a cui siamo destinati a tornare?

Mail box

 

È il caso di chiedere le dimissioni di Fontana

Mega ospedale alla Fiera di Milano, ohibò, si accorgono solo adesso che per attivarlo ci vogliono medici e infermieri, in una certa quantità ed esperienza: in merito ci sono normative ben precise. Collocare un ospedale di “fortuna”, per di più di rianimazione e cure intensive, fuori e lontano dall’ospedale di appartenenza è sbagliato. Il problema non è mai stato creare ex novo posti letto, cosa possibile, ma dotarli di tecnologia adeguata per la rianimazione. Ma poi è indispensabile essere comodamente collegati con le altre specialità: cardiologia, neurologia, infettivologia, nefrologia, ecc. Seicento posti letto? Era ovviamente una bufala (anche 400), sarebbe stato più saggio e realistico riattivare quelli chiusi negli ospedali negli anni passati. In passato si chiedevano le dimissioni dei politici per molto meno; quando i consiglieri di “opposizione” che stazionano in Regione chiederanno le dimissioni del governatore Fontana o almeno quelle dell’avv. Gallera che come assessore alla Sanità lascia, come dire, un po’ a desiderare?

Albarosa Raimondi

 

Non vogliono l’eutanasia, ma lasciano morire la gente

L’Italia, che ha fatto fatica a elaborare la liceità del testamento biologico, è chiamata prima o poi, da una proposta di legge di iniziativa popolare depositata nel 2013, a confrontarsi col tema dell’eutanasia sotto forma di suicidio assistito. In entrambi i casi, la volontà del soggetto, chiara e comprovata, è ritenuta sovrana nel diritto di decidere sull’uscita da una vita, ritenuta nociva e priva di soluzione. Ebbene, in questi giorni vediamo come Regioni e Direzioni sanitarie di fatto hanno votato alla morte persone anziane e disabili, le quali di certo non avevano espresso alcuna volontà in tal senso, vuoi per lo scarico del contagio nelle residenze beffardamente definite “protette”, vuoi per la carenza di respiratori e la dichiarata necessità di dover spesso “scegliere chi salvare”. Si tratta di quegli stessi respiratori che a Welby e Nuvoli erano invece stati imposti, loro malgrado. La situazione che stiamo vivendo si configura come una vera e propria eutanasia di “Stato”.

E, per sommo della beffa, questo accade soprattutto nelle Regioni guidate dalla Lega, che ha sempre osteggiato il riconoscimento di tale diritto, e ha fatto dello “scegliere la vita” un vuoto ritornello elettorale.

Gloria Bardi sceneggiatrice di Exit

 

Artisti e poeti: una categoria esclusa da ogni reddito

C’è una categoria di lavoratori, non lavoratori, esclusi da ogni reddito, che sia di cittadinanza o meno, che pagano caro questo periodo difficile. Artisti, poeti, musicisti di strada, che vivono presentando libri di parole o suonando per il mondo e per la gioia di chi li ascolta. Per loro, le serate annullate, gli eventi rinviati, sono calamità. Essendo a-economici, e vivendo della loro dignità, non chiedono, aspettano tempi migliori. Chi può li aiuti.

Simone Cumbo

 

“La quinta D”, ma ci sarebbe anche la sesta (e la settima)

Caro direttore, grazie alla quarantena sono diventata assidua lettrice del Fatto, che ho scelto convintamente tra le varie testate a disposizione. Sposo il Fatto perché penso che ci vogliano più giornalisti come Travaglio, Scanzi e anche Lucarelli, gente che “rompe il cazzo” pur di dire le cose come stanno, e lo fa in maniera ironicamente scomoda. Per vocazione, insomma. La mattina non vedo l’ora di leggervi. Ma, a proposito de “La quinta D” per Fontana, ho ancora un dubbio se fosse “Dittatura” o “Deficiente”. Mi illumini, la prego. Giuro che continuerò a leggerla anche da donna “libera”.

Fiorella Salvione

 

Cara Fiorella, la sua lettera mi suggerisce anche una sesta D. Ma, a pensarci, ci sarebbero anche la settima, l’ottava…

M. Trav.

 

Salvini, gli stadi pieni e la strage evitata

Molto probabilmente vi è sfuggito un piccolo, ma importante dettaglio. Mi piacerebbe vedere una prima pagina a caratteri cubitali con il volto di Salvini e la scritta “Strage evitata”. Il 27 febbraio, quando la mattina qualcuno urlava “tocca aprire tutto, ristoranti, musei, stadi, teatri, ecc”, la sera stessa c’era la partita di Coppa dell’Inter contro il Ludogorets. Ci sarebbero state 70 mila persone, se il governo non avesse deciso di farla giocare a porte chiuse. Bergamo sarebbe stata una Disneyland in confronto a quello che sarebbe potuto capitare a Milano, se Salvini avesse avuto “pieni poteri”. Infatti strillava “Vorremmo vedere gli stadi pieni, non vuoti”.

Luca Castraberte

 

Gli anziani hanno diritto di voto, ricordatelo

Condivido ogni parola dell’articolo di ieri di Massimo Fini, perciò: anziani di tutta Italia, uniamoci! Ricordiamo a chi ci sta già decimando nelle case di riposo (eterno?) che comunque siamo in tanti e abbiamo ancora diritto di voto.

AnRoss

 

Confindustria, la spocchia nelle parole di Bonomi

Dalle prime dichiarazioni del neo-presidente di Confindustria, mi pare che siamo passati dal male al peggio. La spocchia non manca, loro sono loro, capiscono tutto, e la classe politica, soprattutto quella attuale, non capisce nulla.

Massimo Giorgi

 

I NOSTRI ERRORI

Ieri abbiamo scritto che l’ad di Vodafone Italia, Aldo Bisio, era in corsa per la guida di Acea su proposta della politica. Contestualmente Bisio ha smentito di essere interessato a tale ipotesi. Ce ne scusiamo con l’interessato.

Cdf e C.T.