Panem et circenses: facciamo ripartire il calcio?

“Nella fase 2 aumenta il rischio depressione”.

Stefano Bolognini, presidente società mondiale di psicoanalisi

“Forse giocheremo 15 mesi di fila”.

Maurizio Sarri, allenatore della Juventus

 

Per mettere in relazione queste due frasi, apparentemente scollegate, forse ne occorre una terza: “Panem et circenses”, citando Giovenale che ironizzava sui rimedi adottati dagli imperatori romani per tenere buona la plebe nei tempi difficili. Tradotto oggi si potrebbe dire: virus et circenses (ma ad angosciarci è il panem, cioè il futuro dell’Italia), a proposito della discussione sulla ripresa del calcio giocato, a giugno o a settembre, su cui tanto preme il presidente della Figc, Gabriele Gravina. Infatti, al di là della discussione sul quando e sul come ricominciare a porte chiuse – dai protocolli medici per tutelare squadre e accompagnatori, all’ipotesi di far svolgere le partite nelle regioni del centro-sud più risparmiate dal Covid – bisognerebbe interrogarsi sull’effetto positivo, psicologico e sociale, che il pallone può esercitare su una popolazione stremata dalla quarantena. Un discorso che naturalmente non riguarda i molti che al calcio, e allo sport in generale, sono indifferenti se non addirittura ostili. Domanda: ma i tanti che fino a un paio di mesi fa riempivano il loro otium (scusate ancora il latinorum) in quel luna park scintillante che è Diretta Goal, non troverebbero, perfino per dire in un Brescia-Parma, un qualche antidoto alla depressione di cui sopra? Che serpeggia nel nostro vagare inquieti da una stanza all’altra? Ne parlavamo l’altro giorno col mio amico Massimo Fini, accomunati da una duplice condizione esistenziale. L’essere degli over 65, perseguitati da aguzzini istituzionali (a cominciare dalla finta leggiadra Ursula) che ci vorrebbero confinati agli arresti domiciliari (e qui fa testo lo splendido articolo scritto sabato su queste pagine da Massimo). L’essere appassionati di calcio (lui del Toro, io della Roma), sia pure nella visione estetica più sublime, scevra, assicuro, da ogni becero fanatismo. Ci siamo, ovviamente, trovati d’accordo sul ricominciare quanto prima. Lui in maniera più brusca, io asserendo di non condividere ciò a cui fortemente anelavo (ah l’educazione cattolica!). E voi lettori del Fatto che ne pensate?

Gesù, la calunnia, il ragno e gli anelli gettati nel lago

Dal Vangelo apocrifo di Nathan. Gesù, passeggiando da solo, di notte, alla periferia della città, udì musica e allegria provenire da una locanda. Entrò e vide che un’orgia stava toccando il vertice. All’inizio se ne stette un po’ in disparte, non si sa bene se per sdegno o per timidezza, stati d’animo che sovente si confondono; ma, a un certo punto, si avvicinò a un gruppetto fra i più scatenati, e chiese a un uomo con le labbra tinte di rosso: “Perché vivi così?”. E l’uomo rispose: “Sono il lebbroso che hai guarito. Conosci un modo migliore per festeggiare?”. Gesù allora chiese alla bella donna che l’uomo stava scopando: “Perché segui la via della perdizione?”. E la donna: “Sono la prostituta che hai perdonato dai peccati. Conosci un modo migliore per festeggiare?”. Gesù allora chiese a un uomo con la barba, che stava sodomizzando la donna che l’uomo stava scopando: “Perché stai facendo questo?”. E l’uomo con la barba: “Sono Lazzaro, e tu mi hai resuscitato dal regno dei morti. Conosci un modo migliore per festeggiare?”. Gesù allora chiese a un giovane che si masturbava guardando i tre che scopavano: “Perché li guardi così?”. E il giovane: “Sono il cieco a cui tu hai ridato la vista. Conosci un modo migliore per festeggiare?”. Fra i peccati mortali, Abramo metteva le chiacchiere inconcludenti.

Dal Vangelo apocrifo di Caifa. Un giorno, il Sommo Sacerdote chiese a Gesù, per metterlo alla prova: “Un uomo è solo in una camera con la giovane che ama. La porta è ben chiusa, tutti dormono, l’uomo trema dal desiderio. Il dattero è maturo e il guardiano dell’oasi non impedisce di raccoglierlo. Pregando, quest’uomo eviterà di soccombere alla tentazione?”. E Gesù rispose: “L’uomo potrà anche sfuggire alla giovane, ma non sfuggirà ai pettegoli, perché è più facile sottrarsi alla tentazione che alla calunnia”. La morale del leone è mangiare la zebra, come la morale della zebra è mangiare l’erba.

