Quelli che…

Quelli che votano scheda bianca per non sporcare, oh yeah (Enzo Jannacci).

Quelli che prendono la scheda dall’urna e se la passano di mano in mano e sono otto e poi la sera devono pure raccontarlo in famiglia.

Quelli che facevano i portaborse e si vergognavano, poi li hanno promossi a portaborsette della Casellati e si bagnano tutti.

Quelli che vedrete, lei piacerà a tutti, anche se sta sulle palle pure a se stessa.

Quella che, siccome è sicuro che mi eleggono presidente della Repubblica, me ne sto lì in aula per assistere al mio trionfo in diretta tv e faccio una figura di merda in mondovisione.

Quella che la presidenza del Senato le stava stretta e infatti, se avesse una faccia, avrebbe perso pure quella.

Quelli che gli scatoloni delle foto non erano di Mattarella, ma della Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

Quelli che si credevano il kingmaker di Berlusconi, Frattini, Cassese, Nordio, Massolo e altri dodici, invece erano il serial killer che li ha centrati tutti al primo colpo.

Quelli che si credevano il kingmaker e poi sono morti di dolore come king Lear, pensando che fosse il marito di Amanda.

Quelli che invece i kingmaker sono Di Maio e Renzi con i parenti stretti.

Quelli che vogliono rieleggere Mattarella un po’ alla volta, così non se ne accorge.

Quelli che, se uno vota Mattarella, allora vuole Draghi (e lo manda Di Maio).

Quelli che, se uno vuole Draghi (e lo manda Di Maio), allora vota Mattarella.

Quelli che sono di sinistra e quindi “il mio ruolo è proteggere Draghi” perché me l’ha detto mio zio.

Quelli che “chiudiamoci in una stanza a pane e acqua”, ma non sanno cosa dire, a parte il menu.

Quelli che loro al Quirinale non ci tengono, poi chiamano tutti, persino Salvini, e si fanno beccare con lui in via Veneto.

Quelli che la sconfitta della politica sarebbe non eleggere un banchiere, mentre la vittoria della politica è eleggere un banchiere.

Quelli che siccome vogliamo vincere tutti, allora facciamo perdere l’Italia, rifilandole Draghi e lasciandola senza governo con 400 morti Covid al giorno.

Quelli che vanno alle maratone tv e non capiscono neanche quello che dicono loro.

Quelli che “voglio una donnaaa!” (Ciccio Ingrassia, Amarcord).

Quelli che purtroppo Draghi è maschio.

Quelli che, secondo me, Draghi ha un che di femminile.

Europa, primi dubbi rispetto alla transizione energetica

Che qualcuno a Bruxelles stia rinsavendo? O, quantomeno, si stia facendo venire qualche dubbio riguardo alla transizione verso l’elettrone imposta dall’alto, a cui mercati, consumatori e infrastrutture stanno dimostrando di essere ampiamente impreparati? Può essere letta così la decisione recentemente annunciata dalla Commissione Europea di avviare una serie di consultazioni sul futuro della mobilità, che coinvolga costruttori, autorità governative, enti di ricerca e parti sociali, per trovare finalmente una quadra sul percorso da seguire verso una transizione più equilibrata. Che non calpesti, soprattutto, quel principio di neutralità tecnologica sancito nelle carte UE e ultimamente oggetto di tentativi, goffi quanto interessati, di screditamento. Del resto, è stato lo stesso mondo dell’auto a denunciare ripetutamente i rischi di un passaggio forzato e troppo repentino alla tecnologia elettrica, imposto dall’Europa. Per ultimo, è arrivato l’allarme dei due numeri uno più importanti dell’automotive continentale: Herbert Diess e Carlos Tavares. Gli amministratori delegati di Volkswagen e Stellantis hanno infatti sottolineato che l’elettrificazione è una scelta fatta dalla politica, non dall’industria, e che è sbagliato annunciare l’addio ai motori endotermici. Il tutto, nonostante le rispettive aziende investano miliardi di euro sulla mobilità a batteria. Una contraddizione? Piuttosto, l’ennesimo tentativo di far prendere in considerazione soluzioni alternative, utili e più economiche, per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo.

