Riaprire, quando, dove e come. Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, terza città d’Italia, va controcorrente.
Per riaprire c’è bisogno di una voce autorevole a livello nazionale. Basta con questa distonia tra Stato e alcune Regioni. C’è bisogno che il comitato tecnico scientifico supporti le decisioni autonome della politica e che ci facciano capire in tempi brevi quando può iniziare la fase 2. Per Napoli la data può essere il 4 maggio. Ma a tre condizioni: che fino al 3 maggio si stia in casa, continuino a essere confortevoli i dati sanitari, l’apertura sia graduale e si preservi il diritto alla salute con distanziamento sociale, mascherine e precauzioni varie.
Chiusi in casa, Napoli come si sta comportando?
Con responsabilità. La solita narrazione della Napoli indisciplinata e lazzarona, è offensiva. Per primi abbiamo chiuso scuole e cantieri e sanificato gli uffici pubblici. Disciplina dei cittadini e scelte del Comune, sono gli elementi che hanno frenato il contagio. Ad oggi abbiamo poco più di 800 casi e meno decessi rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Come riaprire la città?
Abbiamo dato già dei segnali alle attività produttive: niente tasse per tutto il 2020, nel prossimo futuro bisogna andare per strada, ma in maniera disseminata. Non più concentrazioni. Più spazi pubblici da utilizzare, iniziative distribuite sul territorio, più bici, pedonalizzazione, riscoperta degli spazi naturali.
Il presidente De Luca minaccia il lanciafiamme, la chiusura dei confini e vieta la consegna di pizze e cibo da asporto.
In Campania abbiamo dovuto subire delle ordinanze che sfiorano il sadismo istituzionale. Per quale motivo vieti la consegna a casa del cibo? Dal punto di vista sanitario è controproducente, da quello economico è un colpo durissimo a migliaia di lavoratori. È una misura punitiva e senza senso.
La chiusura costa 47 miliardi al mese all’Italia, 10 al Sud, a quanto ammonta la perdita per Napoli?
Siamo in piena epidemia sociale ed economica. Con le reti civiche e sociali, stiamo scongiurando che diventi conflitto sociale e contagio criminale. Ma per una città che vive anche dell’economia del giorno, è una mazzata tremenda. Però Napoli ha una capacità di resilienza e rigenerazione come poche. O napulitan fa sicc ma nun more, dice un nostro proverbio.
Il virus ci ha messo ko…
Il Paese è dentro una recessione da post seconda guerra mondiale perché negli ultimi anni la sanità pubblica è stata smantellata. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con medici e infermieri che hanno pagato costi altissimi. Sono dati da guerra.
Sta pensando al Nord, alla Lombardia?
No, parto dalla Campania. Qui è iniziata l’epidemia con 334 posti di terapia intensiva per tutte le patologie, per legge ne avremmo dovuti avere 1.500, arriviamo a maggio a 500 posti, il resto sono chiacchiere e propaganda. C’è stata una riduzione selvaggia di ospedali, pronto soccorso, medici, infermieri. Questa è la regione che ha fatto meno tamponi. Se la battaglia si sta vincendo è solo grazie al rigore dei cittadini e al sacrificio del personale sanitario. La Lombardia? I dati ci dicono che il modello era un bluff. Ma questo è il momento dell’unità nazionale e io non sopporto i pregiudizi, neppure quelli contro il Nord. Questo virus è come la livella di Totò, ci mette tutti sullo stesso piano, ma non accettiamo più il “partiamo prima noi perché siamo il modello d’Italia”. Se è emergenza nazionale perché lo Stato continua a consentire questa balcanizzazione delle ordinanze e degli interventi? È il momento di rivedere l’architrave ordinamentale del nostro Paese. Il servizio sanitario deve essere pubblico e nazionale. Deve investire sulla prevenzione, sui medici. Il nemico ci ha preso alle spalle perché eravamo indifesi, senza argine.
Dopo saremo migliori?
La crisi ci impone di rivedere radicalmente il modello di sviluppo. Siamo in una economia di guerra, lo Stato deve trasmettere autorevolezza, coraggio e visione del futuro. Fare investimenti, snellire le burocrazie, immettere liquidità. L’Europa deve battere moneta e indebitarsi, il governo deve avere più coraggio. Non possiamo affidare la cura del dopo a chi ci ha ridotti così.