Dal Vangelo apocrifo di Jacob. Un giorno, Gesù salvò un ragno che era caduto in un barattolo di miele: lo lavò accuratamente, e lo pose ad asciugare al sole su una foglia di un albero. Qualche tempo dopo, in seguito a un perturbamento politico, Gesù dovette fuggire, in attesa che la situazione si capovolgesse. I suoi inseguitori lo cercarono ovunque. Sull’ingresso di una caverna dove Gesù si era appena nascosto, quel ragno tessé una ragnatela e gli inseguitori, vedendo la maestosa ragnatela che si dondolava al sole, dissero: “Qui non può essere entrato”.

Dal Vangelo apocrifo di Beniamino. Anni addietro, Gesù sedeva in un campo di papaveri, presso un lago scintillante, dalle acque profonde. Leggeva le antiche scritture. Giuda, un discepolo, lo salutò e gli disse: “Maestro, ti ho portato in dono due anelli d’oro.” Gesù ringraziò del regalo e se li infilò al dito. A un tratto, uno dei due anelli scivolò, rimbalzò su un sasso e cadde nel lago. Giuda corse alla riva a cercarlo, si tuffò. Gesù continuò a leggere. Dopo un’ora, Giuda, gocciolante, tornò dal maestro. “Forse potrei ritrovare l’anello, se tu, che l’hai visto rotolare per il pendio, mi dicessi il punto preciso dove è caduto”. Gesù si tolse dal dito l’altro anello, e gettandolo nel lago disse: “Laggiù”.

“L’Italia deve dire no al Mes. Senza di noi la Ue si scioglie”

Caro direttore, l’emergenza Covid-19 ha trasformato in euroscettici anche i più fanatici dell’Ue. Tuttavia non vi è nulla di puro nelle loro conversioni. Oggi, per la stragrande maggioranza degli italiani, l’Unione europea è un’organizzazione inutile e dannosa. “Che Europa è se non c’è solidarietà adesso?” si domanda Prodi. L’unica che conosciamo, quella che ha strangolato la Grecia per depredarla. Fino al 2057, infatti, 14 dei principali aeroporti greci (tra cui Corfù, Creta e Mykonos) saranno gestiti dalla Fraport, un colosso dei trasporti tedesco con sede a Francoforte i cui azionisti principali sono il Land dell’Assia, la holding della città di Francoforte, Lufthansa e la merchant bank americana Lazard. Nel 1998, a un anno dalla sottoscrizione da parte dei Paesi europei di quel Patto di stabilità che l’Ue ha da poco sospeso e che ha dato inizio all’era dell’austerità, in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007, a 10 anni dal Patto, gli istituti sono scesi a 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 gli istituti di cura sono diventati 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati. Nel 1980 i posti letto per malati gravi erano 922 ogni 100.000 abitanti. Poi l’inesorabile declino fino ai 275 ogni 100.000 abitanti durante il governo Monti.

I tagli alla spesa pubblica, tuttavia, non hanno fermato la crescita esponenziale del nostro debito. Nel 1980 il rapporto debito/Pil era del 58%. Nel 1992 del 90%, nel 2011 del 116%. Nel 2018 il rapporto tra il debito pubblico italiano e il Prodotto interno lordo ha raggiunto il 134,8%. “Va aumentato il debito pubblico per proteggere economia e lavoro”. Così ha tuonato Draghi dalle pagine del Financial Times. Quando erano i “populisti” a scagliarsi contro la logica del pareggio di bilancio in Costituzione l’establishment faceva muro. Ma ora parla l’apostolo Draghi e tutti i valletti del sistema si spellano le mani dagli applausi.

Non credo che Draghi abbia intenzione di diventare presidente del Consiglio, semmai ambisce al Quirinale, ma è indubbio che le sue parole abbiano risvegliato in molti quel desiderio mai sopito di lasciarsi governare dai tecnici, svilendo, ancora una volta, la Politica. Eppure fu Draghi, da direttore del Tesoro, ad adoperarsi affinché la famiglia Benetton acquisisse dall’Iri, a un costo ridicolo, la Società Autostrade. Lui, insieme a Prodi e D’Alema fu protagonista di quella stagione di privatizzazioni che ha indebolito lo Stato italiano. Ma veniamo alle proposte uscite dall’ultimo Eurogruppo. A oggi sul piatto ci sono il Sure (100 miliardi a sostegno dei disoccupati europei), poi un programma messo in campo dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), la linea di credito del Mes da utilizzare per le spese sanitarie e il possibile Recovery Fund, ovvero un fondo per sostenere la ripresa economica europea e finanziato, a quando pare, con il bilancio Ue. A parte il Recovery Fund, misura ancora work in progress, sono tutte proposte che aumenteranno i debiti pubblici degli Stati.