In Italia mancano (ancora) le colonnine

È un cane che si morde la coda, lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia: c’è da investire ancora sulle infrastrutture di ricarica pubblica e c’è da (continuare a) incentivare l’acquisto dei veicoli a batteria, ma se in molti casi la carenza delle une scoraggia l’utilizzo delle altre, questo vale anche al contrario.

Motus-E, associazione che raccoglie i principali attori della nuova mobilità, dal 2019 fa il punto sulla situazione di colonnine e stazioni di ricarica in Italia, e con l’ultimo report del 2021 spiega che la relativa bassa circolazione di EV nel nostro Paese “limita il ritorno dell’investimento sui punti di ricarica pubblici”, con conseguente tasso di crescita più basso rispetto a quello del resto d’Europa se le vendite dei veicoli non dovessero continuare a salire.

A fronte di questo, però, il report rileva che in Italia, nel 2021, sono aumentati del 35% i punti di ricarica per le auto alla spina rispetto all’anno precedente (e del 143% rispetto alla prima rilevazione del 2019): 6.700 punti di ricarica in più, per arrivare a un totale di 26.024. Le infrastrutture, intese come colonnine o stazioni, invece, ad oggi sono 13.223, cresciute di 3.514 unità nell’ultimo anno.

A beneficiare maggiormente della rete infrastrutturale per veicoli plug-in hybrid ed elettriche pure, a livello territoriale, è il Nord Italia: qui si trova infatti il 57% di colonnine e stazioni, mentre il Centro è al 23% e il Sud con le isole al 20%.

Poco soddisfacente, invece, la situazione generale delle infrastrutture di ricarica sulle autostrade: se ne trovano appena 1,2 di quella veloce o ultraveloce ogni 100 km, e le scadenze fissate dalla Legge di Bilancio 2021 per le installazioni dei punti di ricarica di ultima generazione da parte dei concessionari autostradali non sono state rispettate. Motus-E spiega che, per esempio, questi non hanno mai pubblicato neppure i requisiti tecnici minimi per le infrastrutture. Eppure avrebbero dovuto farlo entro il primo marzo 2021.

Renault, Mitsubishi e Nissan: 23 miliardi per scalare il “green”

Renault, Nissan e Mitsubishi uniranno ulteriormente le forze per lo sviluppo congiunto di veicoli elettrici e mobilità connessa, andando a rinsaldare quell’Alleanza franco-giapponese che negli ultimi anni si era un po’ allentata. L’obiettivo è ottimizzare l’utilizzo delle piattaforme comuni dall’attuale 60% all’80% dei 90 modelli in gamma previsti per il 2026.

Sul piatto ci sono 23 miliardi di euro da investire nei prossimi 5 anni: denari che serviranno per supportare la strategia di elettrificazione e che porteranno sul mercato 35 nuovi modelli 100% elettrici entro il 2030. Il 90% di questi sarà basato su 5 piattaforme comuni, che copriranno la maggior parte dei mercati. E da cui nasceranno auto come l’imminente Nissan Ariya e la futura Micra o la nuova Renault Megane E-Tech e la R5, programmata per il 2024. “Per 22 anni, abbiamo costruito sulle nostre rispettive culture e punti di forza per il nostro beneficio comune. Oggi l’Alleanza sta accelerando per guidare la rivoluzione della mobilità e fornire più valore ai clienti, alle nostre persone, ai nostri azionisti e a tutti i nostri stakeholder”, ha dichiarato Jean-Dominique Senard, presidente dell’Alleanza.

I 23 miliardi di cui sopra si aggiungono agli oltre 10 investiti in precedenza, che hanno fruttato il lancio di 10 modelli elettrici. Operativamente, è confermata la strategia “leader-follower”: ovvero, una tecnologia viene sviluppata sotto la supervisione di uno dei tre costruttori, con il supporto degli altri, consentendo a ciascuno di accedervi. “Le tre aziende associate hanno definito una roadmap comune verso il 2030, condividendo gli investimenti in futuri progetti di elettrificazione e connettività”, ha detto Senard: “Si tratta di investimenti massicci che nessuna delle tre società potrebbe fare da sola. Insieme, stiamo facendo la differenza per un futuro sostenibile nuovo e globale; l’Alleanza diventerà carbon neutral entro il 2050”. Renault, ha sottolineato poi l’ad de Meo, guiderà all’interno dell’Alleanza lo sviluppo di un’architettura elettrica ed elettronica comune e lancerà entro il 2025 il primo veicolo definito attorno al software Ad alimentare questa offensiva saranno le batterie della cinese Envision AESC. L’Alleanza, inoltre, vorrebbe dotarsi di una capacità di 220 GWh e punta a ridurre i costi degli accumulatori del 50% nel 2026 e del 65% entro il 2028. Inoltre, Nissan svilupperà batterie allo stato solido (meno pesanti e ingombranti ma più veloci nelle ricariche), per averle sul mercato entro metà 2028. Target finale è raggiungere la parità di costo con i veicoli endotermici. Infine, per il 2026, l’Alleanza avrà 45 modelli dotati di sistemi di guida automatizzata e 25 milioni di auto connesse al sistema Alliance Cloud.

“Suicidio frivolo” Luigi Tenco fu lasciato solo da tutti

“Luigi Tenco era prima di ogni altra cosa un uomo solo” disse a caldo Giorgio Gaber ricordando l’amico, morto suicida il 27 gennaio 1967. Ecco spiegato il titolo, Un uomo solo, sotto il quale Antonio Iovane snoda queste sue pagine dedicate al cantautore che a 28 anni decise di farla finita dopo la prima serata del Festival di Sanremo.

Iovane – sulla scorta delle cronache dell’epoca e di spezzoni di intervista – segue Tenco nelle sue ultime ore di vita per restituire il valore dell’uomo e dell’artista. Come a suggerire che il cantautore piemontese merita di essere scomodato non in virtù del suo tragico gesto ma per la singolarità della sua vocazione. A cominciare dal suo rovello interiore: “Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza”.

Sebbene abbia un temperamento gioviale è altrettanto vero che questa sua intransigenza spesso si traduce in una allure quasi patibolare. Luciano Salce lo sceglie come protagonista del suo film La cuccagna perché aderente al personaggio di Giuliano, “tenebroso e incazzato col mondo intero”. Tenco si macera nell’illusione di “arrivare al grande pubblico senza sputtanarsi”. A comprare i suoi dischi sono ancora un pugno di estimatori. I sei milioni l’anno in diritti che guadagna li deve ai pezzi composti per Peppino Di Capri e Wilma Goich. Vuole tentare il salto per rovesciare il paradigma del successo: “Il giorno in cui riuscissi a farcela state pure certi che non inviterò il pubblico a volare nel blu dipinto di blu…”.

Con questo sentimento di rivalsa partecipa alla kermesse sanremese, “il regno della mediocrità, dell’assenza di pensiero, eppure seguita da milioni di italiani”. Una contraddizione forse unica nella storia della nostra musica leggera: “Farsi amare da un pubblico che disprezza”. Ciao amore, ciao è la canzone con la quale imporsi come divo. Una canzone sul disagio: “Racconta della fuga dei giovani dalle campagne verso le grandi città industriali, che tuttavia li respingono, li fanno sentire inutili, costringendoli a tornare”. Iovane lo scrive nero su bianco: “Luigi Tenco è il cantante del rimpianto, nelle sue canzoni tutto è già accaduto, non c’è niente che si possa più fare, nessuno può reagire, contrastare il destino, nelle sue canzoni sono tutti sbagliati, perdenti, sconfitti, inerti, nelle sue canzoni non resta che accettare la solitudine”.