Oggi, con la sospensione del Patto di stabilità, l’Ue garantisce ai Paesi membri la possibilità di indebitarsi ma un domani, a crisi conclusa, quelle regole torneranno in vigore. E questo è l’obiettivo di Germania&C.: aumentare i debiti pubblici di tutti i Paesi europei costringendo presto al rientro i Paesi più esposti, a cominciare dall’Italia. L’austerity è come la guerra, c’è chi si arricchisce e chi vive tra le macerie, c’è chi fa business e chi conta i morti. L’Italia, contrariamente a quel che si racconta non è affatto un Paese inaffidabile. L’Italia occupa il primo posto per avanzo primario del bilancio degli ultimi 30 anni: nell’ultimo quarto di secolo ha speso sempre meno di quello che ha incassato.

Conte è un galantuomo, non ho dubbi che abbia a cuore il Paese e che consideri il Mes una trappola da evitare. Il punto è che la contrazione del Pil alla quale andremo incontro e l’aumento del debito pubblico che oggi l’Ue “generosamente” ci concede ci porterà verso una spirale dalla quale sarà possibile uscire solo attivando, in futuro, strumenti come il Mes con fortissime condizionalità. Proveranno a metterci all’angolo. Ci spingeranno a indebitarci per poi passare all’incasso, ma abbiamo delle carte da giocare. In primis il fatto che senza l’Italia la Ue si scioglierebbe come neve al sole. Poi un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio. La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europeo tale relazione.

Mentre da noi si discute sull’orario delle conferenze stampa di Conte, la Federal Reserve, negli ultimi giorni, ha comprato titoli di Stato per 2.000 miliardi di dollari mentre il nuovo quantitative easing della Bce prevede l’acquisto di 750 miliardi di euro da qui a fine anno. Inoltre la Bank of England ha deciso di finanziare direttamente la spesa pubblica del Regno Unito. Ma la Banca d’Inghilterra e la Fed possono, se vogliono, comportarsi da Banche centrali, la Bce no. L’altroieri è uscito un appello firmato da 101 economisti italiani nel quale si definisce l’accordo raggiunto nell’ultimo Eurogruppo insufficiente e si insiste sulla necessità di ridurre al minimo l’indebitamento degli Stati ricordando che l’unica opzione adeguata sarebbe il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie. I trattati europei, a oggi, lo proibiscono ma anche i trattati, in una situazione di necessità possono essere sospesi. L’Italia dica no quando è giusto, sebbene certi no saranno seguiti da pressioni inimmaginabili e dal puntuale ricatto dello spread. L’atteggiamento che dimostreremo, come Paese, nei prossimi giorni determinerà il futuro dei prossimi 10 anni. O si lotta per costruire davvero l’Europa o il Vecchio continente verrà schiacciato da Cina, India e Stati Uniti i quali, con tutte le pecche del mondo, si comportano da Stati.

(Il testo integrale dell’intervento sarà disponibile oggi su ilfattoquotidiano.it)

Soliti noti e volti nuovi: chi sono i designati

Lo scenario è stato insolito per la partita delle nomine nelle grandi partecipate di Stato. Si partiva già con le grandi caselle occupate, gli ad di Eni, Enel, Poste e Leonardo riconfermati su spinta del Pd e e benedizione del Quirinale. I 5Stelle si sono dovuti accontentare di qualche presidenza e della guida di Terna (rete elettrica) ed Enav (trasporto aereo). Per questo dalla partita di potere, a parte i soliti noti, non escono nomi altisonanti. Qualcuno amico di, qualcun altro sconosciuto ai più. In attesa della battaglia per i consigli di amministrazione.

Detto dell’Eni (che leggete sopra), in Enel incassa il tris Francesco Starace, manager già renzianissimo. Non ha sfigurato sui bilanci ma si è lanciato nella disastrosa avventura della fibra ottica con la Open Fiber solo per assecondare l’assurdo piano di Renzi di sfidare Tim sulla rete. Starace, in potenziale conflitto di interessi, è anche tra i consulenti del fondo Eqt, proprietario di Melita, società maltese che ha stretto un accordo commerciale proprio con Enel e Open Fiber. Alla presidenza i 5Stelle piazzano Michele Crisostomo, già caldeggiato per la presidenza di Tim. Avvocato, 48 anni, da Bari ha scalato le vette della professione. Con il suo studio Rccd è stato il legale di fiducia della Popolare di Bari, dove si è guadagnato il favore dei grillini per la causa contro la Bruxelles sulla vicenda Tercas che ha assestato un colpo alle regole Ue sugli aiuti di Stato alle banche. Di recente è stato scelto da Mediocredito centrale come consulente per l’acquisizione proprio della commissariata popolare barese.

In Poste, Matteo Del Fante è stato confermato con l’ok di tutti: nato renziano si è guadagnato i favori pentastellati fornendo la card per il reddito di cittadinanza. Alla presidenza, riservata a Palazzo Chigi, resta Bianca Maria Farina, ben inserita in Vaticano e presidente di Ania, la lobby delle assicurazioni. Nel colosso degli armamenti Leonardo, viene confermato l’ex banchiere Alessandro Profumo, bersagliato da una parte dei 5S perché imputato a Milano per la contabilizzazione dei derivati di Mps. Alla presidenza i 5Stelle si sono intestati Luciano Carta, ex capo di stato maggiore della Finanza e oggi alla guida dell’Aise (i servizi segreti).

I 5Stelle hanno indicato in Mps Guido Bastianini, ex Capitalia e Carige (dove è resistito solo un anno). A loro è spettata anche la scelta alla guida di Terna e Enav, per i quali si è deciso di pescare nell’unica fucina di manager considerati degni di fiducia: le municipalizzate romane. Da Acea Stefano Donnarumma si sposta in Terna. Scelto dalla sindaca Raggi nel 2017, non ha sfigurato in azienda dove fu sponsorizzato da Marcello De Vito e l’avvocato Luca Lanzalone, poi arrestati nell’inchiesta sullo stadio della Roma (Donnarumma, indagato, è stato poi archiviato). Già nella Adr dei Benetton e in buoni rapporti con il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone è molto ascoltato dai 5Stelle in tema di nomine. In Enav i 5Stelle piazzano Paolo Simioni, l’uomo che ha gestito il concordato dell’Atac evitando il collasso della municipalizzata dei trasporti, indicato a suo tempo dall’ex assessore Massimo Colomban e in buoni rapporti con Beppe Grillo. La presidenza va a Francesca Isgrò, amministrativista dello studio Orrick ex cda di Poste dove fu indicata dal governo Gentiloni pare su indicazione di Luca Lotti e Denis Verdini. A proposito di renziani: lo statista di Rignano ha cercato di piazzare altri amici di vecchia data. Dall’ex ministra Federica Guidi all’ex deputato Ernesto Carbone. I maligni raccontano che nelle trattative avrebbe fatto capolino anche il nome Alberto Bianchi, il fundraiser del fiorentino indagati nell’inchiesta fiorentina sulla fondazione Open.

Per i vertici dei 5Stelle Descalzi non è mai stato davvero in bilico

Per quasi un anno, due governi e con maggiore impegno nelle ultime settimane, i Cinque Stelle si sono esibiti in una pantomima sull’imputato Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, ormai sicuro di un terzo mandato. Una volta era il Quirinale, un’altra l’alleato leghista, un’altra ancora gli ex nemici dem e poi le cancellerie estere, le pressioni di russi, egiziani, sauditi: tutto vero, certo, ma tutto utile a scaricare la responsabilità di una scelta – presa in coscienza dai vertici del Movimento, soprattutto da Luigi Di Maio – che ha scatenato un’insurrezione tra i parlamentari. Con la protesta di Nicola Morra, il presidente della commissione Antimafia e la petizione di Alessandro Di Battista, sottoscritta da una decina di deputati e senatori.

Già lo scorso giugno, durante la stagione gialloverde e dopo l’umiliazione alle elezioni europee, il viceministro Stefano Buffagni aveva intuito che la esile consistenza del Movimento non permetteva la sostituzione di Descalzi. All’Eni captarono il messaggio, ne furono sollevati, non temevano agguati. Restava soltanto la variabile dell’evoluzione giudiziaria. Il manager è imputato per la tangente da oltre un miliardo di dollari pagata in Nigeria, è indagato per gli affari della moglie in conflitto di interessi con Eni, mentre l’azienda è avvolta dalle inquietanti trame e dai finti complotti per azzoppare la procura di Milano che indaga sulla corruzione internazionale.

Il governo giallorosa ha modificato gli equilibri di potere nei Cinque Stelle: Buffagni si è defilato su Eni, il sottosegretario Riccardo Fraccaro ne è diventato, suo malgrado, un protagonista. Un giorno di febbraio ha accolto Descalzi a Palazzo Chigi per un colloquio. Il manager ne è uscito sapendo di non essere un nome gradito dai Cinque Stelle, ma comunque sentendosi più tranquillo. Fraccaro si è conquistato un po’ di autonomia, ma la sua condotta rimane inestricabilmente legata a Di Maio. Il ministro degli Esteri si è tatticamente eclissato su Eni per non rimanere impigliato nelle polemiche del tris a Descalzi e scaricare le colpe. Pure Vito Crimi, il reggente, non si è distinto per una parola, neanche una, almeno di dubbio sul manager. Oltre la roboante comunicazione su Descalzi e le mezze frasi, propalate per tenere a bada alcuni parlamentari troppo zelanti, durante le trattative di governo, da febbraio a venerdì scorsi, i Cinque Stelle non hanno proposto una vera alternativa al manager inquisito.