A Sanremo è in coppia con Dalida, una delle star della canzone francese, che ha preso una sbandata per lui e che addirittura tenta di intimidire la sua fidanzata storica, Valeria. L’infatuazione di Dalida (che fatalmente si toglierà la vita nel 1987, vent’anni dopo il collega) è per Tenco un riconoscimento del suo valore. Prima che Mike Bongiorno lo chiami sul palco del Casinò per intonare versi come “In un mondo di luci sentirsi nessuno/ Saltare cent’anni in un giorno solo”, l’artista inganna il tempo leggendo Tex e scolandosi un whisky dopo l’altro. Si esibiscono frattanto Fred Bongusto, Ornella Vanoni, Johnny Dorelli. Tenco canta con gli occhi chiusi, non sorride, non va a tempo con la musica. Dalida lo rincorre nel camerino gridando al disastro. La canzone non accede alla finale. Tenco diserta la cena di rito con la Rca, la sua casa discografica, e si rifugia al Savoy, l’hotel dove alloggia.

Sono le due di notte quando dalla stanza 219 le urla di Dalida volteggiano su “un corpo inanimato in terra, gli occhi al soffitto, rivoli di sangue dalla bocca e dal naso che tagliano in due le guance”. Sanremo prosegue all’insegna di un cinico the show must go on, indifferente a un biglietto d’addio che strattona tutti i suoi protagonisti per una manica: “Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno”.

Leggere Un uomo solo di Iovane significa non solo rinnovare la memoria di Tenco, ma interrogarsi sulla natura profonda di uno star system che corre sempre il rischio di avere qualcosa a che spartire con il clima di 55 anni fa.

Nei giorni successivi alla morte del cantante un certo milieu intellettuale addirittura incrudelisce. Ugo Zatterin definisce Tenco “un fallito”, Riccardo Bacchelli scrive che “non vale la pena di spendere molte parole sulla futilità di certi suicidi”. Al funerale, in provincia di Alessandria, solo Fabrizio De André: “Non un cantante ha mandato un fiore”.

“Nella vita ci vuole Fluid: l’ho imparato da Niky e dal prof.”

Per l’attrice Anna Ammirati il viaggio-esigenza è iniziato quattro anni fa “quando gli interrogativi hanno iniziato a sommarsi alla consapevolezza di una lacuna da colmare; quando mi sono resa conto di non aver capito la differenza tra identità di genere e orientamento sessuale; quando ho ascoltato mia figlia ventenne parlare di alcuni suoi amici e alcuni termini mi sembravano talmente lontani da risultare esotici. Così ho iniziato a domandare alle persone intorno a me, a scovare libri”. E dopo quattro anni il suo viaggio è diventato Fluid, il nuovo podcast da oggi sull’app del Fatto: otto episodi, otto storie, piccole o grandi, personali nel racconto, generali perché emblematiche di una realtà. Dal cantante Michele Bravi al femminiello; dall’onorevole Alessandro Zan a una bambina di dieci anni della provincia di Modena.

Quello che all’inizio credeva di trovare e che in realtà ha scoperto…

Ho riscontrato un Paese più evoluto del nostro Parlamento.

Si riferisce al Ddl Zan.

È stato affossato mentre giravo le puntate (pausa). No, all’onorevole Zan non piace il termine “affossato”, preferisce “congelato” perché nella prossima legislatura ricomincerà la battaglia ed è convinto di concluderla positivamente.

Insomma, la distanza tra Paese reale e quello dei palazzi.

Penso a una famiglia della provincia di Modena, una famiglia stupenda.

E…?