Descalzi ha assunto una forza nei negoziati che nessun manager di pari livello ha toccato. Persino Francesco Starace di Enel, già santificato, è stato costretto ad accettare un presidente sgradito, mentre Descalzi ha evitato lo spauracchio Luciano Carta, il direttore di Aise, l’agenzia dei servizi segreti esteri, con una lunga carriera nella Guardia di Finanza. Come se Donald Trump mandasse il capo della Cia a bonificare un’azienda con troppi guai con la giustizia. Un profilo perfetto, però, avrebbe rovinato, chissà, la pace costruita. Tant’è che Carta va a Leonardo.

Prenotata la presidenza di Eni e adottata la logica della spartizione, la prima linea Cinque Stelle ha consultato Buffagni, più attivo nel precedente esecutivo. I duri e puri dei Cinque Stelle reputano Buffagni l’unico ponte di collegamento con Eni, per i suoi contatti passati con Claudio Granata e più recenti con Lapo Pistelli. L’ex viceministro Pd ha girato molte parrocchie e molti ministeri per la causa Descalzi, un’agenda fitta perché Granata, indagato per associazione a delinquere, ha ridotto le sue relazioni istituzionali. Allora è Buffagni che ha suggerito Lucia Calvosa, consigliere indipendente con esperienze nei cda di Mps e Tim (e in Seif, la società che edita il Fatto, ndr). Sigillata la pratica Descalzi come previsto, nei Cinque Stelle è partito il giochino a scaricare le colpe e poi a cancellare le impronte. A guardare bene, non ne mancano molte. Ci sono tutti.

“Dissi a Grasso: Vaccarino è uno del Sisde”

La Procura di Palermo sapeva che l’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino, stava collaborando con il Sisde per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro? Finora si è sempre saputo di no, e cioè che i pm palermitani avevano appreso del ruolo di Vaccarino quando iniziarono a intercettarlo dopo avere trovato nel covo di Bernardo Provenzano, a Montagna dei Cavalli, a Corleone, un pizzino di Messina Denaro con su scritto Vac, “persona perbene che a noi può essere utile”. Ma il generale Mario Mori deponendo ieri in aula a Marsala come imputato di reato connesso (è stato condannato a 12 anni nel processo per la Trattativa Stato mafia) in un processo per favoreggiamento alla mafia nel quale Vaccarino è imputato insieme con due carabinieri, ha detto che la Procura di Palermo era informata fin dal 2004: “Già dal 2004 – ha detto l’allora capo del Sisde – parlai all’allora procuratore di Palermo Piero Grasso del rapporto che il Sisde aveva avviato con Antonio Vaccarino per arrivare alla cattura di Messina Denaro e per individuare la rete di imprenditori a lui vicini. Si era pensato a Vaccarino, come tramite per giungere all’arresto del capomafia in virtù delle relazioni che c’erano tra i due”.

E ha aggiunto di avere proseguito a informare Grasso dei rapporti tra il Sisde e Vaccarino anche dopo il suo trasferimento alla Direzione nazionale antimafia, sarebbe stato lo stesso Grasso ad assicurargli che della vicenda avrebbe informato la procura di Palermo.

La circostanza contrasta però con la ricostruzione dell’indagine su Vaccarino, avviata dopo il ritrovamento del pizzino e aggiunge un altro elemento di mistero ai tentativi di cattura della primula rossa di Castelvetrano. I pm scoprirono il ruolo dell’ex sindaco solo nel 2006, quando dopo averlo intercettato il Sisde fu costretto ad ammettere che Vaccarino era un informatore, e la notizia uscì sui giornali: si scoprì che, con il nome in codice di Svetonio, Vaccarino intratteneva da un paio d’anni una corrispondenza con il boss, che a sua volta si faceva chiamare Svetonio, blandendolo ed elogiandolo e offrendosi come “facilitatore politico” per la realizzazione di un autogrill sull’autostrada Palermo-Trapani, impresa che non era riuscita neanche a Vito Ciancimino: a tutt’oggi quell’autostrada, non solo fino a Trapani ma anche fino a Mazara del Vallo, è priva di aree di servizio. La fuga di notizie portò a galla, ‘bruciando’ l’indagine per la cattura del boss, il ruolo di Vaccarino, che il 15 novembre 2007 ricevette un’ultima lettera dal superlatitante: “…ha buttato la sua famiglia in un inferno… la sua illustre persona fa già parte del mio testamento… in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti…”. Vaccarino è stato di nuovo arrestato dal Ros un anno fa con l’accusa di avere consegnato a Vincenzo Santangelo, condannato per mafia, il contenuto riservato di un’intercettazione fatta uscire dagli uffici investigativi grazie alla complicità, secondo l’accusa, di due carabinieri, raccomandandogli: “Con l’uso che tu sai di doverne fare e con la motivazione che la tua intelligenza sa che mi spinge”.

Covid-19 e detenuti: l’Italia è meno severa dell’Europa

Chi sostiene che in tempo di coronavirus gli altri Paesi europei siano più elastici nel concedere scarcerazioni, in funzione anti contagio, si sbaglia. Anche per la vita in carcere sono state prese misure come in Italia: l’aumento del numero di telefonate in conseguenza all’azzeramento delle visite dei familiari, collegamenti via Skype. I provvedimenti di scarcerazione sono limitati a chi ha da scontare un residuo di pena e non per reati gravi, con criteri anche più restrittivi dell’Italia. Anzi, diversi Paesi sono decisamente più rigidi del nostro, per esempio Germania, Spagna, Norvegia e Inghilterra. Invece, rispetto alla sospensione delle visite esterne e all’adozione di misure ad hoc di tipo igienico-sanitario, dentro le carceri c’è un’omologazione tra Paesi europei e non: dalla Francia al Belgio, alla Spagna, alla Germania all’Olanda, ai Paesi scandinavi e a quelli del’Est Europa. Ma anche Russia, Usa, Marocco. In Italia, fino al 30 giugno può stare ai domiciliari chi ha un residuo di pena fino a 18 mesi, non per gravi reati. A partire dai 6 mesi solo se si ha il braccialetto elettronico. I detenuti in semilibertà possono dormire a casa. Sono misure già previste dalla legge del 2010 ma fino al 30 giugno la procedura è semplificata anche se resta il vaglio del giudice di sorveglianza.

Francia. Al 1° aprile erano stati scarcerati 3.500 detenuti, l’obiettivo del governo è di liberarne fino a 5 mila e la ministra della Giustizia, Nicole Bolloubet si è appellata ai giudici affinché diminuiscano gli ingressi di nuovi detenuti facendo ricorso a pene alternative previste dalla legge ordinaria o al differimento della pena, in caso di condanne lievi. Sono aumentate le sospensioni della pena per detenuti gravemente malati. In forte calo la custodia cautelare preventiva, eccetto per arresto in flagranza di reato, come in Italia. Sono aumentate le possibilità di libertà vigilata senza braccialetto elettronico.

Spagna. I detenuti spagnoli che hanno potuto lasciare il carcere sono solo quelli che erano già in regime di semilibertà. Invece di rientrare in carcere per dormire, come in Italia possono restare nelle loro case ma con il braccialetto elettronico. Una possibilità già prevista dall’ordinamento penitenziario spagnolo e adesso impiegata sostanzialmente a tutti i casi dei detenuti semiliberi che abbiano un domicilio. Nessun differimento di pena ai domiciliari per alcuni tipi di detenuti che devono scontare un residuo di pena. Sono stati, però, ridotti gli ingressi di nuovi detenuti in carcere.

Germania. Anche in Germania non c’è stata alcuna scarcerazione, perché non c’è una legislazione vigente che lo consenta. C’è, invece, come sempre, la possibilità di richiedere la sospensione della pena per ragioni di salute gravi; in questo periodo l’ingresso dei nuovi detenuti è previsto solo per i condannati a pene per reati gravi. I nuovi entrati per due settimane sono in strutture separate per evitare un rischio eventuale di contagio.

Norvegia. I detenuti che possono ottenere la libertà anticipata per l’emergenza coronavirus sono coloro a cui resta una pena residua fra i 3 e i 6 mesi e hanno diritto a uscire tra i 10 e i 30 giorni in anticipo rispetto alla data prevista, devono anche essere sottoposti a una valutazione di pericolosità sociale.

Inghilterra- Galles. Il 6 aprile è stato varato un piano di liberazione graduale di detenuti fino a un massimo di 4.000, ritenuti a basso rischio e con due mesi di pena da scontare in regime di libertà condizionata. “Saranno provvisti – si legge sul sito del ministero della Giustizia inglese –, di strumenti elettronici e rilasciati temporaneamente on licence”. Saranno controllati anche con il Gps per verificare che restino a casa.