Loro figlio è nato come Nicolò e oggi ha dieci anni: tempo fa, con una lettera, ha spiegato ai genitori l’esigenza di essere una bambina e loro, attraverso un percorso anche doloroso, hanno capito e assecondato il figlio che si sentiva Niky (sorride).

A cosa pensa?

Alla bellezza e alla spontaneità di Niky: quando l’ho conosciuta, dopo un po’, mi ha svelato che uno dei momenti più belli della sua vita è stato quando la preside, attraverso alias, le ha dato la possibilità di vivere come una bambina e finalmente ha potuto varcare la soglia del bagno delle femmine. “Dalla felicità ci sarò andata trenta volte in una giornata. E poi è pure più pulito di quello dei maschi”, mi ha detto.

Cos’è alias?

Un progetto utilizzato dalle scuole che permette di cambiare, sul registro, il nome da femmina a maschio e viceversa; mentre è molto più lungo e complesso l’iter dei documenti.

Il paesino come ha accolto Niky?

I genitori raccontano di grande affetto e solidarietà; (pausa) non da tutti, ovvio, alcuni si sono rifiutati di far giocare la piccola con i loro figli, ma in generale si è creato un tessuto di amore, con lo stesso parroco che le ha consentito di vestirsi di bianco alla cerimonia della comunione.

Si è mai commossa?

Quando a Napoli ho suonato alla porta di un femminiello e ho trovato un signore di 70 anni curato, truccato, ben vestito che mi ha sussurrato: “Finalmente, ti stavo aspettando”. E da lì mi ha raccontato una storia travolgente.

Travolgente?

Di rinascita. Di chi è cresciuto in un periodo non semplice, si è prostituito, poi si è innamorato, è andato a convivere, ha studiato e si è diplomato.

C’è un punto comune tra le storie che racconta?

Tolgo la patina su una presunzione: certe vicende sono sempre esistite, non è un caso di questi anni; la differenza netta è che oggi se ne parla di più ed è cambiato il vocabolario.

Differenza tra identità di genere e orientamento sessuale.

Uno può essere etero, uomo, ma non sta bene nel suo corpo, vuole diventare una donna, e continuano a piacergli proprio le donne.

È uno degli episodi, ma al contrario…

Milo, 17 anni, nasce femmina e sta iniziando la transizione con gli ormoni.

Fino all’operazione?

L’intervento è una soluzione sempre più rara; (pausa) in realtà per la nuova generazione c’è il mito dell’androgino.

Differenza tra androgino e fluid?

Fluid è chi non ha paletti, dipende da chi incontra, dalle emozioni ricevute e contraccambiate ed è legato molto all’orientamento sessuale. E qui l’esempio è Michele Bravi.

L’androgino?

Potrebbe essere Milo, quindi una via di mezzo.

Nei podcast emergono le difficoltà dei protagonisti.

Tutti, compresi Michele Bravi e Alessandro Zan, se vanno in giro mano nella mano con il fidanzato, mettono nel conto le provocazioni altrui, le offese, fino al pugno dietro la testa. E parliamo di Milano.

Prima accennava al linguaggio.

Tra le nuove generazioni, quando ci si presenta, è normale chiedere con quale pronome si preferisce andare avanti nella conversazione; comunque il nuovo vocabolario non è semplicissimo, e gli stessi ragazzi a volte hanno riso di questo aspetto (e qui inizia un elenco lunghissimo di definizioni).

Quindi?

In una delle puntate il protagonista è Lorenzo Bernini, professore di Filosofia politica all’Università di Verona ed è specializzato in gender e queer: è uno in prima linea, minacciato, definito “esponente del frocismo militante”; è lui a spiegarci l’importanza di utilizzare i termini giusti.

Alla fine di tutto questo, cosa resta?

Un’esperienza di vita e la giusta consapevolezza.