Quel che non sapremo

Si torna a parlare dell’eventuale “fuga” o volontaria diffusione del virus Sars-Cov2 dal laboratorio di Wuhan. Come ho avuto modo di affermare, attirandomi anche infondate critiche, nel caso in cui la sua origine non fosse stata quella naturale, non potremmo mai venirne a conoscenza. Le vie di una tale verità (o menzogna) sono infinite. L’affare rientrerebbe nelle possibili non verità di machiavelliana strategia. Senza fuga di notizie o intrecci spionistici non ci sarebbe consentito neppure avvicinarci alla realtà dei fatti. La catena è sempre la stessa: il fatto accaduto, indagini da parte degli Stati nemici, valutazione internazionale degli impatti politici strategici, scambi diplomatici di opportunità (ricatti internazionali), decisione di quale e quanta verità comunicare, notizia divulgata al pubblico (quale?). Questa filiera mi ricorda un innocente gioco che facevo da bambina, il telefono senza fili, quando ci divertivamo a far partire una parola che, passata da un orecchio all’altro, arrivava all’ultimo della catena completamente distorta. Che ci piaccia o no, questa è la verità: dovremo accettare la bugia, se sarà reputata necessaria. Alle teorie del complotto si aggiunge la possibilità del “vero” incidente di laboratorio, che fa parte dei rischi della ricerca. Recentemente sono andate perdute, infatti, provette con il vaiolo e si sono anche infettati ricercatori mentre studiavano vaccini. È un rischio del mestiere. Seguire la trama investigativa di tali episodi è del tutto inutile. Lo abbiamo imparato dalle riunioni annuali alle Nazioni unite nell’ambito della Convenzione per il disarmo biologico.

Il coronavirus Sars-Cov2 gira in Cina almeno da settembre

Non vi è dubbio: esiste un punto sulla linea del passato dove poter fissare l’origine di SarsCov2. E come nei gialli più complicati la ricostruzione a ritroso di fatti e circostanze identifica il colpevole nel presente. Sullo scenario mondiale il virus è il ricercato numero uno. La caccia è aperta, e non è solo un esercizio teorico perché l’identificazione del quando, del dove e del come ci permetterà di prevenire al meglio le prossime pandemie. Prima di tutto, però, bisogna rispondere a una domanda: cos’è SarsCov2? Senza dubbio, come spiegato da diversi ricercatori, non è una chimera creata in laboratorio. Se così fosse bisognerebbe riscontrare tutte le caratteristiche dei suoi progenitori (Sars1 e Mers). Così non è soprattutto osservando la calotta esterna del virus dove sono presenti inedite proteine a punta (spikes) in grado di entrare nelle cellule umane attraverso il recettore Ace2.

Ciò significa che siamo di fronte a un virus nuovo e naturale. Eppure SarsCov2 resta una chimera, mostrando similitudini sia con il virus identificato nei pipistrelli Rhinolophus affinis sia con quello trovato nel Pangolino del Borneo. Vi sono affinità non coincidenze assolute, il che introduce l’idea che il salto di specie per arrivare a noi sia stato modulato da almeno tre passaggi animali, di questi al momento conosciamo solo il dato del pipistrello che ha comunque un genoma non identico a quello del virus umano. L’animale antenato è dunque sconosciuto, così come l’ultimo prima dello spillover verso l’uomo. Secondo un recente studio dell’Università Statale di Milano l’ospite progenitore potrebbe far partire una nuova pandemia incubando un SarsCov3, simile a quello che vediamo oggi.

La data di nascita è un elemento rilevante per ricostruire la catena di tempo e spazio che ha condotto il patogeno dagli animali all’uomo e da qui nel Basso Lodigiano. Secondo il genetista Peter Forster della Cambridge University, il virus circolava in Cina da metà settembre. La data sta in una forbice temporale che va fino a dicembre. Particolare confermato da uno studio dell’Università Statale di Milano che fissa l’inizio della circolazione in Cina al 23 ottobre. Secondo atti del governo cinese il primo caso di Covid-19 risale al 17 novembre e riguarda un 55enne della provincia dello Hubei. Insomma, tutto porta a pensare che il virus risalga a ben prima di gennaio. E visto che il passato è fondamentale, per il suo studio Forster si è munito di un algoritmo matematico utilizzato dai paleoantropologi per studiare gli spostamenti delle popolazioni preistoriche. Il risultato è un’istantanea della fase iniziale dell’epidemia prima che il caos delle mutazioni mischiasse le carte. “È come catturare una supernova”, spiega Forster. La sua équipe fissa nodi temporali dimostrando come il SarsCov2 arrivato in Italia ha subito radicali mutazioni rispetto al suo progenitore identificato in un cluster riferibile al virus di un pipistrello isolato nella provincia dello Yunnan. Questo primo genoma viene individuato in quattro cittadini di Guangdong, regione costiera che confina con Hong Kong e Macao. Figliastri di questo nodo A compaiono anche fuori dall’Asia e rientrano, seguendo le mutazioni, nel nodo B identificato da Forster come quello specifico di Wuhan. Questo secondo ceppo rappresenta il più diffuso in Cina. Il passaggio successivo ci porta in Europa. Qui il virus mostra un salto evolutivo che, secondo Forster, permette a SarsCov2 di superare la barriera asiatica e approdare nel vecchio continente. È il nodo C che comprende la Germania e subito dopo l’Italia.

Il come e il dove di SarsCov2 appaiono correlati. Secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature sono tre le ipotesi che spiegano la nascita del virus. E tutte hanno una forte base di credibilità, anche perché la versione ufficiale del Wet market di Wuhan come volano principale mostra ancora oggi alcuni elementi critici. Lo studio parte da questa prima ipotesi legando la trasmissione ai banchi del mercato dove vengono tenuti animali selvatici in condizioni igieniche precarie. Il dato resta incerto perché secondo uno studio cinese dei primi 41 casi di pazienti con gravi polmoniti solo 13 erano riconducibili al mercato di Wuhan. La seconda ipotesi spiega l’evoluzione pandemica di SarsCov2 a partire dal genoma umano. “È possibile – si legge nello studio – che un antenato di SarsCov2 sia saltato all’uomo”. Tradotto: una versione non aggressiva del virus può aver sonnecchiato per anni in qualche “santuario” del nostro organismo come avviene già per altri virus. La continua trasmissione da uomo a uomo avrebbe permesso al virus di modificarsi in una versione più aggressiva scatenando la reazione pandemica. La terza ipotesi riconduce alla coltura in vitro dei coronavirus. Un dato accertato in Cina a partire dal 2013. La lavorazione in laboratorio può aver agevolato la virulenza del patogeno fino a trasformarlo nel SarsCov2 che conosciamo. “Questo tipo di coltura – si legge nell’articolo – è in corso da molti anni nei laboratori di livello di ‘biosicurezza 2’ in tutto il mondo e ci sono casi documentati di fughe di laboratorio. Dobbiamo esaminare la possibilità di un rilascio accidentale di SarsCov2 da parte di un laboratorio”. Un’ipotesi rilanciata dal governo Usa e da un articolo del Washington Post che cita due note riservate nelle quali si sollevano dubbi sulla sicurezza dell’istituto di virologia di Wuhan. Si tratta di un polo scientifico al quale fanno riferimento diverse multinazionali del farmaco. Qui c’è il China Center for Virus Culture Collection, la banca del virus più grande dell’Asia con 1500 ceppi tra cui patogeni killer come l’ebola, studiati nel laboratorio con il livello di biosicurezza più alto (P4) che si trova proprio alla periferia di Wuhan.

E le pastiere del sindaco-medico spaventano Castelnuovo Cilento

La pandemia produce storie che sarebbero comiche se non fosse in corso una tragedia mondiale. Come a Castelnuovo Cilento, dove c’è un sindaco, Eros Lamaida, neurochirurgo all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, che sfida le restrizioni del governatore della Campania Vincenzo De Luca portando a domicilio, in regalo, le pastiere, il dolce tipo pasquale napoletano.

Alcuni cittadini, dopo aver aperto la porta di casa al sindaco, hanno preferito poi non mangiare la pastiera temendo potesse essere contagiata… Perché all’ospedale di Vallo c’è un reparto Covid e per la situazione della scuola riaperta per l’occasione: “Non mi risulta che sia stata sanificata”, si preoccupa Mario, un cittadino di Castelnuovo. Eppure il sindaco ha annunciato l’avvenimento con magno gaudio sui social: “Ringrazio di vero cuore il supermercato di Vallo Scalo, il nostro prestigioso Istituto alberghiero per il dono, ciascuno per la sua parte, di queste splendide pastiere”. Ma la pandemia rende sospettosi: “Fare i dolci può essere annoverato tra le motivazioni di necessità per gli spostamenti? O il sindaco ha un trattamento di favore? E De Luca non aveva vietato la consegna di cibo a domicilio con un’ordinanza più restrittiva dei decreti del governo?”. Tutti interrogativi di compaesani cilentani. A cui il sindaco Lamaida, al terzo mandato fra queste tremila anime, ieri sera risponde così al telefono: “Dottore, le giuro non sapevo di questa polemica. Ma posso immaginare anche da chi arrivi… a ogni modo la pastiera è stata fatta da un maestro pasticciere dell’alberghiero con ingredienti di un supermercato che, per altro, ho chiuso la domenica. Temo l’allentamento e il libera-tutti”. Questa la premessa, ma la replica? La giustificazione? L’auto-certificazione? “Mi è parso un bel gesto da parte del sindaco”. Sì ma i suoi concittadini temono il contagio consegnato porta a porta da un medico che lavora in ospedale. “Avevo mascherina e guanti, non ho sintomi e non lavoro nel reparto Covid, certo sono più a rischio di altri mi rendo conto”. Le pasticcerie del paese non possono lavorare, qualcuno rosica come si dice a Roma, e c’è l’ordinanza di De Luca sul cibo a domicilio. “Con De Luca c’è un rapporto di rispetto, sono stato candidato in suo sostegno, ma se mi vede temo non mi riconosca”. Altri lamentano la situazione della scuola, chiusa da due mesi. “L’istituto alberghiero è stato sanificato”, giura il sindaco se non pasticciere, per l’occasione, almeno un po’ pasticcione.