Sequestro Moro, il volantino delle Br venduto a 32.760 euro

Il prezzo finale è di 32.760 euro. Tanto è costato il comunicato con cui le Brigate Rosse rivendicarono il sequestro dell’allora presidente della Dc, Aldo Moro, e il massacro della sua scorta. In circa tre settimane il documento, messo all’asta dalla casa d’aste “Bertolani Fine Art”, è passato da una offerta base di 600 euro ai 26 mila di ieri che con i diritti d’asta arriva alla cifra finale, appunto, di 32.760 euro. L’acquirente che si è aggiudicato il documento era in collegamento telefonico e ha superato un altro potenziale acquirente che invece ha seguito la gara collegato online.

Alessandrini, il ricordo del magistrato ucciso

Milano, incrocio tra viale Umbria e via Muratori, una lapide annerita dallo smog. Recita: “A ricordo del magistrato Emilio Alessandrini assassinato il 29 gennaio 1979, a 36 anni. Perché difendeva la democrazia dall’eversione e dal terrorismo”. Pescarese di nascita. Ucciso a quell’incrocio da un commando di terroristi di Prima Linea. Andava a piedi al Palazzo di Giustizia dopo aver accompagnato il figlio a scuola. Domani alle 9,30 la Giunta milanese dell’Anm lo ricorda al parco di via Monte Cimone che porta il suo nome. Tra i presenti due consiglieri del Csm, e l’ex pm Armando Spataro, che quel periodo lo ha indagato. Alessandrini fu pm coraggioso. E come lui oggi, molti pm di Milano.

“Segre senatrice? Senza Auschwitz lavava i panni”

“Se si ammettono le parole dell’odio nel contesto pubblico, se si accoglie lo hate speech nella ritualità del quotidiano, si legittimano rapporti imbarbariti. Io l’odio l’ho visto. L’ho sofferto. E so dove può portare”. Sono parole di Liliana Segre, il Comune di Pontinia le aveva scelte per celebrare la Giornata della Memoria su Facebook. Un invito alla misura che ha fatto da stimolo all’idiozia di alcuni: “La Segre per Auschwitz è diventata senatore a vita, altrimenti aivoglia (sic, ndr) a lavare i piatti”, ha commentato il profilo di “Liberi e Forti”, associazione locale che ogni anno a ottobre organizza una “gita” in pullman da Pontinia, città inaugurata nel 1934 dal regime fascista, a Predappio per omaggiare la tomba di Mussolini con video su YouTube e foto sui social dei gitanti che tributano del saluto con il braccio teso la sua mascella marmorea. Come nelle migliori tradizioni – lancia il sasso e poi romanamente scappa –, il post è stato cancellato ma il gesto non è passato inosservato. La sezione provinciale dell’Anpi: “Intervengano le autorità”.

Salone del Libro, iniziato il giudizio: rischio prescrizione

Il processo per le presunte irregolarità avvenute al Salone del libro di Torino tra il 2010 e il 2016 è appena cominciato e già deve vedersela con la tagliola della prescrizione. Ieri al tribunale piemontese si è celebrata la prima udienza contro 19 imputati, tra cui il senatore ed ex sindaco Piero Fassino. Il processo doveva cominciare lo scorso maggio ma, causa Covid, è stato rinviato. Molte accuse sono già prescritte e altre lo saranno presto. La prossima sarà, a settembre, la presunta turbativa d’asta compiuta nel 2015, episodio contestato a Fassino in concorso con altri: insieme avrebbero pilotato il bando per tenere il Salone del libro al Lingotto Fiere (gestito da Gl Events). L’ex sindaco dovrà anche difendersi sul bando per individuare un nuovo socio e sponsor del Salone, scelta ricaduta su Intesa Sanpaolo. Per discolparsi, Fassino vorrebbe chiamare come testimoni due ex ministri (Dario Franceschini e Stefania Giannini) e altre personalità importanti: Sergio Chiamparino, il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, il banchiere Giovanni Bazoli e altri.